Elvis (2022) di Baz Luhrmann è un biopic dedicato alla figura immortale di Elvis Presley, icona assoluta della musica rock. Un prodotto che avrebbe potuto seguire le vie più semplici e monotone tipiche del genere.
E invece, nonostante tutto, mi ha sorpreso.
Un buon incasso per una pellicola sicuramente ambiziosa: 85 milioni di dollari di budget e un incasso di 287 milioni di dollari in tutto il mondo.
Candidature Oscar 2023 per Elvis (2022)
(in nero i premi vinti)
Miglior film
Miglior attore protagonista per Austin Butler
Migliori costumi
Miglior sonoro
Migliore trucco e acconciatura
Miglior scenografia
Migliore fotografia
Miglior montaggio
Di cosa parla Elvis?
La pellicola è dedicata alla parabola di crescita e rovina di una delle più importanti star della storia della musica, raccontata attraverso lo sguardo del suo manager, accusato di averlo sfiancato fisicamente ed emotivamente...
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Elvis?
Assolutamente sì.
Elvis sicuramente non è un film perfetto, indubbiamente basa la sua trama su una costruzione emotiva molto – forse troppo – polarizzata, forse anche a discapito della realtà storica della vicenda.
Tuttavia, tutta la costruzione tecnica e artistica è spettacolare.
Dopo avermi ampiamente emozionato con Il Grande Gatsby (2013), a dieci anni di distanza Baz Luhrmann continua a sorprendermi con la sua creatività esplosiva, la sua cura nei dettagli, la sua perfetta conduzione degli attori.
Senza parlare poi dell’incredibile performance attoriale di Austin Butler.
Un nuovo divo?
Parlando di Elvis, non si può non elogiare l’incredibile performance di Austin Butler – per cui fra l’altro è stato candidato per Miglior attore protagonista agli Oscar 2023.
Non solamente questo promettente attore ricalca in maniera assolutamente credibile la fisionomia della star che interpreta, ma è riuscito a stupire il pubblico spingendo i limiti della sua recitazione al massimo delle sue possibilità.
E per un ruolo tutt’altro che semplice.
È davvero meraviglioso vedere attori che si sono fatti la gavetta per anni in prodotti di seconda (se non terza) categoria – nel caso di Butler in The Carrie Diaries e The Shannara Chronicles, fra gli altri – sbocciare fra le mani di un capacissimo regista.
Ma già in Once upon a time in Hollywood (2019) si era fatto conoscere…
Il potere del make-up
Per Tom Hanks è praticamente impossibile interpretare personaggi negativi.
Infatti, con quel suo volto rassicurante, non sarebbe mai credibile nel ruolo di villain. Ma Luhrmann non si è sicuramente fatto frenare, utilizzando sapientemente tutto il potere trasformativo del make-up e lasciando il resto in mano a questo fantastico interprete.
E, nella sua follia, Tom Hanks è stato perfetto nel ruolo dell’avido approfittatore, della serpe in seno, riuscendo, con le sue grandi capacità retoriche, ad ingabbiare il divo per tutta la sua vita.
Ma, al contempo, è anche un difetto della pellicola.
La polarizzazione
Un difetto della pellicola è l’eccessiva polarizzazione dei personaggi.
Personalmente non conosco nei dettagli la biografia di Elvis Presley. Tuttavia, mi viene anche facile pensare che la sua storia fosse meno netta di come il film la racconta. In Elvis il protagonista è la totale vittima della situazione, senza che venga messo in scena nessun suo possibile – e probabile – difetto.
Anzi, il problema più importante – la mancata presenza in famiglia – è ridimensionato proprio raccontandolo come vittima, anche di se stesso.
Un difetto, se così vogliamo chiamarlo, che non mi ha guastato la godibilità della pellicola, né che in realtà va eccessivamente a rovinare la bellezza del prodotto. Tanto più che non spinge troppo l’acceleratore su un altro problema tipico di questo tipo di pellicole.
La drammatizzazione.
Non drammatizzare
Le storie di questi personaggi, queste icone, è facilmente puntellata da grandi e piccole tragedie.
E fin troppo spesso si tende a creare dei prodotti molto standardizzati, il cui andamento è assolutamente prevedibile: la star viene scoperta, raggiunge l’apice, vive un momento di dramma, sipario. Anche andando ampiamente ad inventare, come era stato per esempio con il recente Bohemian Rapsody (2018).
Non è il caso di Elvis.
Nonostante la vita del protagonista sia stata indubbiamente molto tragica, non si è voluto eccessivamente raccontare una tragedia, né seguire un percorso già rodato. Al contrario il film racconta più che altro una vicenda di alti e bassi, che era drammatica fin dall’inizio.
E con una chiusura senza sbavature.
L’erotizzazione del maschile in Elvis
Un focus interessante della pellicola è sull’erotismo di Elvis come chiave del suo successo (e insuccesso).
All’interno di un contesto come quello degli Anni Cinquanta – Sessanta in cui la sessualità – sopratutto quella femminile – era molto limitata, financo castrata, vedere un certo tipo di movenze e di atteggiamenti non poteva che far perdere la testa.
E si mostra bene la naturalezza del personaggio in questi atteggiamenti, lasciando anche il giusto spazio ad una sorta di queerness, che divenne poi col tempo tipica delle star della musica rock, ma che al tempo era considerata scandalosa.
Un elemento non solo ottimamente trattato, ma che mi permesso di scoprire qualcosa di nuovo sul suo personaggio.