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2025 Commedia Dramma familiare Drammatico Film Oscar 2025

A Real Pain – Crocevia

A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg è la sua seconda opera come regista.

A fronte di un budget minuscolo – 3 milioni di dollari – è stato nel complesso un ottimo successo commerciale: 21 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per A Real Pain (2024)

(in nero le vittorie)

Migliore attore non protagonista per Kieran Culkin
Miglior attore protagonista per Jessie Heisenberg

Di cosa parla A Real Pain?

David e Benji sono due cugini statunitensi che viaggiano in Polonia per riscoprire le loro origini ebraiche, in particolare la casa della nonna defunta. Ma è un viaggio o qualcosa di più?

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere A Real Pain?

Assolutamente sì.

A Real Pain è uno di quei film di cui ti innamori e non sai neanche perché, finché non ti accorgi che, partendo da una vicenda particolare, si racconta invece una tematica universale e vicinissima allo spettatore, ma senza imporgli nessuna morale.

Infatti la seconda opera da regista di Heisenberg è un semplice spaccato di due protagonisti che affrontano il dolore e cercano salvezza, nonostante la via per la stessa sia più sfumata e complessa di quanto si potevano aspettare.

Insomma, da scoprire assolutamente.

Contrasto

Kieran Culkin in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

L’incipit di A Real Pain è comprensibile solo alla fine.

Mentre Benji è serenamente seduto nella sala d’attesa dell’aeroporto, si rincorrono più sequenze in cui il suo compagno di viaggio, David, cerca di ripercorrere le sue tracce, visibilmente angosciato dalla prospettiva che il cugino sia anche più in ritardo di lui…

…in un inseguimento che sfocia in una definizione apparente.

Infatti, questo contrasto così apparentemente rivelatorio del carattere dei due personaggi – l’uno più disorganizzato e ritardato, l’altro più sereno e puntuale – racconta invece la profonda ansia di David nei confronti di Benji, di non saperlo ritrovare, di non poterlo salvare un’altra volta.

Benji è infatti incontrollabile.

Forza

Kieran Culkin e Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Benji è una forza vitale inarrestabile.

Tutta la dinamica iniziale fra i due cugini racconta come David cerchi disperatamente di comprendere, controllare, in qualche misura persino domare il suo quasi fratello, che invece sembra l’unico che possa dettare le regole del gioco, sovrastandolo costantemente con la sua ingombrante presenza.

L’atteggiamento di Benji è infatti un continuo sparo nel buio, un vivere di istinti e senza quell’ossessione per la cautela e la razionalità ad ogni costo che invece infesta la mente di David, sempre pronto a scusarsi per il comportamento fuori luogo del cugino…

…che invece, a sorpresa, è in ogni momento vincente.

Per questo fa così paura.

Vincente

Qual è la salvezza vincente?

David segue una via più sicura, quanto più impegnativa: mettersi sulle spalle la sicurezza di una vita ordinaria, terribilmente borghese, che ai suoi occhi rende giustizia all’eredità dolorosa della sua famiglia, diventando anzi il riscatto della stessa.

Al contrario, Benji abbraccia il caos, vive alla giornata e senza meta, coglie ogni occasione per sbaragliare le carte in tavola e, al contempo, è capace di scoprire più da vicino i profondi sentimenti di ogni persona con cui si interfaccia, riuscendo a dirgli non quello che vorrebbe, ma quello di cui ha bisogno in quel momento.

 Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Uno slancio che potrebbe tradursi un’altra rovinosa caduta, impressa indelebilmente nella memoria del cugino, che ha visto Benji distruggere se stesso proprio nel suo non trovare una destinazione sicura, nel suo vivere in qualche modo la vita degli altri, senza mai prendere una decisione per la propria.

E questo viaggio non lo salverà.

Crocevia

David – e lo spettatore stesso – si aspetta una redenzione di Benji.

Il viaggio dovrebbe infatti essere l’occasione per riscoprire la radice del dolore, e per saperlo così affrontare e, finalmente, domare, attraverso un percorso di simboli – come la pietra sulla tomba – che non hanno significato se non per i protagonisti stessi.

Invece l’ordinarietà della casa della nonna racconta come la salvezza alla fine del viaggio sia solo un’illusione, e che lo stesso non è altro che uno spaccato doloroso di una storia che non ha ancora trovato una propria conclusione, ma che anzi ritorna inevitabilmente al punto di partenza.

Kieran Culkin e Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Proprio per questo è tanto più significativo che infine David cerchi ancora una volta di ricondurre Benji ad una destinazione sicura, prima con lo schiaffo che pensa possa essere il momento del risveglio, poi con l’invito a far parte della sua ordinarietà controllata.

Ma non è ancora il momento di Benji.

Come David infatti ritorna ad una realtà solida e sicura, e rende la pietra memoriale della nonna un altro piccolo tassello per la costruzione della stessa, al contrario il più scapestrato cugino si ferma proprio nel luogo che rappresenta di più la sua attuale condizione.

L’aeroporto è infatti un crocevia che apre a più vite possibili, il luogo per chi ancora una scelta non l’ha fatta…

…restando ad osservare la più sicura esistenza di chi li circonda.

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2024 Animazione Avventura Film Oscar 2025 Postapocalittico Racconto di formazione

Flow – Insieme

Flow (2024) di Gints Zilbalodis è un film animato muto, il primo film lettone ad essere candidato agli Oscar come Miglior film internazionale.

A fronte di un budget piccolissimo – 3.5 milioni di dollari – è stato nel complesso un buon successo commerciale: 17.5 milioni di dollari in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per Flow (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film d’animazione
Miglior film internazionale

Di cosa parla Flow?

Il protagonista è un gatto che si immerge in un realtà apparentemente post-apocalittica con improbabili alleati incontrati lungo la strada.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Flow?

Assolutamente sì.

Flow è uno di quei prodotti indipendenti che emergono a sorpresa in un panorama al limite della saturazione, che però si sta rinnovando con sperimentazioni di tecnica mista che vanno dalle grandi produzioni come Il robot selvaggio (2024) fino a prodotti più piccoli – ma di valore.

Un effettivo esempio di arte povera, che lavora efficacemente coi pochi mezzi che ha, fra cui la mancanza del doppiaggio parlato, che diventa in realtà un valore dell’opera nel riuscire a portare in scena le dinamiche animali in maniera il più possibile reale.

Solo

Il gatto protagonista è solo.

Muovendosi in un ambiente abbandonato dall’umano per motivi imprecisati, la lotta diventa esclusivamente animale, totalmente selvaggia, dove il più forte ha inevitabilmente la meglio, dove un branco di cani rabbiosi vuole avere il dominio su tutto, terrorizzando il povero protagonista.

Il primo compagno sembra un altro solitario avventuriero, un capibara totalmente innocuo che lascia che il gatto viva insieme a lui nella sua barca di fortuna, lasciando pigramente salire chiunque lo desideri.

Ma il mondo del branco è ben più ostile.

Branco

Flow gioca molto sul concetto di branco e di smarcarsi dallo stesso.

