Categorie
2023 Biopic Dramma familiare Drammatico Film Oscar 2024

Oppenheimer – Una bomba per tutte

Oppenheimer (2023) è il film forse più ambizioso della filmografia di Christopher Nolan, già costellata di pellicole di grande successo, che si distinguono ogni volta per la loro superba qualità tecnica.

La pellicola si è rivelata uno dei più grandi incassi del 2023 – al terzo posto nella classifica mondiale – con quasi un miliardo di incasso in tutto il mondo a fronte di appena 100 milioni di dollari di budget.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Oppenheimer (2023)

in neretto le vittorie

Miglior film
Migliore regista

Miglior sceneggiatura non originale
Miglior attore protagonista a Cillian Murphy
Migliore attore non protagonista a Robert Downey Jr.

Migliore attrice non protagonista a Emily Blunt
Miglior colonna sonora
Miglior fotografia
Migliori costumi
Miglior montaggio
Migliore trucco e acconciatura
Migliore scenografia
Miglior sonoro

Di cosa parla Oppenheimer?

La pellicola segue la storia di Robert Oppenheimer, considerato impropriamente padre della bomba atomica, ma sicuramente una delle figure più interessanti e complesse del secolo scorso.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Oppenheimer?

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Assolutamente sì.

Oppenheimer è un film che mi ha letteralmente travolto, per il suo ritmo frenetico e incalzante, il suo apparato tecnico elegantissimo e sublime, oltre ad una scelta di interpreti di prim’ordine, a partire dell’attore feticcio di Nolan – ma mai protagonista finora – Cillian Murphy.

Anche se le tre ore di durata possono far paura, personalmente non riesco a considerare questa pellicola pesante, proprio per la scelta di far proseguire la trama spedita e su più piani temporali: al più la definirei una pellicola complessa, ma in generale anche comprensibile dagli spettatori meno esperti.

Per me, Nolan ha finalmente raggiunto il suo capolavoro.

In questa recensione ho scelto di seguire la scansione temporale cronologica del film, così da fare chiarezza circa eventi raccontati.

Il profeta acerbo

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Sulle prime, Oppenheimer è un profeta acerbo.

Immerso nelle visioni di un mondo spaventoso e incomprensibile – la realtà quantica – ma incapace per questo di applicare le sue conoscenze al mondo reale e pragmatico – da cui i suoi fallimenti in laboratorio.

Disprezzato da compagni e professori, Oppenheimer infine si decide a tornare in America per esportare il bagaglio di conoscenze acquisito, non arrendendosi neanche davanti alla presenza di un unico studente al suo primo giorno di corso.

Ma in poco tempo l’aula si riempie di nuovi volti, di seguaci che gli permettono di far conoscere le sue teorie, che beneficiano anche dell’impossibilità di essere dimostrate pragmaticamente, rimanendo ancora limitate ad un mondo astratto e puramente concettuale.

Ma la guerra è alle porte.

La corsa cieca

Cillian Murphy e Matt Damon in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Davanti alla sua crescente popolarità nel mondo accademico, il protagonista viene scelto come salvatore del mondo libero.

Los Alamos nel suo piccolo rappresenta il sentimento statunitense durante la Grande Guerra: una corsa sfrenata verso la vittoria, malamente smorzata da tentativi fin troppo deboli di tenere a freno l’ambizioso Progetto Manhattan.

Infatti, al tempo ancora incapaci di comprendere l’immensità della loro creazione, le menti dell’Atomica si ribellano coscientemente alle più basilari direttive governative volte al mantenimento della segretezza del progetto, limitate in realtà da un controllo fin troppo clemente.

Se nel dopoguerra le simpatie comuniste e i sospetti di tradimento riemergeranno in tutta la loro gravità, durante la corsa alla bomba molte macchie sul curriculum vengono celate, molti timori vengono nascosti sotto al tappeto.

Ma l’atomica è ancora una bomba di carta.

Finché si spazia nella pura teoria, in un mondo di fatto amorale, Oppenheimer può sentirsi al sicuro. Ma una più angosciosa previsione smorza momentaneamente l’entusiasmo: la possibilità di diventare il tanto temuto distruttore di mondi.

E non bastano i più semplici e saggi consigli di Einstein circa l’idea abbandonare il progetto, ma è sufficiente abbassare la possibilità di un’apocalisse a quasi uno zero per dimenticarsi quasi del tutto dell’assennato consiglio di Niels Bohr:

You can’t lift a stone without being ready for the snake that’s revealed.

Non puoi sollevare una pietra senza essere pronto al serpente che nasconde.

Ma l’angoscia permane.

L’epifania

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

E infine anche la realtà materiale viene a bussare alla porta.

Se fino a quel momento il protagonista – e i suoi colleghi – erano quasi dei cani sciolti, quando gli Stati Uniti vedono un’occasione per raggiungere la pace e la fine della guerra tramite la loro invenzione, cominciano a metterli alle strette con dei frettolosi ultimatum.

Pur fuori posto per molti versi nella realtà politica del suo paese, Oppenheimer ritrova comunque conforto nell’astrattismo dei numeri che raccontano le vite salvate grazie all’uso dell’atomica, intestardendosi quasi fino all’ultimo sull’efficacia della stessa per la pace eterna.

 They won’t fear it until they understand it. And they won’t understand it until they’ve used it. Theory will take you only so far.

