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Avatar – La via dell’acqua – Dieci anni dopo

Avatar – La via dell’acqua (2022) di James Cameron è il sequel arrivato a più di dieci anni di distanza dal primo Avatar (2009).

Un film che prometteva grande innovazione tecnica. E c’è stata.

Ma per me, come per il precedente, non basta.

Forse non arriverà agli incassi del primo film, ma ha aperto in maniera molto promettente: 435 milioni di dollari in tutto il mondo, arrivando ad oggi a 441 milioni.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Avatar – La via dell’acqua (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film
Migliore scenografia
Miglior sonoro
Migliori effetti speciali

Di cosa parla Avatar La via dell’acqua?

Dieci e più anni dopo, Jake Sully è riuscito a costruirsi una felice famiglia su Pandora. Ma l’incubo dell’invasione torna a palesarsi…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Avatar – La via dell’acqua?

Sì, ma dipende.

Con questo intendo dire che se Avatar non vi ha entusiasmato, non aspettatevi niente di diverso da Avatar – La via dell’acqua, anzi. Lo scheletro narrativo è molto simile, si riciclano anche delle storyline, e la trama ha sempre lo stesso livello molto medio.

Se invece siete quelli che si sono lasciati e si lasciano conquistare dagli effetti visivi, non potete assolutamente perdervelo: è indubbiamente il punto forte del film ed è gestito ottimamente.

E non preoccupatevi per la durata importante: se lo prendete per il verso giusto, riesce a tenere sempre alta l’attenzione.

Vivere del punto forte

Sigourney Weaver (Kiri) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Guardando a posteriori, sembra davvero che il film sia stato costruito attorno agli effetti visivi e alle scene di impatto, e non il contrario. Perché è evidente che James Cameron avesse tutto l’interesse a portare elementi di grande innovazione tecnica.

E per questo ringraziamo.

La tecnica è sublime, curata nei minimi dettagli, tutto sommato molto credibile e semplicemente davvero bella da vedere, facendo anche un interessante passo avanti rispetto al primo film.

E infatti su questo non ho nulla da dire, anzi.

La trama, un elemento accessorio

Kate Winslet (Rolan) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Purtroppo, se si vanno invece a guardare più da vicino gli elementi della trama, la stessa si rivela in tutta la sua debolezza.

E per me è un elemento molto importante da considerare.

Personalmente ho preferito la narrazione del primo film: più semplice, lineare, e dritta al punto. E che infatti mi sono sentita di difendere. In questo caso, i difetti sono molteplici, ma il cuore del problema sta proprio nella volontà di voler gestire una struttura corale, ma non riuscire a dare il giusto spazio a nessuno dei personaggi portati in scena.

Ma andiamo con ordine.

Due fratelli, un fratello

Britain Dalton (Lo'ak) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Un grande problema che ho riscontrato è stata la questione di Neteyam e Lo’ak, i due figli di Jake.

All’inizio li trovavo praticamente indistinguibili, e purtroppo ritengo che nessuno dei due abbia avuto lo spazio che si meritava. Il più lacunoso è indubbiamente Neteyam, il fratello maggiore, che doveva essere il grande dramma del film (che ovviamente non poteva mancare), ma che non ha uno screentime sufficiente per farti affezionare a lui.

Tanto che, arrivando alla fine, mi chiedevo sinceramente perché avrei dovuto dispiacermi della sua morte.

Britain Dalton (Lo'ak) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Discorso diverso per Lo’ak, il minore: molto più protagonista rispetto al fratello, coinvolto in dinamiche interessanti, anche se molto prevedibili, ma al contempo caricato eccessivamente in ruolo non adeguatamente sviluppato.

La sua storia dovrebbe essere quella di un outsider, che si ritrova con qualcuno di simile a lui. Ma, obiettivamente, cosa ha fatto Lo’ak per essere raccontato come tale?

Semplicemente è molto avventato e si fa facilmente tirare in mezzo per così dire, ma sembra partire già con un conflitto con il padre, che però non sono riuscita a percepire per nulla nella sua effettiva gravità.

Tuttavia, ammetto che la scena dell’incontro con Payakan, il tolkun emarginato, l’ho apprezzata molto e mi ha emotivamente coinvolto.

Il miracolo dimenticato

Sigourney Weaver (Kiri) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Una storyline che andava decisamente più esplorata era quella di Kiri.

Gli indizi riguardo alla sua connessione con Ewya ci sono fin dall’inizio e sono anche ben posizionati. Tuttavia, dopo il picco drammatico della sua storyline, ovvero quando il personaggio si connette all’Albero delle Anime e rischia di morire, per un buon venti minuti ci si dimentica totalmente di lei.

E si arriva direttamente ad un pacifico scioglimento del problema, senza che ci sia stato il passaggio fondamentale in cui lo stesso veniva risolto.

Insomma, come se mancasse un pezzo…

L’inutile Spider

Jack Champion (Spider) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

Per la maggior parte della pellicola mi sono chiesta quale fosse il ruolo e l’utilità di Spider.

Sono rimasta anzi abbastanza contraddetta da come, da una scena all’altra, Spider sembri aiutare e quasi assecondare l’azione dei villain. Per poi tornare sui suoi passi poco dopo, ma rimanendo per la maggior parte del tempo una figurina sullo sfondo.

Finché non arriviamo sul finale e il personaggio diventa artefice della mia personale frustrazione.

Incapaci di rinnovarsi

Stephen Lang (Miles Quaritch) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

La storia del Colonnello Miles è stata per me un vero tormento.

Riproporre lo stesso inutile, ridicolo villain per la seconda volta l’ho trovata una scelta veramente poco indovinata e per nulla interessante.

Perché parte con l’idea che, prima di tutto, bisogna uccidere Jake per cominciare a mettere fine al popolo dei Na’vi. Poi la questione diventa totalmente una vendetta privata del personaggio, che fa completamente sparire di scena l’obbiettivo principale degli umani nella pellicola.

Infine, viene di nuovo riesumato per essere riportato in un eventuale sequel, quando è così evidente che non abbia più niente da dire.

E dopo fra l’altro un incredibile girotondo narrativo sul finale…

Appiattimento

Zoe Saldana (Neytiri) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

La mia più grande delusione della pellicola è stata sicuramente Neytiri.

Come l’avevo apprezzata nello scorso film, non posso dire lo stesso in questo caso, dove il personaggio perde totalmente la testa e si appiattisce anche parecchio, sempre vittima del poco screentime.

E la cosa peggiore è quando minaccia di morte Spider e la cosa non sembra così fondamentale per i personaggi, ad ulteriore dimostrazione che sono gli stessi protagonisti a schifare il suo personaggio…

Colmare vuoti logici

Britain Dalton (Lo'ak) in una scena di Avatar - La via dell'acqua (2022) di James Cameron

La questione della poca furbizia dei Na’vi nel combattere, che non si rendono conto di essere dei giganti rispetto agli uomini e con abilità di combattimento molto più avanzate, era una questione che mi ero sempre posta per il primo film.

Ma non ci ho insistito, perché tutto sommato poteva anche tornare.

Invece ho preferito che questo problema fosse superato in questa pellicola, dove i Na’vi sono invece abili e capaci di utilizzare tutte le proprie risorse: veloci e in grado di schivare i proiettili, precisi nella mira con frecce che sono praticamente delle lance, imbattibili nel corpo a corpo.

