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2025 Commedia Dramma familiare Drammatico Film Oscar 2025

A Real Pain – Crocevia

A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg è la sua seconda opera come regista.

A fronte di un budget minuscolo – 3 milioni di dollari – è stato nel complesso un ottimo successo commerciale: 21 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per A Real Pain (2024)

(in nero le vittorie)

Migliore attore non protagonista per Kieran Culkin
Miglior attore protagonista per Jessie Heisenberg

Di cosa parla A Real Pain?

David e Benji sono due cugini statunitensi che viaggiano in Polonia per riscoprire le loro origini ebraiche, in particolare la casa della nonna defunta. Ma è un viaggio o qualcosa di più?

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere A Real Pain?

Assolutamente sì.

A Real Pain è uno di quei film di cui ti innamori e non sai neanche perché, finché non ti accorgi che, partendo da una vicenda particolare, si racconta invece una tematica universale e vicinissima allo spettatore, ma senza imporgli nessuna morale.

Infatti la seconda opera da regista di Heisenberg è un semplice spaccato di due protagonisti che affrontano il dolore e cercano salvezza, nonostante la via per la stessa sia più sfumata e complessa di quanto si potevano aspettare.

Insomma, da scoprire assolutamente.

Contrasto

Kieran Culkin in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

L’incipit di A Real Pain è comprensibile solo alla fine.

Mentre Benji è serenamente seduto nella sala d’attesa dell’aeroporto, si rincorrono più sequenze in cui il suo compagno di viaggio, David, cerca di ripercorrere le sue tracce, visibilmente angosciato dalla prospettiva che il cugino sia anche più in ritardo di lui…

…in un inseguimento che sfocia in una definizione apparente.

Infatti, questo contrasto così apparentemente rivelatorio del carattere dei due personaggi – l’uno più disorganizzato e ritardato, l’altro più sereno e puntuale – racconta invece la profonda ansia di David nei confronti di Benji, di non saperlo ritrovare, di non poterlo salvare un’altra volta.

Benji è infatti incontrollabile.

Forza

Kieran Culkin e Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Benji è una forza vitale inarrestabile.

Tutta la dinamica iniziale fra i due cugini racconta come David cerchi disperatamente di comprendere, controllare, in qualche misura persino domare il suo quasi fratello, che invece sembra l’unico che possa dettare le regole del gioco, sovrastandolo costantemente con la sua ingombrante presenza.

L’atteggiamento di Benji è infatti un continuo sparo nel buio, un vivere di istinti e senza quell’ossessione per la cautela e la razionalità ad ogni costo che invece infesta la mente di David, sempre pronto a scusarsi per il comportamento fuori luogo del cugino…

…che invece, a sorpresa, è in ogni momento vincente.

Per questo fa così paura.

Vincente

Qual è la salvezza vincente?

David segue una via più sicura, quanto più impegnativa: mettersi sulle spalle la sicurezza di una vita ordinaria, terribilmente borghese, che ai suoi occhi rende giustizia all’eredità dolorosa della sua famiglia, diventando anzi il riscatto della stessa.

Al contrario, Benji abbraccia il caos, vive alla giornata e senza meta, coglie ogni occasione per sbaragliare le carte in tavola e, al contempo, è capace di scoprire più da vicino i profondi sentimenti di ogni persona con cui si interfaccia, riuscendo a dirgli non quello che vorrebbe, ma quello di cui ha bisogno in quel momento.

 Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Uno slancio che potrebbe tradursi un’altra rovinosa caduta, impressa indelebilmente nella memoria del cugino, che ha visto Benji distruggere se stesso proprio nel suo non trovare una destinazione sicura, nel suo vivere in qualche modo la vita degli altri, senza mai prendere una decisione per la propria.

E questo viaggio non lo salverà.

Crocevia

David – e lo spettatore stesso – si aspetta una redenzione di Benji.

Il viaggio dovrebbe infatti essere l’occasione per riscoprire la radice del dolore, e per saperlo così affrontare e, finalmente, domare, attraverso un percorso di simboli – come la pietra sulla tomba – che non hanno significato se non per i protagonisti stessi.