Non la temeranno finché non la capiranno. E non la capiranno finché non l’avranno usata. La teoria può portarti fino ad un certo punto.
Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Ma la vera epifania avviene durante il test.

Se fino a quel momento la bomba era una realtà astratta, al pari di una stella morente visibile solamente nei sogni più sfrenati, con l’approcciarsi della messa in atto l’angosciosa consapevolezza della pericolosità dell’operazione riaffiora nel suo creatore.

Non a caso, durante Trinity Oppenheimer organizza una sorta di via di fuga, ascoltando finalmente i saggi consigli di Einstein dell’abbandonare il progetto qualora la distruzione mondiale si rivelasse qualcosa di effettivamente reale.

Ma a poco serve scegliere il giovane Kenneth Bainbridge come guardiano dell’umanità: la bomba infine si mostra nella sua immensità, con un interminabile silenzio punteggiato dai respiri ansiosi degli astanti, per poi rivelare infine la sua forza distruttiva in un assordante boato.

Così quella tesa quiete rappresenta gli anni della riflessione e ideazione, lo scoppio la nuova realtà inarrestabile che prende piede.

Contro la bomba

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Dopo un’euforia iniziale per il successo del progetto, Oppenheimer comincia ad essere divorato da una bruciante angoscia, scatenata in primo luogo dall’impossibilità di avere ulteriore voce in capitolo sull’uso della sua creatura.

E così il mondo materiale comincia a mutare: richiamato a confermare il suo successo, il protagonista si limita a vuoti slogan ad effetto, oppresso da quella verità sempre più concreta che non riesce a togliersi da davanti agli occhi, ma che sembra invisibile al resto del mondo.

Non riuscendo fra l’altro a concepire l’effettiva immensità della tragedia solo per la limitatezza della sua fantasia…

Cillian Murphy e Robert Downey Jr. in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

E quando comincia a combattere contro la bomba, entra in scena Strauss.

La visione di questo ambizioso politico è del tutto opposta a quella del protagonista: un mondo dominato dal bianco e nero, simbolicamente rappresentativo della sua ristrettezza di vedute, il mondo di un bambino che capricciosamente non vuole rinunciare al suo giocattolo – o bomba che sia.

Nel mondo di Strauss, Oppenheimer non è più l’eroe che ha salvato l’America, ma invece l’antagonista, il guastafeste, la voce sempre più fastidiosa che vuole mettere a tacere la folle prospettiva di creazione di un mondo atomico ormai pericolosamente vicino.

Lewis Strauss Oppenheimer

Robert Downey Jr. in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Così Oppenheimer capisce la ristrettezza delle sue vedute.

Durante la creazione dell’atomica, il protagonista pensava di poterne definire i limiti d’uso.

La realtà della Guerra Fredda è ben diversa: un mondo del tutto politico, materialistico, in cui gli Stati Uniti ambiscono a diventare la più grande potenza mondiale e sbaragliare ancora una volta il nemico, con lo sguardo fisso unicamente sulle tensioni dello scacchiere internazionale.

Un mondo in cui il vero colpevole di una delle più grandi tragedie dell’umanità – il presidente Truman – offre ad Oppenheimer un fazzoletto per pulirsi il sangue di centinaia di migliaia di vittime, rivendicando con orgoglio la sua scelta, e anzi disprezzando il protagonista per le sue infantili proteste.

Ormai Oppenheimer è un personaggio da mettere da parte.

Punizione…

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Who’d want to justify their whole life?

Chi vorrebbe giustificare la sua intera esistenza?

La punizione di Oppenheimer è subdola.

Un personaggio già di per sé così problematico, ma che, soprattutto, si rifiuta di accettare il meraviglioso passo avanti del nuovo mondo atomico – la Bomba H – va distrutto dalle fondamenta.

Oppenheimer viene riportato sui banchi di scuola, in uno spazio angusto e claustrofobico, per la resa dei conti, per riuscire a giustificare l’ingiustificabile: la sua opposizione instancabile alla sua stessa creazione.

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Gli uomini malediranno il nome di Los Alamos e Hiroshima

Un caso costruito ad arte, una vendetta personale non solo da parte di Strauss, ma di tutti gli Stati Uniti, per mettere finalmente a tacere le sciocche opposizioni di una parte del mondo accademico così geniale nelle creazioni, ma così poco pragmatico sul piano del reale.

Le motivazioni – anche per portare ad un’idea folle come la collaborazione con i Sovietici – non mancano: le simpatie comuniste, la pochezza della gestione della sicurezza a Los Alamos, un pensiero troppo contraddittorio e poco ambizioso per essere accettato.

E tanto basta per mettere Oppenheimer da parte.

…e riscatto

Cillian Murphy in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Ma bastano cinque anni per ottenere il riscatto.

Come Einstein gli aveva predetto, quando gli Stati Uniti lo hanno punito abbastanza da renderlo un martire, lo fanno ritornare ad essere l’eroe americano.

Uno scenario grottesco, dove finalmente l’America sceglie di mettersi un freno e accettare quella dolorosa macchia sul curriculum, intraprendendo la via più ragionevole – e pacifica – per evitare l’Apocalisse nucleare.

E per liberarsi dei propri peccati, è necessario un eroe, una Cassandra per tanto tempo rimasta inascoltata, che viene riportata alla ribalta come simbolo del cambio di passo, con un Oppenheimer fin troppo felice di lasciarsi usare.