E soprattutto finalmente capaci di rivolgere le armi da fuoco contro i loro nemici…

retcon, che passione! in Avatar – La via dell’acqua

Come ampiamente prevedibile, la pellicola è piena di retcon.

Alcune che tutto sommato funzionano, altre che mi hanno convinto proprio poco.

Complessivamente mi hanno convinto quelle riguardanti i figli: anche se la questione non è mai stata raccontata prima, il fatto che la Dottoressa Grace e il Colonnello Miles abbiano avuto dei figli off screen non è neanche così male.

Per certi versi un’inutile complicazione, ma non mi ha dato fastidio.

Molto meno convincente il fatto che si dichiari apertamente che gli enzimi dei toluk siano il nuovo oggetto del desiderio che tenga insieme tutta l’operazione, mentre ci sia dimenticati del tutto dell’unobtainium, che sembrava così fondamentale nella prima pellicola…

Autocitazionismo e checklist in Avatar – La via dell’acqua

Ad ulteriore conferma di una sceneggiatura poco pensata, si può notare che per molti versi la trama proceda per riciclo di idee e autocitazionismo.

Già lo scheletro narrativo è abbastanza simile: parte iniziale con introduzione della colonizzazione, parte centrale concentrata nella scoperta del mondo, lunga battaglia finale. Così i figli di Jake riprendono le sue orme del padre, mostrandosi assolutamente speciali e unici.

Oltre a questo, la questione del materiale prezioso che tiene tutto insieme è ribadita in maniera identica al primo, con anche il personaggio del Dottor Garvin, biologo marino della nave che caccia i toluk, che è la pallida ombra della Dottoressa Grace.

Per non parlare del finale assolutamente identico, una pura citazione…

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Pinocchio di Guillermo del Toro – La caducità della pigna

Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro, prodotto e distribuito da Netflix, è una piccola sorpresa dell’animazione.

Un prodotto che ha avuto una produzione molto travagliata: pensato fin dal lontano 2008, si è potuto realizzare solo recentemente per l’acquisto dei diritti da parte della piattaforma, a causa degli alti costi, dovuti all’uso della tecnica stop motion (la stessa di Fantastic Mr. Fox, per capirci).

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Pinocchio (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Pinocchio?

A sorpresa, non di Pinocchio.

L’opera di del Toro riprende alcuni elementi della favola originale, ma li reinventa in direzioni differenti, con anche una morale e un’ambientazione del tutto diversa.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Pinocchio?

Una scena di Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro

Assolutamente sì.

Dopo essermi asciugata le copiose lacrime che mi ha fatto versare, mi sono resa conto dell’incredibile qualità che il Pinocchio di Guillermo del Toro può vantare, allontanandosi anche molto dall’omonimo Classico Disney.

Ma da questo regista non mi aspettavo niente di meno

Oltre alla bellezza dell’animazione, l’originalità dei disegni, ho semplicemente adorato la preziosa reinterpretazione da parte di del Toro, che è riuscito a riportare in scena un classico italiano con un’opera di rara bellezza.

Guardatelo, e non ve ne pentirete.

Il Pinocchio di Guillermo del Toro doppiato o in originale?

Meglio guardare il film doppiato o in originale?

Alcuni di voi potrebbero sentirsi personalmente infastiditi dal modo in cui vengono pronunciati alcuni termini italiani, fra cui i nomi dei personaggi.

Io preferisco sempre guardare i film in lingua originale a prescindere, in particolare i prodotti animati che hanno solitamente alle spalle un voice casting di alto livello.

Nel caso di Pinocchio, meno che non siate particolarmente sensibili, non avrete più fastidio di quanto ve ne avrebbe potuto dare Luca (2021), con la differenza che in questo caso il cast vocale proviene da attori inglesi e non statunitensi.

E vi assicuro che solo questo ci salva da molte storpiature…

Non il solito Pinocchio

Una scena di Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro

Nell’opera di Collodi, Pinocchio era un bambino totalmente scapestrato e ribelle, che non voleva andare a scuola, ma solo divertirsi, anche frequentandosi con personaggi poco raccomandabili...

Il Pinocchio di Guillermo del Toro mantiene l’idea di base, ma la sviluppa in altre direzioni. In questo caso Pinocchio non è semplicemente un bambino da rieducare, ma un bambino che deve riscoprire il mondo dall’inizio, e non ha idea di come lo stesso funzioni.

E per questo si comporta in maniera incontrollabile, nella sua incontrollabile voglia di scoprire e osare.

Tuttavia tutto viene portato su un piano più storicamente realistico quando si accorge di essere un peso per il padre adottivo – secondo lo stesso Grillo – e per questo abbandona il tetto familiare con l’illusione di poter lavorare e sostenere Geppetto.

Il dramma di Geppetto

Una scena di Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro con Geppetto e Pinocchio

Probabilmente la parte più straziante del Pinocchio di Guillermo del Toro è il dramma di Geppetto.

La sua tragicità prende le mosse anzitutto dall’insensata morte del figlio Carlo, che non riesce a superare, e che lo porta a creare un burattino che ne riprenda le forme. Ma solo grazie ad uno spirito della foresta – una fata turchina molto reinventata – riesce a ritrovare, dopo tanti anni, una luce nella sua vita.

E per tutto il film perde più e più volte il figlio adottivo, per la morte o per la fuga, distruggendosi – anche economicamente – per ritrovare l’unica cosa che poteva dargli felicità, nonostante non fosse proprio il figlio che voleva…

E qui si trova una grande sorpresa della pellicola.

Un bambino vero?

Una scena di Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro

Per tutta la pellicola mi aspettavo un finale analogo a quello di Collodi, in cui l’umanità di Pinocchio era una sorta di premio per la sua buona condotta. Nell’opera originale infatti l’idea era di insegnare ai bambini della neonata Italia unita che, se avessero seguito la retta via, avrebbero trovato anche una sorta di riconoscimento sociale.

Al contrario, nel Pinocchio di del Toro il protagonista non diventa mai umano.

Ed è lo stesso film che spiega perché questa scelta andrebbe a snaturare la pellicola, quando Pinocchio, davanti alle parole di Geppetto che gli dice che non vuole che sia niente di diverso da sé stesso, risponde:

Then I’ll be Pinocchio.

Perché in realtà questo finale racconta Geppetto deve finalmente accettare la morte di Carlo, e essere felice del dono che nonostante tutto la vita gli ha concesso.

Da un punto di vista più storico-politico, il Fascismo accetta Pinocchio perché è immortale e, soprattutto, perché è fatto di vero pino italiano, quindi di una buona materia prima che può essere plasmata.

Invece, anche con le sue azioni, Pinocchio rifiuta di sottomettersi, non diventando veramente un bambino della Gioventù Fascista, e quindi non snaturando in alcun modo la sua vera natura.

E qui si apre un altro elemento interessante.

Raccontare il fascismo

Una scena di Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro

Mentre guardavo la pellicola mi sono resa conto di quanto questa rappresentazione del fascismo, semplice ma molto diretta, mi lasciava un po’ contraddetta.

E ripensandoci mi sono resa conto che – per diversi motivi che potete immaginare da soli – il Nazismo e l’Olocausto sono portati anche sul piccolo e grande schermo fino alla nausea, con prodotti di minore o maggiore qualità.