Invece l’ordinarietà della casa della nonna racconta come la salvezza alla fine del viaggio sia solo un’illusione, e che lo stesso non è altro che uno spaccato doloroso di una storia che non ha ancora trovato una propria conclusione, ma che anzi ritorna inevitabilmente al punto di partenza.

Kieran Culkin e Jessie Heisemberg in una scena di A Real Pain (2024) di Jessie Heisenberg

Proprio per questo è tanto più significativo che infine David cerchi ancora una volta di ricondurre Benji ad una destinazione sicura, prima con lo schiaffo che pensa possa essere il momento del risveglio, poi con l’invito a far parte della sua ordinarietà controllata.

Ma non è ancora il momento di Benji.

Come David infatti ritorna ad una realtà solida e sicura, e rende la pietra memoriale della nonna un altro piccolo tassello per la costruzione della stessa, al contrario il più scapestrato cugino si ferma proprio nel luogo che rappresenta di più la sua attuale condizione.

L’aeroporto è infatti un crocevia che apre a più vite possibili, il luogo per chi ancora una scelta non l’ha fatta…

…restando ad osservare la più sicura esistenza di chi li circonda.

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2024 2025 Drammatico Film Thriller

Conclave – Un intrigo di chiesa

Conclave (2024) di Edward Berger è un thriller politico ambientato nella Città del Vaticano.

A fronte di un budget medio – 20 milioni di dollari – è stato un ottimo successo commerciale: quasi 100 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per Conclave (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore attore protagonista per Ralph Phinnes
Miglior attrice non protagonista per Isabella Rossellini
Migliore sceneggiatura non originale
Miglior colonna sonora originale
Migliore scenografia
Migliori costumi

Di cosa parla Conclave?

Con la morte del precedente Papa, si dà il via alla Conclave per scegliere il suo successore. Eppure è una questione più di politica che di fede…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Conclave?

Ralph Fiennes in una scena di Conclave (2024) di Edward Berger

Assolutamente sì.

Nonostante dall’esterno potrebbe apparire come un film acchiappa pubblico con un cast internazionale di star di richiamo per una vicenda scandalistica che ammicca al desiderio proibito di scoprire i dietro le quinte della Chiesa…

…al contrario, forse anche per la produzione europea, il film riesce ad essere un ottimo intrigo politico che abbraccia l’identità italiana senza stereotipizzarla, riuscendo a modulare l’utilizzo della lingua e delle dinamiche politiche senza fare un discorso fine a sé stesso, anzi.

Insomma, da riscoprire.

Atmosfera

Ralph Fiennes in una scena di Conclave (2024) di Edward Berger

Un elemento fondamentale – e per me piuttosto sorprendente – è come Conclave sia riuscito consapevolmente ad abbracciare l’ambientazione.

Infatti la pellicola si concede non pochi momenti per offrire ampie vedute interne ed esterne dei luoghi della vicenda, proprio per non ridurla ad una piccola vicenda fra uomini, ma anzi ad enfatizzarne l’importanza nello scacchiere politico.

Ralph Fiennes e Stanley Tucci in una scena di Conclave (2024) di Edward Berger

Inoltre, il regista dimostra una particolare consapevolezza dell’ambientazione per due aspetti: i rumori bianchi – il chiacchiericcio molto italiano, lo stridore della macchinetta del caffè… – e, più in generale, elementi di italianità molto specifici, soprattutto nelle scene della mensa – come il grana sparso sui tortellini.

Al contempo, la pellicola non si impigrisce sul lato linguistico, facendo parlare i suoi interpreti solo in inglese, ma anzi spazia fra le varie lingue proprio a raccontare l’ampia realtà della Chiesa e la sua portata internazionale, fra inglese, italiano, spagnolo e persino molti momenti in latino.

E con queste premesse…

Politico?

Ralph Fiennes in una scena di Conclave (2024) di Edward Berger

La vicenda di Conclave è tutta politica.

Nonostante inizialmente siamo accompagnati all‘importante momento di passaggio per il Vaticano dalla figura del Cardinale Lawrence, lo stesso appare come una figura di contorno, che non ha alcun interesse a prendere posizione, anzi preferirebbe di gran lunga rimanere in disparte…

…nonostante venga costantemente messo in mezzo.

