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Il potere del cane – Storia di un uomo fragile

Il potere del cane (2021) di Jane Campion è stato uno dei protagonisti della stagione degli Oscar 2022, pur venendo sistematicamente derubato proprio in quell’occasione…

Il film ha ricevuto una distribuzione limitata nelle sale, con un incasso stimato di circa 270 mila dollari, per poi essere rilasciato direttamente su Netflix.

Di cosa parla Il potere del cane?

1925, Stati Uniti. Rose è disperata dopo la perdita del marito, dovendo gestire da sola un ristorante e con un figlio da crescere. Ma una novità sta per bussare alla sua porta…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Il potere del cane?

Assolutamente sì.

Purtroppo sono estremamente di parte, perché Il potere del cane è uno dei miei film preferiti in assoluto.

Jane Champion confeziona un’opera di una rara eleganza registica e di scrittura, intrecciando una trama enigmatica e complessa, eppure chiarissima da leggere una volta compresi i simboli principali interni alla narrazione.

Una riflessione ambientata in un passato molto oscuro e lontano, ma nondimeno estremamente vicino al presente per molte delle sue dinamiche, in una pellicola che, pur in maniera diversa, presenta una riflessione sulla fragilità del maschile simile a Men (2022).

Insomma, da non perdere.

Opposto

Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Il primo atto è tanto oscuro quanto diretto.

Si definiscono immediatamente gli opposti – Phil e Peter – nonostante inizialmente il giovanissimo figlio di Rose appaia come personaggio di contorno: il ragazzo sulle prime sembra delicato, fragile, proprio come i fiori di carta che usa per decorare la tavola.

Tuttavia, nonostante Phil cerchi immediatamente di derubricare i suddetti fiori all’identità del personaggio – un maschile femmineo e, per questo, deplorevole – in realtà gli stessi raccontano i tentativi di cura di Peter nei confronti della madre, proprio cercando di abbellire quel mondo sporco e selvaggio in cui sono costretti a vivere.

Benedict Cumberbatch in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Ma proprio nei fiori Phil ricerca la sua definizione.

Il suo atteggiamento al riguardo rappresenta il rapporto del personaggio con quello che considera debole – e, spesso, anche femminile: Phil si impadronisce dei fiori, passa il dito all’interno del bocciolo come se fosse una vagina e, infine, li distrugge.

Parallelamente l’uomo addita insistentemente il vero autore del centrotavola, proprio per delineare la fondamentale distanza fra i due: da una parte l’uomo forte e selvaggio – Phil – dall’altra il ragazzino effeminato e fragile – Peter.

Fragile

Benedict Cumberbatch e Jessi Plemons in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Il rapporto fra Phil e George si può leggere in due direzioni.

Phil si comporta col fratello in parte con lo stesso atteggiamento che aveva nei confronti di Peter: cerca continuamente di sminuirlo – soprattutto all’inizio lo chiama sempre fatso, grassone – ma, al contempo, anche di avvicinarlo a lui.

Innumerevoli sono infatti i tentativi di riportare la memoria – e il presente – ad un’epoca più felice, più semplice, con dei ruoli di genere molto chiari e stringenti – particolarmente spicca la battuta riguardo alla donna che non si poteva scopare se non aveva un sacchetto in testa.

Jessie Plemons in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Ma George non ci sta.

Il più delle volte risponde al fratello e alle sue provocazioni con un disinteressato silenzio, scegliendo piuttosto di parlargli per condurlo verso un mondo più civile e contemporaneo, con un atteggiamento piuttosto sereno, ma nondimeno ammonitore.

Anzi, George in più momenti cerca proprio apertamente di insidiare il comportamento distruttivo del fratello: proprio in quest’occasione, Phil dimostra tutta la sua fragilità, particolarmente quando non riesce poi ad essere così gradasso quando il fratello lo ammonisce, dicendogli che ha fatto piangere Rose.

