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Strange World – Ambientalismo generazionale

Strange world (2022) di Don Hall è un lungometraggio animato di genere avventura, con un forte elemento fantastico-fantascientifico e una piccola morale molto interessante.

Peccato che nessuno ne stia parlando.

Il film è stato infatti un disastro commerciale: a fronte di una produzione piuttosto importante di 180 milioni di dollari, ne ha incassati ad oggi 66 in tutto il mondo.

E ormai è sbarcato su Disney+ e la sua vita in sala è finita…

Di cosa parla Strange world?

Jaeger Clade e suo figlio Searcher sono due avventurieri che stanno per scoprire cosa si nasconde dietro le montagne che circondano il loro piccolo mondo. Ma qualcosa di più interessante si trova su quelle montagne, che porterà le loro strade a dividersi…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Strange world?

In generale, sì.

Strange world è un film fatto apposta per essere visto con tutta la famiglia, con un cast di personaggi piuttosto corale che mette in scena tre diverse generazioni, e i rapporti che le legano.

Oltre a questo, è una piccola avventura molto simpatica e piacevole, che sicuramente potrebbe allietare un pomeriggio in compagnia, senza particolari difetti. Più che altro il grande problema del film è il fatto che è molto dimenticabile

Ed è solo uno dei motivi del suo insuccesso…

Perché Strange world è un flop?

Strange world è stato un disastro commerciale.

Si potrebbe pensare che questo insuccesso sia dovuto unicamente alla scarsissima campagna marketing e alla recente antipatia della Disney per i prodotti animati al cinema, all’interno di una crisi del genere tutto.

Sia Red (2022) quanto Lightyear (2022) sono testimoni di questa tendenza.

Tuttavia, secondo me non è l’unico motivo.

La Disney si è trovata fra le mani un prodotto non particolarmente forte, per vari motivi: per quanto sia appunto un prodotto piacevole e davvero adatto al target familiare, è purtroppo davvero dimenticabile e non è così originale e memorabile sotto nessun punto di vista.

Questo sia per la trama molto semplice, ma sopratutto per la mancanza di canzoni: come mi ha ben fatto notare il caro collega di @cangius.movie, la parte musicale resta molto più facilmente in testa ed è parte del successo di un film Disney.

E Encanto (2021) lo testimonia perfettamente.

Per cui, davanti ad un prodotto non molto forte, che forse sapevano anche non avrebbe avuto un gran profitto, hanno deciso di non promuoverlo e scaricarlo il prima possibile su Disney+.

Con le conseguenze che abbiamo visto.

Un film per tutta la famiglia

Strange world è un film confezionato alla perfezione per colpire i diversi target: il bambino o ragazzino, il padre e anche il nonno, raccontando i conflitti e rapporti che definiscono queste tre generazioni.

Per quanto in qualche misura le risoluzioni sembrano un po’ affrettate e semplicistiche, colpiscono indubbiamente al cuore e raccontano delle dinamiche in cui un po’ tutti possono ritrovarsi, ed essere per questo coinvolti e commossi.

E la rappresentazione del conflitto generazionale è tanto più interessante in riferimento al tema di fondo.

Ambientalismo intergenerazionale

Il tema di fondo diventa tanto più evidente più ci si avvicina al finale.

Strange world vuole in realtà parlare di ambientalismo, di vivere in armonia con il pianeta che abbiamo colonizzato senza pietà per millenni e del male che gli stiamo facendo con la nostra scorsa allo sfruttamento selvaggio.

E questo tema si articola nei tre personaggi protagonisti.

Jaeger Clade rappresenta la generazione più vecchia e con una volontà distruttiva: come si vede, il personaggio si fa largo nell’ambiente in maniera aggressiva e mettendo solamente la propria persona al centro, considerando nemico ogni elemento che gli si pone davanti.

Più morbido il comportamento di Searcher Clade, che rappresenta la generazione fra i Millennial e la Generazione X, che comunque sfrutta l’ambiente in cui vive, nonostante questo provochi dei danni allo stesso.

E si sente anche nel giusto nel farlo.

In quest’ottica il Pando può essere associato a tutte le risorse della Terra che sfruttiamo all’inverosimile e al conseguente inquinamento dovuto all’ipersfruttamento e all’utilizzare tutto unicamente a nostro vantaggio.

La generazione di svolta è quella di Ethan, che fin da subito si sente in colpa nello sterminare esseri viventi, per quanto aggressivi, e che alla fine riesce insieme al padre a comprendere la verità sulla situazione in cui si trova e, di conseguenza, a salvare il proprio mondo.

Con un finale in cui le generazioni si ricongiungono in un messaggio di speranza.

Una rappresentazione positiva?

Strange world ha fatto un certo rumore per la rappresentazione del protagonista come esplicitamente omosessuale.

Durante la pellicola Ethan racconta più volte di essere interessato a Diazo, e tutti i personaggi accettano pacificamente, anzi felicemente, questa potenziale relazione. E tutta la rappresentazione del loro rapporto è molto tenera e naturale.

Tuttavia, io non sono del tutto convinta.

Mi rendo perfettamente conto che stiamo parlando della Disney che va con i piedi di piombo su questo argomento, ma a me sembra che ancora non sia abbastanza e che forse non sia la migliore rappresentazione auspicabile.

Il mio dubbio sta anzitutto nel character design sia di Ethan che di Diazo: volevano dare una rappresentazione del maschile che si sente più libero di avere una aspetto non rigidamente e stereotipicamente di genere, oppure stavano semplicemente giocando con uno stereotipo?

E qui sta tutta la differenza.

Oltre a questo, nonostante alla fine abbiamo una relazione, non si vede mai che si scambiano effusioni, a differenza di quanto succede piuttosto esplicitamente fra Searcher e Meridian.

Io personalmente, più che una buona rappresentazione, vedo ancora dei contentini e delle mani messe avanti…

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Frozen – Il mediocre di successo

Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee è uno dei lungometraggi animati più redditizi della storia della Disney. Un prodotto che ebbe infatti un successo immenso, tanto che alcune parti del film sono ancora oggi assolutamente iconiche.

Per capire il tipo di riscontro che ebbe, a fronte di un budget di appena 150 milioni di dollari, incassò quasi 1,3 miliardi in tutto il mondo.

Se avete vissuto nel periodo della frozen-mania saprete fino a che punto eravamo bombardati dalle infinite riproposizioni di Let it go e affini, da cui io stessa fui coinvolta. Tuttavia, andando a guardare il prodotto con un giudizio più analitico, e non di pancia, emergono tutte le crepe.

Di cosa parla Frozen?

Elsa e Anna sono due sorelle in un regno immaginario dal sapore germanico, e vivono un’infanzia spensierata. Se non fosse che Elsa possiede dei poteri apparentemente incontrollabili…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Frozen?

Anna (Kristen Bell) e Elsa (Idina Menzel) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

No.

E potremmo chiuderla qui.

Ammetto di avere un malcelato fastidio per questa pellicola, che mi portò al tempo a vederlo due volte al cinema, non riuscendo per nulla a capire l’entusiasmo che aveva suscitato. Lo trovai un film assolutamente normale, anzi molto difettoso, una brutta copia di Rapunzel (2010), da cui pescava a piene mani, in maniera anche piuttosto maldestra.

Col tempo, mi resi conto di quanto questo prodotto dovesse il suo successo a pochi elementi di vincenti, che oscurarono tutto il resto. Per me è un film mediocre, mediocrissimo, ma se proprio volete vederlo, non aspettatevi gran che.

Sicuramente i bambini lo ameranno.

Elsa: un’adulta irrequieta

Elsa (Idina Menzel) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

Elsa non è un bel personaggio.

E con questo intendo dire che la sua figura è stata particolarmente esaltata come un grande passo avanti per la Disney a livello di rappresentazione dei personaggi femminili, dal momento che è forse la prima che non abbia una storia romantica all’interno del suo percorso.

Tuttavia questo non significa che sia un passo veramente avanti né un buon esempio per il target di riferimento.

Infatti il problema non è tanto avere o meno un interesse romantico, ma essere definito dallo stesso: protagoniste come Mulan e Rapunzel vivono indipendentemente dalle loro storie romantiche, e hanno una crescita emotiva molto più interessante.

Elsa è infatti un’adulta irrequieta, prigioniera (per motivi che poi affronteremo) della sua stessa famiglia, e che non è capace di vivere serenamente la sua vita e che, da un momento all’altro, perde la testa e lascia totalmente a briglia sciolta i suoi poteri.

E tutta la sua storia manca di un’evoluzione emotiva degna di questo nome.

I problemi non risolti

Elsa (Idina Menzel) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

L’evoluzione emotiva di Elsa dovrebbe portare alla risoluzione di un profondo conflitto interiore che la rendeva incapace persino di uscire dalla sua stanza.

Tuttavia questo prende anzitutto una strada del tutto negativa, dove lei sembra quantomeno risolvere (senza che questo abbia una chiara spiegazione) il valore distruttivo dei suoi poteri, rendendoli invece positivi e costruttivi.

Ma nulla si risolve dal punto di vista emotivo.

E infatti la troviamo ancora piuttosto tormentata sia quando Anna la va a trovare, sia dopo, con intere scene in cui mostra la sua irrequietezza. E la risoluzione di tutti i suoi problemi sembra l’accettazione dell’amore della sorella e, per estensione, l’accettazione di tutti gli altri.

Ma senza che di fatto ci sia stata una vera evoluzione o un vero percorso, se non una sorta di terapia d’urto con la morte della sorella. Senza che sappiamo nulla sull’origine dei poteri, di come infine riesca a controllarli.

Nulla.

Anna: il bilanciamento drammatico

Anna (Kristen Bell) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

Anna è di fatto la vera protagonista della pellicola.

E non è di per sé un personaggio problematico, ma è piuttosto appiattita nella figura della principessa ingenua e ingiustificabilmente positiva, che riesce facilmente a farsi circuire da un personaggio assolutamente ridicolo come Hans.

Ma c’è un chiaro motivo.

Elsa è un personaggio troppo drammatico per un prodotto con target infantile, troppo tormentato per essere effettivamente digeribile ed essere effettivamente protagonista del film.

Per questo ha bisogno di un bilanciamento drammatico da parte di Anna, nonostante il suo comportamento sia totalmente poco credibile, in quanto dovrebbe avere almeno la metà dei drammi emotivi di Elsa.

Invece Anna sostiene tutto il peso emotivo della sorella, la va a cercare e in ultimo la salva effettivamente. E si salva da sola.

