The Whale (2022) una pellicole di Darren Aronofsky, in cui il regista statunitense sceglie un taglio più strettamente realistico, pur non abbandonando del tutto l’elemento fantastico-simbolico.
A fronte di un budget veramente risicato – appena 3 milioni di dollari – è stato un enorme successo commerciale, con 54 milioni di dollari di incasso.
Candidature Oscar 2023 per The Whale (2022)
(in nero i premi vinti)
Miglior attore protagonista
Migliore trucco e acconciatura
Miglior attrice non protagonista
Di cosa parla The Whale?
Charlie è un professore universitario in un collage online, che, ad un passo dalla morte, sceglie di riallacciare i contatti con la figlia.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Whale?
Dipende.
Personalmente mi sono approcciata a questa pellicola con l’idea di riavvicinarmi alla filmografia di Aronofsky, dopo il passo falso di Madre! (2017), che mi aveva totalmente respinto e, di fatto, portato a detestare la poetica di questo autore.
Grazie a The Whale mi sono parzialmente ricreduta, in quanto sono riuscita ad apprezzarlo decisamente di più rispetto alla sua opera precedente. Tuttavia, questa visione ha anche confermato la mia insofferenza per un taglio narrativo volto in una certa misura all’autocompiacimento un po’ fine a sé stesso.
Nondimeno, ho indubbiamente apprezzato il ritorno di Brendan Fraser in scena, che riesce a reggere sulle sue spalle una performance veramente complessa e per nulla facile da rendere senza cadere nel ridicolo.
Insomma, dipende tutto da che tipo di aspettative avete su questa pellicola.
Nido
Charlie è il protagonista della sua tragedia personale.
Da anni ha scelto ormai di non prendersi più cura di sé stesso, ma di sprofondare in una trascuratezza e in una condizione tale da non potersi neanche più muovere, vivendo quasi del tutto isolato all’interno del suo nido.
Una sorta di lenta morte autoindotta, in cui porta avanti le sue due missioni più importanti: ispirare l’originalità e l’autonomia di pensiero nei suoi studenti, e il lasciarsi alle spalle un patrimonio tale da rendere la vita della figlia molto più soddisfacente della propria.
E qui risiede il primo problema.
Per quanto Charlie – e il film stesso – cerchino di raccontarci il contrario, Ellie non è un personaggio positivo.
Il protagonista sembra infatti incapace di giudicare la figlia al di fuori di quel saggio scritto in tenera età, in cui Ellie dimostra effettivamente una lucidità e maturità mentale tale da saper analizzare un’opera così complessa come Moby Dick...
…ma il suo personaggio è ben altro.
Ideale
Sulla carta Ellie è un personaggio che doveva mostrare una caratterizzazione variegata e interessante, ma nell’effettivo mi è parsa maggiormente un personaggio tagliato con l’accetta.
Di fatto, la riconduco senza problemi al modello della ragazza ribelle, anche piuttosto stupida ed immatura, che però nasconde dentro di sé dei talenti che, per la sua situazione sociale, sembra incapace di sfruttare appieno – non tanto diversa da Maeve di Sex Education, insomma.
In questo senso, Charlie vorrebbe farla sbocciare, ma riesce infine solamente a trovare un riscatto personale e puramente apparente, quando sembra ricondurre la figlia sulla strada più proficua dell’originalità di pensiero e di maturazione personale.
Ma è davvero così?
Salvezza
Charlie non vuole essere salvato.
Nella sua casa sono presenti due stanze: in una alberga il suo presente – la trascuratezza e l’autodistruzione – nell’altro il suo passato, e possibile futuro – l’ordine, la disciplina, la cura dell’ambiente e quindi del sé.
Nella sua persona è quindi presente il potenziale per una salvezza, continuamente incoraggiata dai personaggi che lo circondano, anche grazie al patrimonio che ha conservato con tanta fatica e che potrebbe svoltargli l’esistenza.
Ma allora perché sceglie la distruzione?
Dopo i profondi drammi che ha attraversato, Charlie si è ormai convinto che, qualunque strada prenda, giungerà ad un’infelicità ancora maggiore: il solo tentare sarebbe già di per sé perfettamente inutile.
Per questo, sceglie Ellie.
L’importanza che viene data al patrimonio economico di Charlie è forse derivante da una mentalità estremamente statunitense del potere insito nella disponibilità economica, che può potenzialmente aprire infinite porte ed opportunità.
Ma Ellie ha bisogno di molto altro che i soldi.
Charlie si congeda da sua figlia con una promessa, ignorando i segnali che raccontano una personalità assai problematica e fuori controllo, scegliendo di donarle solamente il mezzo per la salvezza che lui stesso non ha mai trovato, ma lasciandola senza una guida.
Una guida che poteva, anzi doveva essere Charlie, che invece ha preferito regalare la sua vita alla figlia, sembrando del tutto ignaro dell’importanza che avrebbe potuto avere per Ellie da vivo – molto più, appunto, del mero denaro.
Ma non è neanche l’unico colpevole.
Ignavia
Charlie è circondato dai complici della sua disfatta.
Il problema di fondo non è tanto il fatto che il protagonista abbia un’idea così deviata e distruttiva della sua esistenza, ma che le persone che lo circondano non siano mai veramente capaci di salvarlo.
Da Liz a Thomas, fino alla stessa Ellie, tutti potevano effettivamente prendersi il ruolo di salvatori, ma tutti al contempo sembrano, nel loro piccolo, afflitti dalla stessa malattia di Charlie: l’incapacità di migliorarsi.
A questo proposito, non voglio dire che ogni protagonista tragico debba avere il suo riscatto o che debba per forza vivere un arco evolutivo con esito positivo, ma che lo stesso dovrebbe essere un minimo più significativo.
Diverse sono le figure che si susseguono in diverse storie che, incapaci di trovare un riscatto, si ritrovano soffocate dalle loro stesse debolezze – uno fra tutti, il protagonista di Beau is afraid (2023) – ma una buona scrittura è capace di arricchire questi drammi di importanti significati.
Al contrario in The Whale io ho trovato solamente un dramma fine a sé stesso, la storia di un uomo illuso e di fatto egoista, costretto a vivere in mondo terribile e che lo disprezza, senza che questo mi spingesse ad un’effettiva riflessione, lasciandomi invece solo con una profonda amarezza.
E nient’altro…