Ralph Fiennes in una scena di Conclave (2024) di Edward Berger

Non a caso la sua omelia di apertura, espressa principalmente in latino, vorrebbe ricondurre la Conclave ad un discorso di fede e di religione, quindi del tutto avulsa da questioni invece più terrene e umane, che al contrario diventeranno le protagoniste della scena…

…e di cui Lawrence diventerà il principale esecutore.

Altarini

La vicenda si Conclave è scandita da una sistematica rivelazione degli altarini.

Infatti, più Lawrence si immerge in questa vicenda del tutto umana, anzi piuttosto spinosa, più si ritrova a dover difendere la solidità della Chiesa dal punto di vista confessionale, volendo tenere lontano dalla Cattedra personaggi di dubbio gusto che farebbero solo del male all’Istituzione.

Ed è anche più interessante osservare come le vittime della sua indagine siano solo i candidati che si siano macchiati di crimini che andrebbero ad infangare la fama della Chiesa – simonia, violazione dei voti di castità… – ma non comprendano un personaggio estremo come il Cardinale Tedesco.

Lo stesso infatti non ha alcuna colpa se non il suo intestardirsi nell’idea di voler riportare la Chiesa alle sue radici più conservatrici e reazionarie, tanto da arrivare a voler annunciare una guerra santa nei confronti di un presunto nemico della Confessione: l’Islam.

E, inevitabilmente, la lotta è a due…

…oppure no?

Terreno

Lawrence non vuole essere Papa.

Più volte durante la pellicola i dubbi, financo le reazioni scomposte davanti a questa prospettiva, lo identificano come il candidato perfetto per questa posizione, proprio nel suo non volerla ricercare, nel suo non avere mire politiche ed autoritarie.

Eppure, neanche lui è la risposta che la Chiesa sta cercando.

Introdotto inizialmente come elemento di disturbo, il Cardinale O’Malley rimane saldo ai margini della scena per la maggior parte della pellicola, diventando centrale solo nella sua denuncia della gretta realtà del Conclave: un gruppo di uomini piccoli, arroccati nei loro palazzi d’oro, lontani dagli ideali della Chiesa povera e vicina agli ultimi.

E la sua scelta come nuovo Papa è significativa anche per l’ultimo segreto svelato da Lawrence: l’intersessualità del neo eletto Innocenzio, che ha scelto consapevolmente di non abbandonare, anzi di abbracciare come un dono di Dio che apra la Chiesa ad una visione più ampia e inclusiva, adattandosi alla sempre più stringente attualità.

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2024 2025 Dramma familiare Dramma romantico Drammatico Film Musical Oscar 2025 Surreale

Emilia Pérez – La bizzarra seconda occasione

Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard è un musical con protagoniste Zoe Saldana e Karla Sofía Gascón.

A fronte di un budget discreto – 21 milioni di euro – è stato un pesante insuccesso commerciale, non riuscendo neanche a coprire le spese di produzione.

Candidature Oscar 2025 per Emilia Pérez (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Miglior film internazionale
Migliore regista
Miglior attrice protagonista per Karla Sofía Gascón
Migliore attrice non protagonista per Zoe Saldana
Migliore sceneggiatura non originale
Miglior fotografia
Migliore colonna sonora originale
Migliore canzone originale
Miglior trucco e acconciatura
Migliore sonoro

Di cosa parla Emilia Pérez?

Rita è un’avvocata praticante sistematicamente sfruttata dal suo studio legale. Ma un’occasione di riscatto è dietro l’angolo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Emilia Pérez?

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

In generale, sì.

Emilia Pérez è stato, fra le altre cose, ampiamente discusso per il taglio narrativo, che presenta non pochi inserti musicali piuttosto bizzarri, che rendono la narrazione al limite del fantastico, del teatrale, pur raccontando tutto sommato una storia molto semplice.

Infatti, se riuscirete a digerire la particolarità del lato musical, potreste arrivare ad apprezzare una pellicola che infine non è altro che un dramma piuttosto toccante sulla seconda occasione di personaggio insospettabile: un boss di un cartello della droga messicano.

Insomma, dategli una chance.

Spaesamento

Zoe Saldana in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Personalmente, ho mal digerito l’elemento musicale di Emilia Pérez.