Tramonto

In generale, Phil rappresenta evidentemente un mondo ormai sulla via del tramonto: il mondo dei cowboy, dell’avventura, della vita semplice e materiale, in cui la definizione del vero maschile era incredibilmente semplice ed immediata.

E infatti il suo modo di vestire è l’ultimo baluardo di quell’età d’oro perduta: il suo personaggio predilige un abbigliamento pratico, che non si orna che di pochi vezzi, la cui usura e sporcizia sottolineano ancora di più il suo lato più selvaggio e indomabile – o presunto tale.

Jessie Plemons e Kirsten Dust in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Al contrario George, pur andando a cavallo e lavorando all’interno di un contesto rurale, sceglie un abbigliamento molto più elegante e borghese, più urbano, in un contesto storico in cui la modernità rampante stava sempre più strozzando il sogno del far west.

E proprio per questo sceglie di accogliere in questo mondo anche Rose, nella quale trova un’affinità di spirito, mostrandogli un’inedita gentilezza e cura, scegliendo fra l’altro di agire alle spalle del fratello, sfuggendo al suo insostenibile giudizio.

Integrazione

Kirsten Dust in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Ma Rose non ha la stessa forza d’animo.

La donna viene insidiata da più parti: anzitutto da Phil, che la disprezza apertamente, che la chiama cheap schemer squallida calcolatrice – e che respinge i suoi tentativi di avvicinamento, di fatto bullizzandola.

L’uomo trova infatti in questa donna così fragile la preda perfetta della sua meschinità, da cui la vedova è incapace di difendersi, in particolare nella splendida scena del pianoforte, in cui subdolamente Phil risponde alle sue note incerte con la sicura melodia del suo banjo.

Jessi Plemons e Kirsten Dust in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Ma, al contempo, Rose non riesce neanche ad integrarsi nel mondo del marito.

Nonostante infatti George cerchi più volte di spingerla – in maniera a tratti quasi assillante – a mostrare il meglio di sé e a diventare la moglie perfetta, Rose respinge più volte e timidamente questi tentativi, particolarmente con la già citata dinamica del pianoforte.

Al punto che, alla cena col governatore e i suoceri, nonostante sia stata tirata a lucido, appare fuori posto sia nel momento in cui servono i drink – rimanendo con in mano il vassoio come una squallida cameriera – sia quando è così insicura da non riuscire a suonare alcunché.

Apparenza

Quando Peter arriva al ranch, sembra essere la nuova preda di Phil.

In realtà fin da subito intravediamo le prime crepe in quell’apparenza del giovane introverso e fragile, in particolare per la dinamica del coniglio: sulle prime sembra che Peter lo catturi per voler far divertire la madre…

…in realtà bastano poche scene per mostrare come il vero interesse del ragazzo per quell’animale fosse di studiarne le interiora, capire cosa nasconde veramente dentro di sé, fra l’altro in maniera brutalmente asettica.

Benedict Cumberbatch in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

E, proprio come il coniglio, Peter osserva Phil.

Infatti, nella sua apparente timidezza, il giovane nasconde in realtà la sua vera natura da osservatore e macchinatore: assiste prima con amarezza alla condizione ormai delirante della madre, per poi intrufolarsi nel cuore di Phil.

Così scopre le riviste pornografiche omosessuali che l’uomo nasconde, scopre il suo rifugio segreto dove veramente il personaggio si mette a nudo, l’unico luogo dove veramente può ripensare al suo rapporto indubbiamente sessuale col compianto Bronco Henry.

Questa rivelazione sembra così alterare gli equilibri.

Corda

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Per la definizione del rapporto fra Phil e Peter, la corda è l’elemento chiave.

La cima sulle prime rappresenta la minaccia subdola nei confronti del ragazzo: nel loro enigmatico dialogo, Phil sembra giocare con la sua preda, senza attaccarla direttamente, ma facendole intendere di star meditando il modo in cui eliminarla.

