Avatar – La via dell’acqua (2022) di James Cameron è il sequel arrivato a più di dieci anni di distanza dal primo Avatar (2009).
Un film che prometteva grande innovazione tecnica. E c’è stata.
Ma per me, come per il precedente, non basta.
Forse non arriverà agli incassi del primo film, ma ha aperto in maniera molto promettente: 435 milioni di dollari in tutto il mondo, arrivando ad oggi a 441 milioni.
Candidature Oscar 2023 per Avatar – La via dell’acqua (2022)
(in nero i premi vinti)
Miglior film
Migliore scenografia
Miglior sonoro
Migliori effetti speciali
Di cosa parla Avatar – La via dell’acqua?
Dieci e più anni dopo, Jake Sully è riuscito a costruirsi una felice famiglia su Pandora. Ma l’incubo dell’invasione torna a palesarsi…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di guardare Avatar – La via dell’acqua?
Sì, ma dipende.
Con questo intendo dire che se Avatar non vi ha entusiasmato, non aspettatevi niente di diverso da Avatar – La via dell’acqua, anzi. Lo scheletro narrativo è molto simile, si riciclano anche delle storyline, e la trama ha sempre lo stesso livello molto medio.
Se invece siete quelli che si sono lasciati e si lasciano conquistare dagli effetti visivi, non potete assolutamente perdervelo: è indubbiamente il punto forte del film ed è gestito ottimamente.
E non preoccupatevi per la durata importante: se lo prendete per il verso giusto, riesce a tenere sempre alta l’attenzione.
Vivere del punto forte
Guardando a posteriori, sembra davvero che il film sia stato costruito attorno agli effetti visivi e alle scene di impatto, e non il contrario. Perché è evidente che James Cameron avesse tutto l’interesse a portare elementi di grande innovazione tecnica.
E per questo ringraziamo.
La tecnica è sublime, curata nei minimi dettagli, tutto sommato molto credibile e semplicemente davvero bella da vedere, facendo anche un interessante passo avanti rispetto al primo film.
E infatti su questo non ho nulla da dire, anzi.
La trama, un elemento accessorio
Purtroppo, se si vanno invece a guardare più da vicino gli elementi della trama, la stessa si rivela in tutta la sua debolezza.
E per me è un elemento molto importante da considerare.
Personalmente ho preferito la narrazione del primo film: più semplice, lineare, e dritta al punto. E che infatti mi sono sentita di difendere. In questo caso, i difetti sono molteplici, ma il cuore del problema sta proprio nella volontà di voler gestire una struttura corale, ma non riuscire a dare il giusto spazio a nessuno dei personaggi portati in scena.
Ma andiamo con ordine.
Due fratelli, un fratello
Un grande problema che ho riscontrato è stata la questione di Neteyam e Lo’ak, i due figli di Jake.
All’inizio li trovavo praticamente indistinguibili, e purtroppo ritengo che nessuno dei due abbia avuto lo spazio che si meritava. Il più lacunoso è indubbiamente Neteyam, il fratello maggiore, che doveva essere il grande dramma del film (che ovviamente non poteva mancare), ma che non ha uno screentime sufficiente per farti affezionare a lui.
Tanto che, arrivando alla fine, mi chiedevo sinceramente perché avrei dovuto dispiacermi della sua morte.
Discorso diverso per Lo’ak, il minore: molto più protagonista rispetto al fratello, coinvolto in dinamiche interessanti, anche se molto prevedibili, ma al contempo caricato eccessivamente in ruolo non adeguatamente sviluppato.
La sua storia dovrebbe essere quella di un outsider, che si ritrova con qualcuno di simile a lui. Ma, obiettivamente, cosa ha fatto Lo’ak per essere raccontato come tale?
Semplicemente è molto avventato e si fa facilmente tirare in mezzo per così dire, ma sembra partire già con un conflitto con il padre, che però non sono riuscita a percepire per nulla nella sua effettiva gravità.
Tuttavia, ammetto che la scena dell’incontro con Payakan, il tolkun emarginato, l’ho apprezzata molto e mi ha emotivamente coinvolto.
Il miracolo dimenticato
Una storyline che andava decisamente più esplorata era quella di Kiri.
Gli indizi riguardo alla sua connessione con Ewya ci sono fin dall’inizio e sono anche ben posizionati. Tuttavia, dopo il picco drammatico della sua storyline, ovvero quando il personaggio si connette all’Albero delle Anime e rischia di morire, per un buon venti minuti ci si dimentica totalmente di lei.