Infatti in più momenti i personaggi si trovano a cercare una vita alternativa al di fuori della sicurezza del gruppo: il primo è proprio il curioso serpentario, che, per la sua imponenza, terrorizza il gatto, ma che cerca una via di pace offrendogli un pesce appena pescato.

Un tentativo di fatto inutile, perché l’uccello viene subito soverchiato dal resto del branco, che pensa prima di tutto a sé stesso raccogliendo il pesce per la propria prole, e che anzi gli si rivolta violentemente contro quando cerca di difendere il suo nuovo amico.

Una lezione di vita importante, che però non è subito colta dall’invece piuttosto ingenuo ed entusiasta labrador, che cercherà di coinvolgere i suoi compagni nel neonato gruppo, non riconoscendone pericolosità e il dannoso egoismo. 

Infatti, la minaccia è duplice.

Minaccia

Gli antagonisti di Flow sono due.

Uno reale, uno apparente.

Il nemico reale è un concetto: l’egoismo e la volontà di subordinare chiunque ci si metta contro, che si concretizza nel già citato branco di cani, che prima terrorizza il gatto, poi, accolto sulla nave, si impossessa senza ritegno del pesce faticosamente raccolto e rompe per dispetto lo specchio del lemure.

Un concetto in parte presente anche nella testarda solitudine del protagonista, che invece nel corso della pellicola impara a lavorare all’interno di un gruppo, anzi imparando dallo stesso – riuscendo a superare la paura dell’acqua e raccogliendo abbastanza pescato da sfamare i suoi compagni.

La minaccia apparente è invece l’immenso capodoglio che infesta le acque della città sommersa, una presenza che fa subito risalire il gatto sulla barca per paura di essere sbranato, ma che in realtà si limita ad esistere pacificamente accanto ai protagonisti protagonista, mostrandosi nella sua immensità.

Ma è una minaccia apparente perché lo stesso è vittima di quell’abbassamento delle acque che è invece la salvezza del gruppo, che riesce infine a vivere sulla terraferma senza paura di rimanere risucchiato dai flutti, essenziali per la sopravvivenza dell’enorme mammifero.

E proprio questa scena ci permette di comprendere il finale – e, per estensione, l’intera pellicola.

Flow significato

Il film può essere letto in due direzioni: per dichiarazione dello stesso regista, la pellicola racconta il percorso complesso ma necessario dell’imparare a lavorare in gruppo, nonostante le differenze e i timori, non mettendo più se stessi al primo posto – ma anche scegliendosi i giusti compagni.

Lo si capisce soprattutto nel comportamento dell’uccello segretario, che litiga con tutti per non far salire sulla barca i cani – che infatti si rivelano infidi ed egoisti fino all’ultimo – che si getta in un enigmatico sacrificio a cui segue la salvezza dell’intero gruppo. 

In senso più ampio, anche vista l’ambientazione serenamente post-apocalittica, l’opera può essere vista come racconto della necessità dell’umano di collaborare per non essere autore della propria distruzione, dettata  da un continuo egoismo che non avvantaggia davvero nessuno…

…e, in senso più ampio, nel finale si racconta la presa di consapevolezza del gruppo, che acquisisce comprensione del proprio esistere specchiandosi in quell’acqua che può essere ora salvezza, ora minaccia, a seconda di quale punto di vista la si guarda.

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2024 2025 Dramma familiare Dramma romantico Drammatico Film Musical Oscar 2025 Surreale

Emilia Pérez – La bizzarra seconda occasione

Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard è un musical con protagoniste Zoe Saldana e Karla Sofía Gascón.

A fronte di un budget discreto – 21 milioni di euro – è stato un pesante insuccesso commerciale, non riuscendo neanche a coprire le spese di produzione.

Candidature Oscar 2025 per Emilia Pérez (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Miglior film internazionale
Migliore regista
Miglior attrice protagonista per Karla Sofía Gascón
Migliore attrice non protagonista per Zoe Saldana
Migliore sceneggiatura non originale
Miglior fotografia
Migliore colonna sonora originale
Migliore canzone originale
Miglior trucco e acconciatura
Migliore sonoro

Di cosa parla Emilia Pérez?

Rita è un’avvocata praticante sistematicamente sfruttata dal suo studio legale. Ma un’occasione di riscatto è dietro l’angolo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Emilia Pérez?

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

In generale, sì.

Emilia Pérez è stato, fra le altre cose, ampiamente discusso per il taglio narrativo, che presenta non pochi inserti musicali piuttosto bizzarri, che rendono la narrazione al limite del fantastico, del teatrale, pur raccontando tutto sommato una storia molto semplice.

Infatti, se riuscirete a digerire la particolarità del lato musical, potreste arrivare ad apprezzare una pellicola che infine non è altro che un dramma piuttosto toccante sulla seconda occasione di personaggio insospettabile: un boss di un cartello della droga messicano.

Insomma, dategli una chance.

Spaesamento

Zoe Saldana in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Personalmente, ho mal digerito l’elemento musicale di Emilia Pérez.

Ma forse è proprio questo il punto.

Fin dalle sue primissime battute la pellicola gioca su questo peculiare contrasto fra un racconto piuttosto amaro e angosciante, che esplode improvvisamente in numeri musicali più propri forse del teatro che del cinema, soprattutto per le sue coreografie decisamente bizzarre.

Selena Gomez in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

L’elemento musicale è inoltre uno strumento fondamentale per definire la protagonista, che ci appare in prima battuta come una spietata boss del crimine, ma che nel cantato esprime i suoi più intimi sentimenti di cambiamento, di cui la transizione è solo il primo passo.

E proprio qui si sviluppa il discorso cardine della pellicola.

Rinascita

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Emilia vuole rinascere.

La nuova vita che la protagonista regala a Rita è solamente il primo passo della sua sistematica ridefinizione del sé, che la porta a ripercorrere le strade già battute della scena criminale messicana, ma in una veste del tutto nuova: non più aguzzina, ma salvatrice di un popolo di oppressi.

E la protagonista vuole raccontarsi in questa nuova identità anche nei confronti della famiglia che ha di fatto abbandonato, ma con cui cerca di ricongiungersi proprio nella sua immagine di salvatrice di un nucleo affettivo profondamente colpito dall’abbandono del padre.

Un tentativo di riappacificazione piuttosto disordinato e disattento, in cui Emilia sembra incapace di mantenere intatta questa nuova identità, dimostrandosi cambiata di aspetto ma non di atteggiamento, continuando a comportarsi con i suoi figli e, soprattutto, con la moglie, come se nulla fosse successo.

Infatti, il suo linguaggio è rivelatorio.

Passato

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Emilia può davvero rinascere?

Nonostante i buoni sentimenti del suo progetto, la protagonista ricade ripetutamente in comportamenti che l’avevano definita nel passato, con il linguaggio della violenza domina costantemente la scena, persino in opere di bene come il salvataggio della vedova…

Karla Sofía Gascón e Zoe Saldana in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Un comportamento che si riflette in grande nella scelta dei benefattori per la sua causa umanitaria, in piccolo nel rapporto con la sua famiglia, da cui si rifiuta di separarsi, vivendo il nuovo matrimonio della moglie – e la sua personale rinascita – come un profondo ed imperdonabile tradimento.