In realtà è lo stesso Peter che sta giocando con lui: dopo essersi reso protagonista di una piccola passerella per farsi vedere dal resto del gruppo nella sua apparente fragilità, il ragazzo si avvicina a Phil e comincia a compiacerlo in maniera particolarmente subdola.

Benedict Cumberbatch in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Infatti, sulle prime gli mostra un rispetto artificioso e irreale, con un tipo di atteggiamento ossequioso del tutto estraneo ai modi rozzi di Phil, non cedendo subito alla richiesta di chiamarlo per nome, ma invece insistendo con questo cerimoniale il tanto che basta da fargli credere di essere totalmente ingenuo ed incapace.

Poi, al momento giusto, comincia invece a cedere ed accettare di chiamarlo Phil, riuscendo così a compiacerlo, facendogli credere di avergli insegnato qualcosa e di aver fatto un passo in più verso il suo mondo.

In questo senso, l’intreccio della corda rappresenta anche l’intreccio del rapporto.

Caccia

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Per comprendere il finale, sono due i momenti fondamentali.

Il primo è quando Phil e Peter vanno a fare una cavalcata insieme, e l’uomo lo coinvolge in questo gioco infantile e lugubre dello stanare il coniglio, quasi come se volesse metterlo alla prova.

Proprio in quell’occasione, Peter racconta tutto della sua personalità e delle sue intenzioni, senza che Phil se ne renda conto: prima afferra il coniglio e lo rassicura, poi, con un colpo secco, gli spezza il collo.

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Quel coniglio, con la zampa ferita, è esattamente la rappresentazione di Phil che si è ferito la mano, ma che è talmente rozzo e disattento da scegliere di non curarla adeguatamente, lasciando aperto il fianco all’attacco di Peter.

E così, nonostante il ragazzo gli dica anche esplicitamente di essere ben meno fragile di quanto sembri – sia per aver gestito da solo la morte del padre, sia ricordando le parole dello stesso genitore Phil continua superficialmente a non vedere.

Ruolo

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Peter sta ricreando il sogno di Phil.

Prima osserva attentamente l’atteggiamento dell’uomo, ne assorbe i racconti e i significati, e, soprattutto, capisce quello che nessun altro è riuscito prima a capire, a vedere: l’ombra feroce del cane sulle colline.

Un’ombra che può essere letta in due direzioni: il comportamento di Phil, che si nasconde dietro ad un’apparenza fragile e vorace, e il passato di Bronco Henry che l’uomo porta sempre con sé, ma con un significato che non vuole che nessun altro conosca.

Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

E così, quando Peter riesce a vedere quell’ombra che era solo negli occhi di Phil, l’uomo diventa definitivamente la preda della sua macchinazione.

In questo senso, Peter opera per ricreare le condizioni del rapporto con Bronco, in cui prende il ruolo che un tempo era stato del giovane Phil – non a caso lo stesso gli dice che al tempo aveva la sua stessa età – mentre l’uomo diventa il compianto maestro.

Cacciatore

Da bravo cacciatore, Peter deve procurarsi un’arma.

Dall’osservazione di Phil, gli salta subito all’occhio come, nella sua disattenzione, si rifiuti di utilizzare i guanti quando tocca gli animali – si vede in particolare quando castra il toro a mani nude – una scelta particolarmente pericolosa con una profonda ferita sulla mano…

Così, dopo essersi informato sulla causa più comune della morte del bestiame – l’antrace, una malattia infettiva degli animali, che può essere anche trasmessa all’uomo – si avventura per ricercare le carcasse di uno dei bovini infetti.

Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Ma un cacciatore deve soprattutto cogliere le occasioni.

In questo senso Rose finisce inconsapevolmente per offrire a suo figlio la chiave per la sua stessa salvezza, regalando le tanto amate pelli di Phil agli indiani, rendendo in questo modo l’uomo furioso ed isterico, e, per questo, ancora più manipolabile.

