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Uncharted o il ciclo fantastiche avventure ad alto budget

Uncharted (2022) è il nuovo cinegame, ovvero un film tratto da un videogioco, che è arrivato nelle nostre sale la scorsa settimana. Un’ambizioso progetto di Playstation Production, la casa di produzione dell’omonima console nata solo due anni fa, proprio con l’obbiettivo di portare sul piccolo e grande schermo i suoi prodotti videoludici. La star di richiamo in questo caso è Tom Holland, al momento sulla cresta dell’onda per l’incredibile successo di Spiderman No Way Home (2021).

Il film sta andando piuttosto bene nei botteghini internazionali, riuscendo in soli due weekend a quasi rientrare nei costi (finora 226 milioni contro 120 di budget), dando per praticamente certo un sequel.

Di cosa parla Uncharted

Uncharted è un prequel della saga videoludica, che porta come protagonista il giovane Nathan Drake, protagonista del videogioco, e il suo compare Sully, interpretato da Mark Wahlberg. Cresciuto in un orfanatrofio, il giovane Nathan e il fratello Sam sognano di potersi imbarcare in avventure in giro per il mondo alla scoperta di tesori nascosti.

In particolare la loro passione riguarda l’Ora di Magellano, ovvero il tesoro che l’esploratore portoghese avrebbe lasciato nascosto da qualche parte nel mondo dopo la circumnavigazione del globo. Sam lascerà il giovanissimo Nathan con la promesse di rincontrarsi in futuro. Quindici anni dopo, Nathan, ormai cresciuto, verrà ingaggiato da Sully, spietato cercatore di tesori, per portare a termine il sogno del fratello.

Vi lascio al trailer per farvi un’idea.

Un film di pochissime pretese

Uncharted è un pellicola che gode di un buon budget ma di una produzione veramente poco impegnata sul lato qualitativo. La storia è veramente semplice e lineare, nonché davvero prevedibile. Però in realtà questo non è un problema: l’obbiettivo principale di questo film è intrattenere e far passare due ore in allegria, cosa che riesce effettivamente a fare.

Tuttavia lascia un po’ perplessi trovarsi davanti ad un obbiettivo così ambizioso e una produzione così scarsa. Non so giudicare per il videogioco, ma non so quanto saranno contenti i fan della saga videoludica di vedersi adatta un gioco così quotato come Uncharted in una pellicola che sembra, e lo dico senza timore di essere smentita, un film per la tv del ciclo di Italia 1 Fantastiche Avventure.

Datemi una cuccia!

Tom Holland e Mark Wahlberg in una scena del film Uncharted (2022)

Questo è il caso da manuale di un regista incapace di dirigere gli attori: d’altronde a capo di questo film c’è niente poco di meno che Ruben Fleischer, autore di Venom (2018). Ricordiamolo, la stessa persona che è riuscita a far diventare cane quella meraviglia di Tom Hardy. Il livello è da recita di fine anno in una scuola media, in cui ognuno fa quello che può e il regista non ha cuore (o la capacità) di dire che sta facendo male.

Mark Wahlberg l’avevo discretamente rivalutato per Istant Family (2018), ma in generale è sempre stato un attore di poco spessore e che si associava a progetti di livello abbastanza discutibile come Ted (2012) e I poliziotti di riserva (2010). In questo caso ha la stessa intensità recitativa di quando legge la lista della spesa. Lo stesso livello di Val Kilmer in Batman forever (1995) per intenderci. Una sola espressione indispettita per tutta la pellicola, anche quando deve dire battute divertenti, condendoci solo un sorriso nelle ultime scene.

Tati Gabrielle, che interpreta la villain principale del film, ha dato una migliore prova in Le terrificanti avventure di Sabrina, anche conosciuta come una delle più terrificanti serie di Netflix in tempi recenti. Tom Holland ha fatto il minimo indispensabile, anni luce comunque dalla sua interpretazione in Spiderman, dove a mio parere si era confermato un attore completo. L’unico attore con una vera dignità è Banderas: nonostante le sue occhiate da cattivone siano abbastanza ridicole, alza decisamente il livello.

