Categorie
Dramma storico Drammatico Film Film di guerra L'altro lato del fronte

Flags of our fathers – Un brandello

Flags of our fathers (2006) di Clint Eastwood è l’altra parte di Lettere di Iwo-Jima dello stesso regista.

A fronte di un budget abbastanza importante – 55 milioni di dollari – è stato un pesante insuccesso commerciale: appena 65 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Flags of our fathers?

1945, Giappone. Un gruppo di marines appena arruolati si imbarca nell’importante missione di conquista di Iwo Jima. Ma la realtà del fronte è molto meno eroica di quanto potessero pensare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Flags of our fathers?

Assolutamente sì.

Se Lettere da Iwo Jima era un interessante spaccato sul valore della guerra per la parte nipponica, Flags of our fathers è una riflessione quanto mai lucida sul concetto fittizio di eroismo statunitense, mettendo in discussione la propaganda bellica che infestò la società statunitense per tutto il Novecento – e oltre.

E la narrazione visiva di Eastwood è precisa e puntuale, rendendo anche registicamente i temi affrontati e non caricando mai eccessivamente la scena di facile pathos, ma raccontando i momenti salienti con grande abilità e consapevolezza.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Indizi

La guerra è eroismo…

…oppure no?

Nel loro avvicinarsi al campo di battaglia, i giovani protagonisti cominciano ad allontanarsi dal sogno fittizio dell’eroismo sul campo di battaglia, come si vede nella graduale consapevolezza che li assale quando vedono uno dei loro compagni crollare in acqua:

So much for “No man left behind”.

E poi dicono “Nessuno viene lasciato indietro”.

Questa prima realizzazione li accompagna anche nello sbarco, quando si approcciano su un panorama apparentemente tranquillo, ma che in un istante si trasforma in una baraonda incontrollabile, in cui basta un attimo per passare da futuro eroe a cadavere cannibalizzato dalla propaganda.

E in questo frangente Eastwood brilla particolarmente con una regia dinamica e tridimensionale, che riesce ad abbracciare la scena da ogni punto di vista, raccontando semplicemente un gruppo di giovani che uno dopo l’altro, crollano a terra senza una parola.

In altre parole, delle pedine assolutamente sacrificabili…

…o facilmente vendibili.

Brandello

La bandiera protagonista della storia ha diversi significati.

Di fatto i media strappano da una realtà ben più complessa e dolorosa un brandello del tutto insignificante, vendendolo come la summa dell’esperienza al fronte e dell’impegno dei nostri ragazzi sul campo per tenere alto l’onore della patria.

O, in altro modo, vendendo quello che gli Stati Uniti vorrebbero.

La Seconda Grande Guerra fu un punto di partenza fondamentale per gli States nello scacchiere internazionale, portandoli ad essere protagonisti di diversi conflitti del tutto disinteressati, in realtà funzionali a cementificare il proprio potere militare su scala mondiale.

Per questo quella foto è così significativa: rappresenta il vero obbiettivo dell’intervento statunitense nel conflitto, ovvero riuscire ad imporre la propria importante presenza in una terra che non era la loro, con una bandiera progressivamente sempre più ingombrante e spettacolare…

…ignorando tutto il resto.

Spazio

La bandiera soffoca tutto il resto.

La comprensione dell’importanza simbolica della foto protagonista del film è raccontata fin da subito, quando la prima bandiera, troppo piccola e insignificante, viene presto sostituita da una più importante, che si ingrandisce sempre di pari passo alla progressione della storia

…finendo per soffocare, con i suoi colori vivaci e chiassosi, l’individualità dei suoi stessi portatori.

Un elemento che si nota in particolare nella composizione delle figure umane fotografate: le stesse perdono progressivamente sempre di più colore – come già il fronte è caratterizzato da una fotografia desaturata – fino ad essere sigillate all’interno di un biancore candido della una statua celebrativa…

…ed, infatti uno dei suoi protagonisti fa notare che, se avesse saputo che la foto avrebbe avuto tutta quella importanza, si sarebbe mostrato in volto, e non di spalle.

E questa è la chiave per la comprensione del concetto cardine del film.

Eroe

Gli Stati Uniti hanno bisogno di eroi vuoti.

Infatti, più è sfumata l’identità di queste figure, tanto è più facile utilizzarla per scopi politici, tanto è più facile attribuire meriti inesistenti per riempire il vuoto lasciato dai soldati morti sotto quella stessa bandiera, e, infine, tanto è più facile per il pubblico riconoscersi in quegli eroi.

In una società dominata dall’individualismo più sfrenato, la guerra diventa la promessa di affermazione personale, una possibilità nelle mani di chiunque abbia il coraggio di abbracciare un fucile, e così questi presunti eroi diventano uno spauracchio per ingrossare ancora di più le fila dell’esercito.

Eppure, loro stessi non si sentono eroi.

Una volta lasciatasi alle spalle la propaganda, le false promesse e un’idea di guerra fittizia, il fronte si concretizza in tutta la sua brutalità e immediatezza: non una lotta per la patria, ma una lotta per la sopravvivenza di sé stessi e dei propri compagni.

Insomma, i giovani protagonisti vivono un dramma ulteriore: non solo la tragica impotenza davanti ad un futuro definito dalla pura casualità, ma anche il peso delle aspettative che la società ha nei loro confronti, ma che non si sentono di poter realisticamente soddisfare.