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La storia della principessa splendente – La difficoltà di raccontare una favola

La storia della principessa splendente (2013) è un lungometraggio animato nipponico, opera di Isao Takahata, uno degli animatori di punta dello Studio Ghibli.

Una produzione lunghissima: otto anni, di cui solo cinque per lo storyboard. All’uscita in sala ottenne incassi discreti, ma un grande riconoscimento di pubblico e critica.

Di cosa parla La storia della principessa splendente?

La principessa splendente, trovata per caso da un tagliatore di bambù all’interno di un fusto, la principessa è un essere magico che cresce a velocità incredibile. Ma diventa anche in fretta un oggetto del desiderio…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere La storia della principessa splendente?

Dipende.

In generale, consiglierei questa pellicola a persone che hanno già dimestichezza con lo Studio Ghibli e con un tipo di animazione giapponese piuttosto riflessiva e legata all’elemento magico ed enigmatico.

L’ho trovato tra i film più difficili per questa casa di produzione, ma comunque un tassello importante nella storia della stessa.

Se non ve la sentite di approcciarvi a questo tipo di visione, cosa assolutamente comprensibile, vi consiglio di provare altri prodotti più accessibili dello Studio. Sicuramente non è la pellicola che consiglierei a chi si approccia per la prima volta a questa produzione o addirittura all’animazione giapponese in toto.

Una tecnica unica

La principessa splendente in una scena del film La storia della principessa splendente (2013) diretto da Isao Takahata

La tecnica di animazione de La storia della principessa splendente è assolutamente unica, almeno secondo la mia esperienza.

Si ispira evidentemente ai dipinti su rotolo della tradizione giapponese, portando personaggi definiti con pochi tratti, talvolta addirittura caricaturali, dispersi su grandi spazi bianchi.

Questa tecnica di animazione non è neanche del tutto nuova allo Studio Ghibli: molti dei film di questa casa di produzione hanno degli sfondi che sembrano dei dipinti. In questo caso il risultato è di grande raffinatezza, che può piacere o meno a seconda del proprio gusto.

A me personalmente ha convinto a metà.

Una favola, un archetipo

La principessa splendente in una scena del film La storia della principessa splendente (2013) diretto da Isao Takahata

Essendo una favola, è evidentemente un racconto archetipico, in cui è facile riconoscere degli stilemi piuttosto comuni sia nel cinema occidentale che orientale.

Questo aspetto può essere più o meno di vostro gusto, a seconda anche di quanto conoscete o volete conoscere del folklore giapponese e di un tipo di impostazione così tanto favolistico.

Oltre a questo, la pellicola racconta anche una cultura antichissima, profondamente sessista e segregante per entrambi i sessi, tanto che la principessa è per molto tempo tenuta quasi prigioniera all’interno del palazzo.

In questo senso torna un tema molto caro allo Studio Ghibli, ovvero il contrasto fra la realtà urbana e artificiosa e quella naturale e più genuina.

La durata immensa

La principessa splendente in una scena del film La storia della principessa splendente (2013) diretto da Isao Takahata

Visto che la storia è allungata moltissimo rispetto all’opera originaria, la pellicola è appesantita da una durata veramente immensa. Inoltre, nonostante l’apparente semplicità della trama, verso la fine il film diventa complesso e non facile da seguire.

D’altra parte, il tipo di trama archetipica, quindi per certi versi veramente prevedibile, toglie in parte godibilità alla visione. Infatti, per la maggior parte del tempo, possiamo già intuire le svolte di trama.

La storia della principessa splendente

L’approfondimento dell’esperta

La pellicola è tratta da un racconto anonimo risalente al X secolo, tradizionalmente considerato il primo esempio di monogatari, un genere fondamentale per la letteratura giapponese classica.

Il contesto storico

Nel X secolo il Giappone si trovava in piena epoca Heian, un periodo di pace e di fioritura delle arti. Le uniche testimonianze giunte fino a noi sono quelle della vita di corte, che raccontano una società poligamica.

La norma era infatti che un uomo avesse una moglie ufficiale e varie concubine, mentre la poligamia delle donne era solo sopportata. Una realtà omosociale, ossia c’era una netta divisione tra gli ambienti maschili e quelli femminili, i quali non si intersecavano mai, se non di notte, quando l’uomo raggiungeva in segreto l’amante.

Il motivo della riscrittura

La trama del Taketori monogatari è molto ampliata nel film, soprattutto per la prima parte, che racconta una situazione di iniziale equilibrio e pace: della vita in campagna con la famiglia adottiva e agli amici nel testo originale non vi è traccia.

Di conseguenza le scene di conflitto tra il padre e Kaguyahime (lett. principessa splendente) che si fondano sulla nostalgia della vita agreste, più semplice e autentica, non avevano motivo di esistere.

Perché allora riscrivere la storia originale, allungandola e rischiando di risultare pesanti?

In effetti un motivo c’è: il finale del Taketori monogatari non è lieto perché, secondo le interpretazioni, sarebbe una sorta di punizione per aver violato la netta separazione tra terreno e alieno, avvenuta nel momento stesso in cui il tagliabambù ha deciso di accogliere nella sua vita lo spirito della principessa.

Dalla rottura di questo tabù (ricorrente nella cultura giapponese antica) nascevano i conflitti del testo fino al ritorno di Kaguyahime al regno della luna, causa di grandissimo dolore per i genitori.

