Il gigante di ferro (1999) di Brad Bird è un lungometraggio animato che ebbe una storia particolare, analoga a quella di un altro piccolo cult Anni Novanta, ovvero In viaggio con Pippo (1995).
La pellicola fu infatti un flop disastroso (30 milioni di incasso contro 50 di budget), ma venne ampiamente rivalutato col tempo, divenendo un piccolo cult per la generazione dei millennial.
Di cosa parla Il gigante di ferro?
1957, Rockwell, Montana. Piena guerra fredda. Hogarth è un ragazzino fantasioso che si ritrova per caso ad imbattersi con un enorme gigante di ferro, dalla provenienza sconosciuta.
Ma Hogarth non è l’unico ad essere interessato…
Perché Il gigante di ferro è un cult?
Come anticipato, Il gigante di ferro fu un caso simile a In viaggio con Pippo: come era normale per il periodo, i lungometraggi animati erano pensati per un pubblico infantile.
E così venivano a loro indirizzati anche tramite la campagna marketing.
Tuttavia, Il gigante di ferro non è un film propriamente per bambini: vi è un ampio (e ottimo) utilizzo della comicità per stemperare la tensione di certe scene. Tuttavia, a conti fatti, nella pellicola ci sono non poche scene di violenza, si parla di morte, di morale, e di armi. A questo riguardo, la condanna schietta all’utilizzo delle armi potrebbe essere anche stato un motivo che allontanò il pubblico statunitense.
Al contrario col tempo il prodotto venne riscoperto proprio per la sua profondità dei personaggi e della trama, che affronta appunto diverse tematiche di grande importanza. Oltre a questo, il film presenta personaggi davvero irresistibili, e, a differenza di altri film di questo tipo come anche E.T., il gigante è molto più umano e lo spettatore riesce ad empatizzare più facilmente con lui.
Il gigante di ferro può fare per me?
Assolutamente sì.
Il gigante di ferro è un ottimo prodotto di animazione, sia per la scrittura sia per l’animazione. Per me, che sono patita delle dinamiche di film per ragazzi di fantascienza, è stato un amore confermato anche dopo tanti anni che non lo vedevo.
Per questo se appunto apprezzate prodotti come E.T. (1982) e I Goonies (1985), o anche recuperi nostalgici come Stranger Things, molto probabilmente vi piacerà. Ovviamente se siete allergici a quelle dinamiche, non dico di non vederlo perché la pellicola non si appiattisce sulle stesse, ma potrebbe non entusiasmarvi.
I am not a gun
Splendida e inaspettata è la storia del gigante.
In realtà la sua backstory non viene raccontata in maniera approfondita: possiamo intuire che proviene da un pianeta alieno, che era parte di una produzione in serie di armi per una guerra che probabilmente è stata del tutto distruttiva.
Una macchina così intelligente che in poco tempo è capace di imparare una nuova lingua e assorbire concetti di grande profondità. E così arriva ad interrogarsi sulla sua natura e, alla fine, a sacrificarsi per salvare la comunità.
La sua morale è racchiusa in concetti semplici, come I am not a gun (non sono un’arma) e sul personaggio di Superman, figura di assoluta bontà (almeno negli Anni Cinquanta). Concetti semplici appunto, ma di grande effetto.
Il taglio narrativo
Un aspetto che sinceramente non mi ricordavo e che mi ha davvero colpito è stato il taglio narrativo estremamente realistico. Si percepisce davvero il momento storico e il tipo di mentalità che lo dominava.
E non solo il villain, che ne è fondamentalmente ossessionato, ma anche i compagni di scuola di Hogarth pensano e parlano secondo il pensiero popolare, anche in maniera violenta per la loro età. Ma niente di strano per gli Stati Uniti della Guerra Fredda (e anche odierni, in realtà).
Oltre a questo, tutto il discorso sulle armi e sulla violenza è piuttosto forte ed incisivo, andando a criticare pesantemente l’utilizzo delle stesse, senza grandi possibilità di eccezioni.
Personaggi mai banali
I personaggi de Il gigante di ferro sono tutti ben scritti e ispirano naturale simpatia.
Anzitutto Hogarth, un bambino molto fantasioso e che si entusiasma molto facilmente, ma anche un bambino capace di tenere testa ad un adulto molto più potente di lui. Ed è sempre lo stesso che, con tutta la sua semplicità, trasmette i giusti valori al gigante, portandolo verso una felice risoluzione.
Ma assolutamente irresistibile è Dean, artista sognatore che crea arte dai rottami. Questo personaggio aveva l’arduo compito di riempire un vuoto nel centro del film. E ci riesce in maniera molto simpatica, quando scopre che anche il gigante può creare delle opere d’arte per lui.
E poi c’è il villain.
Sempre un ottimo villain
Il regista e sceneggiatore di questo film è Brad Bird, lo stesso che pochi anni dopo diresse per la Pixar Gli Incredibili (2004), un altro di quei film che porto davvero nel cuore. E infatti Kent Mansley, il villain de Il gigante di ferro, presenta non poche somiglianze con Sindrome de Gli Incredibili.
A parte la scelta estetica simile (capelli rossi e inquietanti occhi azzurri), anche il carattere è analogo: sono entrambi guidati da un’ossessione e si sentono entrambi capaci e potenti più degli altri.
In particolare Kent Mansley è quello più ubriaco della guerra fredda: completamente ossessionato dalla minaccia russa, in questo caso rappresentata dal gigante, che deve essere eliminata a qualunque costo.