Ma violenza è da entrambe le parti.

La stessa Jessi è cresciuta in un contesto in cui la violenza è la moneta di scambio, rispondendo colpo su colpo ai beceri tentativi di Emilia di limitare la sua libertà, la sua autodeterminazione, in un disordinato ultimo atto che porta tutti i protagonisti all’inevitabile autodistruzione.

E la chiusura della pellicola è assolutamente emblematica nel suo essere volutamente grottesca mentre mostra Emilia Pérez definitivamente consacrata nel suo ruolo di salvatrice, con tratti volutamente cristologici, raccontando come un cambiamento, tutto sommato, sia effettivamente avvenuto.

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Biopic Dramma storico Drammatico Film Oscar 2025

The Apprentice – Tagliare il filo

The Apprentice (2024) di Ali Abbasi è un biopic dedicato ai primi anni dell’ascesa di Donald Trump.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 16 milioni di dollari – è stato un pesante flop commerciale, riuscendo a malapena a superare i costi di produzione.

Candidature Oscar 2025 per The Apprentice (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior attore protagonista per Sebastian Stan
Miglior attore non protagonista per Jeremy Strong

Di cosa parla The Apprentice?

New York, 1973. Donald Trump è un giovane immobiliarista che gestisce gli appartamenti del padre. Ma un incontro fortuito gli cambierà per sempre la vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea: 

Vale la pena di vedere The Apprentice?

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Assolutamente sì.

The Apprentice aveva l’arduo compito di tratteggiare le origini di un personaggio molto controverso e già di per sé estremamente parodiabile, senza però scadere in un taglio ridicolo che non avrebbe aggiunto niente ad una storia che il pubblico conosce già.

E ci è riuscito: Sebastian Stan, già da tempo allontanatosi dalla scena più mainstream, riesce a portare in scena il giovane magnate mantenendone i tratti distintivi, ma senza mai esasperarli – anche perché non v’è né alcun bisogno.

Insomma, da recuperare.

Improvvisato

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

La situazione iniziale di Trump appare davvero sconclusionata.

Per quanto il protagonista voglia raccontarsi come un brillante imprenditore, la sua vita è in realtà scandita dalla sua totale impreparazione nella gestione ora degli appartamenti del padre – in cui si scontra con una schiera di personaggi di dubbio gusto – ora della causa che la sua famiglia è costretta a subire.

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Insomma, in questo frangente The Apprentice segna un punto di partenza fondamentale per la narrazione, smentendo la naturale predisposizione per gli affari che il personaggio millanta di sé stesso, raccontandolo invece nella sua totale incapacità nel gestire anche solo una realtà immobiliare così piccola.

Per questo Roy Cohn è la chiave del suo successo.

Vincere

Jeremy Strong in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Roy è un vincente.

La costruzione del suo personaggio è minuziosa, basata sulla profonda consapevolezza che l’apparenza è la chiave della vittoria: Roy non è realmente un vincitore, ma sembra un vincitore, e per questo tutti vogliono essergli amici, tutti vogliono essere inclusi nella sua aura benefica.

E infatti i rapporti sono molto più importanti dei soldi.

Jeremy Strong e Sebastian Stan in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Il suo personaggio sceglie di prendere sotto la sua ala un giovane promettente a cui insegna tutti i trucchi per sfoggiare un’apparenza sgargiante e desiderabile, scegliendo consapevolmente di non accettare i suoi soldi – che Donald fra l’altro non ha…

…investendo così nel futuro.

Ma Donald forse non è il cavallo giusto su cui puntare.

Ombra

Jeremy Strong e Sebastian Stan in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Donald non è capace di agire nell’ombra.

Il panorama sociale che ruota intorno a Roy è basato unicamente su un’apparenza così fragile che basta un qualunque, maligno pettegolezzo per essere minata, motivo per cui l’abile avvocato si premura di munirsi di tutti gli strumenti necessari per forzare tutte le situazioni a suo favore..

E Donald ne è totalmente disorientato, come ben racconta il caos della festa da cui viene assorbito, e in cui scopre quando la figura di Roy sia artefatta, proprio svelandola nella sua intrinseca contraddizione: come l’omosessualità segreta è un’arma facilmente utilizzabile contro i suoi nemici…

…la stessa è un segreto neanche troppo nascosto dello stesso Roy.

E questo precario equilibrio di apparenze e mosse calcolate è una strada che Trump non è capace di percorrere.

Eccesso

Sebastian Stan nei panni di Trump in una scena di The Apprentice (2024) di Ali Abbasi

Trump vive di eccessi.

Come gli viene data la spinta iniziale per promuovere la sua prima, grande impresa immobiliare – la Trump Tower – il protagonista, nonostante gli avvertimenti Roy, si lancia in maniera sconsiderata in infiniti nuovi progetti che servono solo ad alimentare il suo ego.

In questo senso il film ben racconta come Trump non avesse l’intelligenza di scegliere le imprese che lo potessero meglio rappresentare, finendo per costruirsi l’immagine di miliardario sguaiato e senza freni, che si associa semplicemente a ogni proposta che possa diventare un’ulteriore macchina dei soldi…

…nella totale inconsapevolezza e ignoranza.

Infatti, per quanto il protagonista abbia compreso l’importanza delle apparenze, le costruisce nel modo più sbagliato: come Roy si allena ogni giorno per avere un fisico scattante, Trump si sottopone ad orribili e deleterie operazioni chirurgiche per perdere peso, come Roy mantiene un aspetto asciutto e controllato…

…i primi anni dell’ascesa di Trump raccontano già l’immagine – fra il cerone e il trapianto di capelli – quasi parodistica che fece di sé stesso.

E, infine, si riscrive pure in maniera ben poco credibile.

L’intervista finale racconta molto bene come, arrivati a questo punto, Trump si senta invincibile, e di come conseguentemente, nel suo sconfinato egocentrismo, diventi del tutto dimentico degli aiuti esterni che l’hanno portato nella sua attuale posizione…

…dando il merito del suo successo al proprio istinto rapace che l’ha definito come vincente.

E il resto è storia.

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2024 Dramma familiare Dramma romantico Dramma storico Drammatico Film Oscar 2025

The Brutalist – L’impossibilità della costruzione

The Brutalist (2024) di Brady Corbet è un dramma storico con protagonista Adrien Brody.

A fronte di un budget di circa 10 milioni di dollari, è già un buon successo commerciale: 25 milioni di dollari in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per The Brutalist (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Miglior regista
Migliore attore protagonista per Adrien Brody
Migliore attore non protagonista per Guy Pearce
Miglior attrice non protagonista per Felicity Jones
Migliore sceneggiatura originale
Miglior fotografia
Migliore colonna sonora originale
Migliore montaggio
Miglior scenografia

Di cosa parla The Brutalist?

László Tóth è un architetto ebreo che, salvatosi dallo sterminio nazista, emigra negli Stati Uniti. Ma l’accoglienza è solo apparentemente calorosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Brutalist?