Insomma, un personaggio che poteva essere ben più interessante di come è stato scritto.

L’anello debole

Anna (Kristen Bell) e Kristoff (Jonathan Groff) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

La storia romantica di Anna e Kristoff è uno degli elementi più deboli della pellicola.

Complice anche lo screentime veramente scarso che gli è stato concesso.

Di fatto, Anna e Kristoff si devono innamorare, e devono intraprendere una relazione perché la trama lo richiede. Dal punto di vista emotivo, Anna non ha effettivamente imparato così tanto, perché capisce di amare il suo compagno di viaggio dopo non tantissimo tempo che stanno insieme e dove non sembra che ci sia un’effettiva evoluzione del loro rapporto.

E questo è così tanto diverso dall’apparente rapporto idilliaco con Hans?

Banalmente, basterebbe confrontare l’eccellente costruzione del rapporto fra Flynn e Rapunzel in Rapunzel: i due partono da una relazione incredibilmente antagonistica, vivono una precisa e interessantissima evoluzione, con una relazione romantica va molto oltre il semplice amore, ma che ha un significato ben più profondo.

Possiamo dire lo stesso per Anna o concludiamo che si tratta dell’ennesima principessa che si innamora perché deve innamorarsi?

Alla faccia del passo avanti…

Una relazione quasi grottesca

Inoltre, relazione fra Anna e Kristoff è talmente forzata da risultare quasi grottesca.

Il punto più drammatico è quando i due si recano dai troll per curare Anna, ma la scena si trasforma in una sequenza senza senso, anzi piuttosto fastidiosa, in cui i troll pensano che Kristoff voglia sposare Anna e li costringono quasi a farlo.

Per concludere con la più classica paraculata Disney del vero amore che vince su tutto.

E a questo punto Anna viene riportata a palazzo per essere salvata da Hans, per poi inseguire in maniera anche abbastanza disturbante Kristoff per farsi baciare. E per fortuna questa idea è sventata dal film stesso, in cui mostra che il vero amore è quello fra Anna e Elsa.

Elemento che, però, va ancora più a svalutare la relazione fra Anna e Kristoff.

Un viaggio dispersivo

Anna (Kristen Bell), Kristoff (Jonathan Groff) e Olaf (Josh Gadd) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

Altro elemento problematico di Anna è la gestione del suo viaggio.

Anna intraprende il viaggio per andare da Elsa, non risolve assolutamente niente, e si lascia inutilmente trasportare da Kristoff verso un siparietto agghiacciante (di cui sopra), e infine si mette in trappola da sola.

Quindi sostanzialmente Anna diventa vittima degli eventi stessi, riesce a salvarsi sul finale, ma di fatto, da circa metà del film in poi, si dimentica del problema principale della pellicola, ovvero sua sorella, e mette (anche comprensibilmente) al centro della trama la sua salvezza personale.

E tutto viene risolto magicamente negli ultimi minuti.

I genitori: i veri villain

La conclusione più surreale di questa pellicola è rendersi conto che i genitori sono i veri villain.

Non stiamo parlando certo di popolani che devono proteggere la figlia dal linciaggio della massa, ma regnanti che potenzialmente potevano rendere la loro figlia una figura di culto, persino un’arma, e modellare l’opinione pubblica a loro uso e consumo.

Invece, giustamente, non solo non cercano neanche di provare ad aiutarla a capire i suoi poteri, magari cercando una persona che potesse darle una mano, ma la fanno sempre più rinchiudere in sé stessa, traumatizzandola definitivamente.

Un meccanismo della trama senza alcun costrutto.

O piuttosto una forzatamente versione positiva del rapporto distruttivo fra Rapunzel e Madre Gothel…

Olaf: un disastro estetico

Olaf (Josh Gadd) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

So che molti non saranno d’accordo, ma io detesto Olaf.

Le sue canzoni sono veramente di cattivo gusto a livello estetico, plasticose e totalmente fuori contesto, non mi piace l’ironia e il punto chiave della sua personalità, ovvero amare un elemento contrario alla sua natura.

Ma soprattutto detesto il suo character design, che trovo molto abbozzato e sinceramente brutto, secondo solamente a quella mostruosità del mostro marshmallow che caccia Anna e Kristoff dal palazzo di Elsa.

Ed è un problema anche più ampio.

L’unica cosa che funziona

Anna (Kristen Bell) e Elsa (Idina Menzel) in una scena di Frozen (2013) di Chris Buck e Jennifer Lee

Nonostante tutti i difetti, la relazione fra Anna e Elsa è l’elemento più solido della trama, e forse anche quello che tutto sommato la tiene insieme.

Un elemento emotivo molto forte, forse anche più importante da raccontare ad un pubblico infantile piuttosto che replicare nuovamente la questione del vero amore romantico. E infatti una delle canzoni più iconiche della saga è Wanna build a snowman?, con tutto il carico emotivo che si porta dietro.

E la scelta di rendere il salvataggio della protagonista per mano della sorella e non di un uomo appena conosciuto, nonostante si incastri male nel contesto, era una buona idea, almeno sulla carta.

Perché Frozen ha avuto tutto questo successo?

Il successo di Frozen, ovviamente, è stato veicolato dal pubblico infantile che si è innamorato del prodotto, e in particolare del personaggio di Elsa.

Perché, nonostante tutte le mie analisi, è indubbio che Elsa sia un personaggio intrigante e sicuramente diverso dal solito. Ma soprattutto il suo character design è davvero incredibile, ben pensato e davvero vendibile.

E infatti per me ancora rimane un mistero come abbiamo fatto un lavoro creativo così ottimo con questo personaggio e così pessimo col resto.

Stesso discorso vale per Let it go, canzone che personalmente apprezzo, sia per la scena, sia perché è stata cantata da un’artista di grande talento come Idina Menzel, sia per il valore emotivo che l’accompagna.

Un altro elemento molto iconico, in un mare di canzoni, con l’eccezione di Wanna build a snowman?, piuttosto mediocri e dimenticabili.

Insomma, un prodotto con pochi elementi vincenti e iconici in un oceano di mediocrità.

Frozen 2 – La rivelazione

Mi sono fatta delle grassissime risate con Frozen II (2019).

Sia perché il film si presta molto di più (volontariamente o involontariamente) alla risata, sia perché sono state confermate tutte le mie ipotesi sul successo del primo film, di cui sopra.

Se ci avete fatto caso, questo prodotto, nonostante un incasso sempre straordinario, è stato accolto molto più tiepidamente dal pubblico non in target, che invece aveva tanto lodato la prima pellicola.

E questo perché, secondo me, Frozen II è un film che mostra la stessa mediocrità del primo, con la differenza che manca degli elementi iconici che avevano definito il successo del precedente film.

Tuttavia un ottimo modo per vendere nuovi giocattoli, indubbiamente.

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2021 Animazione Avventura Cinema per ragazzi Commedia Disney Film Pixar Racconto di formazione Un'estate al cinema

Luca – Un’estate italiana

Luca (2021) di Enrico Casarosa è un film Pixar, uno dei tanti – insieme a Red (2022) e Soul (2021) – rilasciati direttamente su Disney+.

Ma fu comunque un grande successo di pubblico.

Di cosa parla Luca?

Luca Paguro è una creatura marina, ma anche un ragazzino spaventato che ha sempre vissuto sott’acqua e che non ha mai visto la superficie. La sua vita cambierà grazie all’incontro con Alberto, ragazzino scapestrato ed esperto del mondo di superficie, con cui comincerà la sua grande avventura.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Luca?

Luca (Jacob Tremblay) e Alberto (Jack Dylan Grazer) in una scena di Luca (2021) di Enrico Casarosa, film Pixar

Assolutamente sì.

Per quanto Luca non sia fra i migliori della Pixar, lo porto veramente nel cuore. Poche volte ho visto così tanto amore e una mano così attenta, un regista che riesca veramente a raccontare l’Italia in maniera credibile e riconoscibile, pur dovendosi piegare alle richieste del cinema statunitense.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Raccontare (davvero) l’estate italiana

Luca (Jacob Tremblay) e Alberto (Jack Dylan Grazer) in una scena di Luca (2021) di Enrico Casarosa, film Pixar

Come abbiamo visto in tempi più o meno recenti, il pubblico statunitense ha bisogno di essere nutrito di stereotipi per l’Italia (e non solo).

In particolare, nel loro immaginario l’Italia è ferma agli Anni Sessanta, come dimostra il successo di pellicole come Call me by your name (2016), e sono spesso incapaci di distinguere fra la cultura italiana e quella italo-americana, come ben dimostra per l’ennesima volta House of Gucci (2021).

Tuttavia, la Pixar non è la prima arrivata e ha dato permesso ad un regista italiano alla sua opera prima di rappresentare davvero l’estate italiana, con una rappresentazione sicuramente datata ed adattata ad un pubblico statunitense, ma, per una volta, per un buon motivo: Enrico Casarosa ha voluto raccontare la sua estate dell’infanzia in Liguria.

Ci sono vari elementi che mostrano davvero un grande impegno nel rappresentare qualcosa di vero e credibile. Uno dei più evidenti è la scelta delle canzoni da utilizzare: canzoni pop che rappresentano l’infanzia per la generazione degli Anni Ottanta-Novanta, poco o per nulla conosciute al di fuori del nostro paese.

In secondo luogo, la rappresentazione di Portorosso: una cittadina di mare in cui facilmente qualunque italiano, soprattutto se ligure, può riconoscersi. E una raffigurazione del genere non poteva venire se non da chi ci ha veramente vissuto.

Ma il vero virtuosismo è stato il doppiaggio.

Scegli un doppiaggio, sceglilo bene

Luca (Jacob Tremblay) e Ercole (Saverio Raimondo) in una scena di Luca (2021) di Enrico Casarosa, film Pixar

Il doppiaggio e la scrittura dei dialoghi di Luca sono veramente di alto livello.

In particolare, ho adorato il doppiatore di Luca, Jacob Tremblay, un giovanissimo interprete in rampa di lancio che abbiamo visto in Bad boys (2020) e che sarà la voce di Flanders nel live action de La Sirenetta in prossima uscita.

In generale i doppiatori del terzetto di protagonisti si sono veramente impegnati e sono anche piuttosto credibili quando parlano italiano, semplicemente perché non forzano l’accento alla Super Mario che abbiamo visto in House of Gucci, appunto (film che può essere citato all’infinito come esempio negativo).