Un finale diverso

La pellicola vuole invece fare luce su un altro tipo di conflitto: il contrasto tra la bellezza altra e la sofferenza terrena viene riadattato e applicato al contrasto tra natura e urbanizzazione.

La vita in campagna era idilliaca, perfetta, semplice; quella nella capitale finta, costrittiva, crudele. Da qui nasce la brama della protagonista di ritornare ai luoghi della sua giovinezza, che scoprirà poi essere irrimediabilmente diversi: muore in lei anche la speranza della nostalgia.

Questo film, come molti altri dello studio Ghibli, presenta una pesante critica dello stile di vita moderno ed evoluto e allo stesso tempo piange la perdita di uno più antico e idealizzato.

Per dare questo effetto si è manipolato il principio estetico di epoca Heian detto mono no aware, concetto di difficile traduzione che indica il senso di meraviglia misto a nostalgia che gli animi sensibili provano di fronte alla bellezza della natura in relazione alla sua caducità.

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Avventura Azione Cult rivisti oggi Fantascienza Film Star Wars - Trilogia classica

Star Wars: Una nuova speranza – Un inizio vincente

Star Wars Episodio IV – Una nuova speranza (1977) è il primo capitolo di una delle saghe cinematografiche più di culto e redditizie della storia del cinema. Non a caso è considerato il primo blockbuster, ovvero un film pensato per il più ampio pubblico possibile.

A fronte di una produzione di medie dimensioni – appena 11 milioni (circa 55 ad oggi), che fu immediatamente un incredibile successo commerciale e di pubblico, con 775 milioni di incasso.

Questo articolo è anch’esso un blockbuster, pensato per tutti.

Se sei totalmente digiuno di Star Wars, continua a leggere. Se sai già di cosa si parla, clicca qui per passare alla parte specifica.

La struttura della saga

Star Wars è una saga cinematografica che prosegue da oltre cinquant’anni, articolata (finora) in nove capitoli, raggruppati in tre trilogie. Questo senza considerare tutti i prodotti satellite (serie tv, fumetti ecc.), che però non sono essenziali per capire la saga principale.

La trilogia originale (Episodi IV, V, VI), che è il nucleo fondamentale della vicenda, nonché la prima ad essere uscita a livello temporale (1977-83).

La successiva trilogia prequel (Episodi I, II, III) racconta gli avvenimenti precedenti alla trilogia originale e che è uscita circa vent’anni dopo (1999-2005).

La trilogia sequel (Episodi VII, VIII, IX) racconta gli avvenimenti successivi alla trilogia originale e che è l’ultima uscita a livello temporale (2015-2019).

Perché questo ordine strano?

Harrison Ford e Peter Mayhew in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

Questo ordine strano, in cui i film usciti prima (Episodio IV, V, VI) sembrano successivi a quelli che arrivarono in sala successivamente (Episodio I, II, II) è dovuto ad una precisa scelta produttiva e di marketing.

Infarti George Lucas, la mente dietro al progetto, inizialmente chiamò il film del 1977 semplicemente Star Wars. Solamente dopo, davanti all’enorme successo e al progetto di far uscire la trilogia prequel, decise di riordinare i film in questo modo.

Ma quindi, di cosa parla Star Wars?

Carrie Fisher in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

Senza andare troppo nello specifico, Star Wars racconta di un mondo immaginario in una galassia lontana lontana, dove i viaggi interplanetari sono la norma e dove robot, umani ed alieni vivono insieme su vari pianeti.

Detto proprio in soldoni, la trama ruota intorno ai Cavalieri Jedi, figure che hanno sorti alterne nella saga, ma che sostanzialmente combattono con le spade laser e sono capaci di controllare la Forza.

La Forza è un campo di energia mistico che pervade tutte le cose e che permette, a chi sa controllarla, di avere poteri telecinetici e di dominio della mente, fra le altre cose.

Ma ora passiamo alla domanda fondamentale.

Ha senso guardare Star Wars?

Harrison Ford, Carrie Fisher e Mark Hamill in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

La risposta più semplice è sì.

Nello specifico, è una serie di film che non può mancare nel vostro bagaglio culturale, tale è la sua portata storica. Inoltre, dal punto di vista intrattenitivo, almeno per la trilogia originale, si tratta di prodotti di intrattenimento assolutamente godibili anche oggi.

Tuttavia, ci sono molti motivi per cui queste pellicole potrebbero non piacervi. Anzitutto, dovete apprezzare un certo tipo di fantascienza vecchio stile, Anni Settanta-Ottanta appunto, con un’estetica che sembrava già vecchia al tempo.

Inoltre, non aspettatevi film di grande profondità, come Blade Runner (1982), ma prodotti con una trama abbastanza semplice, quasi archetipica.

Come guardare Star Wars

Mark Hamill in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

Diffidate dai pazzi che vi dicono di guardare i film nell’ordine temporale e non di uscita: oltre al fatto che il livello della trilogia prequel è decisamente più basso di quello della trilogia originale, e quindi non è il miglior primo approccio alla saga, è una strategia assolutamente senza senso.

La trilogia prequel è infatti totalmente dipendente dalla trilogia originale, mentre non vale il contrario. Infatti, la visione della trilogia prequel presuppone la conoscenza dei film usciti precedentemente.

Con questa strategia andreste solo in confusione.

Per questo vi dico: guardate i film in ordine di uscita. Poi, se proprio ve la sentite, potete provare pure la follia di guardarli in ordine cronologico. Se invece volete giusto l’essenziale della saga, limitatevi alla trilogia originale, considerata universalmente la migliore.