Il ritorno a Twilight e altre meraviglie

Uno dei problemi principali di questo film è la sceneggiatura, ma non per come è stata scritta, ma per come è stata interpretata: di per sé lo script non è da buttare, ma per come si sono comportati gli attori è stato lo stesso di buttarlo nella spazzatura. Fa particolarmente effetto quando ci sono delle battute che dovrebbero essere divertenti e sono interpretate da Wahlberg con l’ennesima faccia corrucciata e nessuna intensità recitativa.

Per il resto, presenta le stesse ingenuità di Spiderman No Way Home (2021): i personaggi escono convenientemente di scena quando non servono più, per poi tornare quando la trama lo richiede. Più di una volta durante il film la domanda dove è finito questo personaggio sorgeva spontanea quando questo spariva e nessuno in scena sembrava preoccuparsene.

La CGI è veramente altalenante: non ci vuole molto sforzo per vedere gli attori saltare e fare acrobazie davanti ad un enorme green screen. Nota di merito Holland torni agli sfarzi di Taylor Lautner nei panni di Jacob nella saga di Twilight, costretto ad essere a petto nudo in scene dove non c’è nessun bisogno. La bellezza di diversificare il target.

Bei tempi.

Perché guardare comunque Uncharted

Nonostante tutti i problemi produttivi, Uncharted sono due ore che volano. La trama, nonostante sia prevedibile, riesce a tenerti incollato alle vicende, le scene di azione non sono male e il mistero è abbastanza interessante e portato avanti in maniera convincente.

Si ride abbastanza, forse più ridendo del film che per le sue battute, interpretate in maniera, come detto, veramente indescrivibile. Il livello è decisamente inferiore ad un Jungle cruise (2021), che non solo aveva una regia molto più ispirata, ma anche degli interpreti molto in parte e una trama più interessante. Però non tutti possono essere come The Rock, e dobbiamo accettarlo.

Insomma, se cercate un intrattenimento di livello molto basilare per passare una serata in compagnia non è una brutta scelta.

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Don’t Look Up o il film che ci guarda dentro

Candidature Oscar 2022 per Don’t look up (2021)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore sceneggiatura originale
Migliore colonna sonora
Miglior montaggio

Don’t look up (2021) è quel film per cui non potrò mai essere veramente oggettiva. L’ho semplicemente adorato. Avevo cominciato a vederlo alla vigilia di Natale, appena era uscito su Netflix, e ho dovuto purtroppo interrompermi dopo la metà del film. Ma ero così contenta di questa pellicola che il giorno dopo invece che andare avanti, l’ho ricominciato da capo. Mi sembrava così sbagliato vederlo in due parti.

Mi immagino Adam McKay sedersi davanti ad un foglio bianco e dire ‘Bene, vediamo come far incazzare gli statunitensi‘. Don’t look up è un film che vive per essere divisivo: come The Suicide Squad (2021) colpisce dove fa male, parlando di tutti, ma soprattutto degli statunitensi. McKay se la prende la politica, i media, i social network, denunciando la falsità e la cultura dell’immagine che domina la nostra società occidentale. Un film così profondamente verosimile e attuale da sembrare quasi banale (critica che ho sentito molto spesso, fra l’altro).

Di cosa parla Don’t Look up

In futuro non troppo lontano, la dottoranda Kate, interpretata da una splendida Jennifer Lawrance finalmente tornata sulle scene, scopre che un meteorite colpirà la terra da qui a poco tempo, portando alla distruzione totale del nostro pianeta. Lei e il Dr. Randall, interpretato da Leonardo Di Caprio, cercheranno di far comprendere l’importanza del pericolo imminente. Il resto, anche solo ripensando a questi ultimi due anni, lo potete immaginare.

Ma vi lascio il trailer.

Perché Don’t look up è un film drammaticamente attuale

Partiamo dal presupposto che Adam McKay non ha pensato questo film facendo riferimento all’attuale pandemia. La pellicola è infatti stata concepita nel 2019 e il tema reale è un altro problema altrettanto importante e contemporaneo, ovvero la crisi climatica. Ma la sua genialità sta proprio nel fatto che la storia raccontata potrebbe applicarsi a molte e diverse situazioni attuali o future: un doloroso ma dovuto specchio della nostra società contemporanea.