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

In generale, sì.

Purtroppo non riesco ad unirmi al coro di entusiasmo riguardo a questa pellicola, che ho sentito, per via delle tematiche raccontate, profondamente lontana da me, oltre che per certi versi inutilmente prolissa nella narrazione di un tema che mi sembrava già ampiamente esplorato già a metà della visione.

Tuttavia, non ne posso che riconoscere l’importanza artistica e soprattutto storica, che si collega drammaticamente alla contemporaneità con un taglio narrativo a tratti straziante, genuinamente disturbante, anche grazie agli ottimi attori protagonisti. 

Salvo

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

László è salvo…?

L’arrivo negli Stati Uniti è accompagnato da un sincero entusiasmo, che sembra confermato anche dalla calorosa accoglienza da parte di Attila, che si accompagna alla felice notizia della sopravvivenza della moglie, che ormai il protagonista pensava perduta.

Tuttavia, già qui troviamo degli elementi discordanti.

Nonostante la coppia sembri accogliere László con grande altruismo, lo stesso Attila racconta l’inevitabile cambio di passo della comunità ebraica, costretta a mutare faccia e natura per farsi accettare dagli Stati Uniti, solo apparentemente accoglienti nei confronti dei rifugiati.

Un’insofferenza sotterranea che esplode in concomitanza con l’incidente della famiglia Harrison, e che si aggrava con le accuse infondate da parte della moglie del cugino, che porta il protagonista ad essere definitivamente messo ai margini.

Ma una redenzione è forse dietro l’angolo…

Discrepanza

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

Il crescendo del rapporto con Harrison è solo un’ulteriore conferma della discordanza che domina la vita di László.

La stessa rappresenta in piccolo l’atteggiamento occidentale nei confronti della comunità ebraica, verso la quale riconosceva un’importante responsabilità, e che era effettivamente desiderosa di riscoprire per il capitale intellettuale racchiuso nella stessa, ma senza mai renderla sua pari.

Non a caso, il progetto può essere riletto come una rappresentazione della fondazione della stessa Israele, ma che si accompagna ad una sostanziale marginalizzazione degli ebrei: come László è a parole elogiato e premiato, nelle retrovie già solo la sua rozza sistemazione è indice del vero sentimento della famiglia che lo ospita.

E l’arrivo della moglie è l’inizio dell’ecatombe.

Rimorso

Adrien Brody e Felicity Jones in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

Più mi avvicinavo alla seconda parte del film, meno riuscivo a raccapezzarmi della sua storia.

E vorrei dire che l’elemento che più mi ha confuso sia a moglie, ma la stessa alla fine è del tutto comprensibile nel contesto del film: per me è abbastanza immediata l’associazione metaforica fra la Erzsébet e il peso delle radici che il protagonista deve portarsi sulle spalle in maniera piuttosto opprimente.

La lettura può proseguire anche in altre direzioni: un’eredità mutilata e che, nonostante le speranze, non potrà mai veramente rimarginarsi, e al contempo il sentimento di imposizione rappresentato, in maniera più o meno condivisibile, tramite lo stupro da parte di una donna – e di un simbolo – che è diventato insopportabile.

È tutto il resto che mi confonde terribilmente.

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

L’andamento della seconda parte l’ho trovato per molti versi superfluo, inutilmente prolisso nel raccontare, anzi nel sottolineare una narrazione simbolica che mi sembrava già conclusa un’ora prima, un’esasperazione di quanto già visto con un’ulteriore scena di violenza sessuale.

Quello che mi è risultato chiaro è quanto personale ed identitaria fosse diventata la costruzione per László, tanto da investirci finanze proprie per concludere un progetto rappresentativo della sua riaffermazione sociale, tramite la ricostruzione di uno spazio che gli era stato sottratto negli anni della guerra…

…che mi allontana ancora di più dalla pellicola.

Universale?

Adrien Brody in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

La mancanza di interesse nei confronti di una tematica non è un difetto dell’opera…

…ma non posso che sottolinearla.

Nonostante il regista abbia tentato di ricondurre la narrazione ad un tema più universale e contemporaneo – il dramma dell’immigrazione – purtroppo proprio per specificità sopra descritte, l’ho trovata al contrario una narrazione su una tematica estremamente specifica e definita dal periodo storico.

Guy Pierce in una scena di The Brutalist (2024) di Brady Corbet

A questo si aggiunge un racconto che, nel suo ultimo atto, non è mai riuscito a coinvolgermi, anche perché la narrazione mi appariva un continuo avanti e indietro, che porta ad un finale enigmatico per più motivi: Harrison viene assorbito dalla costruzione di László, e per estensione, da lui stesso? E se sì, perché?

E, ancora di più, cosa intende raccontarci il finale? Che nonostante il turbolento percorso, alla fine László è l’unico che ne è uscito vittorioso?

Concludo la visione con più domande che risposte, e poco interesse a scoprire quest’ultime.

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2024 Commedia Dramma romantico Drammatico Film Oscar 2025

Anora – Sotto una superficie triviale

Anora (2024) di Sean Beaker è un film drammatico con protagonista Mikey Madison.

A fronte di un budget piccolissimo – appena 6 milioni di dollari – è stato nel complesso un ottimo successo commerciale: 36 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per Anora (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore regista
Miglior attrice protagonista per Mickey Madison

Migliore attore non protagonista per Jurij Borisov
Migliore sceneggiatura originale
Miglior montaggio

Di cosa parla Anora?

Anora è una spogliarellista che sembra aver trovato la sua gallina dalle uova d’oro: un giovanissimo ereditiere russo che sembra innamorato perso di lei…?

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Anora?

Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Assolutamente sì.

Anora è uno di quei film che sembrano percorrere strade già ampiamente battute, ma che invece riesce ad ogni passo a sorprenderti con un rapporto molto più crudo e reale di quello che potrebbe sembrare ad una prima occhiata.

Infatti la pellicola è definita da una trama più superficiale, in cui la protagonista è una ragazza senza alcun tipo di vergogna e di remora nello sfruttare le situazioni a suo vantaggio, e una trama più sotterranea e toccante tutta da scoprire.

Sorriso

Mikey Madison in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Anora affronta la sua vita con il sorriso.

La prima inquadratura ci trasporta in un panorama umano piuttosto desolante, in cui ragazze giovanissime diventano prede di un gruppo di uomini allupati, che per un semplice balletto erotico le riempiono di centoni come se nulla fosse.

Ma già da questo frangente emergono le prime crepe.

Mikey Madison in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Nonostante la protagonista sfoggi sempre un sorriso smagliante, già dalla sua intensa ricerca del prossimo cliente emerge come il suo non sia un lavoro di piacere, ma di sopravvivenza, dove le sue entrate dipendono da quanto riesce a raccogliere ogni sera.

E, per comprendere la relazione con Vanja, è importante considerare anche un altro elemento.

Potere

Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Non sono i clienti ad avere potere su Ani, ma il contrario…

…o almeno è quello che lei vorrebbe far credere a se stessa.