Così Peter si inserisce abilmente in questa situazione, prima ricercando il primo vero contatto fisico con Phil, poi proponendogli un’alternativa – le pelli che ha tagliato per lui – che sancisca il definitivo stringimento del loro rapporto.

Morte

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Negli ultimi momenti de Il potere del cane, la corda si arricchisce di significati.

Per Phil ormai la stessa non è più simbolo della morte di Peter, come era nelle sue intenzioni iniziali, ma piuttosto del suggello del loro rapporto, inevitabile nel momento in cui il ragazzo sembra rivelare i suoi veri sentimenti – voglio diventare come te.

Così segue una scena notturna, in cui probabilmente il loro rapporto finalmente si consuma sessualmente, con un Peter piuttosto lusinghiero e ammiccante, che distrarre Phil mentre lo stesso sta fabbricando il suo cappio.

Benedict Cumberbatch e Kodi Smit-McPhee in una scena de Il potere del cane (2021) di Jane Champion

Infatti, una rapida inquadratura sulle mani di Phil immerse nell’acqua rivela come l’uomo stia armeggiando con delle pelli infette quando ancora la ferita della sua mano è aperta e addirittura perde sangue…

Così giorno seguente si apre con un Phil ormai totalmente sconfitto, preda della sua malattia, che veste per la prima volta abiti borghesi – gli stessi che indosserà nella sua bara – e che cerca disperatamente Peter per dargli la corda, simbolo del loro rapporto.

E così finalmente il nemico è stato sconfitto: Phil, il cane, è sottoterra, la corda è riposta sotto al letto, Rose potrà vivere una vita più serena ed integrarsi nella buona società, con un Peter che osserva felicemente dalla finestra della sua stanza la ritrovata felicità della madre.

Il potere del cane significato

Il titolo del film fa riferimento ad un passo dei Salmi:

Erue a framea animam meam et de manu canis unicam meam

Salmi, 22,20

La prima parte nella Vulgata Latina è piuttosto intuitiva: Sottrai Eruela mia animaanimam meam dalla spada a framea.

Più complessa invece la seconda parte, in particolare nel significato di unicam meam: letteralmente significa la mia unica, e può far riferimento sia all’anima – l’unica che ho – sia ad un affetto – l’unica donna, affetto, amore che ho.

Immediato invece il significato del passo fondamentale: de manu canis, ovvero dal potere mănŭs ha una marea di significati, da azione fino, appunto a potere e violenzadel cane.

Tuttavia, Jane Champion fa indubbiamente riferimento alla traduzione in inglese del passo – anche citata nel film – che prende una strada interpretativa ben precisa:

Deliver my soul from the sword; my darling from the power of the dog.

Salmi, 22,20

In questo senso quindi si intende che Peter vuole liberare my darling, ovvero la sua amata e cara madre dal potere del cane, che nella visione biblica rappresenta le pulsioni irrefrenabili dell’animo, proprie di un animale che al tempo era considerato sporco, caotico ed imprevedibile.

Quel cane è infatti proprio Phil stesso, che applica la sua forza, il suo potere prevaricatore su Rose per annientarla – e, senza l’intervento di Peter, ce l’avrebbe anche fatta – con il suo atteggiamento violento e caotico.

Ma, all’opposto, l’uomo viene sconfitto non tramite la stessa forza subdola che lui è solito applicare, ma piuttosto diventando vittima del sottile inganno psicologico di Peter, che lo rende sempre più debole e incapace di difendersi e che, infine, ne determina la morte.

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1917 – La guerra tragica

1917 (2019) di Sam Mendes è uno dei più ambiziosi film di guerra dello scorso decennio, anche solo per l’utilizzo totale del piano sequenza.

A fronte di un budget non poco importante – 90 milioni di dollari – è stato un grande successo commerciale: 384 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla 1917?