Se invece volete vederla tutta, che la forza sia con voi!

Di cosa parla Star Wars – Una nuova speranza?

In una galassia lontana lontana, l’universo è oppresso dalla tirannia dell’Impero, ma un gruppo di ribelli gli si oppone. La navicella della Principessa Leila viene attaccata dalle forze imperiali. Prima di essere catturata, la nostra eroina riesce a mandare un messaggio…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché Star Wars è il primo blockbuster

Lasciando da parte Lo squalo (1975), che è considerabile più il primo film evento, Star Wars: Una nuova speranza è considerato il primo blockbuster perché, come detto, è stato il primo film pensato per portare in sala il più ampio pubblico possibile.

Infatti, al suo interno troviamo personaggi e situazioni per tutti i palati: un eroe, un’eroina, una spalla comica e sex-symbol, una storia d’amore e dei simpatici personaggi secondari (R2-D2 e C3P-O), funzionali ad attrarre il pubblico di giovanissimi, nonché futuri acquirenti del merchandising.

E infatti è questo l’ulteriore motivo per cui questa pellicola è considerabile il primo blockbuster: fu il primo prodotto che ebbe un’importante produzione e vendita di merchandising, quindi un’altra vita oltre la sala, più di qualunque altro film prima.

Un trio vincente

Mark Hamill in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

Il trio di protagonisti della storia è assolutamente vincente, perché appunto riesce ad intercettare i più diversi pubblici.

Anzitutto Luke, protagonista perfetto anche solo per come si viene inizialmente presentato, raccontando, con le dovute differenze, i sentimenti e la condizione dello spettatore medio di questo genere di film al tempo.

È infatti un ragazzo giovane, pieno di sogni e speranze, che vorrebbe allontanarsi dalla sua casa natale per farsi una vita altrove.

Carrie Fisher in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

In secondo luogo Leila, uno dei primi personaggi femminili interessanti per il cinema mainstream: per quanto sia comunque una donna da salvare, nonché oggetto del desiderio dei due personaggi maschili, è comunque un personaggio attivo, che utilizza un’arma e che partecipa all’azione.

Insomma, niente di scontato per il tempo. Certe volte è sicuramente troppo sopra le righe, complice anche l’evidente inesperienza dell’attrice, ma è complessivamente un buon personaggio.

Harrison Ford in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

In ultimo, Han Solo, la controparte maschile più adulta di Luke: apparentemente spaccone e egoista, si rivela infine un personaggio positivo. Ed è, insieme a Chewbecca, la spalla comica del protagonista.

Questo personaggio fu fra l’altro la rampa di lancio per Harrison Ford, che andò a ricoprire anche altri ruoli iconici per gli Anni Ottanta e Novanta, fra cui Indiana Jones e Rick Deckard in Blade Runner (1982).

I cattivi senza volto

La rappresentazione dei villain è da manuale: anzitutto gli stormtrooper, tutti uguali e senza volto, che nelle scene di combattimento sono sostanzialmente indistinguibili. Insomma, personaggi con cui difficilmente si può empatizzare, a differenza delle controparti positive, che sono generalmente riconoscibili e a volto scoperto.

Una tecnica semplice, ma assolutamente efficace.

Anche Darth Vader ha il volto mascherato, ma per motivi leggermente diversi: sicuramente per renderlo emotivamente inaccessibile come personaggio (e infatti questo elemento sarà determinante nell’ultimo capitolo della trilogia), ma soprattutto perché la sua maschera lo rende una figura aliena e minacciosa.

Più in generale, gli antagonisti presentano un atteggiamento ed un abbigliamento rigido e militare, con una predominanza di colori scuri, contro i colori chiari e rassicuranti dei personaggi positivi.

Buona comicità e buona struttura

Anthony Daniels nei panni di C-3PO in una scena del film Star Wars: Una nuova speranza (1977) diretto da George Lucas

La comicità di Star Wars: Una nuova speranza non è mai ingombrante, ma anzi calibrata e circoscritta a pochi personaggi chiave.

Fra questi, ovviamente C3P-O, personaggio che rappresenta un maggiordomo inglese del tutto stereotipato, ma assolutamente spassoso. Soprattutto per le sue interazioni con R2-D2, che li rendono una coppia irresistibile.

Inoltre, la pellicola gode di una struttura narrativa complessivamente solida, per via anche dell’estrema semplicità della trama: quasi una favola, con una principessa da salvare, un cattivo da sconfiggere e una missione da portare a termine.

Un altro elemento vincente di Star Wars: Una nuova speranza, e di Star Wars in generale, è l’intersezione fra diversi generi: come ci ha ben insegnato in questi anni l’MCU, coprendo diversi generi cinematografici si può ottenere un prodotto che porta in sala un pubblico ampissimo.

Così in questa pellicola troviamo non solo la fantascienza, ma anche l’avventura, l’azione e la trama romantica.

La bellezza di questo film è inoltre quella di lasciare tutto aperto e chiuso allo stesso tempo: nel complesso la vicenda arriva ad una conclusione, ma lascia volutamente molte porte aperte per uno sviluppo ulteriore.

Come, per fortuna, accadde.

May the force be with you!

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The Northman – L’epopea estenuante

The Northman (2022) è l’ultima pellicola diretta da Robert Eggers, cineasta attivo solo da pochi anni, ma che ha già lasciato un’impronta importantissima nel mondo del cinema. Infatti le sue due prime pellicole, The Witch (2015) e The Lighthouse (2021), sono dei piccoli capolavori.

