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L’esorcista – Un orrore da ricomporre

L’esorcista (1973) di William Friedkin è un classico del cinema horror sul tema possessioni, che ha dato vita ad un franchise piuttosto longevo.

A fronte di un budget non poco importante – circa 12 milioni di dollari, circa 85 oggi – è stato un incredibile successo commerciale: 193 milioni in tutto il mondo (circa 1,3 miliardi oggi).

Di cosa parla L’esorcista?

Regan è una dolcissima bambina che non farebbe male ad una mosca. Ma se dentro di te è presente un ospite indesiderato…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere L’Esorcista?

Regan (Linda Blair) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Assolutamente sì.

Soprattutto davanti al desolante panorama cinematografico odierno sul tema, L’esorcista è riuscito a stupirmi per la sua ottima costruzione della tensione, mostrando l’involuzione della protagonista in maniera graduale e ben pensata.

Sicuramente una pellicola non leggera e che non manca di molti momenti di puro orrore ancora oggi in grado di sconvolgere profondamente lo spettatore, ma al contempo ben distribuiti all’interno delle due ore di durata.

Insomma, da riscoprire.

Pezzi

Max von Sydow in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Nell’incipit, scopriamo i tre pezzi del puzzle.

Un attacco piuttosto straniante, in un misterioso panorama arabeggiante, in cui il nostro futuro esorcista viene per la prima volta in contatto con il demone, una figura ammiccante e spudorata fra il cristiano – il diavolo – e il pagano – i genitali in rilievo.

Si passa poi ad ambienti urbani più riconoscibili, in cui gli altri due protagonisti riesco appena a sfiorarsi con lo sguardo: Karras osserva pensieroso Chris, la madre di Regan, e poi si allontana senza che i due si siano scambiati neanche una parola.

Regan (Linda Blair) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

E infine, la nostra futura vittima, Regan, una ragazzina così innocente e piacevole, il cui atto più grave è qualche innocuo capriccio, che mai potremmo immaginare nelle vesti mostruose, disobbedienti e sacrileghe che assumerà gradualmente nel corso del film.

Per questo, la trasformazione è ancora più inquietante.

Dualità

Regan (Linda Blair) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Due famiglie si alternano in scena.

Da una parte la dolcezza della relazione fra Regan e Chris, apparentemente turbata da un matrimonio finito male e da un padre assente, in realtà ben salda nel rapporto strettissimo fra madre e figlia, che si perdono nei loro piani per il compleanno della ragazzina.

Dall’altra, la durezza di casa Karras, elemento apparentemente scollegato da tutti il resto, in realtà fondamentale nel terzo atto: una situazione affettiva già precaria, che si spezza definitivamente con la morte fuori scena della madre…

Padre Karras in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

…che ci offre anche un primo sguardo su uno spettro che perseguiterà la mente di Chris per tutto il resto della pellicola.

Ovvero, il reparto psichiatrico, un panorama desolante di donne anziane immerse in un mondo di incubi che cercano inutilmente di afferrare le vesti del povero Karras, che vuole solo ricongiungersi con la madre crudelmente legata ad un letto.

Ed è solo l’inizio.

Ignoto

Regan (Linda Blair) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Il vero incubo di Chris è l’ignoto.

La crescente preoccupazione per la situazione della figlia non nasce tanto dalla sua condizione di per sé, ma piuttosto dall’impossibilità di razionalizzarla: per quanto diverse figure apparentemente risolutive si avvicendano in scena, in realtà infine nessuna sarà capace di aiutarla.

E intanto l’isteria, l’incattivamento di Regan diventa sempre più esplosivo: un climax travolgente che comincia da un umore scostante e qualche rispostaccia – una tendenza che potrebbe anche essere derubricata ai primi momenti dell’adolescenza…

Chir MacNeil (Ellen Burstyn) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

…ma che infine si concretizza in comportamenti sempre più incomprensibili, financo distruttivi: il demone non prende semplicemente possesso del corpo della bambina, ma cerca continuamente di violarlo con un sottofondo erotico veramente disturbante.

Infatti, la nutrita passerella di personaggi che si avvicenderanno al capezzale di Reagan diventeranno tutti vittime di questa di violenta così esplosiva, sia considerando la purezza di Regan, sia l’inserimento dei simboli cristiani.

E un’immagine così deturpante che non può essere che il preludio per la forma finale della possessione…

Resa

Chir MacNeil (Ellen Burstyn) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Come il suo incubo è l’ignoto, il vero dramma di Chris è l’essere l’unica a capire il vero problema della figlia.

Intrappolata in un crescendo sempre più angosciante di diagnosi, che cercano di trovare il razionale dove lo stesso non ha spazio, la donna si vede ignorata le sua grida d’aiuto, di una donna che ha visto con i suoi occhi elementi soprannaturali che quelle asettiche figure mediche non possono spiegare.

Padre Karras in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

E l’aiuto viene infatti ricercato proprio in Karras, questa figura di mezzo fra il razionale – la psichiatria – e l’irrazionale – la fede – che in prima battuta cerca di mettere un freno allo slancio della madre del trovare nell’esorcismo la liberazione della figlia.

Ed infatti inizialmente combatte con grande convinzione questa idea, cercando tutte le vie possibili per contestare una presenza demoniaca ormai innegabile, ripercorrendo fra l’altro vie della razionalizzazione in precedenza già e fin troppo battute.