Appare evidente fin dal primo incontro con il suo futuro marito che Ani giochi molto con le aspettative dei clienti e con il loro gusto per il proibito, proprio per come racconta furbescamente il suo strusciarsi sul loro pacco come una cosa speciale e vietata che fa solo per Vanja.

Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

E tutte le interazioni successive fra i due mostrano come la protagonista illuda se stessa di avere il totale controllo della situazione, in cui lascia che sia il ragazzo a far di lei quello che vuole, mentre lei ridacchia sommessamente per quanto lo trova ridicolo.

E la situazione si complica solo apparentemente nella settimana di esclusiva, in cui Ani diventa la fidanzata trofeo del giovane miliardario, che però non si limita alle prestazioni sessuali, ma ad un intenso periodo di frequentazione in compagnia dei suoi amici.

Ma è il matrimonio che rovina tutto.

Sogno

Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Dall’esterno, Ani vuol far credere a tutti di essere semplicemente felice di aver trovato un riccone da spennare a suo piacimento…

…ma i suoi comportamenti raccontano altro.

La protagonista cerca di rimodellare la loro relazione così che non sia più un rapporto di clientela, ma di sincero affetto che Ani è convinta che il ragazzo provi nei suoi confronti, partendo proprio dalla sfera erotica.

Infatti fino a questo momento Vanja, anche senza malizia, si era avventato su di lei quasi come se volesse esibirsi, probabilmente ubriaco di un immaginario pornografico del tutto fuorviante…

Mikey Madison in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

…e infine Ani cerca di educarlo perché entrambi si godano veramente l’atto sessuale.

In linea generale, per lungo tempo la protagonista continua a trattare il suo compagno come un bambino che deve essere guidato, forte anche del fatto che Vanja non abbia mai comportamenti predominanti nei suoi confronti, e che il suo innamoramento sembra sincero.

Sembra…

Prova

Mikey Madison in una scena di Anora (2024) di Sean Beaker

Anora ha una visione univoca del mondo.

Abituata a farsi sfruttare da ogni uomo della sua vita – con l’apparente eccezione di Vanja – è drammaticamente comprensibile la sua reazione all’arrivo dei sicari della famiglia Zacharov, nonostante gli stessi siano tutto sommato innocui.

In questo frangente il film mostra nuovamente le sue carte nel riportare il racconto sul piano del reale, spogliando i personaggi di ogni tipo di minaccia e di crudeltà a cui il cinema statunitense ci ha ampiamente abituato, dando alla scena tutto un altro sapore.

Oltre alla sua genuina paura, Anora reagisce in maniera così isterica perché il terzetto – e, soprattutto, Toros – diventa portatore di una verità inaccettabile: per Vanja la protagonista non è altro che l’ennesima avventura che può permettersi di intraprendere senza alcuna conseguenza.

Ma Ani lotta fino all’ultimo per smentire questa realtà sempre più pressante.

Cancellare

Ani non si vuole arrendere.

Durante il rocambolesco inseguimento di Vanja, la protagonista si spegne progressivamente, perdendo sempre di più la sua apparenza brillante e desiderabile, con un aspetto che riflette la sua graduale angoscia.

Infatti praticamente fino all’ultimo Ani si batte per dimostrare che Vanja non l’abbia abbandonata, che il suo amore, le sue promesse erano sincere, e che lei non è solamente una parentesi vergognosa nella storia della famiglia del marito.

Un tentativo così disperato che si scontra costantemente anche con le prove più evidenti dei veri sentimenti di Vanja, totalmente passivo alla situazione e, soprattutto, alla sua famiglia, che entra prepotentemente in scena con lo specifico obbiettivo di cancellare Anora.

E allora è il momento di riscrivere la storia.

Riscrivere

Ani deve di riscrivere la storia a suo favore.

Davanti alla ormai innegabile realtà della vera natura di Vanja, la protagonista ribalta la situazione e la risputa in faccia alla madre, chiosando come suo figlio sia solamente una fighettina incapace di affrontare la situazione senza farsi proteggere dalla sua famiglia.

Una riscrittura che passa anche per le ultime battute del film, quando Ani ha uno scambio piuttosto emblematico con Igor, che la protagonista vorrebbe riscrivere come uno stupratore che si sarebbe approfittato di lei alla prima occasione.

Al contrario, il silenzioso mercenario è l’unico che sembra veramente aver compreso Ani, l’unico che è stato capace di guardare oltre alla facciata che la ragazza ha messo in piedi, e l’unico che vorrebbe avere un rapporto genuino con lei, senza secondi fini.

Per questo, quando le regala l’anello, Ani sente di dover ricambiare il gesto con l’unica arma nel suo arsenale – il sesso – ma rimane raggelata quando l’uomo cerca di baciarla, e quindi di rendere più personale e affettuoso il loro incontro…

…finendo per scoppiare in lacrime davanti alla consapevolezza di essere stata per tutta la sua vita – e ancora una volta – unicamente usata per il proprio corpo.

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Dramma storico Drammatico Film Nuove Uscite Film Oscar 2025

A Complete Unknown – E il resto scompare

A Complete Unknown (2024) di James Mangold è un biopic dedicato a Bob Dylan con protagonista Timothée Chalamet.

A fronte di un budget di circa 60 milioni di dollari, ha avuto una partenza non entusiasmante, che lo porterà probabilmente ad essere un discreto flop commerciale.

Candidature Oscar 2025 per A Complete Unknown (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore regista
Miglior attore protagonista per Timothée Chalamet
Migliore attore non protagonista per Edward Norton
Miglior attrice non protagonista per Monica Barbaro
Migliore sceneggiatura non originale
Migliori costumi
Miglior sonoro

Di cosa parla A Complete Unknown?

La pellicola ripercorre i primi, turbolenti anni della figura di Bob Dylan, personalità che non ha mai voluto farsi inquadrare.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere A Complete Unknown?

In generale, sì.

Non mi sbilancio nel consigliarvi questa pellicola perché, per quanto mi abbia nel complesso anche molto soddisfatto, mi rendo conto che un discrimine fondamentale è la conoscenza pregressa del personaggio e le aspettative nei confronti di un biopic a lui dedicato.

Infatti, non dovete aspettarvi una dissertazione sulla vita di Dylan, ma bensì un bozzetto sulla sua personalità e sugli inizi della sua carriera, in cui i contorni della sua storia e dei vari personaggi di contorno rimangono, appunto, di contorno, venendo poco approfonditi. 

Ma, se questo elemento non vi disturba, è una visione assolutamente consigliata.

Germoglio

Bobby è un germoglio che va coltivato.

I primi momenti della pellicola raccontano programmaticamente un ragazzo molto riservato e chiuso in se stesso, che parla esclusivamente attraverso la sua musica, e che lascia per questo fin da subito incantati i suoi ascoltatori, soprattutto considerando il genere.

Infatti la musica folk appare già in questo frangente in una posizione piuttosto fragile, in cui ogni tassello, anche il più recente, va documentato e archiviato perché sia mantenuto nella memoria collettiva, proprio perché rischia di cadere nel dimenticatoio.