1917, Fronte Occidentale. I due giovani soldati Tom Blake e William Schofield vengono incaricati di fare da messaggeri per una comunicazione fondamentale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere 1917?

Dean-Charles Chapman in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes

Assolutamente sì.

1917 è un’opera di altissimo valore artistico, sia per l’utilizzo sapiente del piano sequenza – con diversi trucchi scenici per renderlo effettivamente possibile – sia per la grande sperimentazione sul lato della fotografia e della resa scenica.

Di fatto Sam Mendes riprende una trama tipica non tanto dei film di guerra, ma della narrativa bellica stessa – specificatamente quella statunitense – degli eroi per caso, riportandola però su un livello molto più terreno e realistico.

Insomma, da non perdere.

Il risveglio

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
Io non so ben ridir com'i' v'intrai / tant' era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai (Inf. I, 10-12)

L’incipit di 1917 ci racconta già tutto del protagonista.

Will rimane per diversi minuti in primo piano, apparentemente addormentato, in realtà scegliendo consapevolmente di ignorare quello che gli succede intorno, preferendo invece sonnecchiare qualche momento in più.

Intanto, alle sue spalle, il compagno Blake si leva immediatamente, immediatamente è un soldato pronto all’azione, ed è anche il personaggio che incoraggia il protagonista a tirarsi in piedi e a cominciare la narrazione.

George MacKay e Dean-Charles Chapman in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes

Così anche il dialogo seguente è rivelatorio.

Blake legge felicemente la sua lettera, dimostra un importante legame con la realtà oltre al fronte – anche per la presenza del fratello – mentre Will si dimostra piuttosto distaccato, e si rianima solo quando comincia a mangiare il suo panino.

Il panino – come poi il vino scambiato per la medaglia – rappresenta lo stato iniziale del protagonista: Will ha scelto di abbandonare la sua vita precedente, di non ritornare a casa e di vivere sul momento, pensando solo alle necessità immediate.

Per questo insiste così tanto nel non voler partire per la missione – cercando di distogliere il compagno da quell’idea in più occasione – non riuscendo a sentire il medesimo slancio nel voler portare a termine la missione.

Il limbo

George MacKay e Dean-Charles Chapman in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
Allora si mosse, io li tenni dietro (Inf. I, 36)

La sezione della Terra di nessuno è incredibilmente ingannevole.

In più momenti il film cerca di convincerci che Will sia il personaggio destinato a morire – quando si ferisce la mano nel filo spinato, quando rimane vittima della bomba… – e forse anche quello che in qualche maniera se lo merita di più.

Infatti, come Blake è sicuro e impegnato nella sua missione, mosso soprattutto dal desiderio di riabbracciare il fratello, al contrario Will è amareggiato e disilluso, con l’apice drammatico rappresentato dal suo racconto sul perché si è liberato della medaglia e sul perché non vuole tornare a casa.

George MacKay e Dean-Charles Chapman in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes

Lo stesso paesaggio è illusorio.

I due personaggi si muovono in uno spazio dove tutto sembra ormai già successo, dove la tragedia si è già consumata, tanto che le vittime ormai fanno parte del paesaggio stesso, nel ruolo di grotteschi punti di riferimento.

Questo inganno prosegue fino alla fine della sezione – l’arrivo alla fattoria – raccontando un mondo apparentemente immobile, ma in realtà incredibilmente attivo e reattivo nei confronti dei viaggiatori, pronto ad intrappolarli

E infatti…

Fervore

George MacKay e Dean-Charles Chapman in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
ma Virgilio n'avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die'mi (Pur. 49-51)

Con la morte di Blake, Will acquisisce nuove consapevolezze.

Avendo scelto ormai da tempo di chiudere il suo cuore a qualunque sentimento, davanti alla morte di un innocente, davanti all’impossibilità di salvarlo – nonostante la possibilità fosse a portata di mano – il protagonista si risveglia.