Assolutamente non si può dire lo stesso con il fascismo italiano.

Ovviamente non nego che ci siano anche delle produzioni dedicate a quel periodo storico ancora oggi, magari in un cinema europeo meno esplorato, ma a livello di produzioni mainstream è un tema del tutto assente.

E come scelta in questo caso è stata del tutto azzeccata e interessante.

Il Pinocchio di Guillermo del Toro Il simbolismo della pigna

Il simbolismo della pigna è più sottile, ma diventa assolutamente chiaro alla fine della pellicola.

La pigna è un elemento di vita e di morte insieme.

È un elemento di vita quando diventa un giocattolo per Carlo, per l’albero che nasce dalla stessa, con le pigne cresciute sullo stesso che rappresentano il ciclo della vita, quindi sempre la vita e la morte insieme.

Ma è definitivamente un simbolo di morte per la sua drammatica somiglianza con la granata, con un angosciante foreshadowing già nei momenti prima della morte di Carlo…

Ma la morale del Pinocchio di del Toro non vive di opposti.

Il Pinocchio di Guillermo del Toro La morale amara

La morale finale del Pinocchio di del Toro è molto amara, ma al contempo confortante.

Il regista ci nega totalmente un finale da favola, senza quella tipica e indefinita felicità, ma preferendo un racconto su come la vita continui, felice anche se profondamente caduca.

E ci racconta come anche la morte, probabilmente arrivata alla fine per Pinocchio, sia l’amara ma giusta conclusione per una vita soddisfacente, proprio perché ha avuto una fine…

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Wakanda Forever – L’indifendibile

Black Panther: Wakanda Forever (2022) di Ryan Coogler è il sequel di Black Panther (2018), prodotto a seguito della tristissima scomparsa di Chadwick Boseman, protagonista del primo film, nonché l’interprete che dava il volto all’eroe della storia.

Un triste avvenimento che ha scombinato totalmente le carte in tavola del progetto, dovendo portare un nuovo eroe e una nuova Pantera Nera, quando le basi per ovvi motivi non erano mai state buttate.

E, stranamente, non è neanche il maggiore problema del film.

Come era prevedibile davanti al riscontro e al fantastico incasso del primo capitolo, il film ha aperto benissimo nel box office mondiale, con 330 milioni di incasso. E probabilmente continuerà altrettanto bene.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Wakanda forever (2022)

Miglior attrice non protagonista a Angela Bassett
Migliore costumi
Migliore trucco e acconciatura
Miglior canzone
Migliori effetti speciali

Di cosa parla Wakanda Forever?

Dopo la morte del suo re, il Wakanda si trova nella delicata situazione di dover gestire la sua posizione internazionale. Come se questo non bastasse, c’è un nuovo e pericolosissimo nemico all’orizzonte, che minaccia l’esistenza stessa del paese…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Wakanda Forever?

Una scena di Black Panther: Wakanda Forever (2022) di Ryan Coogler

Wakanda Forever è un film che vi consiglio solamente in due casi: se siete dei fan sfegatati dell’MCU e non potete perdervi nessun film, oppure se siete emotivamente molto legati al primo film e per questo attendete molto il sequel.

Per il resto, non è film che mi sento di consigliare.

Una pellicola inutilmente lunga, una trama colabrodo e scene action neanche così interessanti. Un prodotto MCU preso e inscatolato nella maniera più pigra e pasticciata possibile, decisamente peggiore del primo, che era sempre problematico, ma decisamente più quadrato.

Una grande delusione, per qualcuno che non si aspettava niente.

La drammatica indifferenza

Winston Duke in una scena di Black Panther: Wakanda Forever (2022) di Ryan Coogler

È giusto cominciare questa recensione raccontandovi come mi sono sentita per sostanzialmente la totalità della pellicola.

In qualsiasi momento mi sarei potuta alzare, uscire dalla sala e dimenticarmi per sempre di questo film, senza avere alcun interesse a sapere cosa fosse successo dopo. La struttura narrativa di questi prodotti è molto spesso lineare e prevedibile, ma si regge su una buona capacità di intrattenimento e l’interesse verso il protagonista e le sue avventure.

Niente di tutto questo per Wakanda Forever.

I personaggi sono insipidi, la trama prevedibile e poco appassionante, anzi gira moltissimo su sé stessa, arrivando stancamente e stupidamente ad un punto troppo tardi e senza portare elementi di vero interesse.

Anzi, ci sono troppe cose veramente poco credibili, ultima solo la scelta dei protagonisti di portare la battaglia finale nel luogo più utile del loro nemico, lo stesso che può controllare animali mastodontici come le balene e le orche.

E sono questi gli eroi per cui dovrei tifare?

Una nuova e buona Pantera?

Letitia Wright, in una scena di Black Panther: Wakanda Forever (2022) di Ryan Coogler

Uno dei pochi punti vagamente positivi della pellicola è il personaggio di Shuri.

Ma non perché sia una buona protagonista, ma perché ha almeno una costruzione emotiva e psicologica, grande differenza rispetto alla freddezza che ho provato vedendo T’Challa in Black Panther. Tuttavia, niente di nuovo, niente di interessante e, soprattutto, niente di ben scritto.

Teoricamente il suo percorso dovrebbe essere attraverso il lutto, poi il desiderio di vendetta e una sorta di incattivimento che la porta ad essere crudele nei confronti di tutti, soprattutto dei suoi nemici. Tuttavia, complice la scrittura e la scarsa capacità recitativa di Letitia Wright, ne risulta un racconto poco funzionante.

La stupidità di Namor

Namor è senza dubbio uno dei peggiori villain di tutto l’MCU.

Se per lo scorso film mi sono sentita di difendere il villain, perché tipicamente nei prodotti della Marvel è l’aspetto più debole.

Non posso farlo in questo caso: Namor è davvero indifendibile. La sua stupidità è talmente vasta che, proprio nel momento in cui sta distruggendo il Wakanda, decide di lasciare ai suoi nemici una settimana di tempo per riorganizzarsi contro di lui.

E non è credibile che questo avvenga per le sue motivazioni iniziali, ovvero di allearsi con il Wakanda: Namor dice letteralmente ho tanti guerrieri quanti i fili d’erba, ovvero migliaia, se non centinaia di migliaia, guerrieri col potere delle Pantere Nere. Per questo ha letteralmente nessun motivo per cercare ancora l’alleanza con il Wakanda, tanto più ora che gli si è dimostrata ostile.

Come se tutto questo non bastasse, è veramente imbarazzante che questo personaggio abbia in buona sostanza le stesse motivazioni e lo stesso piano del villain dello scorso film.

Poche volte ho visto una così profonda pigrizia narrativa.

Ramonda: racconto di una stronza

Ramonda, la regina, è per me uno dei peggiori personaggi del film, seconda solo a Namor.

Quasi come la figlia, è un personaggio totalmente incattivito, che si comporta in maniera impulsiva e ingiustamente cattiva. In particolare, l’ho trovata davvero terrificante nel suo comportamento con Okoye. Se non ve lo ricordate, la generale nel primo film aveva rivoltato la lama contro il suo stesso marito ed era sempre rimasta fedele al Wakanda, come aveva giurato.

Ma Ramonda decide di rinfacciargli questa, punendola ingiustamente e per pura cattiveria.

Non ho pianto la sua morte, sinceramente.