Ma la vera punta di diamante è stato il doppiatore di Ercole, che sia in italiano che in inglese è interpretato dall’ottimo Saverio Raimondo, comico nostrano che ci ha offerto una performance di primissimo livello.

E non di meno la scelta di utilizzare doppiatori italiani per i personaggi secondari e di sfondo è stata un tocco di classe.

Le poche sbavature

In una scrittura e rappresentazione così coerente e credibile, stonano più del solito un paio di elementi, probabilmente prodotti di sceneggiatori che non hanno la stessa conoscenza dell’Italia come il regista.

In particolare, certe espressioni che usa Giulia, come santa mozzarella, molto infantili e che sembrano più derivate dal collegamento di uno statunitense fra gli italiani e il cibo, più che da espressioni effettivamente realistiche.

Oltre a questo, purtroppo il finale appare molto debole e forzato, non riuscendo a portare una giusta credibilità alla scelta dei personaggi di accettare i mostri marini che cacciavano fino al giorno prima.

Tuttavia, per l’esperienza che mi offre il film, non è un elemento che mi dà neanche così tanto fastidio.

Luca: Creare un trend

Una delle aspre polemiche che si sollevarono al tempo dell’uscita di Luca fu su come un prodotto così meritevole non fu distribuito in sala. E il successo della pellicola a livello globale si vide nel trend che si creò su TikTok. Qui un esempio:

https://www.tiktok.com/@steppingthroughfilm/video/7076131066016320773?_r=1&_t=8UbwXDICHtG

Un caso analogo a quello di Encanto (2021), prodotto di animazione che floppò ampiamente in sala, ma divenne incredibilmente popolare dopo il rilascio in streaming, su TikTok e oltre, per la canzone We dont talk about Bruno.

Insomma, sembra che i prodotti animati funzionino di più in streaming che in sala, e il futuro, vedendo appunto i risultati di Lightyear, non è promettente.

Luca: Creare un trend

Una delle aspre polemiche che si sollevarono al tempo dell’uscita di Luca fu su come un prodotto così meritevole non fu distribuito in sala. E il successo della pellicola a livello globale si vide nel trend che si creò su TikTok. Qui un esempio:

https://www.tiktok.com/@steppingthroughfilm/video/7076131066016320773?_r=1&_t=8UbwXDICHtG

Un caso analogo a quello di Encanto (2021), prodotto di animazione che floppò ampiamente in sala, ma divenne incredibilmente popolare dopo il rilascio in streaming, su TikTok e oltre, per la canzone We dont talk about Bruno.

Insomma, sembra che i prodotti animati funzionino di più in streaming che in sala, e il futuro, vedendo appunto i risultati di Lightyear, non è promettente.

Cosa significa Piacere, Girolamo Trombetta?

Luca (Jacob Tremblay) e Alberto (Jack Dylan Grazer) in una scena di Luca (2021) di Enrico Casarosa, film Pixar

L’espressione ha totalmente confuso gli statunitensi, e già per un italiano non è del tutto intuitiva. Si capisce meglio vedendola in atto: giro-la-mano (girando appunto la mano a chi la stiamo stringendo) e trombetta perché si fa il gesto col braccio come se si stesse suonando una trombetta, appunto.

Vi lascio qui il video dove viene spiegato bene:

https://www.tiktok.com/@antonioparlati/video/6979273456667872518?_t=8UbuahFh9m9&_r=1

Cosa significa Piacere, Girolamo Trombetta?

Luca (Jacob Tremblay) e Alberto (Jack Dylan Grazer) in una scena di Luca (2021) di Enrico Casarosa, film Pixar

L’espressione ha totalmente confuso gli statunitensi, e già per un italiano non è del tutto intuitiva. Si capisce meglio vedendola in atto: giro-la-mano (girando appunto la mano a chi la stiamo stringendo) e trombetta perché si fa il gesto col braccio come se si stesse suonando una trombetta, appunto.

Vi lascio qui il video dove viene spiegato bene:

https://www.tiktok.com/@antonioparlati/video/6979273456667872518?_t=8UbuahFh9m9&_r=1

Una vera chicca

Una vera chicca, che non so quanti possano aver notato, è la foto che Alberto tiene sullo specchietto della vespa: niente poco di meno di Marcello Mastroianni, il più incredibile attore del nostro cinema (e non solo), nei panni del Barone Fefè in Divorzio all’italiana (1960) di Pietro Germi.

Una commedia grottesca splendida, uscita nel periodo d’oro della Cinematografia Italiana, che si vede di sfuggita anche in un’altra scena.

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2022 Animazione Avventura Azione Commedia Disney Drammatico Fantascienza Film Nuove Uscite Film

Lightyear – Verso la metanarratività…e molto oltre!

Lightyear (2022) è l’ultimo film della Pixar uscito la scorsa settimana, il primo uscito in sala dopo quasi due anni. Ed il motivo è facile da capire: questa pellicola non è un film Pixar come lo intendiamo comunemente, ovvero un percorso di crescita e maturazione con un risvolto profondo. Si parla più che altro di una space opera, un film avventuroso in senso classico, che comunque gode di una robusta morale.

Tuttavia, per ora non sembra una scommessa vincente: la pellicola è infatti più o meno stroncata da gran parte della critica e ha aperto miseramente (appena 84 milioni la prima settimana), rischiando già il flop commerciale. E la causa potrebbe essere che in primis molti si aspettavano un film molto più collegato a Toy Story (cosa che non è) e forse che era un film meno spendibile per il grande pubblico, soprattutto infantile, di quanto si pensasse.

Di cosa parla Lightyear?

Buzz Lighyear è uno space ranger che si trova naufragato con la sua squadra in un pianeta sconosciuto e minaccioso. Dovrà quindi tentare di riparare la navicella per ritornare a casa, con molti tentativi che non andranno come si aspettava…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Lighyear?

Lighyear e Sox in una scena di Lightyear (2022) nuovo film Disney Pixar

In generale, Lightyear è un film che mi sento di consigliare, a patto di approcciarsi alla visione con la giusta mentalità. Infatti, come anticipato, il film c’entra veramente poco con Toy Story e le sue dinamiche. Ma non è per forza un difetto: dopo quel maledetto Toy Story 4 (2019), è anche ora di lasciare intatta la magia del brand.

Io, pur da grande purista della Pixar, sono andata in sala con grande tranquillità, con la consapevolezza che non sarebbe stato un film Pixar in senso stretto. E così sono riuscita a godermi un film sicuramente non perfetto, ma che riesce ad intrattenere ed a riallacciarsi (seppur debolmente) alle tematiche tanto care alla casa di produzione.

Quindi, se vi piacciono le avventure spaziali, che giocano con il genere del buddy movie, e se in generale vi piace Star Wars, è molto probabile che Lightyear vi piacerà. L’importante, appunto, è andarci con le giuste aspettative. Insomma, dimenticatevi Toy Story.

Distaccarsi da Toy Story: buona idea o commercialata?

Lighyear e Sox in una scena di Lightyear (2022) nuovo film Disney Pixar

Come anticipato, è Lighyear non è strettamente legato a Toy Story. I riferimenti sono infatti abbastanza sporadici: a parte dire che il film sia quello visto da Andy nel 1995 (di cui parleremo), il film si limita ad inserire qualche citazione e dinamica famosa della saga. Per il resto, prende tutta un’altra strada.

La pellicola sembra più decostruire il personaggio di Buzz, i suoi atteggiamenti abbastanza ridicoli di voler fare sempre rapporto e la sua ossessione di portare a termine la missione. Per il resto, la maggior parte dei personaggi sono totalmente nuovi o, nel caso di Zurg, rivisitati.

E, per me, non è stata una cattiva idea. Infatti, come ci insegnano eventi recenti di Star Wars, andare a rimettere le mani sul canone e portare collegamenti mal pensati, solitamente non è una buona idea. Invece andare a sfruttare un personaggio molto amato come Buzz ed ampliare l’universo di Toy Story, senza intaccare il canone, è stata un’idea decisamente migliore.

Detto questo, si tratta sicuramente di un film prodotto con l’intento di far conoscere il personaggio ad un pubblico infantile e vendere molti giocattoli. Con una situazione che fra l’altro supera il concetto di metanarratività in maniera quasi agghiacciante.

Buzz Lighyear: un personaggio coerente?

Lighyear e Sox in una scena di Lightyear (2022) nuovo film Disney Pixar

Il personaggio di Buzz è stato fortemente criticato, soprattutto negli Stati Uniti, per via del suo doppiatore, Chris Evans, famoso soprattutto per aver interpretato Captain America nell’MCU. La critica ha sembrato rimpiangere la voce storica di Tim Allen, non considerando Evans per nulla all’altezza.

A me personalmente il doppiaggio di Buzz ha assolutamente convinto e non ho mai trovato straniante il cambio di doppiatore. Oltre a questo, secondo me il personaggio è scritto ottimamente, ampliando il suo carattere e la sua storia in maniera assolutamente coerente con il canone.

Troviamo infatti un Buzz sempre concentrato sulla missione, fino all’ultimo intestardito all’idea di portarla a termine, quasi ridicolo nei suoi atteggiamenti. Proprio il Buzz che vedevamo in Toy Story, soprattutto nel primo film.

Zurg: un cattivo a metà

Zurg in una scena di Lightyear (2022) nuovo film Disney Pixar

Ho generalmente apprezzato il personaggio di Zurg: è coerente con quello di Toy Story ed è stato un bel colpo di scena. Il punto di partenza della morale più adulta del film, che però pecca in un elemento fondamentale: il minutaggio.

Al personaggio di Zurg non viene evidentemente dato il tempo di respirare: viene introdotto, viene spiegata la sua storia, ma nel giro di pochissimo tempo Buzz gli si rivolta contro. E da quel momento diventa semplicemente il personaggio di Zurg di Toy Story, ovvero un cattivo molto tipico e stereotipato. E con un minutaggio risicato.

Lightyear e una trama imperfetta

Complessivamente parlando, la trama di Lightyear mi è piaciuta: ben strutturata, con alcuni momenti abbastanza prevedibili, ma comunque toccanti. Per esempio, mi aspettavo assolutamente che Alisha morisse, ma lo stesso, vedendo Buzz che entra nell’ufficio vuoto, mi si è stretto il cuore.

Nonostante la trama riesca a ben posizionare le pedine in gioco, tende ad incartarsi nella parte centrale. Infatti i protagonisti vengono continuamente messi davanti a continui ostacoli, in maniera quasi estenuante.

