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Death Parade – Il peggiore di noi

Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa è serie TV un anime di genere drammatico e fantastico.

Trasmessa in Giappone nei primi mesi del 2015, è arrivata in Italia tramite la web TV Dynit.

Di cosa parla Death Parade?

In un aldilà immaginario, i defunti sono sottoposti a dei giochi apparentemente innocui, in realtà mortali…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Death Parade?

Assolutamente sì.

Death Parade è un ottimo esempio di serie TV anime che riesce a coniugare al suo interno un ottimo equilibrio di temi e di tagli narrativi, passando dai frangenti più drammatici, thriller e quasi orrorifici, fino a momenti invece più spiccatamente comici e leggeri. 

Oltretutto nella serie vengono affrontati una grande varietà di concetti filosofici piuttosto fondamentali, come il valore della vita e la volubilità dell’animo umano davanti alle situazioni più spiccatamente stressanti e stringenti.

Insomma, da vedere.

Introduzione

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

L’introduzione di Death Parade viaggia su due binari.

La primissima puntata – Death Seven Darts – introduce il più semplice degli scenari, per farci mettere il primo piede dentro la porta della serie: una coppia idilliaca di sposi si trova a scontrarsi in un gara apparentemente molto innocua di freccette.

Invece, già qui assistiamo alla prima escalation emotiva dei protagonisti: colpiti nei punti più sensibili, progressivamente si risveglia in loro la memoria delle ombre del loro rapporto, che li porta a scagliarsi gli uni contro gli altri in maniera sempre più feroce.  

Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Poi si cambia prospettiva.

La scena è riproposta dal dietro le quinte, dal punto di vista ancora molto ingenuo di Chiyuki, una giudice apparentemente molto improvvisata ed ingenua e che rimane sconvolta davanti alla crudeltà del gioco, e alla freddezza del giudizio…

…che, fin da subito, si rivela fallace.

Eterno

Decim e Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Il destino dell’umano è duplice.

Superando la banalizzazione del destino infernale e paradisiaco, il defunto viene in realtà messo nella condizione di essere scelto per un annullamento totale del suo essere, il vuoto, la caduta eterna dell’anima spogliata di ogni elemento di concretezza e vita

…oppure per essere salvato e riportato in un altro corpo terreno: anche nelle peggiori condizioni possibili, non ha comunque dato il peggio di sé, ma ha mantenuto nel complesso un comportamento dignitoso e che merita di continuare ad esistere.

Eppure non è così semplice.

Tatsumi in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Non vivendo le emozioni umane in prima persona, i giudici si illudono che questo test sia il metodo migliore per definire il valore di un’anima umana, proprio perché l’integrità di della stessa deve essere perpetua e inscalfibile neanche dai peggiori stimoli.

Invece, come ben ci racconta il detective nel suo duetto di puntate, è possibile per ogni essere umano dare il peggio di sé se messo nelle giuste condizioni – come dimostra lui stesso: prima un integerrimo poliziotto, infine uno spietato vigilante.

Per questo, la mancanza di empatia è così squalificante.

Emozione

I giudici sono delle bambole.

Dei burattini che vivono nella totale alienazione rispetto all’umano, che non le comprendono le sfumature, ma anche anzi propongono, in particolare Decim nelle sue prime battute, con una freddezza quasi meccanica i death game che definiscono il destino dei loro ospiti.

In questo modo, però, si perdono le infinite sfumature di significato che definiscono la complessità dell’umano, che non può essere giudicato solamente per una piccolissima parte della sua esistenza

In questo senso, il concetto di empatia si sviluppa su più livelli. 

Altro

L’umano è condannato per il suo egoismo.

I giochi mortali di Death Parade sono proprio per questo volti a comprendere quanto il defunto dia valore alla propria sopravvivenza e quanto invece sia disposto ad empatizzare con l’altro, perfino a sacrificarsi per lo stesso.

Un primo accenno di questa dinamica si vede quando Mayu Arita, una ragazzina apparentemente molto sciocca, sceglie di sacrificare la sua vita per il suo idolo, per arrivare a gettarsi nel vuoto pur di ritrovare l’anima di Harada.

Ma, soprattutto, Decim capisce il concetto dell’empatia grazie a Chiyuki.

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

La ragazza era stata vittima della sua incomunicabilità, del suo essere incapace di esternare le proprie complesse emozioni, lasciando in vita persone che invece avrebbero potuto aiutarla, avrebbero potuto darle un nuovo motivo per vivere.