Come detto, Adam McKay non risparmia nessuno: si accanisce particolarmente sulla politica americana, falsa e calcolatrice, ma porta sulla scena dinamiche che potrebbero essere applicate senza tante differenze anche alla politica nostrana. Se la prende con i media, tradizionali e non, sottolineando come molto spesso ci lasciamo più facilmente coinvolgere dalle questioni di importanza discutibile invece che quelle che riguardano la nostra stessa sopravvivenza.

Una satira rivolta a tutti noi, interessati più al calcolo personale che al bene collettivo.

Perché Don’t look up parla di noi

Jennifer Lawrence e Timothée Chalamet in una scena del film Don't Look up (2021) up di Adam Mckay

Come detto, il regista si accanisce particolarmente contro la realtà statunitense, ma sottolinea con grande maestria l’universalità del suo messaggio. In molti momenti clou della vicenda, il suo occhio si allarga, includendo brevi istanti di realtà realistica, di persone reali in situazioni reali in cui possiamo riconoscerci. In qualche modo, mette in scena proprio lo spettatore stesso.

Non manca anche uno sguardo al mondo animale, con brevi frame che ci raccontano una natura tranquilla e ignara, che nonostante i problemi umani continua a prosperare. Purtroppo in questo caso MacKay non sfrutta fino in fondo le possibili analogie fra il mondo animale e il mondo umano, come aveva fatto in Vice (2018), ma sceglie un montaggio diverso. So che questa scelta registica è stata molto criticata perché in certi punti sembra troncare alcune scene, ma io personalmente l’ho trovata un interessante esperimento, che allarga lo sguardo ma al contempo dà un ritmo frenetico e incalzante a certe sequenze.

Una regia sperimentale

Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence in una scena del film  Don't Look up (2021) up di Adam Mckay

In generale, tecnicamente è un film per me ineccepibile: oltre al montaggio indovinato, la regia è davvero sorprendente. È una regia fatta di particolari, che accompagna l’occhio dello spettatore nei dettagli della scena che svelano determinati sottostesti. Soprattutto nella prima scena della Stanza Ovale, c’è un insistere su un gesto di Jason, il figlio della Presidentessa, che continua a passarsi le dita sul naso, indicando evidentemente che ha appena fatto uso di sostanze. Ma è solo uno dei vari dettagli che si possono trovare in quella scena, soprattutto con una seconda visione.

Sulle interpretazioni degli attori, non penso che ci sia molto da dire che non possiate già immaginare: tutte le prove attoriali sono brillanti ed esplosive. Particolare nota di merito a Meryl Streep che ancora riesce a sorprenderci con la sua capacità di portare sulla scena personaggi nuovi e mai banali. Vi basti solo sapere che la telefonata che fa nella Stanza Ovale è stata girata diverse volte e ogni volta la Streep improvvisava una telefonata diversa, inventata sul momento.

Vi lascio qui il video.

Perché guardare Don’t look up e perché no

Meryl Streep in una scena del film   Don't Look up (2021) up di Adam Mckay

Parto col dire che per apprezzare Don’t look up non bisogna per forza essere dei grandi fan di MacKay. Io, ad esempio, non ho apprezzato fino in fondo La grande scommessa (2015): per quanto McKay provasse a rendermi semplice la questione della crisi finanziaria, io sono riuscita solo a perdermi e ad annoiarmi. Mi spiace perché era un film con grandi potenzialità. Vice (2018) l’avevo generalmente apprezzato, nonostante certe scelte registiche e di messa in scena non mi avessero convinto fino in fondo (come la famosa scena di dialogo nella stanza da letto). In questo caso per me McKay ha fatto centro.

Se siete statunitensi o amanti ciechi degli Stati Uniti, probabilmente vi farà arrabbiare. Se non volete fare un’autocritica e non vi interessa un film che parla della realtà contemporanea, vi annoierete, lo troverete addirittura banale. Vi deve piacere di fatto un tipo di satira abbastanza pesantuccia, che si avvicina, per quanto mi riguarda, a South Park per molte cose. Ecco, se vi piace South Park probabilmente vi piacerà Don’t look up.

