Red (2022) è l’ultimo film Pixar uscito questo venerdì sulla piattaforma Disney+. La pellicola era inizialmente pensata per l’uscita in sala, ma all’ultimo si è deciso per una distribuzione esclusiva in streaming (e più avanti nell’articolo ipotizzo il perché).
Nel complesso Red è una pellicola gradevole, fortemente ispirata ai teen drama dei primi anni 2000 (pur non essendolo fino in fondo), riuscendo ad includere al suo interno tematiche piuttosto tipiche della casa di produzione.
Tuttavia, il film presenta un problema veramente ingombrante: le didascalie.
Candidature Oscar 2023 per Red (2022)
(in nero i premi vinti)
Miglior film d’animazione
Di cosa parla Red?
La protagonista, Mei, è una ragazzina di tredici anni che eccelle in tutto, ma è al contempo oppressa dalla figura iperprotettiva della madre, che le impedisce di esprimersi come vorrebbe. La situazione si complica quando, per via di una maledizione che opprime le donne della famiglia, Mei si trasforma, ogni volta che prova emozioni troppo forti, in un enorme panda rosso.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Perché Red funziona e perché no
Come anticipato, Red è un film tutto sommato gradevole. La storia è veramente semplice e ridotta all’osso, e la potete ritrovare in una buona quantità di teen drama dei primi Anni 2000. Non a caso è ambientato proprio nel 2002. E io, da grande fan dei teen movie 2000s, non ho potuto fare a meno di apprezzare questo aspetto.
Oltre a questo, le animazioni sono una bella novità per la Pixar, che negli ultimi anni si era un po’ fossilizzata su uno stile sicuramente gradevole, ma alla lunga ripetitivo. In questo caso invece le animazioni sono evidentemente ispirate alla produzione animata giapponese, con una grande esagerazione delle espressioni e delle reazioni dei personaggi, disegni poco realistici e più stilizzati. Un esperimento visivo che in generale mi ha convinto.
Ma quindi perché secondo me Red non funziona fino in fondo?
Il problema del film: le didascalie
Red può essere piacevole ad una visione più superficiale, ma se si mettono un attimo da parte le emozioni che indubbiamente provoca, ci si rende conto che è un film con la profondità di una pozzanghera. Questo soprattutto perché all’inizio sembra voler dare un certo tipo di messaggio tramite una metafora decisamente potente, ma alla fine il tutto viene estremamente banalizzato. Oltre a questo, la pellicola è terribilmente appesantita da una narrazione fortemente didascalia, che spiega fondamentalmente cosa succede sullo schermo nonostante sia estremamente ovvio. Fra l’altro troncando ogni possibilità di interpretazioni ulteriori e banalizzando tutto quello che mette in scena.
La bellezza delle produzioni Pixar è che molto spesso non c’è bisogno di una spiegazione effettiva della situazione messa in scena. Anzi, frequentemente la profondità del film Pixar risiede proprio nei suoi silenzi (pensiamo solo a Wall-E).
E spero che nessuno abbia il coraggio di venirmi a dire ma è un film per bambini, perché la Pixar ci ha abituati per anni a film profondamente adulti e con vari livelli di lettura. Quindi è questo quello che mi aspetto.
Red fa per me?
Partendo dal presupposto che Red mi sembra un film che può piacere un po’ a tutti, lo apprezzerete particolarmente se, come me, siete appassionati di un tipo di teen drama alla Mean Girls (2004), perché le dinamiche sono veramente quelle. In generale, se cercate un film leggero, che comunque riesce a commuovere e coinvolgere, guardatelo.
Se invece siete dei puristi della Pixar, sempre come me, potrebbe non convincervi fino in fondo, in quanto fra le uscite degli ultimi anni è sicuramente fra i più deboli. Ma non per questo non si può dargli una chance.
Raccontare l’adolescenza
Nessuno si accorgerà di niente
Una delle cose che mi aveva più convinto all’inizio era il modo in cui viene raccontato il personaggio di Mei: si presente come una ragazzina ormai indipendente e brillante, che sceglie per se stessa. In realtà questa narrazione è subito smentita quando, alla richiesta delle sue amiche di passare il pomeriggio insieme, Mei spiega che deve, come tutti i giorni, aiutare la madre al tempio turistico.
Da qui capiamo subito quanto la madre sia una figura castrante: nonostante evidentemente con tutti le buone motivazioni, ha programmato a puntino la vita della figlia e vuole che sia sempre sotto al suo stretto controllo.