Anche se non penso che fosse quello l’intento, questa dinamica dà taglio di verosimiglianza alla vicenda. Infatti, a differenza della finzione cinematografica, è molto più credibile che in una situazione reale i personaggi si sarebbero trovati davanti a una marea di imprevisti.

La doppia morale

Lighyear in una scena di Lightyear (2022) nuovo film Disney Pixar

Dal punto di vista della morale, il film si struttura su due livelli: la morale per il pubblico di bambini e la morale per il pubblico di adulti. Molto Pixar, senza dubbio.

La morale per i bambini, drammaticamente didascalica, riguarda l’importanza di non isolarsi e intestardirsi sulle proprie idee, ma cercare di lavorare di squadra. Infatti Buzz è per la maggior parte restio a lavorare con gli altri personaggi, sottovalutandoli, ma alla fine capisce il loro valore, proprio come Alisha aveva fatto con lui.

La morale adulta riguarda invece il non inseguire un sogno impossibile e non sapersi godere la propria vita per quello che è, con i suoi alti e bassi. Una morale davvero bella e toccante, con una messa in scene molto convincitene. Peccato che sia la stessa morale di Up (2009).

Una comicità non sempre vincente

Lightyear è un film che sembra volerti far continuamente ridere, buttando lì battute pensate probabilmente più che altro per un pubblico infantile. Soprattutto all’inizio, ho trovato quasi fastidiosa questa continua insistenza. Tuttavia, all’interno della pellicola ci sono diversi momenti in cui ho riso sinceramente.

La maggior parte, ovviamente, sono collegati a Sox, un personaggio su cui non contavo per nulla, ma che invece è stato fra i miei preferiti dell’intero film.

Lightyear è il film che ha guardato Andy?

Volevo aggiungere questa piccola coda alla fine della recensione, perché penso di non essere l’unica ad essersi fatta questa domanda. All’inizio del film viene detto esplicitamente che Lightyear è il film che vide Andy nel 1995 e che lo fece innamorare del personaggio.

Ovviamente, questo non è possibile. Il film di Lightyear nel 1995 non sarebbe mai stato un film dove il protagonista viene messo così tanto in discussione, con una morale del genere, con un cast così inclusivo.

Sarebbe stato al contrario un film alla Terminator, ma nello spazio, pieno di violenza edulcorata e un trash che solamente gli Anni Novanta possono regalarci.

Ma, ovviamente, qui parliamo di sospensione dell’incredulità totale. E va bene così.

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In viaggio con Pippo – Il mio terribile papà

In viaggio con pippo (1995) di Kevin Lima fu un caso incredibile di rivalutazione di un prodotto alla sua uscita in home video.

Il film infatti uscì nelle sale più per un obbligo contrattuale della Disney che per vera fiducia nel progetto, tanto che incassò pochissimo (37 milioni di dollari contro 18 di budget) e ricevette critiche poco entusiaste.

Tuttavia, con l’uscita in videocassetta, divenne un piccolo cult degli Anni Novanta e Duemila, in particolare per la generazione dei millennials.

Di cosa parla In viaggio con Pippo

Max è un giovane adolescente che vorrebbe solo essere popolare e conquistare la ragazza dei suoi sogni. Per uno strano caso di equivoci, finisce costretto ad un viaggio con il padre, Pippo, che vuole riallacciare i rapporti con lui.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere In viaggio con Pippo?

Assolutamente sì.

Per me ancora oggi è un film che vale una visione, anche per immergersi appieno negli Anni Novanta e in uno dei suoi maggiori cult. Una commedia davvero gustosa e divertente, la quale, nonostante qualche ingenuità, è ancora assolutamente attuale.

La consiglio soprattutto se apprezzate le dinamiche alla buddy movie in ambito familiare e il genere road movie.

Oltre a questo, ha una durata talmente breve, che passa in un attimo.

Un rapporto difficile

Max in una scena del film In viaggio con Pippo (1995) per la regia di Kevin Lima

In viaggio con Pippo è un road movie dal taglio buddy comedy, che racconta il tentativo di un padre di riallacciare i rapporti col figlio ormai cresciuto. Una storia di fatto molto semplice che però, per quanto dovrebbe essere comica, ha dei tratti molto drammatici, al limite dell’inquietante.

Già solamente il motore della vicenda, ovvero l’equivoco di Pippo che pensa che Max possa diventare un delinquente e finire in prigione, è terribilmente realistico e agghiacciante, anche per la messa in scena.

Pippo, da sempre convinto di avere un figlio con la testa a posto e che non farebbe nulla di male, viene terrorizzato dal preside della scuola, che scruta Max con fare poco rassicurante. E l’idea che il figlio prenda una brutta strada è una delle paure che colpiscono qualunque genitore, negli Stati Uniti anzitutto.

Così Max agisce con grande ingenuità, cercando di ingannare il padre per i propri fini ma sentendosi al contempo terribilmente in colpa.

Davvero straziante la scena in cui, con grande riluttanza, cambia il percorso del loro viaggio sulla preziosa mappa del padre. Lo stesso padre che cerca di ascoltare il figlio, dandogli in mano la mappa del loro viaggio e, di conseguenza, fornendogli la libertà di decidere come meglio ricostruire il loro rapporto.

Nonostante questi aspetti che lo rendono un film maturo e ancora interessante, la pellicola pecca in non pochi aspetti.

Un film imperfetto

Pippo e Max in una scena del film In viaggio con Pippo (1995) per la regia di Kevin Lima

Un problema non indifferente del film è che sembra che manchi qualcosa.

Alcuni eventi della trama, soprattutto verso la fine, sembrano molto raffazzonati. Così Roxanne perdona immediatamente Max della sua bugia, così Max e Pippo si riconciliano troppo facilmente con una canzone e con altrettanta facilità riescono ad entrare al concerto, che era l’obbiettivo finale del film.

Se guardate qualsiasi prodotto analogo dello stesso periodo, la risoluzione finale richiede sempre un minimo di costruzione, anche improbabile, in cui i personaggi superano un ostacolo apparentemente insormontabile.

Per fare un esempio molto banale, in Quanto è difficile essere teenager! (2004) la protagonista vuole (come Max) recarsi ad un concerto, pur non avendo i biglietti. Questo elemento viene portato avanti per tutta la trama e ha un tipo di costruzione che poi porta effettivamente al finale.

Niente di tutto questo per In viaggio con Pippo.

Non è un sorprendente scoprire che ci furono diversi problemi produttivi, sia per il budget abbastanza risicato sia per problemi tecnici, col risultato che si dovette rifare da capo parte del film.

Oltre a questo, la pellicola fu approvata da Jeffrey Katzenberg, che fu a capo della Disney fino al 1994, per poi essere licenziato e diventare uno dei cofondatori della Dreamworks Animation.

Per questo i nuovi capi della casa di produzione di Topolino non ebbero evidente interesse nel progetto e lo rilasciarono, come detto, principalmente per obblighi contrattuali con Katzenberg.

Perché In viaggio con Pippo divenne un cult

Big Foot in una scena del film In viaggio con Pippo (1995) per la regia di Kevin Lima

Quindi, perché In viaggio con Pippo divenne un cult?

La bellezza del film risiede principalmente due aspetti: l’originalità di alcune trovate e il taglio narrativo.

Anzitutto, diversi elementi di questa pellicola diventarono immediatamente iconici, come il gorgonzola spray tanto amato da Bobby e la divertentissima gag di Big Foot. Elementi non del tutto comuni in piccoli film per bambini di questo tipo, e che oggi avrebbero sicuramente generato una quantità infinita di meme.

Oltre a questo, il taglio narrativo è piuttosto particolare, ed è anche il motivo del suo insuccesso: non parla per niente ai bambini, ma al contrario racconta in maniera credibile sia le ansie del protagonista adolescente sia le preoccupazioni di Pippo come padre.

Oltretutto il personaggio di Pippo in questo film è nel ruolo piuttosto atipico di padre, con anche dei tratti drammatici non indifferenti.

Perché fu un disastro al botteghino?

Anche in questo caso le motivazioni non sono più di tanto difficili da individuare.

Come detto, il taglio narrativo è eccessivamente adulto e rivolto ad un pubblico più adolescenziale che infantile, una problematica simile all’insuccesso de Il pianeta del tesoro (1998).

Al contempo, ci sono delle scene onestamente inquietanti, che possono colpire non nel modo migliore un pubblico di bambini, come è stato per Cup Head Show.

Fra queste, la bambina al negozio di foto di Pippo il cui posteriore viene incollato letteralmente al tavolo, così lo spettacolo degli Opossum, che ha un taglio al limite dell’orrorifico per raccontare la frustrazione di Max.

Una seconda possibilità

Proprio per il grande riscontro che ebbe con l’uscita in home video, la Disney decise, a cinque anni di distanza, di rilasciare un seguito, An Extremely Goofy Movie (2000), noto in Italia come Estremamente Pippo.

In questo caso ebbe un buon riscontro di pubblico e di critica, pur essendo rilasciato nella versione direct to video, ovvero direttamente in videocassetta. Gli fu dedicata una campagna marketing non da poco, con diversi gadget negli Happy Meal di McDonald’s in occasione della sua uscita.

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Cip & Ciop agenti speciali – Attivare parental control

Cip e Ciop: Agenti speciali (2022) è una delle ultime pellicole in tecnica mista uscite su Disney+ e che sta facendo parlare molto di sé. Il motivo è semplice: se pensavate che fosse un film per bambini, dovete ricredervi.

Io per prima pensavo quanto sopra, ma, grazie al passaparola positivo che ho ricevuto da diverse persone, mi sono convinta a recuperarlo. E non è nulla di quanto mi sarei mai potuta immaginare. Mi è sembrato di tornare a tanti anni fa, allo splendido Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988), cult assoluto della mia infanzia, con tutto quello che ne consegue.

Di cosa parla Cip & Ciop agenti speciali

Cip e Ciop sono amici fin dall’infanzia e riescono a diventare protagonisti di uno show televisivo (che dà il nome al film e che è stato veramente trasmesso fra il 1989-90), ma si dividono inaspettatamente per il desiderio di Ciop di smarcarsi dall’ombra di Cip.