Se volete un film più leggero e adatto a tutti, ne ho uno per voi.

Previsioni Oscar 2022

Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence in una scena del film Don't Look up (2021) up di Adam Mckay

Per quanto mi riguarda, io credo che Don’t look up non vincerà, per gli stessi motivi per cui non ha vinto Vice nel 2018: è un film troppo politico e critico, che probabilmente farà solo arrabbiare l’Academy. Felicissima di essere smentita.

Sono abbastanza sicura che per i motivi sopra appunto non vincerà Miglior film né Migliore sceneggiatura, ma mi sembrerebbe solo giusto assegnargli Il Miglior Montaggio. Questo film è una delle due carte vincenti che Netflix sta portando agli Oscar, ma è più probabile che vinca (e giustamente) parecchi premi con Il potere del cane (2021).

Staremo a vedere.

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Assassinio sul Nilo o la saga maledetta

Una recente uscita nelle nostre sale, Assassinio sul Nilo (2022) è una pellicola maledetta sotto molti punti di vista. In senso più ampio, questa intera operazione di revival di Poirot si porta dietro un’aurea oscura: due film su due di questo franchise hanno hanno fra gli attori principali personaggi travolti da scandali sessuali. Per Assassinio sull’Orient Express (2017) c’era Johnny Depp, ancora oggi in un intricatissimo caso di violenza domestica (apparentemente) subita e data dalla ex-moglie Amber Heard, scoppiato poco prima dell’uscita del film. Questo scandalo ha portato fino al licenziamento di Depp dal cast del franchise di Animali Fantastici. In questo caso, però, il film non ne era stato toccato, anzi era stato un successo non indifferente al botteghino (352 milioni contro 55 di budget).

Per Omicidio sul Nilo, invece, lo scandalo sessuale di Harmie Hammer (tutto ancora da chiarire), ha danneggiato fortemente la pellicola. Il film sarebbe infatti dovuto uscire a fine 2019, poi, fra la pandemia e il caso Hammer, è arrivato in sala solamente all’inizio di quest’anno. Tuttavia, la pellicola sta andando abbastanza bene al botteghino: nonostante l’alto budget di 90 milioni, ne ha già incassati 38. E chissà dove può arrivare.

Incrociamo le dita.

Di cosa parla Assassinio sul Nilo (2022)

Assassinio sul Nilo (2022) porta in scena un noto caso di Erculè Poirot, il fortunatissimo personaggio di Agatha Christie. Questa volta il famoso detective si trova in Egitto, testimone prima di un particolare triangolo amoroso e poi di un misterioso omicidio.

Un cast abbastanza scoppiettante, anche se non stellare come in Assassinio sull’Orient Express: la fascinosa Gal Gadot, per la prima volta in un ruolo rilevante sul grande schermo dopo Wonder Woman, la stella nascente Emma Mackey, nota soprattutto come Maive in Sex Education, e, appunto, Harmie Hammer, prima dello scandalo noto soprattutto per Chiamami con il tuo nome (2017).

Lascio la parola al trailer per farvi un’idea.

Cosa funziona

Una cosa che proprio non mi aveva convinto dello scorso film era la plasticosità degli ambienti, che sembravano veramente cartoonesschi, complice anche la fotografia a mio parere poco azzeccata. Al contrario, questa pellicola, forse anche per il budget quasi raddoppiato, porta sullo schermo della ambientazioni convincenti e dal grande fascino. Una regia piuttosto indovinata e che non manca di qualche guizzo e soluzione scenica interessante.

La vicenda è intrigante e, nonostante tutto, lo spettatore (a differenza del primo) può diventare facilmente investigatore lui stesso e risolvere il mistero prima della rivelazione finale.

Un plus del film, che davvero non mi aspettavo, è la bravura di Emma Mackey, che supera di molte lunghezze la sua ben più famosa collega Gal Gadot, soprattutto nelle scene dove recitano insieme. Davvero promossa.

Farà strada.