Una presenza ingombrante
La situazione le sfugge di mano quando Mei diventa effettivamente un panda rosso. La scena del bagno mi è piaciuta particolarmente perché, oltre a raccontare un tema poco affrontato soprattutto in questo tipo di prodotti, sembra (e sottolineo sembra) utilizzare una metafora potente per rappresentare il passaggio all’adolescenza.
Il panda rosso è qualcosa di enorme, ingombrante, inaspettato, in cui non si riconosce. Il corpo che cambia, i sentimenti incontrollabili, tutte cose che avvengono da un giorno all’altro e che hanno sconvolto la maggior parte di noi in età adolescenziale. E per Mei è veramente difficile tenere tutto dentro: una ragazzina così esplosiva e piena di emozioni, che la madre vuole limitare, riportandola ad una dimensione infantile e controllabile.
Tutta questa bellissima immagine è rovinata da quello che viene detto dopo.
Il problema della narrazione didascalica
Come anticipato, questo film è drammaticamente didascalico. C’era veramente bisogno di spiegare che Mei aveva un problema con la madre, che voleva ribellarsi? Ma, soprattutto, c’era bisogno di banalizzare la metafora del panda a un lato sbarazzino della personalità di Mei? Secondo me no. E l’ultima frase del film è esplicativa in questo senso, con una battuta che sembra veramente ripresa dalla sigla di una serie tv di Disney Channel ai tempi d’oro.
E io personalmente, seguendo la Pixar quasi da quando è nata, mi aspetto molto di più.
Qualcosa di bello
Al di là di queste problematiche di fondo, ci sono delle cose che ho veramente apprezzato di questo film. Anzitutto, rappresenta finalmente una realtà culturale più variegata e realistica. In scena si vedono non solo personaggi di diverse etnie, ma anche di religioni diverse. E per lo stesso motivo anche due delle amiche di Mei, oltre che Mei stessa, sono POC: Priya è di origini indiane, Stacy coreane.
Oltre a questo, il tema dell’amicizia l’ho trovato veramente toccante, pur nella sua semplicità: Red ci ricorda quanto sia importante avere dei buoni amici intorno quando stiamo passando dei momenti difficili, e gli amici di Mei lo sono senza dubbio. E, in particolare Miriam ha un rapporto veramente sincero con Mei.
Non andare fino in fondo
Una cosa che veramente non ho capito, e che anzi ho trovato veramente limitante, è il finale stesso. Se il film, come urla a gran voce, ci vuole incoraggiare a sentirci liberi di esprimerci, perché le altre donne della famiglia non hanno la stessa occasione? La cosa non è per nulla chiara: se posso capire la problematica della madre, il cui problema era veramente ingombrante, non capisco perché la nonna e le zie non hanno potuto approfittare di questa occasione per liberarsi anche loro dal fardello che loro stesse si erano imposte. La loro scelta non viene fra l’altro per nulla drammatizzata, ma sembra semplicemente come doveva andare le cose. Punto.
Il film sembra voler ribadire lo status quo che era presente all’inizio del film, e gli altri problemi dei personaggi non vengono affatto risolti. Un vero peccato.
Ma questo, a mio parere, si inserisce anche nel problema della rappresentazione della Cina.
Come raccontare la Cina
È troppo plagiata
Nonostante possa sembrare il contrario, questo film non è pensato per un pubblico cinese, ma piuttosto per immigrati cinesi di seconda generazione in America, come era stato anche al tempo per Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (2021). Entrambe le pellicole sono infatti accumunate da una rappresentazione della cultura cinese se non stereotipata, comunque evidentemente negativa e limitante, soprattutto se paragonata alla apparente bellezza della cultura occidentale.
Da una parte la cultura rigida e matriarcale, del dovere e del rispetto, dall’altra la cultura occidentale, affascinante e scintillante, regno della libertà. Così infatti le belle cose che Mei ci racconta all’inizio non sono altro che una rappresentazione dei desideri della madre, che, come tipico della cultura orientale, pretende dalla figlia l’eccellenza e un controllo totale sulle sue scelte.
Non è un caso che le autrici della pellicola sono due donne americane di origini cinesi.
In questa rappresentazione potrebbe annidarsi uno dei motivi della decisione di distribuire il film solamente in streaming. La Disney si è fatta due conti in tasca e, fra pandemia e qualche buon centinaio di milioni non garantiti per la mancanza di distribuzione in territorio cinese, ha pensato bene di evitare questo rischio.
Per quanto mi faccia piacere dare voce ad una parte della società poco raccontata finora, riesco ad abbracciare fino ad un certo punto certe stereotipizzazioni di culture non americane, oltre che ad una idealizzazione dalla cultura occidentale.