Robert Downey Jr. in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Ma come ci sono i vincitori, ci sono anche i vinti.

Per un crudele gioco del destino, pochi anni dopo Strauss viene punito nella stessa maniera con cui aveva punito Oppenheimer: rimesso davanti alla sua vita e alle sue scelte, svelato per la sua vera natura e per i suoi preziosi altarini.

E, nella furia amara per la sconfitta, questo politico ormai decaduto si mostra ancora una volta cieco davanti ad una realtà più profonda, e derubrica la sua disfatta ad una vendetta personale di Oppenheimer e del mondo scientifico, da sempre contro di lui.

Ma il Nuovo Mondo è molto più complesso.

La distruzione silenziosa

Tom Conti in una scena di Oppenheimer (2023) di Christopher Nolan

Il vero significato di Oppenheimer viene rivelato nelle sue ultime battute.

Il protagonista dà finalmente sfogo alle sue crescenti paure, davanti all’unica persona che sembra capace di comprenderle – nonché l’autore della miccia iniziale (pur inconsapevole) che ha portato al Mondo Atomico.

I believe we did.

Penso che sia successo.

La distruzione è avvenuta, ma è invisibile: dalla creazione dell’atomica l’uomo ha perso la sua natura umana, ha smesso di combattere con delle mere armi mortali, ascendendo ad essere divino, e potenziale responsabile della sua stessa distruzione.

È diventato onnipotente, ma mai davvero consapevole della sua incapacità di esserlo.

Categorie
2024 Avventura Comico Commedia nera Drammatico Fantastico Film Nuove Uscite Film Oscar 2024 Racconto di formazione Satira Sociale Uncategorized

Barbie – Un film necessario

Barbie (2023) di Greta Gerwig è uno dei film più chiacchierati dell’anno, che a tratti ha entusiasmato, a tratti ha totalmente indignato il pubblico, viste le tematiche molto controverse che ha portato in scena.

Un film che più che un film è stato un evento cinematografico come non se ne vedevano da Spider-Man No Way Home (2021), con 1,4 miliardi di dollari di incasso – a fronte di un budget di appena 145 milioni di dollari – diventando il maggior incasso del 2023.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Barbie (2023)

in neretto le vittorie

Miglior film
Migliore sceneggiatura non originale
Miglior attore non protagonista a Ryan Gosling
Migliore attrice non protagonista a America Ferrera
Miglior scenografia
Migliori costumi
Migliore canzone What Was I Made For?
Migliore canzone I’m Just Ken

Di cosa parla Barbie?

In Barbieland le varie Barbie vivono in armonia nelle loro case da sogno, con delle esistenze sempre più perfette ogni giorno. Ma qualcosa è cambiato per la nostra protagonista…

Vi lascio qui il trailer, ma vi sconsiglio di guardarlo: come tutta la campagna marketing di questo film, è incredibilmente ingannevole, in quanto asciuga la pellicola di tutti i suoi significati, facendola apparire solo come una commedia leggera.

A voi la scelta:

Vale la pena di vedere Barbie?

Margot Robbie in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Assolutamente sì.

Barbie è uno dei film più interessanti del 2023, un’operazione molto intrigante e ben pensata per lanciare messaggi che, pur nella loro estrema semplicità, sono assolutamente fondamentali per comprendere la società odierna.

Oltre a questo, dal punto di vista totalmente intrattenitivo, è un film delizioso, nutrito di un’ottima ironia, spesso anche volutamente metanarrativa, sia sul mondo di Barbie, le sue dinamiche e la sua storia, sia per le interazioni della protagonista con il Mondo Reale.

Insomma, guardatelo e fatevi una vostra opinione.

Un mondo perfetto?

Margot Robbie in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Uno degli elementi più geniali di Barbie è la rappresentazione di Barbieland.

Si sarebbe potuta scegliere una blanda messinscena del mondo di Barbie come semplicemente una realtà più colorata e da sogno, ma sostanzialmente verosimile. E invece Barbieland è esattamente un giocattolo a grandezza naturale.

Tutto è di plastica, tutto è finto: dalle bottiglie non escono liquidi, il cibo è già pronto, le onde sono di plastica e non esistono le scale, ma solo gli scivoli e le mani invisibili dei bambini che muovono le bambole.

L’incrinatura di questa perfezione arriva quando appaiono i Ken in scena.

Margot Robbie, Ryan Gosling e Simon Liu in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

In questo senso il film lavora su due livelli: storico-sociale e metanarrativo.

Infatti, Ken come giocattolo nasce proprio come accessorio di Barbie, la vera protagonista della storia, tanto che molte delle bambine che ci hanno giocato si ricorderanno come il compagno maschile apparisse del tutto superfluo, facilmente sostituibile da altri generici personaggi maschili.

Dal punto di vista invece storico-sociale, i Ken sono sostanzialmente il corrispettivo delle donne nel Mondo Reale – ovviamente in maniera molto semplificata, e anche con riferimento ad epoche molto meno felici della nostra storia, senza quindi voler fare un parallelismo così netto.

I Ken vivono sostanzialmente in funzione delle Barbie che comandano il mondo, non hanno una propria casa – quindi una propria indipendenza economica – non hanno nessun merito e nessun riconoscimento dalle stesse, e appaiono anche piuttosto superficiali e sciocchi – proprio perché non hanno i mezzi e il background necessario per essere altrimenti.