Per quanto già nella sequenza successiva sembri ingoiato dalla scena, rimanendo una presenza silenziosa durante i dialoghi dei soldati sul camioncino, in realtà al primo intoppo della missione si riscopre incredibilmente attivo e coinvolto.

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes

La morte di Blake rappresenta insomma per Will un risveglio di coscienza, la riacquisizione di un senso di impegno e di importanza, anche se non della guerra, ma, piuttosto, della vita umana: come il compagno è ingiustamente morto, così la vita di molti soldati è nelle sue mani.

Il distacco dai discorsi propagandistici è esplicitamente raccontato dal breve scambio fra i giovani sul camioncino: soldati che non parlano né di gloria né di nemici, ma bensì esprimono pensieri molto più pratici, splendidamente ingenui.

Fra tutti, mi ha colpito profondamente il discorso di uno dei soldati riguardo ai tedeschi:

Why they just don’t bloody give up? Don’t they wanna go home?

Perché cavolo non si arrendono poi? Non li aspettano a casa?

La Genna

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
e caddi come l'uom cui sonno piglia (Inf. III, 136)

Come in qualche modo gli aveva predetto il suo superiore – Giù nella Geenna (l’inferno) o su al trono nel cielo più rapido viaggia chi viaggia da soloWill si trova da solo nel primo effettivo fronte

…o il primo effettivo inferno.

E se la luce poteva aiutarlo a muoversi in un panorama meno angosciante, uno sfortunato incontro con il nemico lo porta a cadere svenuto per diverse ore, ritrovarsi infine sveglio in un panorama che vive di una totale dualità.

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
Quell'è 'l più basso loco e' l più oscuro, è 'l più lontan dal ciel che tutto gira (Inf. IX, 28-29)

Tenebra e fuoco.

Comincia così una corsa disperata fra l’oscurità e la fiamma, riuscendo solo in parte a portare a termine il suo nuovo proposito, ereditato da Blake: salvare più vite possibili lungo il suo cammino.

A poco serve la lieta sosta con la ragazza, con la quale si spoglia di tutti i suoi averi, perché il tocco improvviso delle campane gli ricorda che il suo viaggio non è finito: ci sono ancora nemici da uccidere, pallottole da evitare, tragedie da sventare…

La quiete

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
Tratto m'avea il fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva sovresso l'acqua lieve come scola (Purg. XXXI, 94-96)

L’inizio dell’atto conclusivo di 1917 ha più significati.

La fuga nel fiume sembra inizialmente portarlo ad un inferno ancora peggiore, trovandosi totalmente travolto dai flutti, sospinto verso una cascata, inghiottito dall’acqua che sembra volerlo seppellire…

…per poi riemergere, dolcemente accarezzato dalle prime luci del mattino, ormai distrutto dal viaggio, ma trovandosi circondato da un simbolo che gli ricorda indirettamente Blake e la sua missione: i petali di ciliegio.

E una melodia dolce correva per l'aere luminoso (Purg. XXIX, 22-23)

In questa apparente calma Will si trascina lentamente fuori dal fiume e attraverso il boschetto, guidato dal dolce canto dei soldati in lontananza, come raccolti in preghiera, a cui si mischia ormai provato dal viaggio.

Di nuovo Will è uno spettatore silenzioso, che si risveglia improvvisamente quando i personaggi intorno a lui gli fanno intendere che è arrivato alla fine del viaggio, ma che ancora deve affrontare l’ostacolo più arduo: riuscire a farsi credere.

Agli occhi dei soldati e soprattutto degli ufficiali infatti il protagonista non è altro che un ragazzino impaurito che farfuglia cose senza senso, mentre si vede sfuggire dalle mani centinaia di vite che non ha potuto salvare…

La corsa

È a questo punto che Will dimostra veramente di essere cambiato.