Per questo Dylan – quanto la sua controparte femminile, Joan – è la figura ideale per far appassionare del genere anche le nuove generazioni, che invece si stavano orientando verso un altro tipo di musica nascente – la nuova musica popolare.

Ma Dylan non può essere ingabbiato.

Miccia

Due sono i momenti fondamentali dell’evoluzione del personaggio.

La pellicola riesce molto bene a raccontare la popolarità improvvisa del protagonista, che lo porta ad essere assolutamente irresistibile per il pubblico, preso continuamente d’assalto dai propri fan, e così impossibilitato a vivere una vita normale, con una visione claustrofobica, quasi soffocante.

Una popolarità che si traduce anche in un senso di oppressione, di essere totalmente nelle mani del pubblico, dei suoi manager che vogliono incasellarlo in un ruolo molto preciso, a cui Dylan è fin da subito insofferente, come ben racconta la scena della festa in cui gli viene chiesto di esibirsi…

…e lui sbotta che non vuole essere assoldato per una gig (volgarmente, spettacolino).

Una dinamica che lo accompagna verso il secondo momento fondamentale.

Consapevolezza

Bob Dylan è estremamente consapevole della sua posizione.

Per questo in un primo momento non si ribella, ma anzi cerca di rimarcarla in occasione del Folk Festival, in cui ritorna nelle vesti della star del momento, osservando da dietro le quinte l’esibizione di Johnny Cash, un tempo suo punto di riferimento, ora un semplice relitto del passato. 

Una dinamica che non ha bisogno di parole, ma solamente di un’inquadratura fissa sul sorriso sornione di Dylan che osserva attento l’esibizione di tutto quello che ormai si è lasciato alle spalle, e che ora è pronto a scalzare con la sua inarrestabile popolarità.

Ma non gli basta.

Focus

A Complete Unknown vuole parlare di Bob Dylan.

E basta.

Il protagonista si muove all’interno di un panorama di fantasmi, in cui i contorni della sua vita e i personaggi che la popolarono vivono unicamente in sua funzione, e per questo sono solamente abbozzati – tanto che di alcuni sappiamo praticamente solo il nome.

In questo senso entrano in gioco le aspettative verso la pellicola: come non esiste un modo giusto o sbagliato per produrre un biopic, se siete fan di Bob Dylan forse sarete rimasti contrariati da questa scelta, che vuole totalmente focalizzarsi sul carattere problematico del suo protagonista, ignorando tutto il resto.

Personalmente, pur comprendendo le critiche nei confronti della pellicola, ho apprezzato questo taglio narrativo, anzi sono rimasta estremamente coinvolta da una narrazione così puntuale nei confronti di un artista così problematico di cui non conoscevo che pochi pezzi.

Ma è tutta questione di aspettative, appunto.

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2025 Animazione Avventura Comico Commedia Fantascienza Film Nuove Uscite Film Oscar 2025

Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl – I dettagli fanno la differenza

Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham, tradotto impropriamente in italiano con Le piume della vendetta, è l’ultimo capitolo della fortunata saga omonima in stop-motion.

Il film è stato distribuito da Netflix direttamente in piattaforma.

Candidature Oscar 2025 per Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl?

Wallace e Gromit vivono una quotidianità normale, facendosi largo fra le invenzioni sempre più strambe del primo. Ma forse una sta per sfuggirgli di mano…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl?

Wallace in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Assolutamente sì.

Avevo un ricordo abbastanza fumoso dei prodotti precedenti del duo, ma ricordavo comunque il mio apprezzamento verso i film della saga.

E non sono rimasta delusa.

Vengeance Most Fowl è uno di quei titoli che poteva tranquillamente essere estremamente banale ed infantile, ma che riesce invece a colpire per una particolare attenzione su pochi aspetti essenziali che la rendono un ritorno sullo schermo particolarmente indovinato.

Dipendenza

Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Wallace è dipendente dalle sue invenzioni.

Il quadretto familiare che si compone nel primo atto è il punto di partenza fondamentale della pellicola: il geniale inventore è totalmente dipendente dalla tecnologia, non riuscendo ad essere autonomo neanche nelle attività più semplici – vestirsi e persino addentare un toast a colazione.

Wallace e Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Ma un particolare fondamentale in tutta questa situazione – che risulta essenziale nello sviluppo della storia – è il ruolo di Groomit: le invenzioni del suo padrone non possono agire autonomamente, ma hanno bisogno dell’imprescindibile contributo del fedele compagno.

Di fatto, Wallace non vuole mai lasciare il suo amico da solo.

Anche a costo di essere fin troppo invadente.

Standard

Wallace e Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Il vero problema del Norbot è la spersonalizzazione.

Il proattivo robot da giardino sembra voler scalzare ingenuamente il personaggio di Groomit, riuscendo a copiarne le azioni in maniera decisamente migliore e, soprattutto, ben più rapidamente, seguendo dei precisi standard che rendono ogni sua creazione priva di personalità.

In questo senso è indicativa l’aggressiva invasione degli spazi personali di Groomit, che, a differenza del compagno, ha piacere nel potersi impegnare nel giardino e cosi a renderlo qualcosa di suo, e non un perfetto cortile uguale a tutti gli altri – come infine il Norbot lo rende.

Ma non c’è nessuna malizia nelle azioni di Wallace.

L’ingenuo inventore vuole onestamente migliorare la vita del suo compagno, sicuro che anzi ogni persona al mondo desideri godere dei medesimi, perfetti standard, gli stessi giardini tutti i uguali fra loro – capaci anche di risolvere le scarsità economiche della famiglia.

E per questo è arrivato il momento di parlare Feathers McGraw.

Anomalo

Feathers McGraw in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Feathers McGraw è uno degli elementi che rendono Vengeance Most Fowl così speciale.

Il villain della pellicola prende le mosse dalle classifiche figure del genere: un macchinatore dell’ombra, una mente criminale in cauta attesa della propria occasione per riuscire nuovamente a brillare – e a vendicarsi dell’ignobile cattura.

Ma il suo aspetto è la chiave della deliziosa ironia che lo rende così speciale.

Il volto del malefico pinguino è totalmente inespressivo, proprio perché manca degli elementi fondamentali per poterlo essere: occhi vitrei, nient’altro due punti neri sopra ad un becco abbozzato su cui non è possibile che appaia alcuna smorfia.

E questa sua inespressività si va a scontrare in maniera veramente geniale con il suo subdolo piano, che colpisce proprio al cuore dei suoi nemici, facendo leva sull’ingenuità di Groomit, permettendogli di deviare la personalità del Norbot senza che lo stesso se ne renda conto.

E da qui si sviluppa il punto di arrivo della riflessione della pellicola.

Personalità

i Norbot cattivi in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Le creazioni sono specchio del loro creatore.

Non è un caso che i Norbot Malefici non siano apertamente cattivi: come ci si poteva aspettare un caos irrefrenabile alla Gremlins, al contrario, proprio come Feathers McGraw, la loro cattiveria si basa sullo sfruttare quello che l’ambiente gli concede, riuscendo a tramare nell’ombra…

…senza essere scoperto fino all’ultimo momento.