Insomma, vivono oppressi in un matriarcato.

L’intrusione del tragico

Kate McKinnon in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

L’intrusione del tragico nella vita di Barbie è dovuta alla sua stretta correlazione con la bambina che gioca con lei.

Proprio per il fatto che Barbie, per sua natura, permette alle bambine di essere quello che vogliono, le stesse riversano nel gioco anche i loro sentimenti. Nel caso di Gloria, le insoddisfazioni e le paure di una bambina ormai cresciuta, che vive nell’ombra del modello irraggiungibile di Barbie.

In questo senso, anche vista la proposta della protagonista umana sul finale, la pellicola denuncia le pressioni sociali della donna contemporanea, spesso frustrata da modelli irraggiungibili – reali o ideali – che le impediscono di vivere ed essere felice anche nella sua ordinarietà.

Anche in questo caso si parla di un discorso molto semplicistico e volutamente accessibile, ma che racconta come il femminile a livello sociale non abbia ancora trovato la sua dimensione mediana, ma di come sia continuamente spinto a riconoscersi in modelli predefiniti – madre, donna in carriera, puttana – senza la possibilità di una via di mezzo.

L’oggettificazione

Margot Robbie in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

L’arrivo della protagonista nel Mondo Reale è una delle parti più riuscite del film.

La forza di questa sequenza è che non si parla mai esplicitamente di cat calling o oggettificazione – anzi, è la parte meno didascalica del film – ma si sceglie piuttosto di raccontare le sensazioni che prova una donna all’interno di un mondo ancora dominato dal punto di vista maschile.

Il corpo della donna, volente o nolente, è sempre un oggetto di discussione.

Nonostante Barbie scelga degli outfit normalissimi – anche se datati nonostante non voglia essere un oggetto sessuale, lo diventa comunque: continue allusioni, battute dirette, anche con la volontà di far sentire in colpa la vittima della situazione per non accettare dei complimenti.

Una realtà che purtroppo è incredibilmente reale e che porta spesso le donne a non sentirsi libere di vestirsi come meglio credono…

Alla scoperta di patriarcato

Ryan Gosling in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Il percorso di Ken richiede tutto un discorso a parte.

Ken, come detto, parte da una situazione di totale svantaggio ed esclusione sociale, vivendo appunto totalmente in funzione di Barbie – e delle donne in genere.

Appena approda nel Mondo Reale capisce che esiste una realtà dove, tutto sommato, non viene discriminato, ma anzi accettato e glorificato, in cui trova anche una coesione sociale con gli altri uomini, non divisi dalle invidie per le attenzioni di Barbie come in Barbieland.

Ovviamente anche in questo caso è una visione semplicistica e funzionale alla storia, nonché apertamente comica.

Ryan Gosling, Ncuti Gatwa e Kingsley Ben-Adir in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Il risultato è, tuttavia, quello di sostituire un mondo ingiusto con un’altra realtà ancora ingiusta, ma in senso contrario: non sono più le donne a dominare il mondo, ma gli uomini, con le figure femminili che diventano del tutto ancillari e, di fatto, totalmente accessorie.

Tuttavia, appare evidente come lo stesso patriarcato danneggi gli uomini stessi: ubriacati in questo sogno di potenza, oltre a non rispettare le donne, sono così sicuri di sé stessi da apparire di fatto ridicoli e, soprattutto, facilmente manipolabili.

Oltretutto, l’odio intestino che sembrava essere risolto con l’avvento del patriarcato, in realtà è ancora più radicato, in una competizione per l’invidia e il possesso delle loro compagne che sfocia in una vera e propria guerra.

Il femminismo intergenerazionale

Margot Robbie in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Uno dei discorsi più interessanti di Barbie è il femminismo intergenerazionale.

La figura di Barbie, modello per la generazione precedente – Millennials e Gen X – viene del tutto rigettata dalla Gen Z, rappresentata da Sasha, che vede in questa icona molto controversa più gli elementi negativi che positivi.

Effettivamente Barbie è di per sé una figura contrastante: nata – come ci spiega l’inizio del film – anche con l’obbiettivo di dare alle bambine una prospettiva diversa sulla loro vita e il loro futuro, al contempo ha rappresentato negli anni un modello irraggiungibile di perfezione femminile.

America Ferrera in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Per questo Sasha la respinge in toto.

Tuttavia, la ragazzina col tempo si ricrede e infine accetta il modello che ha definito la crescita e la consapevolezza della madre – e quindi della generazione precedente – arrivando, su un altro piano, ad accettare le conquiste di un femminismo forse più datato, più controverso, ma assolutamente essenziale per le conquiste presenti e future.

E, anzi, come abbiamo visto sopra, proprio questa esperienza spingerà sia Barbie che Gloria a riscrivere in un certo senso l’icona della Mattel in qualcosa di più inclusivo.

Le strade si dividono

Ryan Gosling in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

Il finale di Barbie è uno degli elementi più controversi del film.

La parte apparentemente più problematica è quella di Ken: con una lunga – e già iconica – canzone, il protagonista maschile esprime i suoi sentimenti e racconta di come si senta sempre il numero due, sempre messo da parte, vivendo in una costante insoddisfazione.

Per questo Barbie viene in suo aiuto con una riflessione che serve ad entrambi: la scelta di evadere i modelli, i simboli che sembravano definirli – sia nel patriarcato che nel matriarcato – ed intraprendere invece un percorso che li porti alla scoperta di una propria identità.