Cosa non funziona

In qualche modo il film soffre dello stesso problema del suo predecessore, ovvero la sua fedeltà all’opera di partenza: una trama che ci mette parecchio a partire sulla parte investigativa. Non annoia per forza, ma parte pre-omicidio potevano essere tolti almeno un quindici minuti. Una sottotrama che sembra apparire di punto in bianco e che interessa fino ad un certo punto. Una messinscena piuttosto caricata e irrealistica (dico solo, la passerella alla fine).

Gal Gadot, ma meno di quello che mi aspettavo: considero personalmente l’attrice di Wonder Woman come davvero poca talentuosa, con una bella presenza scenica, ma una capacità recitativa davvero scarsa. Le devo riconoscere però un miglioramento evidente rispetto al primo Wonder Woman, complice forse anche la buona direzione di Branagh, ma Emma Mackay recitativamente la seppellisce.

La risoluzione è piuttosto fantasiosa, e può piacere o non piacere. A me ha convinto a metà. Ma non mi voglio mettere a discutere con Agatha Christie e le sue scelte di trama.

Assassinio sul Nilo fa per me?

Gal Gadot e Emma Mackay in una scena del film Assassinio sul nilo 2021 diretto da Kenneth Branagh

Per apprezza Assassinio sul Nilo deve piacere un certo tipo di narrazione delle investigazioni vecchio stile, simile a Knives Out (2019). Non sono una lettrice di Agatha Christie, quindi non mi posso esprimere per i fan dei romanzi, ma ho notato un fandom molto diviso.

In generale, penso possa essere un film abbastanza piacevole per tutti.

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Gli occhi di Tammy Faye, o quello che poteva succedere solo in USA

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Gli occhi di Tammy Faye (2021)

(in nero le vittorie)

Migliore attrice protagonista a Jessica Chastain
Migliore trucco e acconciatura

Gli occhi di Tammy Faye (2022) è film un po’ passato in sordina, uscito nelle nostre sale questa settimana, con due brillanti protagonisti: Andrew Garfield e Jessica Chastain. Lui, tornato alla ribalta per Spiderman No Way Home (2021), ma che si sta facendo notare anche per Tik, tik…Boom! (2021) su Netflix, per cui ha anche ricevuto una candidatura agli Oscar di quest’anno. Lei, splendida fin da quella parte in The Help (2011), ma che ha avuto anche parti importanti anche in due film spaziali come Interstellar (2014) e The Martian (2015).

Di cosa parla Gli occhi di Tammy Faye

Cresciuta in un’umilissima e cristianissima famiglia americana, la giovane Tammy Faye al collage si innamora di Jim Bakker. Insieme i due diventano una fortunata coppia di predicatori on the roadIn breve tempo approdano anche sugli spazi televisivi, diventando i più famosi e ricchi televangelisti degli anni Settanta-Ottanta.

Tratto da una storia vera, verissima, che poteva accadere solamente negli USA.

Lascio il resto al trailer.

Perché Gli occhi di Tammy Faye funziona

Anzitutto, le interpretazioni pazzesche dei protagonisti: perfettamente in parte, in ruoli per nulla semplici. Ti tengono sulle spine, si amano e si respingono, ti riportano ad un’epoca lontana e un mondo sconosciuto. Jessica Chastain, soprattutto, è davvero incredibile: mantiene perfettamente il personaggio senza sbavature dall’inizio alla fine, ne segue l’evoluzione e la interpreta magistralmente.

La fotografia è un vero tocco da maestro: modulata perfettamente col passare dei decenni, riesce a trasmetterti proprio il mondo attraverso gli occhi di Tammy Faye, con colori esplosivi ma spesso anche freddi, di una ricchezza tanto bella quanto triste.

Il film non è per nulla breve, ma non di meno riesce ad appassionarti sinceramente alla loro coppia e soprattutto a lei, Tammy Faye, che nonostante ogni cosa riesce sempre a rimanere fedele a se stessa, a compiere azioni e gesti incredibili per la sua epoca e mantenere un irremovibile ottimismo anche nei momenti più bui.

Rimango un po’ in dubbio sulla questione trucco: per certi versi i protagonisti sembrano veramente dei pupazzoni, ma è anche vero che riesce a renderteli veramente simili ai personaggi reali.