E, secondo lo stesso concetto, il Norbot nella sua forma originale vuole semplicemente e ingenuamente aiutare chiunque, anche a costo di risultare invadente e fuori luogo -proprio come il suo stesso creatore, Wallace, è nei confronti di Groomit.

Una riflessione apparentemente banale e già vista, ma che in realtà ben si inserisce all’interno di una consapevolezza piuttosto contemporanea di come le nuove tecnologie – particolarmente, l’intelligenza artificiale – non sappiano creare veramente niente da zero, ma definiscano il loro agire in base agli input che gli diamo.

Per questo il Norbot può essere il compagno fondamentale nella vita del duo protagonista, riuscendo infine – al pari di Wallace – ad apprezzare l’insostituibile individualità di Groomit, e agendo intorno alla stessa senza volerla scalzare.

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2025 Avventura Film Grottesco Horror Mistero Nuove Uscite Film Oscar 2025

Nosferatu – Una bellezza già vista

Nosferatu (2024) di Robert Eggers è un remake dell’omonimo classico del cinema espressionista di Murnau.

A fronte di un budget comunque significativo – 50 milioni di dollari – ha aperto in maniera piuttosto promettente al box office statunitense: 21 milioni di dollari.

Candidature Oscar 2025 per Nosferatu (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior fotografia
Miglior scenografia
Migliori costumi
Migliori trucco e acconciatura

Di cosa parla Nosferatu?

Thomas Hutter vuole offrire una nuova vita alla sua neonata famiglia, e per questo accetta un incarico piuttosto particolare: visitare il misterioso conte Orlok in Transilvania.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Nosferatu?

Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In generale, sì.

Con Nosferatu Eggers dimostra nuovamente le sue incredibili capacità registiche, riuscendo a portare in scena atmosfere effettivamente inquietanti, incorniciate da un montaggio particolarmente indovinato, che regala un davvero indemoniato alla pellicola. 

Rimane però un po’ di amaro in bocca nel constatare la quantità di temi e di riflessioni – già esplorate da Eggers altrove – che potevano essere meglio approfondite, cercando magari di dare maggiore originalità all’opera, che per il resto rimane un piacevole omaggio al classico di partenza.

Paura

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In un genere ormai oltre che saturo come l’horror, riuscire a spaventare non è semplice.

In questo senso, Nosferatu di Eggers è vincente nel caricare le atmosfere in scena, soprattutto nel primo atto, di un senso di puro terrore, basato su un abile uso del vedo-non-vedo, in cui le fattezze del Conte Orlok emergono fumose dall’oscurità della sua magione…

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

…e diventano sempre più agghiaccianti grazie agli altri elementi che animano la scena – i riti pagani di purificazione, i particolari gotici del castello, la carrozza fantasma… – riuscendo a far immergere lo spettatore nella corsa cieca e disperata del nostro ingenuo protagonista.

Ma non è finita qui.

Controllo

Nicholas Hoult e Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il perno centrale della narrazione di Nosferatu è la mancanza di controllo.

I protagonisti sembrano del tutto succubi ad una trama già intessuta molto tempo prima, a cui è impossibile sfuggire, come ben racconta il montaggio frenetico in cui le vicende si svolgono secondo la volontà del conte – e senza possibilità di replica alcuna.

In questo senso, altri due elementi contribuiscono al fascino della pellicola.

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il primo, è il senso di claustrofobia: proprio per la mancanza di controllo, Thomas Hutter sembra inevitabilmente imprigionato nell’ombra di Orlok, e vani sono tutti i suoi tentativi di ucciderlo e di fuggire, fino alla scelta disperata di buttarsi nell’oceano. 

A questo si aggiunge l’interessante paragone fra il vampiro e la peste, ben rappresentata dalla sfrenata corsa dei topi che scendono dalla nave e che si intrufolano in ogni angolo della città, portando con loro una malattia invisibile ed irrefrenabile.

Ma, davanti a queste scelte piuttosto convincenti, rimane per me un’amarezza di fondo.

Occasione

Come altri registi nascenti in ambito horror, fin da The Witch Eggers si è distinto nel portare un quid in più all’interno del genere.

Purtroppo, questo non è il caso di Nosferatu.

Proprio come il suo protagonista, anche Eggers sembra intrappolato all’interno dell’eredità di Murnau e del suo desiderio di omaggiarlo, senza riuscire così a portare una propria originale rilettura del film di partenza, limitandosi a confezionare un ottimo horror di atmosfere.

Lily Rose-Depp e Emma Corrin in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In questo senso, gli spunti si sprecano: il personaggio di Ellen da solo offriva il fianco a diverse riflessioni sulla liberazione sessuale, sulla considerazione degradante delle capacità mentali delle donne – nella appena citata isteria – che poteva dare un significato ben più interessante a tutte le scene di possessione.

Per questo per me Nosferatu è una buonissima prova registica di Eggers, ma che per brillare davvero come regista dovrebbe affidarsi ad una sua storia originale – o, almeno, ad una storia originalmente riproposta – senza vivere nell’ombra di nessun altro autore, per quanto importante.

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2024 Avventura Comico Dramma romantico Drammatico Fantastico Film Musical Nuove Uscite Film Oscar 2025

Wicked – Il coraggio di essere un musical

Wicked (2024) di Jon M. Chu, più correttamente noto come Wicked: Parte I, è appunto la prima parte di una duologia tratta dall’omonimo musical.

A fronte di un budget abbastanza sostanzioso – 145 milioni di dollari – è già un successo commerciale: 455 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per Wicked (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore attrice protagonista per Cynthia Erivo
Miglior attrice non protagonista per Ariana Grande
Miglior montaggio
Migliore colonna sonora originale
Miglior scenografia
Migliori costumi
Miglior trucco e acconciatura
Migliori effetti visivi
Miglior sonoro

Di cosa parla Wicked?

La malvagia Strega dell’Ovest è sempre stata malvagia? O la storia è più complessa di come Il mago di Oz (1938) ci volesse far credere?

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Wicked?

In generale, sì.

Per quanto abbia indubbiamente apprezzato Wicked, mi rendo conto che non sia un prodotto per tutti i palati: nonostante la parte musicale sia a mio parere gestita ottimamente, integrata in maniera molto naturale nella storia…

…al contempo rimane un musical che inciampa in piccole forzature ed ingenuità narrative, con una parte cantata fondamentale all’interno della narrazione stessa, che comunque è riuscita a incantare persino una non amante del genere come me.

Insomma, se fossi in voi gli darei una possibilità.

Fine?

Ariana Grande in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

L’inizio di Wicked è tanto più importante…

…proprio perché arriviamo alla fine.

Ricollegandosi direttamente al classico del 1938, l’attacco del film racconta la conclusione più classica della storia: la malvagia Strega dell’Ovest è stata uccisa e finalmente il regno può vivere in pace sotto le amorevoli cure della Strega dell’Est.

Ma, nonostante la gioia si diffonda in tutto il reame, nonostante la storia dominante si presenti con ben poche sfumature, una domanda dal pubblico diventa fondamentale per raccontare la vera storia dell’antagonista.