The Northman è il primo prodotto ad alto budget in cui Eggers viene coinvolto, riuscendo comunque a mantenere la sua inconfondibile forma autoriale. Tuttavia, essersi aperto al cinema mainstream potrebbe non essere la scelta migliore per questo regista.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla The Northman

La trama prende ispirazione dall’Amleto di Shakespeare ed è ambientata nell’Europa del Nord del X sec. a. C. Il giovane Amleth è il primogenito ed erede al trono della dinastia del padre, il Re Corvo. Il genitore viene tuttavia ucciso davanti ai suoi occhi da un terribile tradimento, costringendo il giovane alla fuga, ma giurando vendetta.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

C’è un po’ di Eggers in questo film

Alexander Skarsgård in una scena del film The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Io sono una grande fan di Eggers: ho apprezzato il suo The Witch per la freschezza che ha portato al genere, e mi ha incantato con la sua follia in The Lighthouse. Quindi le mie aspettative erano ovviamente altissime.

E, nel complesso, non posso dire che siano state deluse. Come anticipato, la firma di Eggers si sente: splendide sequenze oniriche, sempre al limite del fantastico e del delirio, l’elemento magico ben contestualizzato soprattutto nella figura dell’animale simbolo sempre presente nelle sue pellicole, personaggi potenti e monumentali.

Tuttavia, questa pellicola non è Eggers fino in fondo, e i problemi produttivi sono esplicativi in questo senso: il montaggio è derivato da un compromesso fra la produzione e il regista. Quindi se da una parte abbiamo un film comunque complesso, costruito con grande cura, con una ricerca storica precisa e lucida, dall’altra abbiamo il tentativo di rendere un prodotto più digeribile per il grande pubblico.

Quindi, come The Lighthouse mi era sembrato il punto di arrivo di una carriera già fulminante di un cineasta di altissimo livello, The Northman mi è parsa in parte una soluzione di compromesso. Insomma, una pellicola che, se Eggers fosse stato lasciato a briglie sciolte, mi sarebbe piaciuta probabilmente di più.

Ma non per questo mi sento di bocciarlo, tutt’altro.

Il cast delle grandi occasioni

Alexander Skarsgård e Anya Taylor Joy in una scena del film  The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

All’interno di una trama con uno scheletro narrativo complessivamente semplice, il protagonista è invece complesso e tridimensionale. Interpretato dall’ottimo Alexander Skarsgård, che è anche produttore e ideatore del film, Amleth è un personaggio profondamente tormentato, violento e ossessionato, oltre che estremamente fallibile. Quindi tutt’altro che un eroe di un’epopea in senso classico, ma un uomo guidato ed accecato da una profonda e terribile vendetta.

Oltre a questo, Eggers ha avuto come sempre a disposizione un cast di altissimo livello: anzitutto Anya Taylor Joy, attrice praticamente scoperta da questo regista, conosciuta soprattutto per la serie tv La regina degli scacchi, ma che ha dato prova di grandi capacità anche in prodotti più di nicchia come appunto The Witch e il più recente Emma (2020). Inoltre, un’ottima prova attoriale di Nicole Kidman: nonostante la difficoltà dell’espressività del volto dovuta alla pesante chirurgia plastica cui si è sottoposta (per sua stessa ammissione), è stata premiata da una regia indovinata, che le è stata cucita addosso per esaltare al meglio le sue capacità recitative. E infine l’inarrestabile Ethan Hawk, che appare per poco ma che è ancora in splendida forma (per quanto mi avesse fatto perdere le speranze nel recente Moonknight).

Un cast delle grandi occasioni, appunto.

The Northman fa per me?

Ethan Hawk in una scena del film di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

C’è solo un prodotto a cui mi sento di paragonare The Northman, ovvero la serie Sky nostrana Romolus, creata dall’ottimo Matteo Rovere. Quindi se vi è piaciuta quella serie, guardate The Northman.

Nello specifico, se apprezzate le saghe epiche, con una contestualizzazione storica praticamente perfetta, un ritmo incalzante, in un contesto assolutamente brutale e violento, può fare certamente per voi. Tuttavia, se siete fan puristi di Eggers come me, ridimensionate le aspettative.

Rimandare la vendetta

Alexander Skarsgård in una scena del film The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Una delle cose che mi hanno poco convinto della pellicola è stato l’andamento del piano di Amleth: si ha la sensazione che il protagonista continui ad annunciare la sua vendetta, ma si prenda tantissimo tempo prima di metterla in atto.

Allo stesso modo, ho trovato quasi estenuante questo continuo rimando dello scontro finale, come se dovesse essere per forza costruito a tavolino. Capisco che Amleth volesse seguire la sua profezia, ma sembra quasi doverla forzare perché si avveri: ne è un esempio chiarissimo il fatto che debba darsi un appuntamento sul vulcano per il maledetto duello con Fjölnir, come prescritto dalla predizione, e questo non possa avvenire quando i due si trovano faccia a faccia, con ai piedi i cadaveri dei loro congiunti. Ma è l’unico problema effettivo che mi sento di segnalare, dovuto fra l’altro, a mio parere, al compromesso di montaggio di cui sopra.

Personaggi femminili vincenti

Anya Taylor Joy in una scena del film  The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Una delle cose che riesco meno a sopportare, più dei personaggi femminili stile Mary Sue, sono i personaggi femminili forzati in situazioni dove appaiono totalmente fuori luogo. Uno degli esempi che per primo mi viene alla mente è quello della bambina protagonista di Dumbo (2019): povera in canna, realisticamente analfabeta, anacronisticamente interessata alla scienza, con un personaggio falsamente al passo coi tempi.