Ma forse è proprio questo il punto.

Fin dalle sue primissime battute la pellicola gioca su questo peculiare contrasto fra un racconto piuttosto amaro e angosciante, che esplode improvvisamente in numeri musicali più propri forse del teatro che del cinema, soprattutto per le sue coreografie decisamente bizzarre.

Selena Gomez in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

L’elemento musicale è inoltre uno strumento fondamentale per definire la protagonista, che ci appare in prima battuta come una spietata boss del crimine, ma che nel cantato esprime i suoi più intimi sentimenti di cambiamento, di cui la transizione è solo il primo passo.

E proprio qui si sviluppa il discorso cardine della pellicola.

Rinascita

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Emilia vuole rinascere.

La nuova vita che la protagonista regala a Rita è solamente il primo passo della sua sistematica ridefinizione del sé, che la porta a ripercorrere le strade già battute della scena criminale messicana, ma in una veste del tutto nuova: non più aguzzina, ma salvatrice di un popolo di oppressi.

E la protagonista vuole raccontarsi in questa nuova identità anche nei confronti della famiglia che ha di fatto abbandonato, ma con cui cerca di ricongiungersi proprio nella sua immagine di salvatrice di un nucleo affettivo profondamente colpito dall’abbandono del padre.

Un tentativo di riappacificazione piuttosto disordinato e disattento, in cui Emilia sembra incapace di mantenere intatta questa nuova identità, dimostrandosi cambiata di aspetto ma non di atteggiamento, continuando a comportarsi con i suoi figli e, soprattutto, con la moglie, come se nulla fosse successo.

Infatti, il suo linguaggio è rivelatorio.

Passato

Karla Sofía Gascón in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Emilia può davvero rinascere?

Nonostante i buoni sentimenti del suo progetto, la protagonista ricade ripetutamente in comportamenti che l’avevano definita nel passato, con il linguaggio della violenza domina costantemente la scena, persino in opere di bene come il salvataggio della vedova…

Karla Sofía Gascón e Zoe Saldana in una scena di Emilia Pérez (2024) di Jacques Audiard

Un comportamento che si riflette in grande nella scelta dei benefattori per la sua causa umanitaria, in piccolo nel rapporto con la sua famiglia, da cui si rifiuta di separarsi, vivendo il nuovo matrimonio della moglie – e la sua personale rinascita – come un profondo ed imperdonabile tradimento.

Ma violenza è da entrambe le parti.

La stessa Jessi è cresciuta in un contesto in cui la violenza è la moneta di scambio, rispondendo colpo su colpo ai beceri tentativi di Emilia di limitare la sua libertà, la sua autodeterminazione, in un disordinato ultimo atto che porta tutti i protagonisti all’inevitabile autodistruzione.

E la chiusura della pellicola è assolutamente emblematica nel suo essere volutamente grottesca mentre mostra Emilia Pérez definitivamente consacrata nel suo ruolo di salvatrice, con tratti volutamente cristologici, raccontando come un cambiamento, tutto sommato, sia effettivamente avvenuto.

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2025 Animazione Avventura Comico Commedia Fantascienza Film Nuove Uscite Film Oscar 2025

Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl – I dettagli fanno la differenza

Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham, tradotto impropriamente in italiano con Le piume della vendetta, è l’ultimo capitolo della fortunata saga omonima in stop-motion.

Il film è stato distribuito da Netflix direttamente in piattaforma.

Candidature Oscar 2025 per Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film d’animazione

Di cosa parla Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl?

Wallace e Gromit vivono una quotidianità normale, facendosi largo fra le invenzioni sempre più strambe del primo. Ma forse una sta per sfuggirgli di mano…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl?

Wallace in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Assolutamente sì.

Avevo un ricordo abbastanza fumoso dei prodotti precedenti del duo, ma ricordavo comunque il mio apprezzamento verso i film della saga.

E non sono rimasta delusa.

Vengeance Most Fowl è uno di quei titoli che poteva tranquillamente essere estremamente banale ed infantile, ma che riesce invece a colpire per una particolare attenzione su pochi aspetti essenziali che la rendono un ritorno sullo schermo particolarmente indovinato.

Dipendenza

Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Wallace è dipendente dalle sue invenzioni.