Se all’inizio della pellicola era un soldato cinico e ignavo, che non voleva neanche lasciare la sicurezza della sua trincea, ora è una forza irresistibile, pronto persino a buttarsi in mezzo alla battaglia pur di portare a termine la sua missione.

Ma la sua apparente vittoria non è che l’anticamera di una lenta ma fondamentale realizzazione: sia nel dare la notizia della tragedia scampata che della morte di Blake, Will trova nei suoi interlocutori una profonda impotenza, un’insoddisfazione, persino un malcelato nervosismo.

George MacKay in una scena di 1917 (2019) di Sam Mendes
se non che la mia mente fu percossa da un fulgore (Par. XXXIII, 140-141)

Probabilmente le sue azioni saranno premiate con una fondamentale spilla da portare al petto, ma il vero guadagno di Will è l’amara realizzazione che questo era solo un altro giorno al fronte.

La guerra non è finita oggi: oggi ha solo salvato un pugno di innocenti che domani probabilmente moriranno comunque, in questa spirale di dolore e violenza che è ancora lontana dall’esaurirsi.

Ma almeno ora il protagonista ha il coraggio di guardare le foto della sua famiglia, di ricominciare a pensare ad una realtà altra oltre a quella del fronte, un paradiso forse, a cui guardare in questo attimo di quiete…

…prima del prossimo massacro.

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American Animals – L’insoddisfazione rapace

American Animals (2018) di Bart Layton è un heist movie di rara bellezza, capace di sperimentare con il formato del documentario in maniera assolutamente originale e sperimentale. È difficile spiegare questo film a chi non l’ha mai visto: basti sapere che non è ispirato ad una storia vera, ma, come il film stesso spiega fin dall’inizio, è effettivamente una storia vera.

Le notizie sul budget non sono sicure, ma dovrebbe aggirarsi intorno ai 3 milioni di dollari, con un incasso di 4 milioni in tutto il mondo: un incasso piuttosto misero, per un film di grande valore.

Di cosa parla American Animals?

Spencer e Warren sono due studenti universitari annoiati dalla vita, totalmente insoddisfatti del percorso che sembra già stato scelto per loro. Per questo decidono di intraprendere una apparentemente semplicissima rapina…

Vi metto qua il trailer, ma personalmente vi sconsiglio di guardarlo: un caso da manuale di come banalizzare drammaticamente un prodotto, cercando di collegarlo ad un film di maggior successo.

Infatti nella pellicola si cita brevemente Le iene (1992) di Quentin Tarantino, e il trailer italiano gira tutto intorno a questo, quando di fatto è una citazione che, se decontestualizzata come in questo caso, mostra un taglio narrativo che il film di fatto non possiede.

Perché guardare American Animals?

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Come anticipato, American Animals è un prodotto incredibilmente sperimentale. All’interno del film ci sono le interviste dei protagonisti reali della rapina raccontata, che interagiscono anche direttamente con gli attori in scena. Quindi la storia raccontata è totalmente genuina e corrispondente agli eventi reali.

Non dovete però immaginarvi un mockumentary: il documentario è reale e ottimamente integrato all’interno della pellicola, ma non finge di essere quello che non è. Ma, per capire di cosa sto parlando, dovete guardarlo voi stessi.

È un film che mi sentirei di consigliare abbastanza a tutti: se siete appassionati di heist movie, sopratutto quelli più interessanti e di concetto come Logan’s Lucky (2017), non potete veramente perdetevelo.

Perché i manoscritti sono così importanti in American Animals?

Ci tengo a spendere due parole riguardo all’importanza e alla preziosità dei manoscritti, perchè potrebbe apparire strana a chi non è del settore.

Anzitutto, certi manoscritti sono considerati effettivamente delle opere d’arte: i cosiddetti volumi illuminati sono impreziositi da miniature, di fatto piccoli dipinti di anche di grande valore, fatti per esempio con la foglia d’oro. Non a caso facevano (e fanno) parte delle collezioni di re e regine.