I due dovranno riunirsi molti anni dopo per salvare Monterey Jack, il loro ex-collega della serie.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché Cip & Ciop agenti speciali non è niente che potreste aspettarvi

Cip e Ciop nel film per Disney+ Cip & Ciop agenti speciali (2022)

Come anticipato, io avevo bollato (ingiustamente) questo film come il solito revival di prodotti del passato per farli apprezzare alle nuove generazioni, come era stato appunto per il recente Tom & Jerry (2021) e altri prodotti simili. E mai come in questo caso ringrazio con tutto il mio cuore il buon passaparola che ho ricevuto.

Cip & Ciop agenti speciali è fondamentalmente un buddy movie nel senso più classico del termine, richiamando anche direttamente uno dei prodotti pionieristici del genere, 48 ore (1982). Due personaggi che partono come antagonisti (in questo caso divisi da un vecchio rancore) e che riusciranno a ricostruire il loro rapporto. Detto così, potrebbe sembrare un film innocuo. Niente di più sbagliato.

In realtà questo film non è minimamente pensato per un pubblico infantile, e forse neanche per un pubblico di ragazzini, ma principalmente per il target dei figli degli Anni Ottanta e Novanta, che conoscono i vari meme di internet e che sono cresciuti con i cartoni animati dell’epoca.

Nessuno pensa ai bambini!

Cip e Ciop nel film per Disney+ Cip & Ciop agenti speciali (2022)

Per quanto non sia detto esplicitamente, in Cip & Ciop agenti speciali si parla di dipendenza dalle droghe, quindi spaccio e traffico di esseri umani. Già questo getta un’ombra sul film, ancora più aggravato da scene non tanto spaventose, ma sottilmente disturbanti.

Oltre a questo, un bambino rischia di annoiarsi: per la maggior parte delle battute sono riferite a meme di internet e a prodotti degli Anni Novanta e Anni Duemila. Il massimo che potrebbe intrattenerlo sarebbe la storia raccontata, ma è impossibile (e per fortuna) che la capisca fino in fondo.

Perché dovreste vedere assolutamente Cip & Ciop agenti speciali

Cip e Ciop nel film per Disney+ Cip & Ciop agenti speciali (2022)

Fatte queste dovute premesse, Cip & Ciop agenti speciali è un film sorprendentemente geniale. La vera trama appunto riguarda temi abbastanza pesanti, cui si aggiunge il tema evergreen, già ben sperimentata in Bojack Horseman, ovvero quella riguardante la crudeltà dello show business hollywoodiano.

Un film profondo e maturo, pur con qualche ingenuità nel riprendere dei topoi molto abusati. Oltre a questo, soprattutto all’inizio, ci sono delle battute assolutamente geniali in riferimento a prodotti ormai entrati nella cultura popolare, in cui la Disney arriva a parodizzare sé stessa (e non solo). Un film gustoso e divertente, che dovreste assolutamente recuperare, soprattutto se fate parte della generazione che è cresciuta con questi personaggi.

Cos’è il genio?

Ugly Sonic in una scena del film per Disney+ Cip & Ciop agenti speciali (2022)

That weird animation style in the early 2000s where everything looked real but nothing looked right

Quello stile di animazione all’inizio degli Anni Duemila quando tutto era realistico ma sembrava sbagliato

Riuscire a mettere così tanti riferimenti alla cultura pop di un certo periodo non era semplice, ma è Cip & Ciop agenti speciali ci è riuscito alla perfezione.

Per me le battute più geniali sono state sicuramente quelle dell’animazione anni 2000 e soprattutto Ugly Sonic, uno dei casi cinematografici più discussi in tempi recenti. Per non parlare della quantità di riferimenti di prodotti animati, Disney e non.

Riuscire poi ad edulcorare tematiche pesantissime come il traffico di organi e di essere umani, lo sfruttamento di Hollywood e la dipendenza dalle droghe, riuscendo al contempo a contestualizzare tutto perfettamente nel contesto raccontato, non è cosa da tutti. Ma, ancora, questo film ci riesce perfettamente.

Il rapporto fra Cip e Ciop

Cip e Ciop nel film per Disney+ Cip & Ciop agenti speciali (2022)

Ho davvero adorato come il rapporto fra i due non sia affatto appiattito, non limitandosi a raccontare una banalissima dinamica da buddy movie.

Cip e Ciop erano due bambini molto soli e incompresi, in particolare Cip non riusciva ad avere amici e finalmente ha trovato un compagno di vita in Ciop: il suo racconto alla fine sul corpo esanime di Cip è uno schiaffo emotivo.

Un bellissimo racconto di amicizia, di come i rapporti possono essere guastati da una semplice parola non detta, accecati da un senso di inferiorità ingiustificato verso i propri amici, anche più stretti.

La scelta del rilascio in streaming

Il film è stato rilasciato direttamente sulla piattaforma Disney+, senza quindi passare per la sala. In questo caso, potrebbe non essere stata la scelta peggiore: probabilmente altri come me si saranno fermati davanti al titolo, bollandolo come un film per bambini.

Così il pubblico infantile e i genitori si sarebbero fiondati in sala, convinti di vedere un film pensato per loro. E, vista l’eccelsa capacità di rating dell’Italia (vi ricordo The Suicide Squad era classificato come film per tutti), probabilmente avremmo avuto una generazione di bambini traumatizzati per la vita.

Per questo probabilmente avrebbe avuto un pessimo passaparola e sarebbe stato un flop. Invece, rilasciandolo subito in streaming e rendendolo così più accessibile, ha permesso che fosse più facile che i vari influencer (adulti) lo vedessero e creassero un ottimo passaparola. E così è successo.

E non sarà né la prima né l’ultima pellicola che vivrà di migliore salute in streaming piuttosto che in sala.

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Rapunzel – L’inizio inaspettato

Rapunzel (2010) è un lungometraggio animato di casa Disney, il cinquantesimo fra i suoi Classici, nonché, insieme al Re Leone (2019), il film animato più costoso della storia del cinema.

E così, con un budget di 260 milioni di dollari, incassò bene: quasi 600 milioni in tutto il mondo.

Ed è fra i miei prodotti animati preferiti in assoluto.

Di cosa parla Rapunzel?

Rapunzel è una ragazza che sta per compiere diciotto anni, passati tutti nella torre in cui è stata imprigionata da Madre Gothel, che vuole sfruttare il suo potere…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena guardare Rapunzel?

Rapunzel e Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Assolutamente sì.

Rapunzel è un ottimo prodotto di animazione, che riesce facilmente ad intrattenere e a divertire.

Oltre a non avere mai dei momenti morti, presenta una narrazione incalzante, porta in scena due protagonisti con un’ottima chimica, una storia d’amore davvero coinvolgente, pur nella sua semplicità. Inoltre, una serie di personaggi secondari genuinamente divertenti e ben scritti.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Rapunzel

Rapunzel è una protagonista all’avanguardia per i tempi.

oltre ad essere, insieme a Mulan, una delle poche principesse a possedere un’arma, come Mirabel in Encanto (2021), è un personaggio intraprendente e che prende in mano la propria vita, nonostante tutti gli ostacoli che le vengono messi davanti.

Ovviamente il maggiore ostacolo è Madre Gothel e i suoi ricatti emotivi, ma anche Flynn inizialmente cerca di ingannarla e manipolarla.

Ma Rapunzel è inarrestabile.

In particolare, la protagonista della pellicola ha due punti di forza: non ha un principe e si salva da sola.

Salviamoci insieme

Non solo Rapunzel si salva da sola, ma salva anche il principe.

Una caratteristica ben poco presente per i personaggi femminili, che solitamente sono figure passive che devono essere salvate, spesso premio di una prova del personaggio maschile.

In questo caso Rapunzel decide autonomamente di intraprendere il suo viaggio e riesce, pur con qualche difficoltà, a difendersi, sia fisicamente che psicologicamente, da Flynn e infine da Madre Gothel.

Inoltre, appunto, salva Flynn in almeno due situazioni: quando stanno scappando dai gendarmi dalla taverna, quando stanno per affogare, e infine, anche se indirettamente, quando Flynn è effettivamente morto.

E l’unico momento in cui viene effettivamente salvata non è il solito salvataggio della principessa in pericolo.

Flynn

Molto spesso nella narrazione classica si portava una rappresentazione del protagonista maschile che doveva essere il sogno di ogni bambina: trovare un uomo bello e ricco da sposare, possibilmente che sapesse mettersi in gioco per salvarci la pelle.

Tuttavia le prospettive e i desideri del pubblico già dieci anni fa si erano ampliati.

Per questo Flynn Rider è stato il primo anti-principe della Disney.

A questo esperimento ne è seguita una pallida imitazione con Kristoff in Frozen, e in parte Nick in Zootropolis (2016). Quindi personaggi maschili che si affiancano le protagoniste femminili più come compagni di avventure che (solo) come interessi amorosi.

Nel caso di Flynn troviamo un personaggio assolutamente inusuale per l’epoca: viene anzitutto presentato come fondamentalmente negativo, in quanto fuorilegge, furbo e approfittatore, oltre che vanitoso (caratteristica rara nei personaggi maschili protagonisti, se non per sottosensi queer).

Nonostante tutti questi difetti, Flynn ci sta subito simpatico perché è un personaggio umano.

Uscire dallo stereotipo

Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico Disney

A differenza di Rapunzel, che è un personaggio più tipico, Flynn è un personaggio profondamente umano.

Come ci spiega lui stesso, Flynn non è rappresenta la sua reale persona, ma è una facciata che si è costruito. Anche se non è spiegato nel dettaglio, sicuramente proviene da una realtà di grave povertà, forse persino da un orfanotrofio.

Per cui rubare non era mai stato un atto di avidità, ma un modo di sopravvivere, e anche di inseguire, seppure in maniera negativa, il sogno di una vita migliore. La validità del suo sogno viene tuttavia più volte ridimensionata, anzitutto da Uncino, che gli dice Il tuo sogno fa schifo.

Compagno di vita

Rapunzel e Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Così, come nel migliore dei buddy movie, Flynn insieme a Rapunzel riesce a crescere e a migliorarsi, con un effettivo lavoro di squadra, che non sia solo unidirezionale.

Infatti Flynn non salva Rapunzel in senso stretto, ma più che altro la aiuta a compiere quell’atto finale che non riusciva a compiere lei stessa, per via lavaggio del cervello cui era stata sottoposta: tagliare definitivamente i ponti, e così il cordone ombelicale metaforico con la madre.

Oltre a questo, Rapunzel riesce a tirare fuori il meglio da lui, portandolo ad abbandonare Flynn per tornare ad Eugene, ovvero una persona che si interessa a qualcun altro oltre che a sé stesso, e che ha mire definitivamente più oneste e positive.