Insomma, come Ken ha un risveglio di coscienza grazie alle parole di Barbie – che ammette anche i suoi errori nell’averlo dato per scontato – allo stesso modo le Barbie, che erano state manipolate per accettare la semplicità del patriarcato, proprio come le donne di ieri, diventano consapevoli dell’ingiustizia della nuova realtà e decidono di ribellarsi.

E qui arriviamo al punto più discusso del film.

Nonostante non abbiano fatto lo stesso percorso di Barbie, anche le altre donne di Barbieland sono più consapevoli, e capiscono che non possono tornare in toto ad una realtà matriarcale ed esclusiva come quella in cui vivevano precedentemente.

Tuttavia, davanti alle richieste dei Ken di acquisire finalmente un ruolo di potere fondamentale, la Presidentessa sceglie invece di dargli un piccolo ruolo amministrativo – quello che potremmo definire ministero senza portafoglio.

Al che segue la seguente battuta della voce fuori campo:

Well, the Kens have to start somewhere, and one day the Kens will have as much power and influence in Barbieland as women have in the Real World.

I Ken devono pur cominciare da qualche parte, e un giorno avranno tanto potere ed influenza in Barbieland di quanto ne hanno le donne nel Mondo Reale.

Barbie finale spiegazione

La battuta è volutamente ironica e cattiva, e vuole raccontare quanto il problema delle discriminazioni e dell’inclusione sociale non si risolve per magia o con i buoni sentimenti, ma che serve un lavoro duro, continuativo e difficile, anche solo per arrivare ad un briciolo di parità sociale.

E, secondo me, è la scelta perfetta.

Sia perché non porta in scena una risoluzione ideale, nonché totalmente irrealistica e poco consapevole, sia perché non si sbilancia nella glorificazione femminile – in un film già molto sbilanciato in quel senso: in situazione analoga a quella del patriarcato, le donne avrebbero altrettanta difficoltà cedere i propri diritti e il proprio potere quanto gli uomini di oggi.

Un concetto che vuole ancora una volta dimostrare come non sia un problema od una colpa da addossare agli uomini in quanto uomini – come purtroppo certe correnti femministe si ostinano a sostenere – ma piuttosto un problema sistemico e sociale che va risolto dalle fondamenta.

La scelta di Barbie

Ryan Gosling e Margot Robbie in una scena di Barbie (2023) di Greta Gerwig

La scelta finale di Barbie è forse la parte ancora meno compresa della pellicola.

Dopo aver vissuto nel Mondo Reale, con le sue difficoltà e incomprensioni, Barbie man mano durante la pellicola si libera sempre di più di quegli elementi e simboli che la definivano nell’apparentemente perfetto matriarcato in cui viveva – e che non voleva cambiare.

Una scelta sempre più consapevole di cercare la propria identità altrove rispetto al modello di Barbie Stereotipata – e quindi vuota – a cui si era rifatta per tutta la vita, scegliendo di vivere in un mondo molto più difficile ad antagonistico, ma che le offre anche molte alternative.

Ed è ancora più indovinato il finale in cui la novella Barbara sceglie come primo passo di farsi visitare dalla ginecologa, ad indicare come non sia immediatamente fatta assorbire dal modello capitalista per cui il valore di una persona passa dal suo lavoro.

Piuttosto la protagonista sceglie di scoprirsi in questo nuovo corpo, diventando finalmente più consapevole e serena per lo stesso.

Barbie 2023 citazioni

Barbie è un film pieno di citazioni ad altre pellicole.

Ecco le più interessanti.

Quella più evidente è ovviamente 2001: Odissea nello Spazio (1968) nell’iconico incipit, che è stato usato come teaser trailer per il film stesso:

Quando Barbie sceglie il suo outfit all’inizio del film, è un evidente omaggio al teen movie Clueless (1995) – in Italia noto come Ragazze a Beverly Hills – nella famosissima scena in cui la protagonista si prepara per andare a scuola:

La scena danzante nella mega party di Barbie alla fine della sua giornata è un riferimento visivo alla fantastica scena in discoteca in La febbre del sabato sera (1977):

All’inizio del film si cita anche Matrix (1999): invece che fra la pillola blu o la pillola rossa, Barbie deve scegliere fra la Birkenstock e Scarpa col tacco:

Nella scena in cui Barbie torna a Barbieland e vede i Ken giocare a pallavolo, si cita la scena analoga in Top Gun (1986):

Infine, l’ormai iconica scena di ballo della canzone I’m just Ken è un mix di riferimenti a Singin’ in the rain (1952) e Grease (1978):

Categorie
2023 Avventura Azione Cinecomic Comico Dramma familiare Drammatico Fantascienza Film Nuove Uscite Film Oscar 2024 Racconto di formazione Sony Spider-Verse

Spider-Man: Across the Spider-Verse – Il canone tirannico

Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson è il sequel del quasi omonimo film del 2018, con protagonista Miles Morale – l’altro Spiderman.

Un film che promette molto bene al botteghino: a fronte di un budget di circa 100 milioni, ha già raddoppiato i suoi costi di produzione, con 208 milioni di incasso nel primo weekend.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023)

in neretto le vittorie

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Spider-Man: Across the Spider-Verse?