Inoltre, i manoscritti, anche senza essere belli, possono avere un valore storico incalcolabile: semplificando molto, più un volume si avvicina temporalmente ed a livello di fedeltà al testo originale dell’opera, più è prezioso. E, soprattutto nel caso dei testi a stampa, le prime edizioni hanno un valore altissimo fra studiosi, ma anche e soprattutto collezionisti.

E il mercato nero di questi manoscritti è più prolifico di quanto si possa pensare…

Raccontare una storia vera

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

L’incontro fra la forma del documentario e film in senso stretto è fondamentalmente perfetta: oltre ad una messa in scena della parte documentaristica che si vede essere passata nelle mani di un autore capace, il montaggio è magistrale.

La fluidità con cui si passa da una scena all’altra, con un montaggio dinamico e che riesce perfettamente a coniugare le parole delle persone reali della vicenda con gli attori in scena. E la macchina da che riesce veramente a cogliere l’essenza del loro racconto, lasciando che i protagonisti si raccontassero, per riportare visivamente le loro parole sullo schermo.

La scelta degli attori

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il casting degli attori è davvero ottimo: tutti gli interpreti sono scelti e diretti con grande cura, riuscendo oltre ad assomigliare moltissimo alle persone reali, ad essere le loro perfette controparti in scena.

In particolare è stato veramente interessante vedere in scena due attori di grande valore, ma che abbiamo cominciato a conoscere davvero solo recentemente. Anzitutto Evan Peters, che è noto principalmente al grande pubblico per il suo ruolo di Quicksilver negli ultimi due film degli X-Men e come Fietro (Fake Pietro, in riferimento al casting finto di Piero Maximoff) in Wandavision. In realtà ha fatto molto altro, anzitutto vincendo recentemente l’Emmy per l’acclamata serie Omicidio ad Easttown.

E come non parlare di Barry Keoghan, interprete con un volto e un’espressività tutta sua, che lavorato in film molto di nicchia come Il sacrificio del cervo sacro (2017) e che recentemente si è affacciato al grande pubblico con Eternals (2021). Ma probabilmente lo ricorderete soprattutto per il poco che l’abbiamo visto come Joker in The Batman (2022).

L’insoddisfazione rapace

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

American Animals si propone anche di esplorare le motivazioni dietro ai protagonisti, che sembrano del tutto essere ricondotti ad una insofferenza e insoddisfazione rapace. La stessa insoddisfazione che sembra divorarli dentro, rinchiusi in una vita già definitiva senza aver fatto nulla di interessante.

Per certi versi mi ha ricordato Bling Ring (2013), anche se in questo caso la motivazione è molto più profonda. I protagonisti si immaginavano al centro di una vicenda avventurosa e avvincente, che gli cambierà la vita e che ricorderanno per sempre. E che sarà di fatto senza conseguenze.

Ma la realtà si rivela molto diversa.

Il punto di rottura

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il punto di rottura gira tutto intorno alla figura della bibliotecaria.

La donna è infatti l’incognita del piano che nessuno, nemmeno Warren, vuole davvero affrontare. Nel suo racconto del piano la questione sembra molto semplice: la donna gli sviene semplicemente fra le braccia.

Ma quando invece deve molto maldestramente colpirla e legarla, quando la donna piange e addirittura si urina addosso, allora tutto crolla. Se notate prima di quel momento i personaggi sono abbastanza contenuti, anzi decisamente scherzosi nei loro rapporti.

Invece, da quel momento in poi la situazione precipita, e tutte le tensioni sotterranee esplodono, arrivando fino al punto in cui Chas li punta una pistola addosso, Eric fa a botte per un nonnulla, Warren ruba stupidamente da un supermercato e Spencer provoca un incidente.

Di fatto tutti i personaggi arrivano ad un punto di esplosione, in cui vogliono solo farsi prendere, farsi punire.