La pochezza estetica

Come nel primo film ero abbastanza interessata all’estetica e alla sua ispirazione del tutto particolare all’afrofuturismo, sono rimasta veramente delusa dalla scelta invece dall’estetica riguardo alla nuova nazione e ai villain.

Anzitutto per Talokan, che nel film evidentemente doveva sembrare un paradiso subacqueo, che invece ho trovato invece un incubo. Un luogo buio, tetro, spoglio, dove non vorrei mai mettere piede. Quindi quando Namor dice a Shuri vedi cosa devo proteggere, mi veniva quasi da ridere.

Poi in generale la maggior parte dell’estetica di Namor e del suo popolo l’ho trovata incredibilmente plasticosa e sinceramente brutta, molto lontana dall’eleganza che anche in questo film ho trovato nel Wakanda e nel suo popolo.

Per non parlare di quanto Namor appaia ridicolo con quelle alette ai piedi, che lo rendono un personaggio inutilmente cartoonesco e fumettoso, in maniera del tutto fuori contesto rispetto al resto del film…

Iron Heart: è ora di smetterla

Sono personalmente stufa delle introduzioni di nuovi supereroi in prodotti di altri. Mi rendo drammaticamente conto della necessità di marketing che c’è dietro: è la Marvel che imbocca forzatamente lo spettatore di qualcosa che non voleva, così da stuzzicarne la curiosità.

Perché, onestamente, quanti avrebbero accettato con entusiasmo e a scatola chiusa la serie dedicata a questo personaggio senza questa introduzione?

Ho sentito tanto entusiasmo intorno a questo personaggio, che dovrebbe seguire le orme di Ironman. Tuttavia, il tempo è poco e, nonostante si cerchi di mimare proprio le dinamiche del personaggio di ispirazione, Riri Williams mi è risultata davvero insipida.

Ma forse quello che mi ha fatto davvero arrabbiare è stata la battuta con cui il personaggio si auto introduce, che mi è sembrato quasi al pari del Ma sei una supereroina egiziana? in Moon Knight.

Insomma, quasi un modo per svelare un token.

Il rispetto di Wakanda Forever

Il racconto intorno al personaggio di Boseman non è stato così tanto di cattivo gusto come mi aspettavo, ma mi ha dato lo stesso fastidio.

Per quanto mi riguarda, avrebbero dovuto limitare questo omaggio ad un semplice accenno, e non metterlo così tanto in scena, fra l’altro come elemento della narrazione in maniera così plateale sul finale.

Perché, per quanto ne vogliamo dire, mentre mi si stringeva il cuore ricordando la sua tragedia, mi sono anche resa conto che questa narrazione era anche finalizzata a lucrare sulla stessa.

E nessuna dichiarazione in merito alla bontà dell’operazione da chi ci ha lavorato potrà togliermi questo pensiero dalla testa.

Dove si colloca Wakanda Forever (2022)?

Come per il primo film, anche Wakanda Forever è un film abbastanza a sé stante.

È ovviamente successivo Endgame (2019) – le cui vicende si svolgono nel 2023 – ma, secondo la timeline di Disney+, si colloca fra Moonknight e She Hulk, ovvero la primavera del 2025.

È l’ultimo film della Fase 4.

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Triangle of sadness – Siamo tutti uguali

Triangle of sadness (2022) è l’ultima opera di Ruben Östlund, regista svedese che ha conquistato per la seconda volta la Palma d’Oro a Cannes, dopo averla già vinta col precedente The Square (2017).

Un film che è passato fondamentalmente sotto silenzio, e che in Italia si è cercato di vendere come un film molto divertente. In realtà è una pellicola devastante, e per diversi motivi. E non a caso, davanti ad un budget risicatissimo (13 milioni di euro), ha incassato comunque pochissimo: per ora, appena 7 milioni.

E non potrei essere meno sorpresa.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Triangle of sadness (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film
Miglior regista
Migliore sceneggiatura originale

Di cosa parla Triangle of sadness?

Carl e Yaya sono due modelli, che si trovano a gestire la loro insidiosa relazione, sullo sfondo di una crociera di lusso che prende una piega inaspettata…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Triangle of sadness?

Harris Dickinson in una scena di Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund, palma d'ora al Festival di Cannes 2022

È complicato.

Io di mio l’ho trovato un film davvero incredibile, fra i migliori usciti quest’anno. Ma, al di là del mio apprezzamento personale e del grande valore artistico e politico della pellicola, è potenzialmente una pellicola che molti potrebbero profondamente odiare.

Diciamo che se non riuscite a ritrovarvi in una humor nerissimo, che gioca moltissimo sulle battute paradossali e al limite dell’angosciante, potrebbe darvi solo fastidio. È un film da cui bisogna lasciarsi davvero rapire, con tutto il suo devastante significato.

Se vi sentite pronti, guardatelo.

Prologo

Harris Dickinson in una scena di Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund, palma d'ora al Festival di Cannes 2022

Una volta conclusa la pellicola, la prima parte dedicata ai due apparenti protagonisti potrebbe apparire fondamentalmente inutile alla storia.

In realtà, tutta la prima parte, se la si guarda con attenzione, è un gigantesco foreshadowing del terzo atto del film. Infatti all’inizio Yaya racconta come la relazione con Carl non sia frutto dell’amore, ma di un rapporto di mutuo vantaggio.

Anche se non viene spiegato esplicitamente, è probabile che si intenda che, come Yaya ottenga maggiore attenzione potendo pubblicizzare la sua relazione con un bel ragazzo come Carl, così Carl possa vivere della luce di lei.

E così la ragazza racconta come l’unico modo in cui può uscire dal lavoro sfiancante del mondo della moda è quello di diventare una moglie trofeo per qualcun altro, idealmente Carl.

Così nel terzo atto Carl stesso diventa il marito trofeo di Abigail, sempre in una relazione non amorosa, ma di vantaggio: la donna può intrattenersi con un ragazzo piacente, mentre quello stesso ragazzo può avere un vantaggio sociale nella loro piccola comunità.

Incomprensione

Sunnyi Melles in una scena di Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund, palma d'ora al Festival di Cannes 2022

Uno degli elementi principali della pellicola è la totale incomprensione della classe sociale più agiata verso la realtà del mondo.

Il momento più agghiacciante in questo senso è quando Vera costringe tutto l’equipaggio della nave a scendere dallo scivolo della nave e a farsi un bagno.

Dal suo (apparente) punto di vista, in questo modo avviene una giocosa inversione dei ruoli. In realtà è solo una donna potente che ha fatto uso del suo potere per utilizzare i suoi sottoposti come preferisce.

Altrettanto graffiante la scena in cui la coppia anziana che vende bombe raccoglie candidamente la mina antiuomo, e la donna chiede

È una delle nostre?

A seguito di un dialogo anche più agghiacciante avvenuto prima fra la coppia e i due protagonisti, in cui i due raccontano candidamente e in maniera così paradossale da essere esilarante, di come i loro affari siano stati guastati dagli stupidi tentativi dell’ONU di evitare spargimenti di sangue.

Ma è un mondo fragile e illusorio.

Fragilità

Vicki Berlin Tarp, Dolly Earnshaw de Leon e Charlbi Dean Kriek in una scena di Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund, palma d'ora al Festival di Cannes 2022

Una volta sbarcati sull’isola, i sistemi della società si azzerano, principalmente per mano di Abigail. Infatti la donna, una volta pescato il polpo, si rende subito conto del valore del suo operato, e ne sfrutta tutto il vantaggio.