Perché il film potrebbe non piacerti

Gli occhi di Tammy Faye Jessica Chastain in una scena del film

La storia ha delle connotazioni al limite del grottesco, sia per gli ambienti che descrive, sia per la storia in sé, che per fortuna non si perde nel melodramma più smaccato. Deve piacerti un tipo di ambientazione, profondamente statunitense, ma davvero aliena per uno spettatore europeo.

Inoltre il film è una vera chicca per chi apprezza i racconti delle storie vere e del folklore americano. Io, per esempio, sono una grande fan.

Previsioni sugli Oscar 2022

Per quanto riguarda la candidatura come Miglior Attrice, Jessica Chastain se la batte con altre grandi attrici come Penelope Cruz per Madres Parallelas (2021) e Olivia Coleman per La figlia oscura (2021). Purtroppo, non avendo visto gli altri film, non posso dare un’opinione. Diciamo solo che io tifo per lei, perché a mio parere è una grande attrice che ha bisogno della spinta finale per brillare.

Invece per la candidatura per Miglior trucco e acconciatura sono indecisa, in quanto, come ho detto, in questa pellicola non mi ha convinto del tutto. Ho idea che vincerà House of Gucci, per una semplice questione di popolarità.

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The Nightmare Alley: una vera illusione

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per The Nightmare Alley (2021)

(in neretto le vittorie)

Miglior film
Miglior fotografia
Migliori costumi
Migliore scenografia

Partiamo mettendo un po’ di mani avanti: The Nightmare Alley non è un brutto film. Non è un film eccelso, ma non è il film che mi aspettavo.

Parlando in generale, io ultimamente ho un problema con Del Toro. Infatti non è la prima volta che mi capita questa situazione di non ritrovarmi in una sua pellicola. Era già successo con La forma dell’acqua (2017): io mi aspettavo più un film del tipo Il gigante di ferro (1999), quindi con uno dei miei trope preferiti, ovvero quello di un umano che si trova a contatto con una creatura che deve difendere o proteggere, e intanto si crea un rapporto di amicizia.

Se avete visto il film sapete che non è così: La forma dell’acqua parla di una storia d’amore. E in realtà in quel caso la campagna marketing era stata piuttosto esplicativa in quel senso, quindi è stata colpa mia. Con The Nightmare Alley, invece, mi sento giustamente illusa.

Di cosa parla The Nightmare Alley

La trama è un po’ il punto di tutto. Senza andare troppo nel dettaglio, la pellicola parla di Stan, un vagabondo con un passato oscuro, che viene assunto all’interno di un circo. Qui imparerà i segreti dei poteri psichici, o meglio di come riuscire a raggirare ignari spettatori fingendo di avere poteri psichici. E su questo costruirà la sua vita.

Vi lascio al trailer per farvi un’idea.

Cosa non funziona (secondo me)

L’elemento principale che mi ha dato fastidio di questo film sono state le aspettative che il trailer e la pellicola stessa cercano di creare: entrambi ti danno molto l’idea che ci sia un grande mistero dietro al personaggio di Stan, probabilmente, conoscendo Del Toro nell’ambito fantastico e orrorifico. Niente di tutto ciò: The Nightmare Alley è fondamentalmente un thriller, e secondo me un thriller che funziona fino ad un certo punto.

Valutando il film di per sé, a mio parere non è una pellicola particolarmente interessante, non un livello che mi aspetterei da questo regista: la trama non è per nulla originale, le dinamiche sono piuttosto tipiche e prevedibili, così come il finale, che è davvero telefonato.

Non bucare lo schermo

Bradley Cooper e Rooney Mara in una scena del film Nightmare Alley di Guillermo Del Toro

Un ulteriore problema secondo me riguarda gli attori scelti: perfetta Cate Blanchett nei panni della fascinosa psicologa che appare nella seconda parte del film, convincente William Dafoe come presentatore del circo spietato e senza scrupoli. Molto meno convincente Bradley Cooper e, soprattutto, Rooney Mara.