Ovviamente all’interno di un finale molto semplice e prevedibile, ma del tutto funzionale.

L’innamoramento

Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Un grande pregio del film è che il rapporto Flynn e Rapunzel, nonostante sia basato sui più classici e funzionali tropoi di enemy to lovers, è ben costruito.

Inizialmente entrambi, appena si scoprono, sono quantomeno colpiti. Soprattutto Flynn, che rimane sbigottito vedendola per la prima volta, anche perché in quella scena la ragazza è disegnata in maniera più adulta.

Immediatamente, sono entrambi sulla difensiva davanti all’ignoto: Rapunzel si difende disordinatamente con la padella, Flynn con i suoi stupidissimi metodi di approccio, che potrebbero funzionare con altre donne, ma non con Rapunzel.

Poi ci riprova, vedendola in difficoltà, usando trappole emotive al pari di Madre Gothel, anche se ovviamente non in maniera così diabolica.

L’ultimo inganno a cui la sottopone è quello decisivo: alla taverna, invece di arrendersi definitivamente, Rapunzel si dimostra nuovamente capace di gestire la situazione, portandola a suo vantaggio.

E così è anche la prima volta che Flynn è genuinamente interessato a lei, come si vede dal mezzo sorriso che le rivolge mentre sono nel tunnel sotto alla caverna. Da questo momento in poi comincerà a non considerarla più una ragazzina sprovveduta.

Ed è anche la prima volta in cui Rapunzel si rende conto delle sue capacità, e di non essere una buona a nulla come raccontava Madre Gothel.

Le ultime tappe

Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

La scena del falò è un altro momento decisivo.

Finalmente entrambi si svelano l’uno all’altro, in maniera in cui nessuno dei due aveva mai fatto con nessuno. A quel punto Rapunzel è già evidentemente già innamorata, ma Flynn non può concedersi questo passo: la guarda ammaliato, poi abbassa lo sguardo, genuinamente sorpreso, e si allontana con una scusa.

E in quel momento Rapunzel fa la mossa finale: dimostra di accettarlo per chi davvero è, e non per la facciata che Flynn ha dovuto usare tutta la vita. E da come lo guarda si vede che è definitivamente innamorata.

Lo stesso sguardo è negli occhi di Flynn quando in città vede Rapunzel con i capelli intrecciati di fiori. Ma, ancora una volta, davanti allo sbeffeggiamento di Maximus, cerca di allontanare quel pensiero.

L’amore fra i due è finalmente rivelato prima quando si trovano mano nella mano durante la danza nella città, e infine sulla barca, quando si dichiarano vicendevolmente, senza più imbarazzo.

Così il breve distanziamento fra i due, che per fortuna non viene eccessivamente drammatizzato ed è anzi occasione per Rapunzel di avere la sua rivalsa su Madre Gothel, viene risolto con la dichiarazione reciproca dell’amore di entrambi.

E non con un semplice ti amo, ma con una dichiarazione più profonda.

Sei il mio nuovo sogno.

Madre Gothel

Madre Gothel è villain da manuale.

un antagonista piuttosto tipizzato, ovvero quel tipo di cattivo la cui cattiveria non è particolarmente esplorata.

Tuttavia, leggendo più a fondo il suo personaggio, si scopre che non è così superficiale come potrebbe sembrare. Anzitutto, le sue motivazioni: non cattiva perché cattiva, ma perché ossessionata non tanto dalla vita eterna, ma proprio dalla bellezza.

Non a caso Madre Gothel è una donna fascinosa e magnetica, che utilizza anche questo suo potere a suo vantaggio.

Così ammalia uno dei delinquenti della taverna per sapere dove sbuca il tunnel sotterraneo, così inganna i due compari di Flynn Rider per utilizzarli a suo vantaggio.

E sempre sulla bellezza punta quando vuole sminuire Rapunzel, sia durante la canzone Mother knows best, quando le dice che è trasandata, persino grassa (a little chubby).

Ma soprattutto durante la scena del falò, quando le afferra i capelli per sbeffeggiarla e le dice Pensi che sia rimasto impressionato? ribadendo quanto la figlioccia sia strana, trasandata e per nulla attraente.

Ma, soprattutto, Madre Gothel è definita nella dicotomia luce – buio, in contrapposizione con Rapunzel.

Essere inghiottiti dall’oscurità

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Secondo un topos molto semplice, ma non per questo meno efficace, Madre Gothel è strettamente collegata al concetto di oscurità. Anzitutto per i colori del suo personaggio, molto intensi e scuri appunto, così per la maggior parte delle scene in cui compare, sempre in ombra o penombra.

Inoltre, questa dicotomia si trova nella già citata canzone Mother knows best: tutta la scena è la donna che cerca di togliere la luce alla figlioccia, sia in senso metaforico che effettivo.

Come le spegne le candele che Rapunzel cerca di accendere per fare luce, così Madre Gothel utilizza la luce a suo vantaggio, facendo vedere quello che vuole lei, e ottenebrando la mente della ragazza con paure insensate.

Un’ombra

L’ombra di Madre Gothel accompagna Rapunzel anche quando non è presente in scena.

Quando la ragazza è profondamente divisa sul da farsi, avendo paura di deludere la madre, nelle scene di spensieratezza l’ambiente è luminoso e con colori pieni, quando è invece triste e preoccupata la vediamo in ambienti nell’ombra o nella penombra.

Altrettanto importante per questo simbolismo è l’incontro del falò: la donna abbraccia Rapunzel, non per affetto ma per ingabbiarla nuovamente, la afferra per un polso e cerca di trascinarla con sé, lontano dal falò e quindi dalla luce, verso la foresta nera da cui è emersa.

E così tutta la canzone, che serve a sbeffeggiare la figlioccia e impiantare in lei il seme del dubbio, si svolge nell’ombra.

Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Ancora la tematica della luce quando Rapunzel acquisisce consapevolezza: in inglese nella canzone delle lanterne dice Now I see the light, ovvero Ora vedo la luce, in senso sia letterale, sia metaforico.

E il parallelismo è scontato è quando assume la definitiva consapevolezza della sua identità, vedendo proprio i soli simbolo della sua famiglia nella sua stanza, e quindi la luce e la verità che gli era sempre stata nascosta.

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Ma Rapunzel si fa anche tentare da una luce ingannevole: quando finalmente (e per fortuna temporaneamente) Madre Gothel la fa tornare a sé dopo averle fatto credere al tradimento di Flynn, è accanto ad una lanterna.

Ma è una lanterna di una luce fredda, verdognola, di un colore solitamente associato al veleno e all’inganno.

E si potrebbe andare avanti…

Non solo il tuo animaletto

Per quanto si sarebbe potuto desiderare un villain più profondo, che non fosse limitato alla sua cattiveria apparentemente superficiale, la spietatezza con cui Madre Gothel tratta Rapunzel è da brividi.

Non c’è mai un momento in cui dimostra qualche tipo di effettivo affetto verso la figlioccia, che considera sempre invece come uno strumento, come una risorsa per sé stessa ed il suo tornaconto.

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Non solo uno strumento, ma anche un animale: nella sua prima canzone, Mother knows best, Madre Gothel chiama Rapunzel proprio pet, e in più di un’occasione le tocca la testa come si fa con gli animali da compagnia appunto.

Questo gesto è ribadito nell’ultimo atto, quando Rapunzel le si ribella, prendendola violentemente per il polso e impedendole di farlo.

E finalmente torreggia su di lei.

Personaggi secondari indovinati

Un altro merito di questo film sono sicuramente i personaggi di contorno.

Anzitutto i malviventi incontrati alla taverna, che nel finale diventano fondamentali. Soprattutto per la loro canzone dove vengono presentati, non sono altro che un’estensione di Flynn: criminali ma dal cuore d’oro e con altre passioni oltre al crimine di per sé.

Tra l’altro spassosissima la loro sfilza di interessi assolutamente anacronistici per il periodo rappresentato.

Altra punta di diamante della pellicola è Maximus.

Era forse dai tempi di Mushu che non si vedeva un animale così ben raccontato ed animato, con una mimica al limite della perfezione, che lo fa sembrare prima un uomo, poi un cane (nella scena in cui incontra Rapunzel). Maximus è proprio una storia a parte.

Nota a margine per Pascal: sembra un personaggio molto secondario, e invece ha un ruolo chiave nella vicenda. Infatti, fino alla fine, Madre Gothel neanche sa che esista e Rapunzel glielo nasconde volutamente.

Pascal è infatti la voce della ragione, una figura enigmatica e silenziosa che invita subito Rapunzel ad uscire, che veglia su di lei, riuscendo ad addomesticare Maximus e accettando tacitamente la sua relazione con Flynn.

E non è un caso che è Pascal stesso che interviene per rendere definitiva la dipartita di Madre Gothel.

Rapunzel: un’altra interpretazione

Il potere di Rapunzel è luminoso e puro e, una volta tagliato, perde il suo valore.

Non sarò la prima né l’ultima a dirvi che Rapunzel può essere letto in un’altra ottica.

Il dono di Rapunzel è in realtà la sua verginità, in una visione ovviamente molto tradizionalista. Così Madre Gothel la promette ai malviventi, in maniera davvero inquietante, così dice a Rapunzel che Flynn vuole solo una cosa da lei, come se dovesse sedurla per avere un rapporto sessuale e poi abbandonarla.

Una narrazione piuttosto utilizzata e radicata profondamente nell’immaginario collettivo, anche odierno. E il fatto che si parli di Rapunzel e del suo potere legato al fiore e della preziosità della corona, l’unico interesse di Flynn secondo Madre Gothel, non fanno che confermare questa visione.

Così, quando alla fine si baciano sulla torre e l’inquadratura si allontana, senza far mai vedere che escono o altro, i più maliziosi potrebbero intendere quello come effettivamente il momento in cui portano il loro rapporto ad un altro livello.

Ma sono interpretazioni maliziose…

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Encanto – L’happy ending a tutti i costi

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Encanto (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione
Miglior colonna sonora originale
Migliore canzone originale

Encanto (2021) è l’ultima pellicola Disney Pictures uscita lo scorso novembre, nonché il 60esimo classico della casa di produzione statunitense. Nonostante ad oggi sia diventato un piccolo cult online, soprattutto per la canzone We don’t talk about Bruno, è stato un discreto flop commerciale: 251 dollari di box office contro un budget di 120. Quindi forse sono riusciti a rientrare nei costi di produzione, ma, con la massiccia campagna marketing che è stata fatta, non è neanche detto. Comunque per la Disney non un buon risultato.

