The Fabelmans (2022) è l’ultima opera di Spielberg, e quella più personale della sua produzione.
Più che un film, un commosso e sentito omaggio alla sua famiglia.
Purtroppo, a fronte di un budget di 40 milioni di dollari, ne ha incassati appena 45…
Candidature Oscar 2023 per The Fabelmans (2022)
(in nero i premi vinti)
Miglior film
Miglior regista
Migliore sceneggiatura originale
Miglior attore non protagonista a Judd Hirsch
Migliore attrice non protagonista a Michelle Williams
Migliore colonna sonora
Migliore scenografia
Di cosa parla The Fabelmans?
Un giovanissimo Sammy viene portato per la prima volta al cinema. Un’esperienza che lo segnerà per sempre…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Fabelmans?
Assolutamente sì.
Prima di vedere The Fabelmans, avevo dei grossi dubbi, dal momento che fa parte di un genere – quello del biopic – molto standardizzato nelle tematiche e nelle dinamiche, che gioca spesso su trigger emotivi facili e scontati, e che per questo non apprezzo particolarmente.
Non è il caso di The Fabelmans.
Vedendo questa pellicola si ha la costante sensazione di trovarsi davanti al racconto di una storia vera, che non cerca di farti piangere o emozionare per forza, ma piuttosto di coinvolgerti e intrattenerti attraverso dinamiche piacevoli, divertenti e genuine.
E con la splendida mano autoriale di Spielberg.
Una storia vera…
Ovviamente non potremo mai sapere quanto Spielberg abbia inventato e quanto ci sia di vero in The Fabelmans.
Ma, se si è inventato tutto, ci ha ingannati perfettamente.
La pellicola è quasi una raccolta di aneddoti, senza focus così forte sull’aspirazione del protagonista di diventare un regista, né foreshadowing volti a celebrare il suo genio. Al contrario, un racconto vero e sentito della nascita della sua passione, ma all’interno di una storia più ampia e sentita su una famiglia imperfetta.
Per tutta la durata non sapevo cosa aspettarmi, perché non c’era niente di veramente scontato.
…per un cinema vero
Nonostante appunto non sia del tutto il punto centrale della pellicola, il racconto dello sbocciare della passione del cinema per il protagonista è la parte più affascinante della storia.
Spielberg è riuscito a mostrarci, attraverso dinamiche credibili e interessanti, come riusciva a girare piccoli film muti, facendo leva sulla sua incredibile creatività e ingegnosità per creare degli effetti speciali caserecci, ma di grande effetto.
E mostrando già la sua capacità nel dirigere gli attori e l’occhio registico che stava sviluppando per i particolari da mettere in risalto, riuscendo a dare tridimensionalità e profondità alle scene e alle storie che portava in scena.
Fra l’altro con una perfetta corrispondenza fra la tecnica mostrata nei film amatoriali, e quella che caratterizza il film stesso.
Raccontarsi
Raccontare sé stessi non è mai facile.
Tanto più quando sei uno dei più grandi maestri del cinema.
Tuttavia, mai nella pellicola ho sentito che Spielberg volesse in qualche modo autocelebrarsi. Al contrario, mi è sembrato che volesse mettere in scena proprio lo sbocciare della sua passione e di come effettivamente avesse cominciato a guardare il mondo con l’occhio della macchina da presa.
Davanti a questo ottimo risultato, non posso che fare un paragone con un’altra opera di taglio autobiografico di recente produzione: Bardo (2022) di Alejandro Iñárritu. Per quanto mi renda conto che si tratta di due film molto diversi, in entrambi il regista si propone di mettere in scena la sua vita e la sua arte.
E, come Iñárritu si è decisamente troppo sbilanciato in una fragile – e pomposa – celebrazione della sua opera, Spielberg ha meglio raccontato la sua passione, lasciando al pubblico il giudizio.
A dimostrazione proprio di come raccontarsi in maniera genuina e senza stare sulla difensiva era non solo fattibile, ma auspicabile…
Una madre (troppo vera)
Come fondamentalmente tutto il film è assolutamente godibile, ho trovato leggermente più pesanti le sequenze dedicate a Mitzi, la madre del protagonista. Più che altro perché la stessa, ad uno spettatore esterno, appare un personaggio molto egoista e di fatto negativo, e non così facilmente perdonabile.
Al contrario, Sam – e di conseguenza il regista – la perdona totalmente.
Sicuramente un indizio del sentimento profondo e sincero di Spielberg verso la madre – fra l’altro venuta a mancare qualche anno fa. Tuttavia, una rappresentazione che ho trovato poco credibile e interessante, con uno scioglimento quasi troppo semplicistico.
Ridiamoci su
The Fabelmans presenta diversi elementi di ironia che scherzano anche su tematiche non facilissime da gestire: la morte e l’ebraismo.
Si ironizza facilmente e in maniera molto genuina sulla morte della nonna a metà film, e altrettanto sulle tradizioni ebraiche e le loro stranezze – che appaiono tali a chi non ne fa parte. Sulla stessa linea, appaiono quasi grotteschi – ma molto credibili – i comportamenti dei compagni di scuola di Sam verso la sua religione, l’assurda relazione con Monica, l’esilarante personaggio del prozio Boris…
Oltre a questo, assolutamente indovinata la scena su del colloquio con John Ford, con una simpatica trovata metanarrativa a chiusura della pellicola.