Del Toro ha scelto per Bradley Cooper un personaggio che non gli si addice: a mio parere se siamo abituati a vedere questo attore in ruoli comici o comunque in cui parla moltissimo (soprattutto ne Il lato positivo, 2012), c’è un motivo. Come figura tragica e silente non è riuscito a convincermi, nonostante fosse ben diretto e la regia lo premiasse continuamente. Ha fatto indubbiamente del suo meglio, ma Cate Blanchett lo seppellisce, recitativamente parlando.

Per Rooney Mara è un altro discorso: questa attrice ha interpretato su molti ruoli nella sua carriera, anche di successo come Carol (2015), ma non è mai riuscita a dirmi molto. È un ottimo materiale registico, e infatti le sue scene sono quelle forse più riuscite a livello scenico. Ma finisce lì: non è tanto espressiva e interessante da interpretare un ruolo importante nella storia in maniera convincente.

Del Toro è sempre Del Toro

Cate Blanchett e Bradley Cooper in una scena del film The Nightmare Alley di Gulliermo del Toro

La pellicola ha degli innegabili pregi tecnici: la regia è, come sempre, veramente ottima ed ispirata, la fotografia è ben modulata e incornicia perfettamente le scene. La scenografia, per cui è stato candidato all’Oscar, è sicuramente un pregio della pellicola che riporta in scena gli Statui Uniti degli gli Anni Quaranta e Cinquanta.

Tanta bellezza sprecata, per quanto mi riguarda.

Perché guardare comunque The Nightmare Alley

Come già detto, non penso sia un film da buttare: oltre all’ottima regia, la trama non è malvagia. Tuttavia non dove aspettarvi molto, soprattutto se siete amanti di Del Toro. È un film di medio livello, che può allietarvi una serata annoiata. Ma non molto di più.

Evidentemente non sono l’unica a cui la pellicola non ha convinto: il film è stato un flop clamoroso al botteghino (35 milioni contro 60 di budget), davanti appunto ad una produzione neanche troppo costosa. Anche se di solito i suoi film non fanno mai incassi mostruosi, mi spiace per questo passo falso.

Previsioni Oscar 2022

Il film è stato candidato come Miglior Film, Miglior fotografia, Migliori costumi e Migliore scenografia. In tutte le categorie si scontra con contendenti veramente tosti, per cui penso che sia più probabile che vinca Migliore scenografia. Dubito che possa vincere per Migliori costumi: sono sicuramente belli, ma rimangono molto meno nella memoria rispetto a Cruella (2021), che credo appunto vincerà.

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The King’s man – Le origini grottesche e ridicole

Penso che il titolo sia già piuttosto esplicativo di cosa ne penso di The King’sman – Le origini. Sono una discreta fan della saga King’s Man: ho recuperato il primo fuori tempo massimo, il secondo al cinema alla sua uscita. Il primo l’ho apprezzato e non poco, nel secondo sentivo già scricchiolare qualcosa. Per questo mi sono davvero cadute le braccia.

Di cosa parla The King’sman – Le origini

The King’s Man – Le origini è un prequel della fortunata saga King’s Man appunto, che racconta la nascita del gruppo di agenti segreti britannici. In questo caso i protagonisti sono Orlando (interpretato da Ralph Finnes) e il figlio Conrad (interpretato da Harris Dickinson, che interpretava il principe Filippo nella saga di Maleficent). Orlando ha dedicato la sua vita a portare aiuto nelle zone di guerra e realtà del terzo mondo. E ora, da pacifista convinto, cerca di intervenire nell’intrigo di eventi che scatenanti della Prima Guerra Mondiale, cercando di portarla alla più veloce conclusione. Per questo si oppone alla scesa sul campo del figlio, il quale, da bravo giovane patriota del suo tempo, non vede l’ora di mettersi in gioco per il suo paese.

Lascio il resto al trailer.

Cosa funziona.

Qualcosa, incredibilmente, funziona. L’ambientazione è davvero affascinante, ben curata e anche, quando vuole, storicamente credibile. Gli attori sono generalmente convincenti e la trama, nonostante zoppichi vistosamente, sulla carta ha degli elementi intriganti. Sulla carta, appunto.

Cosa non funziona

Tutto. Per essere un film di intrattenimento, l’ho trovato veramente estenuante. La trama si perde in sé stessa, prende una strada, poi cambia idea, e torna indietro. La risoluzione è ridicola, i villain sono da mani nei capelli.