E, anche se Paula cerca immediatamente di ridimensionarla, i bisogni primari sono così pressanti che il nuovo ordine viene subito stabilito.

Ed è tanto più evidente da dove nasceva la scintilla di questa nuova idea quando Abigail si trova improvvisamente seduta su un piccolo tesoro di acqua e cibo tanto desiderato, e a malincuore (e pure ingiustamente) deve cederlo a chi non ha nessun motivo di averlo.

E questo porta anche ad un’interessante riflessione sulla fragilità della società capitalista: basta davvero così poco per stravolgerla e mettere di nuovo al primo posto chi di fatto porta un vero valore alla società?

A quanto pare, sì.

Angoscia

Come detto, se si riesce ad essere coinvolti con l’umorismo del film, può risultare incredibilmente divertente.

Io personalmente raramente mi sono divertita così tanto.

Tuttavia, è una risata angosciante, che ti fa ridere solo superficialmente, ma che, se si ragiona veramente sul significato dei dialoghi e delle scene, è incredibilmente angosciante – fra l’altro, con molto spesso una regia che gioca molto sul contrasto fra l’incredibilmente divertente e il drammaticamente devastante.

Due fra tutte: i discorsi surreali di Dimitry e del capitano Thomas, assolutamente spassosi che fanno però da sottofondo ad inquadrature particolarmente tragiche degli ospiti della nave impauriti.

Anche di più quando Dimitry discute concitato con Paola e Nelson accusando quest’ultimo di essere un pirata, mentre vediamo Theresa, una donna disabile che non ha più nessuno ad aiutarla, impotente nella scialuppa.

E la regia stessa spesso sacrifica la più basilare grammatica della messa in scena per farci immergere nei personaggi e nelle loro espressioni.

A volte inserendo degli effettivamente elementi di disturbo nella scena, che servono a sottolineare la drammaticità di fondo, come l’insopportabile mosca quando Carla e Yaya discutono sulla nave.

Una società di simboli

Molto interessante è stato rappresenta la società della ricca borghesia come basata su un sistema di simboli in cui viene dato un valore più di rappresentanza che economico.

Così i due ricconi, Dimitry e Jarmo, cercano di pagare il loro ingresso nella scialuppa offrendo orologi di lusso. Così Carl è particolarmente contento quando trova un profumo fra i detriti. E tanto più grottesco quando Dimitry ritrova il corpo della moglie e la cosa più importante è recuperare i gioielli dal suo cadavere.

Cosa succede nel finale di Triangle of Sadness?

Il finale di Triangle of sadness è molto ambiguo, ma la dinamica è del tutto chiara: mentre Yaya offre ad Abigail di diventare la sua assistente, la donna si rende conto di come uscire dalla piccola società che si è creata la depotenzierà, ma, soprattutto, la riporterà in un mondo ingiusto e castrante.

Per me quindi quel colpo è stato calato.

E per lo stesso motivo Carl, il personaggio più vicino a comprendere il dramma di Abigail, alla fine sta forse cercando di correre in aiuto alla fidanzata. Oppure alla donna prima che abbia un risvolto violento.

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Everything everywhere all at once – Forse troppo

Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche è un film totalmente surreale, che riesce ad unire il genere fantascientifico e fantastico con il dramma familiare.

Un prodotto tanto creativo e profondo tanto, per certi versi, difettoso.

Il film è stato un successo di pubblico incredibile, sopratutto al botteghino statunitense: a fronte comunque di un budget non irrisorio di 25 milioni di dollari, è arrivato ad incassare ben 140 milioni in tutto il mondo.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Everything everywhere all at once (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film
Miglior regista
Migliore sceneggiatura originale

Miglior attrice protagonista a Michelle Yeoh
Miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan
Migliore attrice non protagonista a Jamie Lee Curtis

Migliore attrice non protagonista a Stephanie Hsu
Miglior montaggio
Migliori costumi
Migliore colonna sonora
Miglior canzone originale

Di cosa parla Everything everywhere all at once?

Evelyn è una donna immigrata che si spacca la schiena dietro alla gestione della sua lavanderia a gettoni e della sua complicata famiglia. Un giorno viene improvvisamente contattata da un uomo che dice di venire da un altro universo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Everything everywhere all at once?

Michelle Yeoh in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Dipende.

Everything everywhere all at once è uno di quei classici film che spaccano il pubblico: è in effetti un prodotto particolarissimo, neanche facilissimo da seguire, ma che, se siete ben disposti, vi entrerà nel cuore.

Insomma, se state cercando un film che è un’esplosione di creatività e di pura estetica, che cerca di trasmettere dei profondi messaggi sulla vita e sulla famiglia, riuscendo anche ad essere discretamente divertente, potrebbe fare per voi.

Se invece non siete propensi ad accettare un film che dà più valore al messaggio e all’estetica che alla trama di per sé, potreste genuinamente odiarlo.

Essere disastrosamente creativi…

Stephanie Hsu in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

La creatività e l’estetica di questo film è non solo ammirabile, ma davvero sensazionale.

Sopratutto con i diversi costumi e aspetti di Joy, riesce a sperimentare e a portare in scena veramente di tutto, con una varietà e una cura del suo personaggio che mi ha fatto veramente impazzire.

Al contempo, anche se le idee raccontate magari non sono il massimo dell’originalità, ma anzi pescano a piene mani da cult come Matrix, i registi riescono comunque a sbizzarrirsi parecchio.

Sopratutto particolarmente divertenti sono i trampolini, anche se ammetto che ho riso meno dei miei compagni in sala (e forse anche di voi), per certe battute.

Insomma, per me l’umorismo è vincente fintanto che non scade nello slapstick.

…ma dimenticarsi del resto

Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Per quanto un film possa essere incredibilmente creativo e artistico, non può dimenticarsi di avere una struttura narrativa, a meno che non voglia lanciare una corrente cinematografica che si ribella alle strutture narrative stesse (e non credo sia questo il caso).

Penso sia più probabile che questa coppia di fantasiosi ma anche talentuosi registi si sia trovata con un’ottima idea fra le mani, ma non sono stati in grado di esplicarla efficacemente in una struttura narrativa.

Infatti sembra che la trama parta in un certo senso immediatamente, senza neanche una introduzione effettiva che porti ad un secondo atto, che si espanda disordinatamente fino ad un finale che è pure efficace, ma che non arriva in maniera organica.

Non del tutto da buttare, ma un pochino più di ordine e di idee chiare avrebbe indubbiamente giovato al film.

La spirale dell’autodistruzione

Stephanie Hsu in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Uno dei punti fondamentali del film è il racconto di questo senso di fallimento e del volersi del tutto annullare.

Volendo andare a leggere più drammaticamente il black bagel, è possibile che si volesse raccontare in maniera anche un po’ più scanzonata la depressione e probabilmente anche il suicidio.

Joy sembra infatti volersi lasciare totalmente travolgere da questo senso di inadeguatezza e di fallimento.

È invece la madre, Evelyn, che accetta infine il suo fallimento, di essere la sua versione peggiore possibile, ma comunque di riuscire ad apprezzare la bellezza di quel poco che ha e di tutto il valore che può avere anche solo stare con suo marito, cosa che in altri universi di successo non ha.