Invece la bellezza di questo film è anche di non aver neanche pensato a provare ad introdurre personaggi femminili irrealistici, magari donne guerriere fuori dal tempo. Invece si è deciso di sfruttare quello che si aveva disposizione nella realtà storica rappresentata, forti anche di una solida ricerca al riguardo: anzitutto Olga, ridotta schiava, legata al mondo della magia e dell’esoterismo, che si rifiuta violentemente di sottomettersi alla sua condizione e che aiuta il protagonista ad attuare il suo piano.

Ma soprattutto nota di merito per il personaggio di Nicole Kidman, Gudrún: invece di essere ridotta al ruolo di madre e moglie fedele, è una donna che ha ritrovato una vita felice alle spalle di un marito che l’aveva forzata ad una gravidanza e ad un matrimonio che non la rendeva felice. Un personaggio femminile che non ha paura di essere violento persino verso il figlio e di rivoltare la situazione del tradimento fratricida a suo vantaggio. Una donna terribile, certo, ma non ingabbiata in uno stereotipo pesante e datato. E, per questo, decisamente più interessante di quanto mi sarei aspettata.

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Rapunzel – L’inizio inaspettato

Rapunzel (2010) è un lungometraggio animato di casa Disney, il cinquantesimo fra i suoi Classici, nonché, insieme al Re Leone (2019), il film animato più costoso della storia del cinema.

E così, con un budget di 260 milioni di dollari, incassò bene: quasi 600 milioni in tutto il mondo.

Ed è fra i miei prodotti animati preferiti in assoluto.

Di cosa parla Rapunzel?

Rapunzel è una ragazza che sta per compiere diciotto anni, passati tutti nella torre in cui è stata imprigionata da Madre Gothel, che vuole sfruttare il suo potere…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena guardare Rapunzel?

Rapunzel e Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Assolutamente sì.

Rapunzel è un ottimo prodotto di animazione, che riesce facilmente ad intrattenere e a divertire.

Oltre a non avere mai dei momenti morti, presenta una narrazione incalzante, porta in scena due protagonisti con un’ottima chimica, una storia d’amore davvero coinvolgente, pur nella sua semplicità. Inoltre, una serie di personaggi secondari genuinamente divertenti e ben scritti.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Rapunzel

Rapunzel è una protagonista all’avanguardia per i tempi.

oltre ad essere, insieme a Mulan, una delle poche principesse a possedere un’arma, come Mirabel in Encanto (2021), è un personaggio intraprendente e che prende in mano la propria vita, nonostante tutti gli ostacoli che le vengono messi davanti.

Ovviamente il maggiore ostacolo è Madre Gothel e i suoi ricatti emotivi, ma anche Flynn inizialmente cerca di ingannarla e manipolarla.

Ma Rapunzel è inarrestabile.

In particolare, la protagonista della pellicola ha due punti di forza: non ha un principe e si salva da sola.

Salviamoci insieme

Non solo Rapunzel si salva da sola, ma salva anche il principe.

Una caratteristica ben poco presente per i personaggi femminili, che solitamente sono figure passive che devono essere salvate, spesso premio di una prova del personaggio maschile.

In questo caso Rapunzel decide autonomamente di intraprendere il suo viaggio e riesce, pur con qualche difficoltà, a difendersi, sia fisicamente che psicologicamente, da Flynn e infine da Madre Gothel.

Inoltre, appunto, salva Flynn in almeno due situazioni: quando stanno scappando dai gendarmi dalla taverna, quando stanno per affogare, e infine, anche se indirettamente, quando Flynn è effettivamente morto.

E l’unico momento in cui viene effettivamente salvata non è il solito salvataggio della principessa in pericolo.

Flynn

Molto spesso nella narrazione classica si portava una rappresentazione del protagonista maschile che doveva essere il sogno di ogni bambina: trovare un uomo bello e ricco da sposare, possibilmente che sapesse mettersi in gioco per salvarci la pelle.

Tuttavia le prospettive e i desideri del pubblico già dieci anni fa si erano ampliati.

Per questo Flynn Rider è stato il primo anti-principe della Disney.

A questo esperimento ne è seguita una pallida imitazione con Kristoff in Frozen, e in parte Nick in Zootropolis (2016). Quindi personaggi maschili che si affiancano le protagoniste femminili più come compagni di avventure che (solo) come interessi amorosi.

Nel caso di Flynn troviamo un personaggio assolutamente inusuale per l’epoca: viene anzitutto presentato come fondamentalmente negativo, in quanto fuorilegge, furbo e approfittatore, oltre che vanitoso (caratteristica rara nei personaggi maschili protagonisti, se non per sottosensi queer).

Nonostante tutti questi difetti, Flynn ci sta subito simpatico perché è un personaggio umano.

Uscire dallo stereotipo

Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico Disney

A differenza di Rapunzel, che è un personaggio più tipico, Flynn è un personaggio profondamente umano.

Come ci spiega lui stesso, Flynn non è rappresenta la sua reale persona, ma è una facciata che si è costruito. Anche se non è spiegato nel dettaglio, sicuramente proviene da una realtà di grave povertà, forse persino da un orfanotrofio.

Per cui rubare non era mai stato un atto di avidità, ma un modo di sopravvivere, e anche di inseguire, seppure in maniera negativa, il sogno di una vita migliore. La validità del suo sogno viene tuttavia più volte ridimensionata, anzitutto da Uncino, che gli dice Il tuo sogno fa schifo.