Dopo più di un anno dall’incontro con lo Spider-Verse, Miles e Gwen stanno facendo i conti con i loro irrisolti problemi familiari…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Spider-Man: Across the Spider-Verse?

Miles Morales in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

Assolutamente sì.

Spider-Man: Across the Spider-Verse compie diversi ed importanti passi avanti rispetto al precedente film – che era già ottimo: una tecnica artistica che si evolve in nuove direzioni, raccontando visivamente in maniera nuova e fresca i diversi universi, retta anche da una scrittura molto più consapevole.

Infatti, questo film nasce inizialmente come un unico prodotto, ma si è scelto successivamente di dividerlo in due parti. E, a fine visione, sono sicura che di questo capitolo non avreste tolto un minuto: un’introduzione potente e robusta per una storia monumentale.

Insomma, assolutamente imperdibile.

Ricominciamo da Gwen

Gwen Stacy in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

Spider-Man: Across the Spider-Verse ricomincia, a sorpresa, da Gwen.

Il suo personaggio è quanto essenziale, quanto poco esplorato nel precedente capitolo. In questo caso, invece, domina la scena per la primissima parte della pellicola, ri-raccontando per certi versi – ma in maniera più approfondita – il trauma personale che la definisce come Spider Woman.

E da qui si sviluppa anche il dramma del rapporto non risolto col padre, che si esplica anche in un senso di forte solitudine, di necessità di trovare un’identità e di far parte di un gruppo – ovvero la Spider Society.

Ma con una scelta che la porta – e per non poco tempo – ad abbandonare il padre stesso…

I super problemi

Miles Morales in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

La seconda parte del primo atto è invece dedicata a Miles.

Anche il giovane protagonista sta affrontando questioni non tanto dissimili da quelle di Gwen, anche se con un taglio narrativo decisamente molto più ironico – in funzione del finale, che invece raggiunge un picco drammatico non indifferente.

Ancora una volta, scopriamo Miles prima come Miles, e poi come Spiderman.

Un ragazzo che sta vivendo un momento di passaggio in realtà abbastanza tipico per il suo personaggio: pensare a che tipo di vita costruirsi oltre alla sua identità segreta, a vivere il peso di rivelare la stessa ai genitori – soprattutto al padre.

Ma anche Miles si lascia momentaneamente il problema alle spalle, per unirsi alla Spider Society.

Un villain di contorno?

Spot in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

Spot ha un ruolo tutto particolare.

Inizialmente sembra veramente un villain puramente comico, il villain della settimana, che Spiderman sconfigge facilmente, per poi passare al prossimo super problema.

Ma lui stesso si ribella da questo ruolo, riuscendo invece a riscoprire i propri poteri come molto più interessanti di quanto aveva compreso finora. Purtroppo, le sue motivazioni sono molto banali: vendicarsi su Spiderman.

Per questo motivo nel terzo atto di fatto scompare, rimanendo solo come una minaccia nell’ombra, che aggrava ancora di più una situazione già di per sé assai spinosa…

Il problema del canone

Il vero nemico di Spider-Man: Across the Spider-Verse è Spiderman stesso.

Con un ottimo gioco metanarrativo, si racconta come tutti gli Spiderman, proprio per riuscire a mantenere intatto quello che volgarmente chiamiamo Spider-Verse, devono accettare e di fatto sottostare alle regole del canone.

In questo modo si giustifica come il personaggio, nelle sue varie incarnazioni cinematografiche – in particolare quelle della Sony – ripercorra bene o male le medesime tappe e affronti i medesimi problemi, pur con le dovute differenze.

Ma è questo il vero dramma.

Miguel O'Hara in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

Spiderman per essere tale è costretto ad affrontare anche traumi davvero sconvolgenti, che solitamente riguardano la perdita degli affetti.

Per questo il personaggio di Miguel O’Hara è così tanto grigio: avendo vissuto sulla sua pelle cosa significa davvero andare contro il canone e vivere solamente per sé stessi, lo impone giustamente (?) anche a tutti gli altri.

Ma Miles è ancora troppo giovane, troppo inesperto – ancora una volta – e non è pronto ad affrontare un nuovo trauma in così poco tempo. Un trauma che, con ogni probabilità, lo porterebbe ad una distruzione della sua identità e a chiudersi in sé stesso.

E allora cos’è più importante?

Salvare sé stessi o salvare il multiverso?

Spider-Man: Across the Spider-Verse finale spiegazione

Il finale di Spider-Man: Across the Spider-Verse è piuttosto oscuro.

Quantomeno inizialmente Gwen ottiene un finale positivo: anche se scopre che per colpa sua il padre ha lasciato il lavoro da poliziotto, in questo modo non diventa capitano della polizia, non seguendo quindi la strada del canone che l’avrebbe portato alla morte.

Invece il finale di Miles è quasi macabro.

Finalmente pronto ad affrontare i suoi genitori per rivelare la sua identità segreta, il protagonista si confida con la madre, che sembra non capire di cosa stia parlando. E, se in un primo momento la situazione sembra credibile, minuto dopo minuto la verità comincia ad emergere…

Miles Morales in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

Miles ha sbagliato universo, è finito in quello da cui deriva il ragno che l’ha morso, dove proprio per questo manca uno Spiderman. E non è neanche la cosa peggiore: Miles, perdendo il padre e non essendo morso dal ragno, è diventato un supercattivo, Prowler.