Un finale quasi da commedia, ma ben contestualizzato e che ti scalda il cuore.

Contro il sogno americano

Michelle Yeoh in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Due elementi mi hanno particolarmente colpito della pellicola: la scelta della protagonista e il racconto del sogno americano.

Anzitutto, particolarmente raro vedere come protagonista di un film con elementi anche action una donna di mezza età, con anche la sua controparte di Deirdre, interpretata da un’esplosiva Jamie Lee Curtis.

Altrettanto dissacrante il fatto che la realizzazione personale della protagonista, almeno in potenza, non avvenga negli Stati Uniti, la terra promessa, ma in patria. Anzi, la scelta di immigrare negli Stati Uniti è quello che l’avrebbe portata più alla povertà e alla poca realizzazione.

Una certa novità in un panorama recente che racconta di come gli immigrati negli Stati Uniti che hanno solo da guadagnare nella nuova situazione: basta guardare Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli (2021) e Red (2022) per capire la tendenza.

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Red – inserire didascalia qui

Red (2022) è l’ultimo film Pixar uscito questo venerdì sulla piattaforma Disney+. La pellicola era inizialmente pensata per l’uscita in sala, ma all’ultimo si è deciso per una distribuzione esclusiva in streaming (e più avanti nell’articolo ipotizzo il perché).

Nel complesso Red è una pellicola gradevole, fortemente ispirata ai teen drama dei primi anni 2000 (pur non essendolo fino in fondo), riuscendo ad includere al suo interno tematiche piuttosto tipiche della casa di produzione.

Tuttavia, il film presenta un problema veramente ingombrante: le didascalie.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Red (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Red?

La protagonista, Mei, è una ragazzina di tredici anni che eccelle in tutto, ma è al contempo oppressa dalla figura iperprotettiva della madre, che le impedisce di esprimersi come vorrebbe. La situazione si complica quando, per via di una maledizione che opprime le donne della famiglia, Mei si trasforma, ogni volta che prova emozioni troppo forti, in un enorme panda rosso.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché Red funziona e perché no

Come anticipato, Red è un film tutto sommato gradevole. La storia è veramente semplice e ridotta all’osso, e la potete ritrovare in una buona quantità di teen drama dei primi Anni 2000. Non a caso è ambientato proprio nel 2002. E io, da grande fan dei teen movie 2000s, non ho potuto fare a meno di apprezzare questo aspetto.

Oltre a questo, le animazioni sono una bella novità per la Pixar, che negli ultimi anni si era un po’ fossilizzata su uno stile sicuramente gradevole, ma alla lunga ripetitivo. In questo caso invece le animazioni sono evidentemente ispirate alla produzione animata giapponese, con una grande esagerazione delle espressioni e delle reazioni dei personaggi, disegni poco realistici e più stilizzati. Un esperimento visivo che in generale mi ha convinto.

Ma quindi perché secondo me Red non funziona fino in fondo?

Il problema del film: le didascalie

Mei (Rosalie Chiang) e Miriam (Ava Morse) in una scena del film Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Red può essere piacevole ad una visione più superficiale, ma se si mettono un attimo da parte le emozioni che indubbiamente provoca, ci si rende conto che è un film con la profondità di una pozzanghera. Questo soprattutto perché all’inizio sembra voler dare un certo tipo di messaggio tramite una metafora decisamente potente, ma alla fine il tutto viene estremamente banalizzato. Oltre a questo, la pellicola è terribilmente appesantita da una narrazione fortemente didascalia, che spiega fondamentalmente cosa succede sullo schermo nonostante sia estremamente ovvio. Fra l’altro troncando ogni possibilità di interpretazioni ulteriori e banalizzando tutto quello che mette in scena.

La bellezza delle produzioni Pixar è che molto spesso non c’è bisogno di una spiegazione effettiva della situazione messa in scena. Anzi, frequentemente la profondità del film Pixar risiede proprio nei suoi silenzi (pensiamo solo a Wall-E).

E spero che nessuno abbia il coraggio di venirmi a dire ma è un film per bambini, perché la Pixar ci ha abituati per anni a film profondamente adulti e con vari livelli di lettura. Quindi è questo quello che mi aspetto.

Red fa per me?

Mei Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Turning Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Partendo dal presupposto che Red mi sembra un film che può piacere un po’ a tutti, lo apprezzerete particolarmente se, come me, siete appassionati di un tipo di teen drama alla Mean Girls (2004), perché le dinamiche sono veramente quelle. In generale, se cercate un film leggero, che comunque riesce a commuovere e coinvolgere, guardatelo.

Se invece siete dei puristi della Pixar, sempre come me, potrebbe non convincervi fino in fondo, in quanto fra le uscite degli ultimi anni è sicuramente fra i più deboli. Ma non per questo non si può dargli una chance.

Raccontare l’adolescenza

Mei (Rosalie Chiang) e la madre Ming (Sandra Oh) in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Nobody will notice a thing

Nessuno si accorgerà di niente

Una delle cose che mi aveva più convinto all’inizio era il modo in cui viene raccontato il personaggio di Mei: si presente come una ragazzina ormai indipendente e brillante, che sceglie per se stessa. In realtà questa narrazione è subito smentita quando, alla richiesta delle sue amiche di passare il pomeriggio insieme, Mei spiega che deve, come tutti i giorni, aiutare la madre al tempio turistico.

Da qui capiamo subito quanto la madre sia una figura castrante: nonostante evidentemente con tutti le buone motivazioni, ha programmato a puntino la vita della figlia e vuole che sia sempre sotto al suo stretto controllo.

Una presenza ingombrante

La situazione le sfugge di mano quando Mei diventa effettivamente un panda rosso. La scena del bagno mi è piaciuta particolarmente perché, oltre a raccontare un tema poco affrontato soprattutto in questo tipo di prodotti, sembra (e sottolineo sembra) utilizzare una metafora potente per rappresentare il passaggio all’adolescenza.

Il panda rosso è qualcosa di enorme, ingombrante, inaspettato, in cui non si riconosce. Il corpo che cambia, i sentimenti incontrollabili, tutte cose che avvengono da un giorno all’altro e che hanno sconvolto la maggior parte di noi in età adolescenziale. E per Mei è veramente difficile tenere tutto dentro: una ragazzina così esplosiva e piena di emozioni, che la madre vuole limitare, riportandola ad una dimensione infantile e controllabile.

Tutta questa bellissima immagine è rovinata da quello che viene detto dopo.

Il problema della narrazione didascalica

Mei Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Come anticipato, questo film è drammaticamente didascalico. C’era veramente bisogno di spiegare che Mei aveva un problema con la madre, che voleva ribellarsi? Ma, soprattutto, c’era bisogno di banalizzare la metafora del panda a un lato sbarazzino della personalità di Mei? Secondo me no. E l’ultima frase del film è esplicativa in questo senso, con una battuta che sembra veramente ripresa dalla sigla di una serie tv di Disney Channel ai tempi d’oro.

E io personalmente, seguendo la Pixar quasi da quando è nata, mi aspetto molto di più.