E si arriva direttamente ad un pacifico scioglimento del problema, senza che ci sia stato il passaggio fondamentale in cui lo stesso veniva risolto.
Insomma, come se mancasse un pezzo…
L’inutile Spider
Per la maggior parte della pellicola mi sono chiesta quale fosse il ruolo e l’utilità di Spider.
Sono rimasta anzi abbastanza contraddetta da come, da una scena all’altra, Spider sembri aiutare e quasi assecondare l’azione dei villain. Per poi tornare sui suoi passi poco dopo, ma rimanendo per la maggior parte del tempo una figurina sullo sfondo.
Finché non arriviamo sul finale e il personaggio diventa artefice della mia personale frustrazione.
Incapaci di rinnovarsi
La storia del Colonnello Miles è stata per me un vero tormento.
Riproporre lo stesso inutile, ridicolo villain per la seconda volta l’ho trovata una scelta veramente poco indovinata e per nulla interessante.
Perché parte con l’idea che, prima di tutto, bisogna uccidere Jake per cominciare a mettere fine al popolo dei Na’vi. Poi la questione diventa totalmente una vendetta privata del personaggio, che fa completamente sparire di scena l’obbiettivo principale degli umani nella pellicola.
Infine, viene di nuovo riesumato per essere riportato in un eventuale sequel, quando è così evidente che non abbia più niente da dire.
E dopo fra l’altro un incredibile girotondo narrativo sul finale…
Appiattimento
La mia più grande delusione della pellicola è stata sicuramente Neytiri.
Come l’avevo apprezzata nello scorso film, non posso dire lo stesso in questo caso, dove il personaggio perde totalmente la testa e si appiattisce anche parecchio, sempre vittima del poco screentime.
E la cosa peggiore è quando minaccia di morte Spider e la cosa non sembra così fondamentale per i personaggi, ad ulteriore dimostrazione che sono gli stessi protagonisti a schifare il suo personaggio…
Colmare vuoti logici
La questione della poca furbizia dei Na’vi nel combattere, che non si rendono conto di essere dei giganti rispetto agli uomini e con abilità di combattimento molto più avanzate, era una questione che mi ero sempre posta per il primo film.
Ma non ci ho insistito, perché tutto sommato poteva anche tornare.
Invece ho preferito che questo problema fosse superato in questa pellicola, dove i Na’vi sono invece abili e capaci di utilizzare tutte le proprie risorse: veloci e in grado di schivare i proiettili, precisi nella mira con frecce che sono praticamente delle lance, imbattibili nel corpo a corpo.
E soprattutto finalmente capaci di rivolgere le armi da fuoco contro i loro nemici…
retcon, che passione! in Avatar – La via dell’acqua
Come ampiamente prevedibile, la pellicola è piena di retcon.
Alcune che tutto sommato funzionano, altre che mi hanno convinto proprio poco.
Complessivamente mi hanno convinto quelle riguardanti i figli: anche se la questione non è mai stata raccontata prima, il fatto che la Dottoressa Grace e il Colonnello Miles abbiano avuto dei figli off screen non è neanche così male.
Per certi versi un’inutile complicazione, ma non mi ha dato fastidio.
Molto meno convincente il fatto che si dichiari apertamente che gli enzimi dei toluk siano il nuovo oggetto del desiderio che tenga insieme tutta l’operazione, mentre ci sia dimenticati del tutto dell’unobtainium, che sembrava così fondamentale nella prima pellicola…
Autocitazionismo e checklist in Avatar – La via dell’acqua
Ad ulteriore conferma di una sceneggiatura poco pensata, si può notare che per molti versi la trama proceda per riciclo di idee e autocitazionismo.
Già lo scheletro narrativo è abbastanza simile: parte iniziale con introduzione della colonizzazione, parte centrale concentrata nella scoperta del mondo, lunga battaglia finale. Così i figli di Jake riprendono le sue orme del padre, mostrandosi assolutamente speciali e unici.
Oltre a questo, la questione del materiale prezioso che tiene tutto insieme è ribadita in maniera identica al primo, con anche il personaggio del Dottor Garvin, biologo marino della nave che caccia i toluk, che è la pallida ombra della Dottoressa Grace.
Per non parlare del finale assolutamente identico, una pura citazione…