Ed è fondamentale avere già in mente il punto di arrivo sia per una dinamica molto classica del creare curiosità nella mente dello spettatore – che vuole ora scoprire come si è arrivati ad un finale tanto cruento…

…sia perché è necessario per il film giungere a conclusioni simili alla trama originale, ma con delle premesse ed un racconto ben diverso, che porti in scena le diverse sfumature di una storia altrimenti molto semplice e favolistica.

Ed è sempre su questi toni che si sviluppa anche il personaggio di Elphaba.

Mostro

Cynthia Erivo in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

Elphaba è un mostro.

E non viene mai messo in dubbio.

La sua nascita avviene sotto il segno dell’inganno, da un tradimento ed un sorso di troppo, così che la bambina sia fin da subito posta ai margini, nascosta, continuamente maltrattata solamente per il suo aspetto – e per i pregiudizi che ne conseguono.

Un odio che ci accompagna fino all’arrivo all’università della sorella, in cui Ephalba si dimostra ben poco propensa a lasciarsi ulteriormente maltrattare, anticipando le battute che le verranno rivolte, e subendo irremovibile gli sguardi di disgusto dei presenti.

E proprio in questo frangente il film mostra le sue carte.

Da una parte, una certa debolezza narrativa: la scelta della protagonista come pupilla da parte Madame Morrible avviene davvero in un battito di ciglia, mentre poteva essere meglio costruita ed approfondita – nonostante le premesse ci fossero assolutamente tutte.

Dall’altra, un ottimo uso dell’elemento musicale: come poteva essere un patchwork di momenti musical, Wicked utilizza le canzoni per dare particolare enfasi ai pensieri e ai discorsi dei personaggi, tramite climax ben controllati che rendono più naturale il passaggio dal parlato al cantato.

In questo caso, Ephalba canta il suo sogno.

Ma non è l’unica ad averne uno…

Influenza

Ariana Grande in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

Glinda è figlia del suo tempo.

Un personaggio che potrebbe sembrare la classica Regina George, ma che in realtà fin da subito si dimostra il prodotto della cultura che l’ha cresciuta con l’idea di essere la migliore, la più bella e, soprattutto, la più meritevole…

…come viene confermato anche dagli altri personaggi che la circondano e che vivono di luce riflessa.

Ariana Grande in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

Proprio su questa china Glinda continua a raccontarsi e riraccontarsi come personaggio di buon cuore, che concede alla sua compagna di stanza persino un angolino per vivere, e che per la sua bontà viene costantemente elevata…

…persino quando mette in mostra i suoi tratti apertamente manipolatori, particolarmente quando induce l’ingenuo Boq ad invitare Nessarose, la sorella di Glinda, alla festa segreta.

E la sua evoluzione si riflette molto bene anche nella sua controparte, Fiyero.

Risveglio

Ariana Grande in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

Glinda e Fiyero vivono un risveglio simile.

La presa di consapevolezza di entrambe queste figure di privilegiati, fino a quel momento ciechi davanti alla complessa realtà che li circonda, passa attraverso la visione di ingiustizie a cui, nonostante il loro passato, non riescono ad essere indifferenti.

Il percorso finora più completo è sicuramente quello di Glinda, che assiste ad una cattiveria che non può veramente sopportare, quando, in risposta alle ulteriori prese in giro dei suoi compagni, Ephelba improvvisa uno strano ballo in cui mette ancora più in mostra la sua stranezza.

Ariana Grande e Cynthia Erivo in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

E così unirsi a lei in questo momento è solo il primo passo per fare davvero qualcosa di altruista, e ha il suo apice nell’iconica Popular, – canzone che non cambia di fatto niente, se non aiutare la sua nuova amica ad essere un po’ più sicura di sé stessa e protetta dalle angherie altrui.

Ma non è un cambiamento del tutto positivo: rimane un’amarezza di fondo nell’assistere al cambio di passo degli altri personaggi solo per l’intervento benefico di Glinda nei confronti di Elphaba – la stessa, che fino ad un attimo prima era vittima di cattiverie del tutto gratuite…

Risveglio

Il cambiamento di Fiyero percorre invece altre strade.

Il ragazzo è fin da subito mostrato come l’alter ego di Glinda, forse pure più ingenuo nel bearsi della sua condizione, e anche di più nel non trovare alcun ribrezzo figura di Ephelba, ma anzi accettarla con amicizia e curiosità fin da subito.

La sua consapevolezza avviene davanti alla messa al bando del Dottor Dillamond e al cucciolo in gabbia portato a lezione, che Fiyero coglie la prima occasione per liberare, capendo, pur non avendo lo stesso background di Ephelba, di non poter accettare questa ingiustizia.

Ma la sua maturazione sta ancora muovendo i primi passi quando ci lasciamo alle spalle Shiz per avviarci verso la Città di Smeraldo, quando finalmente Glinda fa il primo passo indietro lasciando spazio a Ephelba per avere il suo meritato successo.

E a questo punto vale la pena di aprire una parentesi sulla trama politica.

Contorno

La trama politica di Wicked è quasi un contorno.

Per quanto sia fondamentale – e lo diventerà ancora di più probabilmente nella seconda parte – le viene concesso ben poco spazio, anzi è ridotta proprio agli elementi essenziali, svelando solo parte della macchinazione da parte del Mago di Oz.

Lo stesso Mago è raccontato fin da subito come un affabulatore, e neanche particolarmente scaltro, che, per dinamiche ancora tutte da chiarire – e che speriamo siano chiarire nella seconda parte – è riuscito a prendere posto a capo del regno, nonostante non abbia alcuna capacità magica.

E tornando proprio sull’argomento della debolezza narrativa, non si può dire che sia del tutto centrato il totale cambio di passo del Mago quanto di Madame Morrible, affrontato con fin troppa leggerezza, per quanto sia svelato nei suoi tratti essenziali.

E allora è il momento di ribellarsi.

Ribellione

Cynthia Erivo in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

La ribellione di Ephelba è il punto di arrivo naturale del suo personaggio.

Vivendo tutta la vita sotto l’egida della discriminazione e dell’isolamento sociale, le sta tanto più stretto il ruolo di simbolo di un sistema che vive dell’oppressione degli ultimi, che entrambi i villain avevano fin da subito preparato per lei.

Per questo la sua rivolta è tanto più importante in quanto racconta una riappropriazione di simboli più o meno imposti – il cappello, il mantello e, soprattutto, la pelle verde – tutti caricati di un valore negativo solo perché ormai propri della sua persona.

Cynthia Erivo in una scena di Wicked (2024) di Jon M. Chu

E se Ephelba non vuole più far parte di un sistema che la ribalta a suo piacimento, Glinda ne rimane succube, anche se con una consapevolezza aggiuntiva: la futura Strega dell’Est, per quanto finalmente realizzi il suo sogno di essere effettivamente una figura importante del panorama politico di Oz…

… è anche internamente consapevole di essere nient’altro che una pedina scelta per convenienza a fronte del voltafaccia della sua amica, verso cui si rivolge con poche parole estremamente significative per la definizione del loro rapporto:

Spero tu sia felice.