Qualcosa di bello

Mei (Rosalie Chiang), Miriam (Ava Morse), Priya (Maitreyi Ramakrishnan) e Abby (Hyein Park) in una scena del film  Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Al di là di queste problematiche di fondo, ci sono delle cose che ho veramente apprezzato di questo film. Anzitutto, rappresenta finalmente una realtà culturale più variegata e realistica. In scena si vedono non solo personaggi di diverse etnie, ma anche di religioni diverse. E per lo stesso motivo anche due delle amiche di Mei, oltre che Mei stessa, sono POC: Priya è di origini indiane, Stacy coreane.

Oltre a questo, il tema dell’amicizia l’ho trovato veramente toccante, pur nella sua semplicità: Red ci ricorda quanto sia importante avere dei buoni amici intorno quando stiamo passando dei momenti difficili, e gli amici di Mei lo sono senza dubbio. E, in particolare Miriam ha un rapporto veramente sincero con Mei.

Non andare fino in fondo

Mei (Rosalie Chiang) e la madre Ming (Sandra Oh) in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Una cosa che veramente non ho capito, e che anzi ho trovato veramente limitante, è il finale stesso. Se il film, come urla a gran voce, ci vuole incoraggiare a sentirci liberi di esprimerci, perché le altre donne della famiglia non hanno la stessa occasione? La cosa non è per nulla chiara: se posso capire la problematica della madre, il cui problema era veramente ingombrante, non capisco perché la nonna e le zie non hanno potuto approfittare di questa occasione per liberarsi anche loro dal fardello che loro stesse si erano imposte. La loro scelta non viene fra l’altro per nulla drammatizzata, ma sembra semplicemente come doveva andare le cose. Punto.

Il film sembra voler ribadire lo status quo che era presente all’inizio del film, e gli altri problemi dei personaggi non vengono affatto risolti. Un vero peccato.

Ma questo, a mio parere, si inserisce anche nel problema della rappresentazione della Cina.

Come raccontare la Cina

Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

She’s totally brainwashed

È troppo plagiata

Nonostante possa sembrare il contrario, questo film non è pensato per un pubblico cinese, ma piuttosto per immigrati cinesi di seconda generazione in America, come era stato anche al tempo per Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (2021). Entrambe le pellicole sono infatti accumunate da una rappresentazione della cultura cinese se non stereotipata, comunque evidentemente negativa e limitante, soprattutto se paragonata alla apparente bellezza della cultura occidentale.

Da una parte la cultura rigida e matriarcale, del dovere e del rispetto, dall’altra la cultura occidentale, affascinante e scintillante, regno della libertà. Così infatti le belle cose che Mei ci racconta all’inizio non sono altro che una rappresentazione dei desideri della madre, che, come tipico della cultura orientale, pretende dalla figlia l’eccellenza e un controllo totale sulle sue scelte.

Non è un caso che le autrici della pellicola sono due donne americane di origini cinesi.

In questa rappresentazione potrebbe annidarsi uno dei motivi della decisione di distribuire il film solamente in streaming. La Disney si è fatta due conti in tasca e, fra pandemia e qualche buon centinaio di milioni non garantiti per la mancanza di distribuzione in territorio cinese, ha pensato bene di evitare questo rischio.

Per quanto mi faccia piacere dare voce ad una parte della società poco raccontata finora, riesco ad abbracciare fino ad un certo punto certe stereotipizzazioni di culture non americane, oltre che ad una idealizzazione dalla cultura occidentale.

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The Batman – Il noir inaspettato

The Batman (2022) di Matt Reeves è il nuovo film dedicato ad uno dei personaggi più iconici della DC, dopo le ottime prove di Nolan e la poca simpatia invece per quello di Ben Affleck.

Un film che, soprattutto per il periodo, ha incassato benissimo: 770 milioni di dollari a fronte di un budget di 200 milioni.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per The Batman (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior sonoro
Miglior
trucco e acconciatura
Migliori effetti visivi

Di cosa parla The Batman?

Batman è in attività da soli due anni e collabora strettamente con Jim Gordon, uno dei pochi poliziotti non corrotti. Si affaccia improvvisamente il caso del misterioso Enigmista…

Vi lascio il trailer per farmi un’idea:

Vale la pena di vedere The Batman?

Matt Reeves ce l’ha fatta.

Potrei anche chiudere direttamente la recensione qui.

The Batman è un film che riesce a portare sulla scena un’investigazione noir, a citare due capisaldi della storia cinematografica di Batman, ovvero Nolan e Burton, e ad ispirarsi splendidamente ai fumetti, con continui riferimenti. Il tutto in soli tre ore.

Cosa vi posso dire di più?

Un Batman diverso

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Reeves invece porta in scena un Batman acerbo, profondamente violento e fallibile, in una Gotham sporca e cattiva.

La sporcizia la percepiamo in ogni inquadratura, che gioca appunto su questa regia e fotografia sporcate, che paiono quasi amatoriali. The Batman è un noir di tutto rispetto, con delle scene thriller anche abbastanza disturbanti, degli antagonisti di prima categoria e un amore sentito per il personaggio.

Infatti Reeves non solo è debitore a Nolan, che è cita parecchio, ma anche a Burton e soprattutto ai cicli fumettistici de Il lungo Halloween (1998, cui si ispirò anche Nolan per Il cavaliere oscuro) e Batman: Hush (2003) – di cui parlerò alla fine della recensione.

Il Batman contemporaneo

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Fin dall’inizio The Batman introduce ad un noir che si ispira profondamente al ciclo fumettistico cult de Il lungo Halloween.

La costruzione dell’indagine è ben condotta e ti guida passo passo nella scoperta del mistero. Tornano anche in scena alcuni degli antagonisti politici più interessanti di Batman, ovvero il Pinguino, interpretato dall’ottimo Colin Farrell, e Carmine Falcone, interpretato da John Turturro.

Un elemento davvero vincente della pellicola è la totale assenza di tempi morti.

Anche le parti meno interessanti – come la storia di Catwoman – hanno un suo ruolo importante nello svelamento della vicenda, che riesce a tenerti attaccato allo schermo per tre ore, pur soffrendo di qualche discontinuità di ritmo, soprattutto fra la prima e la seconda parte.

Riscoprire Paul Dano

Paul Dano nei panni di dell'Enigmista in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Il cast è la vera punta di diamante

Non vorrei dire che io amavo Paul Dano ben prima che fosse di moda, ma permettetemi almeno di consigliarvi di recuperare al più presto una delle sue prove attoriali giovanili, ovvero Little miss sunshine (2006) e il suo esordio registico, Wildlife (2018), un dramma familiare piuttosto tipico ma con una mano registica veramente capace.

Paul Dano ci ha regalato una performance davvero incredibile, con e senza maschera.

Con la maschera è un killer sanguinario e spietato, completamente allucinato e davvero pauroso. Il suo monologo ad Arkham rivela tutta la sua potenza recitativa con cui è riuscito a regalarci un villain pazzo ma non sopra le righe, con un piano ben costruito e una profonda sofferenza interiore.

Non dico che possa essere paragonato al Joker di Heath Ledger, ma ci va molto vicino.

Sad Batman

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Pattinson ha portato in scena un Batman acerbo.

Ma per davvero questa volta: nonostante il Batman di Christian Bale fosse comunque fallibile, si dimostrava fin da subito padrone della situazione. In questo caso è invece un Batman profondamente depresso e insicuro in cerca ancora una sua identità, lugubre e tenebroso con o senza maschera.

E per me Pattinson ha fatto veramente centro.

