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Madre – L’occhio della madre

Madre (2009) di Bong Joon-ho è un thriller poliziesco e il suo terzo film in lingua coreana.

A fronte di un budget piccolissimo – 5 milioni di dollari – anche per la sua distribuzione limitata, ha avuto un riscontro piccolo ma significativo: 17 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Madre?

Yoon Do-joon è un ragazzo con una disabilità mentale totalmente sotto la protezione della madre, che farebbe qualunque cosa tenerlo al sicuro…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Madre?

Assolutamente sì.

Al pari di Memorie di un assassino (2003), anche Madre è un incontro piuttosto curioso – ma assolutamente vincente – fra un thriller sanguinoso e una commedia nera dai toni a tratti estremamente amari, con un utilizzo del climax e dei colpi di scena semplicemente perfetto.

Così Bong Joon-ho riesce ancora una volta – e costantemente – a stupire lo spettatore sbarigliando le carte in tavola in maniera assolutamente inaspettata, e includendo al contempo la sua onnipresente riflessione sulla problematica situazione sociale in Sud Corea.

Insomma, da non perdere.

Guardia

La Madre è un guardiano.

La costante soggettiva della donna nei confronti del figlio dall’altro lato della strada è indicativa della sua onnipresente sorveglianza, che, con lo scontro con la macchina, ne svela l’insita fragilità, che la fa scoppiare in urla di disperazione.

Ed farebbe davvero di tutto per proteggerlo.

Un personaggio in realtà rappresentativo delle angosce di una classe media estremamente impoverita, che vive alla giornata, tramite sotterfugi e lavori improvvisati – e spesso, neanche del tutto legali – necessari per la propria sopravvivenza.

Un quadro che si carica di note anche più drammatiche con la scoperta del tentato omicidio – suicidio, dettato da una disperazione crescente verso una situazione economica irrisolvibile – che il figlio rigetta nella sua totale inconsapevolezza.

E, infatti, Do-joon è incontrollabile.

Innocuo

Do-joon è un ragazzo…innocuo?

Nonostante il continuo susseguirsi di controlli scrupolosi da parte della Madre, il protagonista appare come una figura profondamente imprevedibile, che fin da subito mette in scena la sua violenza sopita quanto inconsapevole, che esplode improvvisamente in più momenti della pellicola.

Eppure, al contempo, il film è piuttosto credibile nel raccontarci questi frangenti come tutto sommato innocui, e a farci credere che Do-joon in realtà non farebbe male neanche ad una mosca, motivo per cui infine ci dispiacciamo nel vederlo bistrattato dalla polizia.

Anzi, ci sembra tanto più prevedibile la sua inconsapevole firma all’atto di confessione, apparentemente dovuto alla violenza ingiusta da parte dei poliziotti – già ampiamente esplorata in Memorie di un assassino – che il ragazzo legge come un atto di rivendicazione, come ben racconta la sua battuta:

Posso essere anche cattivo.

Eppure, c’è un fondo di verità che non cogliamo subito…

Strada

La strada per scoprire il vero colpevole sembra ormai tracciata.

Infatti Bong Joon-ho ci fa imboccare un percorso del tutto illusorio di svelamento dei veri colpevoli: prima lo scapestrato compagno di Do-joon, poi la pista più fertile dei clienti della vittima, che raccontano una rete sotterranea di prostituzione minorile, in cui omicidio non è che l’ovvia conseguenza.

Insomma, ancora una volta il regista ci intrappola nel suo inganno delle semplicità e prevedibilità della storia, prendendo le mosse da un topos narrativo piuttosto comune e dalla facile risoluzione, che ci porta facilmente a empatizzare con l’apprensiva Madre.

Ed è tanto più interessante quanto la protagonista, nella sua piccola statura, riesca abilmente ad agire nell’ombra, mai cercando lo scontro fisico, ma delegando ad altri la parte attiva, nonostante i diversi ostacoli che le vengono messi lungo la strada.

Eppure, alla fine tutto cambia.

Inconsapevolezza

Il finale, ancora una volta, sembra già scritto.

L’epifania di Do-joon sembra il tassello risolutore di un quadro già definito, di cui manca solamente il colpevole, individuato nell’oscura figura del raccoglitore di rifiuti, che, una volta consegnato alla polizia, scarcererebbe infine lo sfortunato e innocente ragazzo.

E invece il sicuro colpevole diventa il testimone chiave della vicenda, che ci narra quanto Do-joon sembra genuinamente non ricordare: la furia feroce e improvvisa con cui ha scagliato un enorme masso in testa alla ragazza che l’aveva rifiutato, e gettando la Madre in uno stato di profondo sconforto…

…che esplode in una furia omicida disperata che la porta per la prima volta ad essere protagonista dell’azione, per poi tornare totalmente passiva e impotente davanti alla cattura del vero colpevole, a cui chiede disperata se anche lui abbia una madre che lo possa proteggere come lei ha fatto per Do-joon.

Il quadro si conclude nella comprensione della totale inconsapevolezza di Do-joon, che racconta in terza persona le vere motivazioni dell’esposizione del corpo e che, infine, consegna senza rendersene conto l’unica prova che collegava la Madre alla scena del crimine…

…portando la donna a cancellare con le sue stesse mani il ricordo degli orrori di cui si è macchiata per liberare il figlio, gettandosi infine nel giubilo della folla festante che balla, rappresentazione indiretta della medesima inconsapevolezza del figlio, che probabilmente mai si ricorderà della verità della vicenda.