Bardo – La cronaca falsa di alcune verità (2022) di Alejandro Iñárritu è un film di genere surreale misto al biopic, prodotto e distribuito da Netflix. Il regista, che ha avuto il suo successo internazionale con Birdman (2014) e The Revenant (2015), torna sui suoi passi con un’opera più intima e personale.
Forse anche troppo.
Candidature Oscar 2023 per Bardo – La cronaca falsa di alcune verità (2022)
(in nero i premi vinti)
Migliore fotografia
Di cosa parla Bardo?
Silverio è un giornalista e documentarista messicano, che verrà premiato negli Stati Uniti per il suo ultimo documentario. E questo gli crea diversi ripensamenti…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Bardo?
Tendenzialmente, no.
Avendo avuto già una complessiva piacevole esperienza con il cinema di Iñárritu, riesco ad essere leggermente più morbida nella valutazione di questa pellicola, e non cadere nel totale respingimento come era stato per Madre! (2017).
E per certi versi i due film non differiscono molto.
Mi sono trovata davanti, in entrambi i casi, a due prodotti con un’interessante idea alle spalle, che però il regista è stato incapace di portare sullo schermo in maniera veramente interessante, diventando eccessivo e inutilmente ridondante.
È il classico film che potrebbe essere adorato da alcuni, anche per affezione nei confronti del regista, e invece odiato da altri. Se vi sentite molto vicini al suo cinema e ad Iñárritu umanamente parlando, e sopratutto vi piacciono i film con taglio profondamente onirico e surreale, potrebbe anche piacervi.
Io, personalmente, non lo consiglio.
Il problema del surreale
Il genere surreale è uno dei miei preferiti, a livello davvero crossmediale: che sia cinema, fumetti, libri, è un taglio narrativo che apprezzo quasi sempre.
Proprio amandolo così tanto, sono anche consapevole che sia un’arma a doppio taglio: alla base di un racconto di questo tipo ci deve essere un’idea forte, che funzioni, e che riesca ad essere distribuita organicamente all’interno di una storia.
E non è così semplice.
Se non si riesce a gestirla con la giusta capacità e intelligenza, si rischia facilmente di andare ad impelagarsi in una narrazione che appare fine a se stessa, che magari ha un significato di base, ma che alla fine non si riesce a trasmettere.
E questo è un po’ tutto il problema di questa pellicola.
Inaccessibile
Per quanto un autore voglia arroccarsi nella sua torre d’avorio e sentirsi incompreso, se la sua opera non viene letta e fruita, scompare.
E così, se un film è comprensibile solo per il suo autore, è un film solo per se stesso.
In Bardo troviamo un racconto fondamentalmente autobiografico e sicuramente sentito, ma che per molte parti diventa comprensibile solamente al regista stesso. Se infatti lo spettatore può complessivamente comprendere il messaggio di base, si perde inevitabilmente nell’oceano di riferimenti e di costruzioni della pellicola.
Ovviamente non mancheranno molti spettatori che avranno solo che piacere a perdersi nell’immensità del racconto dell’interiorità del regista, andandone a scovare tutti i significati nascosti.
Non è il mio caso.
Mancanza di interesse
A livello di esperienza personale, il film non solo mi ha confuso, ma ha smesso di interessarmi praticamente da subito.
Infatti ho seguito la narrazione di Iñárritu fin dove questa mi intrigava, ma mi sono bloccata davanti alla mancanza di chiavi di lettura possibili e a questa narrazione sicuramente intima e sentita, ma inaccessibile e, in ultimo, poco interessante.
Esistono diverse opere – anche al di fuori dal mondo del cinema – che sono difficili da leggere e che presentano diverse chiavi di lettura. È il caso ad esempio di I’m Thinking of Ending Things (2020), uno dei film più complessi che abbia mai visto in vita mia. Tuttavia, in quel caso, mi sono trovata davanti ad un’opera aperta e piena di significati, che avevo interesse di scoprire.
In questo caso, l’unico modo per comprenderla sarebbe farmela spiegare dal regista stesso.
Mettere le mani avanti
C’è solo un elemento che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa pellicola.
Come anche abbastanza comprensibile, davanti ad un’impresa così complessa come questa produzione Iñárritu si è sentito già sommerso dalle critiche che avrebbe potuto ricevere. E per questo ha deciso di rispondere alle stesse nella pellicola.
E nella maniera più antipatica e pretenziosa possibile.
Durante la festa infatti, il protagonista parla col pomposo Luis, che critica pesantemente il suo documentario. Così, metanarrativamente parlando, critica l’opera stessa di cui fa parte, dando voce a delle critiche che sinceramente io mi sento abbastanza di avvallare:
E davanti alla scena in cui il personaggio, e quindi il regista stesso, silenzia questa opinione – letteralmente – mi sono sentita personalmente colpita.
E non positivamente.