Il quadretto familiare che si compone nel primo atto è il punto di partenza fondamentale della pellicola: il geniale inventore è totalmente dipendente dalla tecnologia, non riuscendo ad essere autonomo neanche nelle attività più semplici – vestirsi e persino addentare un toast a colazione.

Wallace e Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Ma un particolare fondamentale in tutta questa situazione – che risulta essenziale nello sviluppo della storia – è il ruolo di Groomit: le invenzioni del suo padrone non possono agire autonomamente, ma hanno bisogno dell’imprescindibile contributo del fedele compagno.

Di fatto, Wallace non vuole mai lasciare il suo amico da solo.

Anche a costo di essere fin troppo invadente.

Standard

Wallace e Gromit in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Il vero problema del Norbot è la spersonalizzazione.

Il proattivo robot da giardino sembra voler scalzare ingenuamente il personaggio di Groomit, riuscendo a copiarne le azioni in maniera decisamente migliore e, soprattutto, ben più rapidamente, seguendo dei precisi standard che rendono ogni sua creazione priva di personalità.

In questo senso è indicativa l’aggressiva invasione degli spazi personali di Groomit, che, a differenza del compagno, ha piacere nel potersi impegnare nel giardino e cosi a renderlo qualcosa di suo, e non un perfetto cortile uguale a tutti gli altri – come infine il Norbot lo rende.

Ma non c’è nessuna malizia nelle azioni di Wallace.

L’ingenuo inventore vuole onestamente migliorare la vita del suo compagno, sicuro che anzi ogni persona al mondo desideri godere dei medesimi, perfetti standard, gli stessi giardini tutti i uguali fra loro – capaci anche di risolvere le scarsità economiche della famiglia.

E per questo è arrivato il momento di parlare Feathers McGraw.

Anomalo

Feathers McGraw in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Feathers McGraw è uno degli elementi che rendono Vengeance Most Fowl così speciale.

Il villain della pellicola prende le mosse dalle classifiche figure del genere: un macchinatore dell’ombra, una mente criminale in cauta attesa della propria occasione per riuscire nuovamente a brillare – e a vendicarsi dell’ignobile cattura.

Ma il suo aspetto è la chiave della deliziosa ironia che lo rende così speciale.

Il volto del malefico pinguino è totalmente inespressivo, proprio perché manca degli elementi fondamentali per poterlo essere: occhi vitrei, nient’altro due punti neri sopra ad un becco abbozzato su cui non è possibile che appaia alcuna smorfia.

E questa sua inespressività si va a scontrare in maniera veramente geniale con il suo subdolo piano, che colpisce proprio al cuore dei suoi nemici, facendo leva sull’ingenuità di Groomit, permettendogli di deviare la personalità del Norbot senza che lo stesso se ne renda conto.

E da qui si sviluppa il punto di arrivo della riflessione della pellicola.

Personalità

i Norbot cattivi in una scena di Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl (2024) di Nick Park e Merlin Crossingham

Le creazioni sono specchio del loro creatore.

Non è un caso che i Norbot Malefici non siano apertamente cattivi: come ci si poteva aspettare un caos irrefrenabile alla Gremlins, al contrario, proprio come Feathers McGraw, la loro cattiveria si basa sullo sfruttare quello che l’ambiente gli concede, riuscendo a tramare nell’ombra…

…senza essere scoperto fino all’ultimo momento.

E, secondo lo stesso concetto, il Norbot nella sua forma originale vuole semplicemente e ingenuamente aiutare chiunque, anche a costo di risultare invadente e fuori luogo -proprio come il suo stesso creatore, Wallace, è nei confronti di Groomit.

Una riflessione apparentemente banale e già vista, ma che in realtà ben si inserisce all’interno di una consapevolezza piuttosto contemporanea di come le nuove tecnologie – particolarmente, l’intelligenza artificiale – non sappiano creare veramente niente da zero, ma definiscano il loro agire in base agli input che gli diamo.

Per questo il Norbot può essere il compagno fondamentale nella vita del duo protagonista, riuscendo infine – al pari di Wallace – ad apprezzare l’insostituibile individualità di Groomit, e agendo intorno alla stessa senza volerla scalzare.