Ed è piuttosto credibile: nel primo film veniva raccontato quanto Miles fosse legato allo zio, quindi è altrettanto comprensibile che, in mancanza di un’altra strada, si sia lasciato sedurre dalla possibilità di essere super, ma dalla parte sbagliata…

Spider-Man: Across the Spider-Verse Andrew Garfield Donald Glover

Spider-Man: Across the Spider-Verse è il miglior racconto del multiverso di Spiderman portato finora al cinema.

La tecnica narrativa e artistica si arricchisce, portando nuovi e fantastici personaggi, ognuno definito da una propria estetica, peculiare e unica: dallo Spider Punk all’Avvoltoio di Età Rinascimentale.

Ma anche Gwen ha una propria identità visiva, quasi espressionista: una realtà molto sfumata, che cambia a seconda delle sue emozioni.

Un multiverso incredibilmente intelligente, che riesce anzitutto a portare un’ironia metanarrativa particolarmente indovinata:

Ma, soprattutto, sembra mettere finalmente un punto al rapporto fra live action e realtà animata nell’Universo Marvel-Sony.

Semplicemente, i personaggi in live action rimangono tali, non cambiano entrando nell’universo animato. E così il film si collega a tutti gli altri Spiderman della Sony, in maniera molto più organica rispetto a No Way Home (2021).

Ma il collegamento più importante è anche quello che potrebbe sfuggire: Donald Glover nei panni di Prowler, che molti potrebbero essersi dimenticati che è apparso – pur con un minutaggio limitato – in Spiderman: Homecoming (2016):

Quindi già al tempo sapevamo dell’esistenza di Miles Morales nell’universo live action.

Quindi è probabile che questi due mondi – animato e live action – rimangano divisi – e che altrettanto probabilmente ci sarà un Miles Morales diverso in live action (nel già annunciato film) e un sequel di No Way Home, che sembra già essere in produzione.

Così, se tutto va bene, non faranno un disastro.

Categorie
2023 Avventura Azione Cinecomic Comico Dramma romantico Drammatico Fantascienza Film Guardiani della Galassia MCU Nuove Uscite Film Oscar 2024 Racconto di formazione

Guardiani della Galassia Vol. 3 – Farewell?

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) è l’ultimo (?) capitolo della trilogia omonima creata e diretta da James Gunn per l’MCU.

A fronte di un budget piuttosto importante di 250 milioni di dollari, è stato il quarto maggior incasso del 2023, con 845 milioni di dollari al botteghino.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

in neretto le vittorie

Migliori effetti speciali

Di cosa parla Guardiani della Galassia Vol. 3?

Subito dopo lo Speciale di Natale, i Guardiani si trovano nella loro base, ma improvvisamente una nuova minaccia fa capolino…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Guardiani della Galassia Vol. 3?

Chris Pratt in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

In generale, sì.

Guardiani della Galassia Vol. 3 è un film fatto davvero apposta per i fan – dell’MCU, ma soprattutto del brand. Al punto che, per godere appieno della visione, è quantomai necessario vedere lo Speciale di Natale rilasciato nel 2022: la vicenda prende le mosse proprio da lì.

In generale, è un film che lavora moltissimo sul lato emotivo, con l’evidente intenzione – purtroppo per ovvi motivi – di chiudere dignitosamente tutti i personaggi, rischiando però in molti punti di forzare certe caratterizzazioni…

Ma, se siete fan dei Guardiani, ve ne innamorerete.

Il protagonista assente?

Rocket in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Una particolarità di Guardiani della Galassia Vol. 3 è il cambio di protagonista.

Nonostante infatti si cerchi di dare più o meno spazio a tutti, il centro emotivo non è più Star Lord, ma Rocket e il suo passato. Tuttavia, il personaggio è assente dalla scena per la maggior parte della pellicola, vivendo solamente nei flashback.

Una storia piuttosto dolorosa, che ridimensiona il personaggio e lo porta su binari meno esplorati finora, con un’inedita crudeltà che domina la scena – pur perfettamente nascosta grazie ad una tecnica registica estremamente abile.

Rocket in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Per quanto mi sia profondamente emozionata nel veder raccontare la sua storia – che ha toccato tutti i tasti giusti – d’altra parte un po’ mi è dispiaciuto vedere così poco in scena quel Rocket a cui ero abituata finora, uno dei miei personaggi preferiti dei Guardiani…

Ma ho comunque apprezzato che la missione della pellicola fosse il suo complesso e intricatissimo salvataggio, preferendola ad una narrazione più tipica con il villain di turno da sconfiggere – soprattutto per il collegamento emotivo che è riuscito a creare.

E a questo proposito…

Il villain nelle retrovie

Will Poulter in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Adam Warlock, interpretato dalla stella nascente Will Poulter, era stato venduto se non come il villain principale, sicuramente come una figura importante nel film.

E invece è tutto il contrario.

Un personaggio che è stato quasi sicuramente riscritto e di gran lunga ridimensionato, diventando una sorta di antagonista di contorno, con una caratterizzazione piuttosto abbozzata ed un arco evolutivo altrettanto debole.

Per quanto non avrei personalmente voluto che fosse più centrale nella scena – anzi, l’avrei direttamente eliminato – mi dispiace per l’attore, per cui questo film doveva essere probabilmente un punto di svolta per la sua carriera…

Ma parlando del vero villain…

Un villain per ogni occasione

Chukwudi Iwuji  in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Ho decisamente apprezzato l’Alto Evoluzionario.