E quindi il suo grande insegnamento per Decim è il voler tornare in vita non per un proprio egoismo personale di rivivere e annullare la propria autodistruzione, ma piuttosto per colmare quel vuoto che ha lasciato negli altri.

E se un personaggio così austero come Decim riesce ad accennare un timido sorriso, c’è ancora speranza…

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Il giardino delle parole – Alla prossima pioggia

Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai è un mediometraggio anime di genere sentimentale.

Il film è stato distribuito in Giappone insieme ad un cortometraggio, ed è arrivato in Italia con una proiezione esclusiva nel Maggio del 2014.

Di cosa parla Il giardino delle parole?

Takao e Yakari sono due persone molto sole, che si ritrovano casualmente in un giardino pubblico. E da lì nasce qualcosa di inaspettato…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Il giardino delle parole?

Yukari Yukino in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

In generale, sì.

Il giardino delle parole contiene una dinamica tipica della filmografia di Shinkai, in particolare del subito successivo Your name (2016): l’incontro apparentemente sofferto di due personaggi che sembrano destinati a vivere separati.

In questo caso il regista nipponico è sempre sul precipizio di scadere nel melodramma più smaccato, ma riesce nel complesso a mantenere un buon equilibrio dei toni, cercando il più possibile di rimanere coi piedi per terra, pur inserendo una componente fortemente drammatica ed emotiva.

Insomma, ve lo consiglio.

Fuga 

Yukari Yukino in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

Entrambi i protagonisti fuggono.

Per Takao la fuga è da una scuola in cui non sente di trovare un futuro, inseguendo i suoi sogni in maniera ben più matura dei suoi coetanei, rinunciando persino alle vacanze per poter lavorare e mettere via abbastanza risparmi per riuscire ad autofinanziarsi.

Yukari invece fugge da una situazione che non si sente di essere abbastanza forte da affrontare – al punto che, da qualche scampolo di dialogo, scopriamo quanto era stata profonda la sua sofferenza, non riuscendo a camminare, a mangiare altro che birra e cioccolato…

Yukari Yukino in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

E la pioggia è l’occasione perfetta.

La pioggia è quell’elemento che solitamente porta le persone a fuggire e a rifugiarsi nelle proprie abitazioni o in luoghi affollati, e a svuotare quel giardino che diventa invece il rifugio dei due protagonisti, inizialmente sorpresi di trovare un compagno di solitudine.

E qui di parole, paradossalmente, ne servono poche.

Essenziale

Takao Akizuki in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

Le parole sono ridotte all’essenziale.

In una situazione normale di incontro, nello sbocciare più consueto di un’amicizia, le prime parole che i due si sarebbero scambiati avrebbero riguardo i loro nomi, il loro passato, la loro più immediata quotidianità…

Invece è come se i due protagonisti fossero colti in fallo nella loro fuga, e per questo limitano i loro scambi di parole a quel poco da tenere l’uno compagnia all’altro – al punto che, verso il finale, Takao ammette di non sapere quasi nulla della giovane donna, neanche il suo nome…

Yukari Yukino in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

Ma per Yukari quel silenzio è essenziale.

Infatti, la donna è stata derubata della sua autorità, della fiducia e dei buoni rapporti che sembrava portare avanti con i suoi alunni, e, tramite questo giovane studente in fuga, riesce a ricostruire la sua identità e a rimettersi in piedi, a cambiare vita.

E, a Takao, cosa rimane?

Inizio

Takao Akizuki in una scena de Il giardino delle parole (2013) di Makoto Shinkai

Lo scioglimento della vicenda nel complesso mostra una buona intelligenza di scrittura.

Come mi ha poco convinto lo sfogo di Takao – forse non adeguatamente costruito per essere così esuberante – al contrario ho apprezzato la maturità della giovane professoressa di mettere un freno all’improvviso innamoramento del suo studente…

…così da lasciargli lo spazio per maturare.

Infatti, il finale è volutamente aperto.

Takao ha capito la lezione della donna – non lasciarsi travolgere dalle emozioni del momento – e, anche se con difficoltà, riesce a superare gli esami finali, e a continuare parallelamente a portare avanti il suo sogno…

…così da ritornare, un giorno, da Yukari, quando sarà abbastanza maturo, lasciando come pegno nel parco le scarpe che ha creato per lei, una promessa per un futuro più sereno da condividere insieme.