Il film è stato una sorprendete riscoperta quando è uscito in streaming a Natale, creando un trend tutt’ora vivo, soprattutto su TikTok. E dopo spiegheremo come questo è di fatto un precedente pericoloso.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Encanto

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

La storia di Encanto ruota intorno a Mirabel, parte della famiglia Madrigal, il punto di riferimento per una piccola comunità immaginaria della Colombia. Tutta la famiglia di sangue è caratterizzata per possedere poteri eccezionali, che mette al servizio del bene comune. Tutti tranne Mirabel. La protagonista sarà anche l’unica a rendersi conto di come la magia stia sparendo e a cercare di risolvere il mistero e ricostruire la solidità della famiglia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Encanto

Encanto, nonostante le problematiche che esporremo nella parte spoiler, è un film molto valido, dal grande potere intrattenitivo e con delle canzoni che ti entrano veramente ne cuore. Non a caso è diventato famoso soprattutto per quest’ultime. La protagonista è una ventata di aria fresca per il genere: non è la solita protagonista femminile stereotipata (da cui la Disney sta cercando di distaccarsi da anni), ma è intraprendente, coraggiosa e con una bellezza non convenzionale, ma più realistica.

La storia nel complesso, nonostante il finale a mio parere poco convincente, riesce a trasportati in un mondo nuovo e davvero magico, e a farti esplorare bene o male tutti i personaggi della famiglia. Nel complesso, un film che ogni fan della Disney dovrebbe avere nel suo arsenale.

La questione degli Oscar 2022

Come ampiamente previsto, questo film ha vinto miglior film d’animazione agli Oscar 2022. Personalmente, nonostante il film sia complessivamente gradevole e ben fatto, penso che il premio dovesse essere vinto da I Mitchell contro le macchine (2021), prodotto Netflix di altissima qualità che vi consiglio caldamente di recuperare. O, al massimo, da Luca (2021), altro prodotto veramente valido della Pixar uscito la scorsa estate.

Tuttavia, il posizionamento dell’uscita rendeva assolutamente telefonata la vittoria di Encanto: solitamente i film che si vogliono far vincere agli Oscar vengono fatti uscire il più vicini possibile alla premiazione.

Il precedente pericoloso

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Non è un buon momento per i film d’animazione e, più in generale, i film per famiglie: la pellicola d’animazione che ha incassato di più nel 2021 è stata Sing 2 (377 milioni contro 85 milioni di budget), portandosi a casa circa la metà degli incassi del primo capitolo della saga.

In generale, vuoi per la difficoltà di recarsi serenamente in sala, soprattutto con bambini piccoli, vuoi per la sempre maggiore offerta delle piattaforme streaming, il pubblico più giovane sta abbandonando la sala. E la Disney, consapevole di questo, ha rilasciato il film neanche un mese dopo la sua uscita in sala su Disney+, portando al successo che ha avuto.

Un pericolosissimo precedente: senza lo streaming, Encanto non avrebbe avuto successo. E non è un caso, quindi, che Red (2021), l’ultima pellicola Pixar, sia stata rilasciata in streaming direttamente. La terza pellicola Pixar di fila.

Perché le canzoni di Encanto sono già dei piccoli cult

Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Le motivazioni del successo delle canzoni di Encanto sono fondamentalmente due: Lin-Manuel Miranda e la loro funziona nella storia. Se il primo nome non vi dice niente, sappiate che bene o male questo personaggio fa già parte della nostra vita (e non ce ne siamo accorti). Diventato in poco tempo il golden boy di Hollywood, ha sceneggiato Hamilton (2020), tratto dal famosissimo musical che è stato un successo incredibile negli Stati Uniti, e ha diretto l’ottimo Tik, tik…boom! (2021). Oltre a questo, aveva una parte abbastanza importante ine Il ritorno di Mary Poppins (2018).

Miranda è un ottimo sceneggiatore di musical (e se avete visto Tik, tik…boom! sapete di cosa sto parlando) ed con Encanto è stato capace di portare aria fresca al genere animato. Infatti la particolarità delle canzoni di Encanto è appunto il loro ruolo nella storia: molto spesso nei classici Disney (e non solo) le canzoni sono poco memorabili anche perché hanno un ruolo veramente marginale nella storia, spesso solo momenti di riflessione dei personaggi. Il primo esempio davvero emblematico in questo senso è Frozen II (2019), di cui infatti alcuna canzone è rimasta nel cuore degli spettatori.

In Encanto, invece, la canzoni sono spesso anche mischiate anche ai dialoghi dei personaggi e hanno una funzione chiave nella trama: o la portano direttamente avanti (come nel caso di !Hola casita!, la canzone finale di Abuela), oppure sono funzionali a far capire profondamente i personaggi del film (come la canzone di Luisa). Oltre a questo, sono canzoni sempre diverse fra loro e molto orecchiabili. Io, personalmente, le ho adorate dalla prima all’ultima.

Toccare i tasti giusti

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, e Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Io, per la maggior parte del finale, ero in lacrime. E non la classica lacrimuccia, proprio un pianto vero. Perché per tutto il film, e soprattutto alla fine, Encanto è riuscito a toccare i tasti giusti. In particolare i problemi familiari che più o meno tutti abbiamo o abbiamo avuto nella vita, il rapporto coi nostri nonni e potenzialmente l’abbandono di una persona amata.

Sono delle situazioni in cui ci si può facilmente immedesimare, perché piuttosto comuni. Oltre a questo, più realisticamente parlando, la famiglia Madrigal e l’esperienza di Mirabel non sono altro che la storia di ragazzini prodigio, che sentono la pressione al successo da parte dei genitori. Un altro tema, non a caso, piuttosto comune.

Una protagonista diversa

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Come anticipato, uno dei grandi meriti di questa pellicola è di portare in scena una protagonista diversa dal solito: finalmente non una insopportabile e irrealistica Mary Sue, speciale fin dalla nascita, ingenua e senza nessuno spirito di intraprendenza. Mirabel è invece intraprendente, decisa, ha una gamma espressiva ampia e realistica, ha sentimenti positivi ma anche molto negativi e molto umani.

Ma, soprattutto, non è un personaggio positivo solo a parole: aiuto veramente la sua famiglia, aiuta Antonio nel suo viaggio con un sincero affetto e aiuto che il resto della famiglia non gli dà. E, incredibilmente, non è rancorosa contro la sua famiglia, composta per la maggior parte da adorabili stronzi.

Una rappresentazione davvero inclusiva

La famiglia Madrigal in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Encanto non solo ha reso protagonista della scena la comunità latina, in particolare colombiana, finora ben poco presente sui nostri schermi, ma è riuscito a farlo in maniera interessante e intelligente. I personaggi non sono per nulla stereotipati come spesso succede, sono tutti diversi fra loro di aspetto, con una splendida varietà di volti e di rappresentazione.

Oltre a questo, Encanto ha portato in scena una delle poche rappresentazioni di una donna muscolosa e possente, senza ridicolizzarla o renderla una macchietta, ma con un profondo dramma personale. Ed è splendido come molte persone, di solito scarsamente rappresentate, si siano ritrovate nel suo personaggio.

Il personaggio di Bruno e l’umorismo vincente

Bruno, interpretato da John Leguizamo, in una scena del film

Il personaggio di Bruno è la vera punta di diamante del film e non a caso è anche quello spesso più citato. Il film utilizza un trope che io personalmente adoro, ovvero introdurre un personaggio a parole e poi crearvi dell’attesa intorno. Oltre a questo, è un personaggio con cui facilmente empatizziamo e a cui è dedicante una delle scene che più mi spezzano il cuore di tutta la pellicola, ovvero quando Mirabel scopre che Bruno ha creato un allungamento del tavolo della sala da pranzo e ha disegnato sopra il suo piatto.

Ma è anche un personaggio genuinamente divertente, soprattutto per le parti in cui interpreta i suoi alter-ego. Fra l’altro, ci sono diversi momenti in cui Bruno è presente in scena prima che appaia, in primo luogo nella scena della canzone a lui dedicata.

In generale l’umorismo del film è piuttosto vincente, con battute che riescono a farmi ridere anche ad una seconda visione, in particolare all’inizio quando Mirabel afferma che è speciale come tutti i membri della sua famiglia, uno dei bambini le dice Maybe your gift is being in denial (Magari il tuo talento è negare la realtà).

Perché il finale di Encanto non funziona

Abuela, interpretata da María Cecilia Botero, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale è in realtà triplice: la giustificazione assoluta del personaggio di Abuela Alma, la morale problematica e la mancanza di un finale vero.

Il problema di Abuela Alma

Nella conclusione Mirabel si mostra assolutamente comprensiva nei confronti della nonna, accettando il suo dolore e il suo trauma, e conseguentemente giustificando il suo comportamento terribile finora. Quella della nonna (e in parte anche degli altri membri della famiglia) era una pura violenza psicologica, infatti se non fossimo in un film Disney il potere di Mirabel sarebbe la depressione profonda.

La storia della nonna è indubbiamente bella e toccante, anche molto empowering a suo modo: una donna solo, con tre figli, che riesce a costruire una solida comunità. Tuttavia, appunto, il suo trauma non giustifica la violenza con cui opprime i suoi familiari, che portano appunto ad una distruzione dell’armonia familiare.

Nota a margine, fra l’altro, per l’ossessione ancora viva del co-regista del film, Byron Howard, per il tema della luce: se fate un confronto con Rapunzel (2010), di cui era sempre co-regista, noterete delle grande similitudini fra il fiore del film del 2010 e la candela di Encanto.

Il finale non finale

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale di Encanto è proprio che non è un finale, ma una conferma della situazione precedente. C’erano diversi e vari problemi all’interno della famiglia, anzitutto quello già detto della nonna, ma anche la generale ansia e infelicità dei componenti della famiglia. Questo problema non è veramente risolto, perché è assolutamente poco credibile che basti una canzone per risolvere il trauma profondo di Mirabel, quello di Bruno e a risaldare i rapporti fra i personaggi.

Anche perché il problema di fondo resta: anche se la famiglia Madrigal si vuole forse più bene ora, sono comunque persone che devono essere al servizio della loro comunità, dare una certa immagine di sè, come viene ben mostrato nel film. Tutto questo non viene risolto.