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Nosferatu – Una bellezza già vista

Nosferatu (2024) di Robert Eggers è un remake dell’omonimo classico del cinema espressionista di Murnau.

A fronte di un budget comunque significativo – 50 milioni di dollari – ha aperto in maniera piuttosto promettente al box office statunitense: 21 milioni di dollari.

Candidature Oscar 2025 per Nosferatu (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior fotografia
Miglior scenografia
Migliori costumi
Migliori trucco e acconciatura

Di cosa parla Nosferatu?

Thomas Hutter vuole offrire una nuova vita alla sua neonata famiglia, e per questo accetta un incarico piuttosto particolare: visitare il misterioso conte Orlok in Transilvania.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Nosferatu?

Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In generale, sì.

Con Nosferatu Eggers dimostra nuovamente le sue incredibili capacità registiche, riuscendo a portare in scena atmosfere effettivamente inquietanti, incorniciate da un montaggio particolarmente indovinato, che regala un davvero indemoniato alla pellicola. 

Rimane però un po’ di amaro in bocca nel constatare la quantità di temi e di riflessioni – già esplorate da Eggers altrove – che potevano essere meglio approfondite, cercando magari di dare maggiore originalità all’opera, che per il resto rimane un piacevole omaggio al classico di partenza.

Paura

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In un genere ormai oltre che saturo come l’horror, riuscire a spaventare non è semplice.

In questo senso, Nosferatu di Eggers è vincente nel caricare le atmosfere in scena, soprattutto nel primo atto, di un senso di puro terrore, basato su un abile uso del vedo-non-vedo, in cui le fattezze del Conte Orlok emergono fumose dall’oscurità della sua magione…

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

…e diventano sempre più agghiaccianti grazie agli altri elementi che animano la scena – i riti pagani di purificazione, i particolari gotici del castello, la carrozza fantasma… – riuscendo a far immergere lo spettatore nella corsa cieca e disperata del nostro ingenuo protagonista.

Ma non è finita qui.

Controllo

Nicholas Hoult e Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il perno centrale della narrazione di Nosferatu è la mancanza di controllo.

I protagonisti sembrano del tutto succubi ad una trama già intessuta molto tempo prima, a cui è impossibile sfuggire, come ben racconta il montaggio frenetico in cui le vicende si svolgono secondo la volontà del conte – e senza possibilità di replica alcuna.

In questo senso, altri due elementi contribuiscono al fascino della pellicola.

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il primo, è il senso di claustrofobia: proprio per la mancanza di controllo, Thomas Hutter sembra inevitabilmente imprigionato nell’ombra di Orlok, e vani sono tutti i suoi tentativi di ucciderlo e di fuggire, fino alla scelta disperata di buttarsi nell’oceano. 

A questo si aggiunge l’interessante paragone fra il vampiro e la peste, ben rappresentata dalla sfrenata corsa dei topi che scendono dalla nave e che si intrufolano in ogni angolo della città, portando con loro una malattia invisibile ed irrefrenabile.

Ma, davanti a queste scelte piuttosto convincenti, rimane per me un’amarezza di fondo.

Occasione

Come altri registi nascenti in ambito horror, fin da The Witch Eggers si è distinto nel portare un quid in più all’interno del genere.

Purtroppo, questo non è il caso di Nosferatu.

Proprio come il suo protagonista, anche Eggers sembra intrappolato all’interno dell’eredità di Murnau e del suo desiderio di omaggiarlo, senza riuscire così a portare una propria originale rilettura del film di partenza, limitandosi a confezionare un ottimo horror di atmosfere.

Lily Rose-Depp e Emma Corrin in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In questo senso, gli spunti si sprecano: il personaggio di Ellen da solo offriva il fianco a diverse riflessioni sulla liberazione sessuale, sulla considerazione degradante delle capacità mentali delle donne – nella appena citata isteria – che poteva dare un significato ben più interessante a tutte le scene di possessione.

Per questo per me Nosferatu è una buonissima prova registica di Eggers, ma che per brillare davvero come regista dovrebbe affidarsi ad una sua storia originale – o, almeno, ad una storia originalmente riproposta – senza vivere nell’ombra di nessun altro autore, per quanto importante.