Spero che tutti i suoi detrattori si siano finalmente ricreduti.

Un perfetto Pinguino

Colin Farrel nei panni del Pinguino in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Il Pinguino ha uno screen time abbastanza ridotto, ma si fa notare.

Un uomo viscido, avido e, a suo modo, anche abbastanza ridicolo. Come spiegherò più avanti, per me è una delle maggiori citazioni a Burton. Un Colin Farrell perfettamente in parte, che è riuscito a portare in scena un Pinguino praticamente perfetto, grottesco al punto giusto, regalandoci anche un sorriso in una pellicola complessivamente piuttosto tragica.

I secondari minori

Catwoman non mi ha stregato.

Temevo un personaggio molto più sopra le righe e vicino a concetti ormai stantii di girl power e simili. Invece mi sono trovata davanti ad un personaggio complessivamente interessante, che però non è riuscito a catturarmi.

E per quando riguarda Alfred…

Sono consapevole che riuscire ad eguagliare la classe di Michael Caine è quasi impossibile, però questo Alfred, fra lo screen time ridottissimo e l’interpretazione poco interessante, non mi ha detto proprio nulla.

Matt Reeves si porta Andy Serkis dietro dalla trilogia de Il pianeta delle scimmie, dove interpretava – o, meglio, dava le movenze – alla scimmia protagonista Cesare. Un’ottima prova attoriale, probabilmente Serkis è il miglior interprete in circolazione a saper padroneggiare questa tecnica.

Ma oltre a quello non mi ha mai convinto.

Questa voglia pazza di politicizzare tutto

Robert Pattinson nei panni di Batman e Jayme Lawson nei panni di Bella Reàl futura sindaca di Gotham in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

La saga di Batman, per come è raccontata nei fumetti, ha un problema abbastanza pesante: è dominata da personaggi maschili e bianchi.

Per questo va, anche giustamente, attualizzata.

Quindi niente di male, anzi, a cambiare etnia dei personaggi di Catwoman e Gordon, fra l’altro con due attori di livello. Meno bello è inserire messaggi smaccati, fra cui l’unico teppista non violento all’inizio che è afroamericano e così l’unica politica buona della situazione che è una donna nera.

Non so se si può parlare in questo caso di token, ma sicuramente una simpatica strizzata d’occhio ad un pubblico molto spesso poco rappresentato. Però questa non è rappresentazione, ma un messaggio politico molto preciso e veramente ingenuo.

Ma di questo non posso incolpare Reeves: è un andamento generale delle grandi produzioni, quindi facilissimo che abbia ricevuto certe indicazioni dall’alto.

Alcune inezie…

Avrei voluto un finale diverso, più maestoso e di impatto.

Avrei quasi preferito che finisse con Joker e l’Enigmista, mentre il finale l’ho trovato abbastanza banale.

Il ritmo, come detto, è un po’ discontinuo, e la prima parte del film è più interessante della seconda per molte cose, ma nel complesso ti tiene. Questo film mi ha confermato i miei problemi con gli inseguimenti in auto, che purtroppo non riescono mai a catturarmi.

Non proprio un’inezia è la sensazione della mancanza di una origin story strutturata come era quella di Nolan in Batman Begins, visto che mi ha un po’ stranito il rapporto fra Gordon e Batman, per nulla introdotto.

Ma sono difetti su cui posso assolutamente soprassedere.

Perché ho paura per Joker di The Batman

La presenza di Joker interpretato da Barry Keoghan era già stata praticamente confermata, quindi non è stata una grande sorpresa.

Tuttavia io ho molta paura.

Per quanto l’attore mi piaccia moltissimo (e per questo vi consiglio di recuperare American Animals, uno dei migliori heist movie degli ultimi anni), Joker è un personaggio pericoloso da portare in scena.

È un attimo cadere nello squallido con interpretazioni da galera come quella di Jared Leto in Suicide Squad (2016). Si possono anche avere delle ottime prove come quella più recente di Joaquin Phoenix, ma il livello che è stato messo da lui e da Ledger a suo tempo è veramente alto e difficile da raggiungere.

Oltre a questo, sarebbe anche ora di dire basta a Joker. È un personaggio veramente incredibile, ma a questo punto siamo anche un po’ saturi: nel giro di dieci anni abbiamo avuto tre interpretazioni.

Staremo a vedere.


Aggiornamento postumo

Dopo aver visto questa meraviglia di scena, mi sento di ritirare tutto quello di cui sopra. Sono già innamorata.

I riferimenti in The Batman

Il film è pregno di riferimenti a Nolan, ai fumetti e in parte anche a Burton.

Da qui in poi parlerò di alcuni cicli fumettistici e dei film di Nolan e Burton, senza però fare spoiler importanti. Però se non volete sapere niente non proseguite con la lettura.

I riferimenti a Nolan

Christian Bale in una scena di Il cavaliere oscuro (2008) diretto da Christopher Nolan

Tutta la storia in un certo senso si ispira a Il cavaliere oscuro, con un killer fuori controllo che uccide personaggi importanti di Gotham per mandare un messaggio. In particolare il primo video che l’Enigmista fa vedere in diretta televisiva è praticamente quello del Joker di Nolan, anche se molto più cruento.

Poi la scena di Batman inseguito dalla polizia che sale le scale col rampino è identica ad una analoga scena di Batman Begins. E infine tutto l’inseguimento del Pinguino, che, per quanto sia coerente al personaggio, è veramente simile a quando Joker cerca di farsi colpire da Batman in macchina.

E, ovviamente, la Bat Caverna che è letteralmente una caverna con pipistrelli dentro.

I riferimenti a Burton

Burton è citato più sottilmente, ma secondo me si può ritrovare nelle caratterizzazioni fortemente gotiche di alcuni ambienti, come Villa Wayne e la chiesa del funerale del sindaco Mitchell.

Ma secondo me Burton è vivo soprattutto nel Pinguino, unico personaggio vagamente umoristico, ma anche e soprattutto grottesco, esattamente come in quello di Batman Returns (1992):

Ovviamente si tratta di due stili registici e di un design differente, ma le somiglianze sono innegabili.

I riferimenti fumettistici

The Batman si ispira fondamentalmente a due cicli fumettistici: Il lungo Halloween e Batman: Hush.

Anzitutto, ovviamente, il primo delitto avvenga ad Halloween, come ne Il lungo Halloween, così anche come tutta l’impostazione noir e hard boiled, che permea le pagine del fumetto. Inoltre Catwoman che ferisce Falcone sul viso richiama l’aspetto caratteristico del personaggio nel fumetto:

E così anche la parentela di Catwoman con Falcone, che è lasciata in sospesa in questo ciclo, ma viene rivelata nel suo sequel, Batman: vittoria oscura (1999)

Per quanto riguarda Hush, l’Enigmista riprende molto il suo aspetto:

E ad un certo punto quando parla del Caso Wayne utilizza proprio la parola Hush, che è fondamentalmente un’onomatopea come il nostro shh.

Più sottilmente, quando Catwoman vuole uccidere il poliziotto corrotto e Batman la ferma, la macchina da presa indugia su Gordon. Nel fumetto infatti Batman si trovava in una situazione analoga e Gordon interveniva per fermarlo proprio con le stesse parole del film.

Non credo di aver mai visto un amore così profondo per i fumetti e per il personaggio come The Batman, che riesce a battere quasi Nolan.