Ma il problema più grande a mio parere è proprio Mirabel.

La morale distorta

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Nella conclusione scopriamo che il vero potere di Mirabel è quello di tenere unita la famiglia e, di conseguenza, l’intera comunità. Tuttavia, questo la rende totalmente un personaggio dipendente, che non potrà mai veramente staccarsi da questo contesto senza che possa succedere ancora una volta il disastro della fine del film.

Questo perché, come già detto, i problemi della famiglia non sono risolti. Quindi Mirabel, che è comunque un personaggio intraprendente e con voglia di fare, non potrà mai essere più che il collante della famiglia, senza avere un vero ruolo se non quello fondamentalmente ancellare.

Il finale perfetto sarebbe stato se Mirabel si fosse allontanata dalla famiglia, cercando la felicità e la possibilità di esprimersi altrove. E invece deve rimanere ancora ad un ambiente, che, in fin dei conti, è davvero soffocante.

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Red – inserire didascalia qui

Red (2022) è l’ultimo film Pixar uscito questo venerdì sulla piattaforma Disney+. La pellicola era inizialmente pensata per l’uscita in sala, ma all’ultimo si è deciso per una distribuzione esclusiva in streaming (e più avanti nell’articolo ipotizzo il perché).

Nel complesso Red è una pellicola gradevole, fortemente ispirata ai teen drama dei primi anni 2000 (pur non essendolo fino in fondo), riuscendo ad includere al suo interno tematiche piuttosto tipiche della casa di produzione.

Tuttavia, il film presenta un problema veramente ingombrante: le didascalie.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Red (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Red?

La protagonista, Mei, è una ragazzina di tredici anni che eccelle in tutto, ma è al contempo oppressa dalla figura iperprotettiva della madre, che le impedisce di esprimersi come vorrebbe. La situazione si complica quando, per via di una maledizione che opprime le donne della famiglia, Mei si trasforma, ogni volta che prova emozioni troppo forti, in un enorme panda rosso.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché Red funziona e perché no

Come anticipato, Red è un film tutto sommato gradevole. La storia è veramente semplice e ridotta all’osso, e la potete ritrovare in una buona quantità di teen drama dei primi Anni 2000. Non a caso è ambientato proprio nel 2002. E io, da grande fan dei teen movie 2000s, non ho potuto fare a meno di apprezzare questo aspetto.

Oltre a questo, le animazioni sono una bella novità per la Pixar, che negli ultimi anni si era un po’ fossilizzata su uno stile sicuramente gradevole, ma alla lunga ripetitivo. In questo caso invece le animazioni sono evidentemente ispirate alla produzione animata giapponese, con una grande esagerazione delle espressioni e delle reazioni dei personaggi, disegni poco realistici e più stilizzati. Un esperimento visivo che in generale mi ha convinto.

Ma quindi perché secondo me Red non funziona fino in fondo?

Il problema del film: le didascalie

Mei (Rosalie Chiang) e Miriam (Ava Morse) in una scena del film Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Red può essere piacevole ad una visione più superficiale, ma se si mettono un attimo da parte le emozioni che indubbiamente provoca, ci si rende conto che è un film con la profondità di una pozzanghera. Questo soprattutto perché all’inizio sembra voler dare un certo tipo di messaggio tramite una metafora decisamente potente, ma alla fine il tutto viene estremamente banalizzato. Oltre a questo, la pellicola è terribilmente appesantita da una narrazione fortemente didascalia, che spiega fondamentalmente cosa succede sullo schermo nonostante sia estremamente ovvio. Fra l’altro troncando ogni possibilità di interpretazioni ulteriori e banalizzando tutto quello che mette in scena.

La bellezza delle produzioni Pixar è che molto spesso non c’è bisogno di una spiegazione effettiva della situazione messa in scena. Anzi, frequentemente la profondità del film Pixar risiede proprio nei suoi silenzi (pensiamo solo a Wall-E).

E spero che nessuno abbia il coraggio di venirmi a dire ma è un film per bambini, perché la Pixar ci ha abituati per anni a film profondamente adulti e con vari livelli di lettura. Quindi è questo quello che mi aspetto.

Red fa per me?

Mei Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Turning Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Partendo dal presupposto che Red mi sembra un film che può piacere un po’ a tutti, lo apprezzerete particolarmente se, come me, siete appassionati di un tipo di teen drama alla Mean Girls (2004), perché le dinamiche sono veramente quelle. In generale, se cercate un film leggero, che comunque riesce a commuovere e coinvolgere, guardatelo.

Se invece siete dei puristi della Pixar, sempre come me, potrebbe non convincervi fino in fondo, in quanto fra le uscite degli ultimi anni è sicuramente fra i più deboli. Ma non per questo non si può dargli una chance.

Raccontare l’adolescenza

Mei (Rosalie Chiang) e la madre Ming (Sandra Oh) in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Nobody will notice a thing

Nessuno si accorgerà di niente

Una delle cose che mi aveva più convinto all’inizio era il modo in cui viene raccontato il personaggio di Mei: si presente come una ragazzina ormai indipendente e brillante, che sceglie per se stessa. In realtà questa narrazione è subito smentita quando, alla richiesta delle sue amiche di passare il pomeriggio insieme, Mei spiega che deve, come tutti i giorni, aiutare la madre al tempio turistico.

Da qui capiamo subito quanto la madre sia una figura castrante: nonostante evidentemente con tutti le buone motivazioni, ha programmato a puntino la vita della figlia e vuole che sia sempre sotto al suo stretto controllo.

Una presenza ingombrante

La situazione le sfugge di mano quando Mei diventa effettivamente un panda rosso. La scena del bagno mi è piaciuta particolarmente perché, oltre a raccontare un tema poco affrontato soprattutto in questo tipo di prodotti, sembra (e sottolineo sembra) utilizzare una metafora potente per rappresentare il passaggio all’adolescenza.

Il panda rosso è qualcosa di enorme, ingombrante, inaspettato, in cui non si riconosce. Il corpo che cambia, i sentimenti incontrollabili, tutte cose che avvengono da un giorno all’altro e che hanno sconvolto la maggior parte di noi in età adolescenziale. E per Mei è veramente difficile tenere tutto dentro: una ragazzina così esplosiva e piena di emozioni, che la madre vuole limitare, riportandola ad una dimensione infantile e controllabile.

Tutta questa bellissima immagine è rovinata da quello che viene detto dopo.

Il problema della narrazione didascalica

Mei Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Come anticipato, questo film è drammaticamente didascalico. C’era veramente bisogno di spiegare che Mei aveva un problema con la madre, che voleva ribellarsi? Ma, soprattutto, c’era bisogno di banalizzare la metafora del panda a un lato sbarazzino della personalità di Mei? Secondo me no. E l’ultima frase del film è esplicativa in questo senso, con una battuta che sembra veramente ripresa dalla sigla di una serie tv di Disney Channel ai tempi d’oro.

E io personalmente, seguendo la Pixar quasi da quando è nata, mi aspetto molto di più.

Qualcosa di bello

Mei (Rosalie Chiang), Miriam (Ava Morse), Priya (Maitreyi Ramakrishnan) e Abby (Hyein Park) in una scena del film  Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Al di là di queste problematiche di fondo, ci sono delle cose che ho veramente apprezzato di questo film. Anzitutto, rappresenta finalmente una realtà culturale più variegata e realistica. In scena si vedono non solo personaggi di diverse etnie, ma anche di religioni diverse. E per lo stesso motivo anche due delle amiche di Mei, oltre che Mei stessa, sono POC: Priya è di origini indiane, Stacy coreane.

Oltre a questo, il tema dell’amicizia l’ho trovato veramente toccante, pur nella sua semplicità: Red ci ricorda quanto sia importante avere dei buoni amici intorno quando stiamo passando dei momenti difficili, e gli amici di Mei lo sono senza dubbio. E, in particolare Miriam ha un rapporto veramente sincero con Mei.

Non andare fino in fondo

Mei (Rosalie Chiang) e la madre Ming (Sandra Oh) in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

Una cosa che veramente non ho capito, e che anzi ho trovato veramente limitante, è il finale stesso. Se il film, come urla a gran voce, ci vuole incoraggiare a sentirci liberi di esprimerci, perché le altre donne della famiglia non hanno la stessa occasione? La cosa non è per nulla chiara: se posso capire la problematica della madre, il cui problema era veramente ingombrante, non capisco perché la nonna e le zie non hanno potuto approfittare di questa occasione per liberarsi anche loro dal fardello che loro stesse si erano imposte. La loro scelta non viene fra l’altro per nulla drammatizzata, ma sembra semplicemente come doveva andare le cose. Punto.

Il film sembra voler ribadire lo status quo che era presente all’inizio del film, e gli altri problemi dei personaggi non vengono affatto risolti. Un vero peccato.

Ma questo, a mio parere, si inserisce anche nel problema della rappresentazione della Cina.

Come raccontare la Cina

Mei (Rosalie Chiang) in una scena del film in una scena del film Red (2022) di Pixar Animation Studio su Disney+ dall'11 Marzo

She’s totally brainwashed

È troppo plagiata

Nonostante possa sembrare il contrario, questo film non è pensato per un pubblico cinese, ma piuttosto per immigrati cinesi di seconda generazione in America, come era stato anche al tempo per Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (2021). Entrambe le pellicole sono infatti accumunate da una rappresentazione della cultura cinese se non stereotipata, comunque evidentemente negativa e limitante, soprattutto se paragonata alla apparente bellezza della cultura occidentale.

Da una parte la cultura rigida e matriarcale, del dovere e del rispetto, dall’altra la cultura occidentale, affascinante e scintillante, regno della libertà. Così infatti le belle cose che Mei ci racconta all’inizio non sono altro che una rappresentazione dei desideri della madre, che, come tipico della cultura orientale, pretende dalla figlia l’eccellenza e un controllo totale sulle sue scelte.

Non è un caso che le autrici della pellicola sono due donne americane di origini cinesi.

In questa rappresentazione potrebbe annidarsi uno dei motivi della decisione di distribuire il film solamente in streaming. La Disney si è fatta due conti in tasca e, fra pandemia e qualche buon centinaio di milioni non garantiti per la mancanza di distribuzione in territorio cinese, ha pensato bene di evitare questo rischio.

Per quanto mi faccia piacere dare voce ad una parte della società poco raccontata finora, riesco ad abbracciare fino ad un certo punto certe stereotipizzazioni di culture non americane, oltre che ad una idealizzazione dalla cultura occidentale.