Compagno di vita

Rapunzel e Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Così, come nel migliore dei buddy movie, Flynn insieme a Rapunzel riesce a crescere e a migliorarsi, con un effettivo lavoro di squadra, che non sia solo unidirezionale.

Infatti Flynn non salva Rapunzel in senso stretto, ma più che altro la aiuta a compiere quell’atto finale che non riusciva a compiere lei stessa, per via lavaggio del cervello cui era stata sottoposta: tagliare definitivamente i ponti, e così il cordone ombelicale metaforico con la madre.

Oltre a questo, Rapunzel riesce a tirare fuori il meglio da lui, portandolo ad abbandonare Flynn per tornare ad Eugene, ovvero una persona che si interessa a qualcun altro oltre che a sé stesso, e che ha mire definitivamente più oneste e positive.

Ovviamente all’interno di un finale molto semplice e prevedibile, ma del tutto funzionale.

L’innamoramento

Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Un grande pregio del film è che il rapporto Flynn e Rapunzel, nonostante sia basato sui più classici e funzionali tropoi di enemy to lovers, è ben costruito.

Inizialmente entrambi, appena si scoprono, sono quantomeno colpiti. Soprattutto Flynn, che rimane sbigottito vedendola per la prima volta, anche perché in quella scena la ragazza è disegnata in maniera più adulta.

Immediatamente, sono entrambi sulla difensiva davanti all’ignoto: Rapunzel si difende disordinatamente con la padella, Flynn con i suoi stupidissimi metodi di approccio, che potrebbero funzionare con altre donne, ma non con Rapunzel.

Poi ci riprova, vedendola in difficoltà, usando trappole emotive al pari di Madre Gothel, anche se ovviamente non in maniera così diabolica.

L’ultimo inganno a cui la sottopone è quello decisivo: alla taverna, invece di arrendersi definitivamente, Rapunzel si dimostra nuovamente capace di gestire la situazione, portandola a suo vantaggio.

E così è anche la prima volta che Flynn è genuinamente interessato a lei, come si vede dal mezzo sorriso che le rivolge mentre sono nel tunnel sotto alla caverna. Da questo momento in poi comincerà a non considerarla più una ragazzina sprovveduta.

Ed è anche la prima volta in cui Rapunzel si rende conto delle sue capacità, e di non essere una buona a nulla come raccontava Madre Gothel.

Le ultime tappe

Flynn in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

La scena del falò è un altro momento decisivo.

Finalmente entrambi si svelano l’uno all’altro, in maniera in cui nessuno dei due aveva mai fatto con nessuno. A quel punto Rapunzel è già evidentemente già innamorata, ma Flynn non può concedersi questo passo: la guarda ammaliato, poi abbassa lo sguardo, genuinamente sorpreso, e si allontana con una scusa.

E in quel momento Rapunzel fa la mossa finale: dimostra di accettarlo per chi davvero è, e non per la facciata che Flynn ha dovuto usare tutta la vita. E da come lo guarda si vede che è definitivamente innamorata.

Lo stesso sguardo è negli occhi di Flynn quando in città vede Rapunzel con i capelli intrecciati di fiori. Ma, ancora una volta, davanti allo sbeffeggiamento di Maximus, cerca di allontanare quel pensiero.

L’amore fra i due è finalmente rivelato prima quando si trovano mano nella mano durante la danza nella città, e infine sulla barca, quando si dichiarano vicendevolmente, senza più imbarazzo.

Così il breve distanziamento fra i due, che per fortuna non viene eccessivamente drammatizzato ed è anzi occasione per Rapunzel di avere la sua rivalsa su Madre Gothel, viene risolto con la dichiarazione reciproca dell’amore di entrambi.

E non con un semplice ti amo, ma con una dichiarazione più profonda.

Sei il mio nuovo sogno.

Madre Gothel

Madre Gothel è villain da manuale.

un antagonista piuttosto tipizzato, ovvero quel tipo di cattivo la cui cattiveria non è particolarmente esplorata.

Tuttavia, leggendo più a fondo il suo personaggio, si scopre che non è così superficiale come potrebbe sembrare. Anzitutto, le sue motivazioni: non cattiva perché cattiva, ma perché ossessionata non tanto dalla vita eterna, ma proprio dalla bellezza.

Non a caso Madre Gothel è una donna fascinosa e magnetica, che utilizza anche questo suo potere a suo vantaggio.

Così ammalia uno dei delinquenti della taverna per sapere dove sbuca il tunnel sotterraneo, così inganna i due compari di Flynn Rider per utilizzarli a suo vantaggio.

E sempre sulla bellezza punta quando vuole sminuire Rapunzel, sia durante la canzone Mother knows best, quando le dice che è trasandata, persino grassa (a little chubby).

Ma soprattutto durante la scena del falò, quando le afferra i capelli per sbeffeggiarla e le dice Pensi che sia rimasto impressionato? ribadendo quanto la figlioccia sia strana, trasandata e per nulla attraente.

Ma, soprattutto, Madre Gothel è definita nella dicotomia luce – buio, in contrapposizione con Rapunzel.

Essere inghiottiti dall’oscurità

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Secondo un topos molto semplice, ma non per questo meno efficace, Madre Gothel è strettamente collegata al concetto di oscurità. Anzitutto per i colori del suo personaggio, molto intensi e scuri appunto, così per la maggior parte delle scene in cui compare, sempre in ombra o penombra.