Come nel precedente capitolo, Gunn ha scelto di scrivere un villain che fosse profondamente legato ad uno dei personaggi. E questo carattere così altalenante, che passa da una finta docilità ad una rabbia distruttiva, unito al suo totale disinteresse per il valore della vita, ai miei occhi l’ha avvicinato ad un altro villain importantissimo dell’MCU.

Thanos.

Anche se ovviamente l’Alto Evoluzionario non ha la medesima profondità ed importanza, presenta la stessa malvagità giustificata del villain della Saga dell’Infinito, in questo caso nel ruolo di un dio generoso quanto vendicativo. E l’ottima performance di Chukwudi Iwuji ha fatto il resto.

I secondari al centro

Mantis in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Dovendo dire addio per sempre ai suoi personaggi, James Gunn ha voluto dare ad ognuno un proprio arco evolutivo ed una conclusione.

L’esempio più evidente è Mantis.

Personaggio introdotto come secondario in Guardiani della Galassia Vol. 2, con un ruolo da protagonista nello speciale, Mantis ha un’evoluzione essenziale quanto brusca: viene emotivamente più approfondita, diventando al contempo anche quasi aggressiva.

Inoltre, si scopre come i suoi poteri possano essere essenziali non solo come supporto emotivo per il gruppo, ma anche all’interno degli stessi combattimenti e delle intrusioni. E da quello ne deriva il suo finale: l’inizio di un viaggio per riscoprire sé stessa.

Drax in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Drax è un discorso a parte.

Il suo personaggio di per sé non ha un cambiamento significativo, anzi rimane per certi versi troppo uguale a sé stesso. Infatti, la sua comicità è fondamentalmente sempre identica: indubbiamente divertente ma, arrivati al terzo film, non ugualmente brillante come poteva apparire all’inizio…

Ma la parte importante è il suo finale: al pari di Star Lord, anche Drax capisce che è il momento di fermarsi, non essere più Il Distruttore, ma un padre per la nuova famiglia che si è creato. E, anche se è fin troppo didascalica, è comunque una conclusione che mi è parsa coerente e che ho nel complesso apprezzato.

Un protagonista indebolito?

Chris Pratt e Zoe Saldana in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

In questo capitolo, Star Lord è un personaggio estremamente legato all’emotività.

Sia per il salvataggio di Rocket – di cui è il principale motore – sia per la relazione con Gamora. Se per certi versi la sua rappresentazione è forse troppo melensa e il suo rapporto con l’ex-compagna troppo insistente, probabilmente non si poteva fare diversamente.

Infatti, Peter aveva mostrato fin da subito un interesse per una ragazza che faticava anche solo ad accettarlo nella sua vita, con un rapporto, soprattutto sulle prime, assai antagonistico – in particolare da parte di Gamora – che si risolveva solo alla fine del secondo capitolo.

Zoe Saldana in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Tuttavia, ho personalmente apprezzato la conclusione.

Gunn ha scelto saggiamente di non abbassarsi alle dinamiche più tipiche da commedia romantica, con un ricongiungimento amoroso sul finale, magari costruito in maniera pure poco credibile e interessante.

Si mostra invece come Gamora ritorni ad un’altra famiglia, quella che ha ritrovato in questa realtà, e che non deve per forza di nuovo legarsi né a Quill né ai Guardiani – e trovando come loro una inaspettata nuova forma.

Ci saranno altri film sui guardiani della galassia?

All’indomani dell’uscita di Guardiani della Galassia Vol. 3, la maggior parte degli attori ha chiuso le porte a future partecipazioni alla saga.

Zoe Saldana (Gamora) non ha dimostrato ulteriore interesse per l’MCU – e, essendo legata all’estremamente redditizio brand di Avatar, non ne ha francamente neanche bisogno…

Dave Bautista (Drax) ha scelto una via più drammatica per la sua carriera – recentemente come protagonista di Army of the Dead (2021) e Bussano alla porta (2022). Gli altri due personaggi – Mantis e Nebula – per quanto interessanti, non sono così tanto di richiamo da farli riapparire né in singolo né in gruppo.

Come se non bastasse, Sean Gunn, fratello del regista, non solo interpreta l’ex-ravager Kraglin, ma dà anche le movenze a Rocket – e non è da sottovalutare la sua eventuale, ma quasi scontata, assenza…

Una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Quindi è l’ultimo film sui Guardiani?

Secondo me, per tutti i motivi di cui sopra, sì.

E questo anche perché questo brand è troppo legato alla figura di James Gunn, che nel prossimo futuro avrà decisamente molte e altre gatte da pelare…

Tuttavia, rimane la questione Star Lord – che, a quanto pare, ritornerà. Visto l’andamento di carriera di Chris Pratt, che avuto i suoi momenti più economicamente interessanti solo legandosi a grandi brand, non mi stupisce che abbia stretto un altro accordo con l’MCU.

Ma, per quali prodotti, è ancora un grande mistero…

Dove si colloca Guardiani della Galassia 3?

Come i precedenti capitoli di Guardiani della Galassia, anche il terzo film della saga è totalmente autonomo.

E, nonostante sembri che siano passati solo pochi mesi da Guardiani della Galassia (2014), il film si colloca nel 2024, quindi sia dopo Endgame (2019), sia dopo lo Speciale di Natale.

È il secondo film della Fase Cinque.