Regan (Linda Blair) in una scena di L'esorcista (1973) di William Friedkin

Ma infine persino questo uomo fra i due mondi si deve arrendere, e anzi cercare un effettivo esorcista che possa scacciare il male da casa MacNeil, portando finalmente in scena Padre Merrin, protagonista di un esorcismo che, a sorpresa, non ha nulla di spettacolare.

Infatti, più che un rito purificatore, assistiamo ad un effettivo martirio, in cui i due protagonisti vengono fisicamente consumati dall’atto depurativo, donando infine la loro stessa vita per permettere a Regan di continuare la propria.

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Non aprite quella porta – Una tranquilla cena in famiglia

Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper è un cult del genere horror slasher, considerato fondativo per il genere.

A fronte di un budget minuscolo – appena 140 mila dollari, circa 800 mila oggi – fu un enorme successo commerciale: 30 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Non aprite quella porta?

Cinque ragazzi si fermano per una sosta in una vecchia casa abbandonata. Ma il proprietario di casa non fra i più accoglienti…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Non aprite quella porta?

Faccia di cuoio in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

Sì, ma…

Per quanto probabilmente sul pubblico odierno non avrà lo stesso impatto che al tempo dell’uscita, nondimeno Non aprite quella porta è una pellicola che lascia molto poco all’immaginazione, portando in scena una violenza crudele, caotica…

…capace di stregare lo spettatore grazie anche ad una regia veramente tagliente e splendidamente sperimentale, che lavora ottimamente con il poco a disposizione per restituire atmosfere lugubri fin dalla primissima scena.

Insomma, da vedere.

Presentazione

Faccia di cuoio in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

La presentazione di Non aprite quella porta potrebbe apparire quantomeno bizzarra vista oggi…

…ma al tempo era fondamentale.

Uscendo nei primissimi anni del successo del genere slasher, in un certo senso il film doveva preparare psicologicamente lo spettatore a quello cui stava andando incontro, in quanto lo stesso non era abituato né a questo tipo di narrazione né a questo livello di violenza.

E la bellezza è anche nel saper lavorare con il poco che si ha.

Non potendo mostrare più di tanto, l’incipit lavora ingegnosamente nel definire anche visivamente il taglio del film, con una regia particolarmente ispirata che mostra un cadavere deturpato che appare e scompare, e che impreziosisce la scena con rumori di fondo di qualcuno che sta lavorando…

…chiudendo infine questo crudelissimo incipit con la voce fuori campo di una radio che racconta il contesto della pellicola, di una comunità già allertata per la presenza di un pazzo che ha deturpato delle tombe per un misterioso quanto agghiacciante fine.

Ed è una voce fondamentale…

Ingenuità

I protagonisti vittime in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

I semi della tragedia sono piantati fin da subito.

L’introduzione del gruppo protagonista avviene con il sottofondo di questo inquieto notiziario, la cui voce si attenua gradualmente fino a quasi scomparire sullo sfondo, proprio a raccontare la totale inconsapevolezza dei protagonisti – la stessa che li porterà alla loro già annunciata morte.

Una inconsapevolezza ribadita nelle scene immediatamente successive, dalla visita alla tomba integra del nonno – una magra rassicurazione – fino all’arrivo alla casa, dove sono presenti tutti gli indizi del panorama di morte che dominerà i due atti successivi…

…ma di cui, ancora una volta sono del tutto inconsapevoli.

Finché…

Irruzione

Una delle vittime in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

Per quanto la tensione sia ben preparata, l’entrata in scena di Faccia di Cuoio è sconvolgente.

Una porta si apre improvvisamente, e un personaggio dall’aspetto più mostruoso che umano sferra un feroce colpo in testa alla sua prima vittima, e serra un attimo dopo la porta davanti a sé, ma lasciandola in realtà ben aperta per la sua prossima vittima…

Il gancio in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

Parte così una passerella degli orrori, in cui uno ad uno i protagonisti vengono catturati, massacrati, fatti a pezzi in maniere anche piuttosto creative, fra cui spicca sicuramente l’iconica sequenza della ragazza appesa al gancio del macellaio.

L’umano così diventa bestia, carne da macello…

…e cibo da servire in tavola.

Svelare

L’ultimo atto svela la vera natura di Non aprite quella porta.

Quello che si pensava essere un mostro temibile ma isolato, si rivela invece parte di un’affiatata famiglia di cannibali, al punto che Faccia di cuoio è forse anche il meno pauroso del gruppo, apparendo solo come una bestia selvaggia, ma senza una particolare programmaticità.

Sally nel finale di in una scena di Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper

E l’ultimo momento del delitto sembra questa deliziosa cena in famiglia, un racconto splendidamente satirico sulla mostruosità insita nell’apparente perfezione della famiglia americana (e repubblicana) degli Anni Settanta, dove gli autori di atti indicibili durante la Guerra del Vietnam si andavano a rifugiare. 

Una realtà con radici profonde nel tempo da cui la presenza del nonno – e che non può essere eradicata: per quanto la disordinata fuga di Sally la metta in salvo dalle grinfie della famiglia Sawyer, tanto da farla infine esplodere in un’isterica risata, la stessa nasconde l’amara consapevolezza di un mostro non ancora sconfitto…