Inoltre, questa dicotomia si trova nella già citata canzone Mother knows best: tutta la scena è la donna che cerca di togliere la luce alla figlioccia, sia in senso metaforico che effettivo.

Come le spegne le candele che Rapunzel cerca di accendere per fare luce, così Madre Gothel utilizza la luce a suo vantaggio, facendo vedere quello che vuole lei, e ottenebrando la mente della ragazza con paure insensate.

Un’ombra

L’ombra di Madre Gothel accompagna Rapunzel anche quando non è presente in scena.

Quando la ragazza è profondamente divisa sul da farsi, avendo paura di deludere la madre, nelle scene di spensieratezza l’ambiente è luminoso e con colori pieni, quando è invece triste e preoccupata la vediamo in ambienti nell’ombra o nella penombra.

Altrettanto importante per questo simbolismo è l’incontro del falò: la donna abbraccia Rapunzel, non per affetto ma per ingabbiarla nuovamente, la afferra per un polso e cerca di trascinarla con sé, lontano dal falò e quindi dalla luce, verso la foresta nera da cui è emersa.

E così tutta la canzone, che serve a sbeffeggiare la figlioccia e impiantare in lei il seme del dubbio, si svolge nell’ombra.

Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Ancora la tematica della luce quando Rapunzel acquisisce consapevolezza: in inglese nella canzone delle lanterne dice Now I see the light, ovvero Ora vedo la luce, in senso sia letterale, sia metaforico.

E il parallelismo è scontato è quando assume la definitiva consapevolezza della sua identità, vedendo proprio i soli simbolo della sua famiglia nella sua stanza, e quindi la luce e la verità che gli era sempre stata nascosta.

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Ma Rapunzel si fa anche tentare da una luce ingannevole: quando finalmente (e per fortuna temporaneamente) Madre Gothel la fa tornare a sé dopo averle fatto credere al tradimento di Flynn, è accanto ad una lanterna.

Ma è una lanterna di una luce fredda, verdognola, di un colore solitamente associato al veleno e all’inganno.

E si potrebbe andare avanti…

Non solo il tuo animaletto

Per quanto si sarebbe potuto desiderare un villain più profondo, che non fosse limitato alla sua cattiveria apparentemente superficiale, la spietatezza con cui Madre Gothel tratta Rapunzel è da brividi.

Non c’è mai un momento in cui dimostra qualche tipo di effettivo affetto verso la figlioccia, che considera sempre invece come uno strumento, come una risorsa per sé stessa ed il suo tornaconto.

Madre Gothel e Rapunzel in una scena del film Rapunzel (2010) L'intreccio della torre, il 50esimo classico disney

Non solo uno strumento, ma anche un animale: nella sua prima canzone, Mother knows best, Madre Gothel chiama Rapunzel proprio pet, e in più di un’occasione le tocca la testa come si fa con gli animali da compagnia appunto.

Questo gesto è ribadito nell’ultimo atto, quando Rapunzel le si ribella, prendendola violentemente per il polso e impedendole di farlo.

E finalmente torreggia su di lei.

Personaggi secondari indovinati

Un altro merito di questo film sono sicuramente i personaggi di contorno.

Anzitutto i malviventi incontrati alla taverna, che nel finale diventano fondamentali. Soprattutto per la loro canzone dove vengono presentati, non sono altro che un’estensione di Flynn: criminali ma dal cuore d’oro e con altre passioni oltre al crimine di per sé.

Tra l’altro spassosissima la loro sfilza di interessi assolutamente anacronistici per il periodo rappresentato.

Altra punta di diamante della pellicola è Maximus.

Era forse dai tempi di Mushu che non si vedeva un animale così ben raccontato ed animato, con una mimica al limite della perfezione, che lo fa sembrare prima un uomo, poi un cane (nella scena in cui incontra Rapunzel). Maximus è proprio una storia a parte.

Nota a margine per Pascal: sembra un personaggio molto secondario, e invece ha un ruolo chiave nella vicenda. Infatti, fino alla fine, Madre Gothel neanche sa che esista e Rapunzel glielo nasconde volutamente.

Pascal è infatti la voce della ragione, una figura enigmatica e silenziosa che invita subito Rapunzel ad uscire, che veglia su di lei, riuscendo ad addomesticare Maximus e accettando tacitamente la sua relazione con Flynn.

E non è un caso che è Pascal stesso che interviene per rendere definitiva la dipartita di Madre Gothel.

Rapunzel: un’altra interpretazione

Il potere di Rapunzel è luminoso e puro e, una volta tagliato, perde il suo valore.

Non sarò la prima né l’ultima a dirvi che Rapunzel può essere letto in un’altra ottica.

Il dono di Rapunzel è in realtà la sua verginità, in una visione ovviamente molto tradizionalista. Così Madre Gothel la promette ai malviventi, in maniera davvero inquietante, così dice a Rapunzel che Flynn vuole solo una cosa da lei, come se dovesse sedurla per avere un rapporto sessuale e poi abbandonarla.

Una narrazione piuttosto utilizzata e radicata profondamente nell’immaginario collettivo, anche odierno. E il fatto che si parli di Rapunzel e del suo potere legato al fiore e della preziosità della corona, l’unico interesse di Flynn secondo Madre Gothel, non fanno che confermare questa visione.

Così, quando alla fine si baciano sulla torre e l’inquadratura si allontana, senza far mai vedere che escono o altro, i più maliziosi potrebbero intendere quello come effettivamente il momento in cui portano il loro rapporto ad un altro livello.