Rasputin è un pessimo antagonista. È grottesco, ridicolo, financo disgustoso. La regia per il suo personaggio è ambiziosa, non posso dire di no, ma per me è semplicemente inaccettabile. La riscrittura storica degli eventi sembra fatta da un bambino di 10 anni molto fantasioso. Soprattutto per quanto riguarda le scene post-credit. Ralph Finnes come protagonista action non è convincente. Viene mostrato fino ad un certo momento in un modo, e alla fine occupa tutta la scena, nella maniera meno credibile che possiate immaginare.

The King’sman – Le origini fa per me?

Dipende. Se vi piacciono le cose pesantemente trash, proprio stile primi anni 2000, livello American Pie però negli Anni Venti, The King’sman – Le origini potrebbe piacervi. Se vi estasiate per riscritture storiche fantasiose stile la serie Hunters, anche. Se siete fan della saga, non saprei dirvi: io sono discretamente fan e l’ho odiato, ma ho sentito altri che ne sono rimasti convinti.

Io comunque vi ho avvertito.

Mi tolgo qualche sassolino con spoiler

rasputin interpretato da Rhys Ifans nel film The King'sman - Le origini del 2022

La scena di Rasputin è fra le scene più disgustose che abbia visto in tempi recenti. Mi ha fatto volare con la mente agli anni d’oro della commedia americana primi anni 2000, come quel capolavoro di Dodgeball (2004), e a più recenti e discutibili film come Pitch Perfect (2014). Ci vuole davvero genio per scrivere un personaggio così stupidamente volgare.

Inoltre inserisce velatamente l’elemento magico, visto che alla fine la gamba di Orlando è stata curata effettivamente grazie alla lingua di Rasputin. Il tutto però sembra solamente un meccanismo per mandare avanti la trama.

Non ho mai visto un patriottismo britannico così sfacciato: dalla dichiarazione iniziale della compianta Emily su come aiutino gli altri e quanto siano bravi, alla dichiarata superiorità del re di Inghilterra, che rispetto agli altri capi di stato appare saggio e maturo, mentre gli altri sono dei poveri infanti. Inoltre, a chi è venuta l’idea di far interpretare lo zar, il kaiser e il re allo stesso attore?

Poi, ci sono un paio di cose che danno fastidio a me personalmente.

Le cose che danno fastidio a me personalmente

daniel bruhl in King's man le origini film del 2022 su DIsney Plus

Non sono totalmente contraria alla riscrittura storica fantasiosa: la già citata Hunters a me è complessivamente piaciuta, lo stesso per la serie The Great che è dichiaratamente storicamente inesatta. In questo caso, però, ridurre tutto il conflitto a dei dispetti fra bambini l’ho trovato veramente ridicolo.

Non sarebbe ora di smetterla di far interpretare personaggi non anglofoni da attori che non parlano la lingua che dovrebbero parlare? Il senso di mettere nel cast un attore di grande valore come Daniel Bruhl, che è tedesco, e farlo recitare in inglese per la parte di un tedesco non la capisco proprio. Dover ancora sentire personaggi che parlano fra loro non in inglese, ma in inglese con accento caricato (soprattutto in un doppiaggio italiano da piangere), è insostenibile. Soprattutto se mi trovo pellicole incredibilmente mainstream come The Forever Purge (2021) dove ci sono personaggi messicani che parlano giustamente nella loro lingua madre. Non è difficile.

Eppure questo film non è l’unico che ancora continua a fare questo errore.

Ultimo ma non meno importante, l’inclusione forzata e fuori luogo. In un epoca dominata da uomini bianchi, la produzione ha deciso che era una buona idea mettere dei token per rappresentare una donna e un uomo nero. Nelle parti dei buoni, ovviamente. La non storicità del personaggio nero la posso anche accettare in un contesto di riscrittura fantasiosa, ma è assolutamente insostenibile la strada che ha preso certo cinema contemporaneo nel rappresentare le donne come delle insopportabili Mary Sue.

È ora di dire basta.

Per i più coraggiosi, vi lascio con la videoclip ufficiale di Rasputin.

Buona visione.