Ma sono interpretazioni maliziose…

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Little Miss Sunshine – Vincere a tutti i costi

Little Miss Sunshine (2006) di Jonathan Dayton e Valerie Faris, è un piccolo cult di inizio Anni 2000.

Non a caso, a fronte di un budget risicatissimo – appena 8 milioni di dollari – sbancò i botteghini internazionali con 108 milioni di incasso, e fu candidato a tre premi Oscar, vincendone due.

Di cosa parla Little Miss Sunshine?

Una piccola famiglia della classe media affronta un viaggio improvviso per accompagnare la piccola Ollie. In questa occasione ogni personaggio svilupperà il proprio percorso, con piccoli e grandi drammi personali…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Little Miss Sunshine?

Assolutamente sì.

Little Miss Sunshine divenne un cult all’epoca per tanti motivi.

Prima di tutto, è un film davvero ben scritto, che porta in scena alternativamente momenti incredibilmente divertenti, sia sequenze assai drammatiche, con sempre un’importante riflessione di fondo.

Un prodotto da recuperare assolutamente, per ridere, piangere e appassionarsi sinceramente alle storie dei personaggi, oltre che per venire vicino ad un mondo e ad una cultura che sono dominanti nel panorama internazionale, ma molto diversi dalla nostra cultura europea.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Vincere e perdere

Abigail Breslin, Toni Colette, Steve Carelle e Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

La bellezza di Little Miss Sunshine risiede soprattutto la sua capacità di raccontare una storia davvero corale, dove ogni personaggio è tridimensionale e ha un’evoluzione avvincente.

Non a caso il film si apre con una piccola carrellata di scene di presentazione di tutti i personaggi ed il loro arco narrativo.

La piccola Olive e il suo sogno, il padre e il suo corso di life coaching, il fratello e la sua sfida, il nonno e la dipendenza dalle droghe, la madre che è il suo rapporto difficile col fratello, e infine il fratello suicida.

Il tema principale, come anticipato, è la cultura della vittoria. Vincere, vincere per forza, unica cosa che conta, come ben si vede dalle prime due scene: Olive che guarda e sogna la vittoria come reginetta di bellezza e il padre che racconta come si può essere o vincitori o perdenti. E bisogna essere vincitori.

E infatti ogni personaggio riesce a vincere e a perdere la sua battaglia personale.

Olive Little Miss Sunshine

Olive è una bambina di appena sette anni, eppure è il perno dell’intera pellicola.

Vediamo molto spesso il tutto dal suo punto di vista, che riesce ad empatizzare, nonché a venire in aiuto degli altri personaggi: Frank e il suo dramma personale, così il fratello Dwayne e la sua sconfitta.

Il sogno di Olive non è realmente quello di vincere per essere bella, ma di vincere per divertirsi. Tuttavia non è, pur ingenuamente, estranea a tutte le pressioni sociali che vogliono che lei sia bella, magra e già perfetta.

Emblematica in questo senso la scena in cui il padre cerca di convincerla a non mangiare il gelato per non ingrassare, così come quelle in cui si guarda allo specchio, più di una volta, preoccupandosi di non essere abbastanza bella.

Sono bella?

Abigail Breslin in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Effettivamente Olive non è una ragazzina convenzionalmente bella: è una bambina come tante, con un aspetto nella media, che non cerca di essere niente di più bello o di diverso dalla sua età.

Ma è comunque appunto influenzata dagli stimoli esterni del mondo degli adulti, tanto che chiede al nonno se lei è effettivamente bella e se riuscirà a vincere. Tuttavia, solo delle ansie derivate esternamente, non qualcosa che nasce naturalmente da lei.

La drammatica realtà è che se Olive non avesse le influenze positive di alcuni membri della sua famiglia, in poco tempo sarebbe caduta in un disturbo alimentare, come altre ragazzine prima di lei.

Frank Little Miss Sunshine

Frank è un perdente, sia per come si sente, sia perché non riesce a vincere il suo onore e andare avanti con la propria vita.

Non riesce a lasciare da parte il più grande traguardo della propria vita, l’unica cosa con cui riesce a definirsi.

E infatti alla fine il motivo vero del suo tentato suicidio non è né un amore fallito né aver perso il lavoro, ma aver perso il suo riconoscimento, che ribadisce (anche se scherzosamente), in altri momenti della pellicola.

La vittoria di Frank è riuscire a trovare una nuova identità, a capire di essere una persona completa anche senza essere riconosciuto come vincente. E riesce a riconoscersi in un nuovo contesto e un nuovo obbiettivo: la sua famiglia.

Non a caso è il primo a correre verso l’hotel del concorso.

E, non a caso, quando vede sul giornale il suo rivale riconosciuto con il premio che lui pensa che gli sia dovuto, lo mette via con solo una smorfia di disappunto, ma, infine, di accettazione.

Dwayne Litte Miss Sunshine

Dwayne è in una crisi esistenziale estrema.

Sente di odiare profondamente la sua famiglia e porta testardamente avanti l’obbiettivo di liberarsi dalla stessa.

Ma, in realtà, c’è una persona a cui non può odiare: Olive. Non è un caso infatti che sia Dwayne sia quello che si accorge della mancanza della sorella quando questa viene dimenticata alla stazione di servizio

E così Olive è l’unica persona che riesce veramente, e senza una parola, a convincerlo a tornare dalla famiglia quando Dwayne ha la sua crisi. E infine il ragazzo, come Frank, accetta che, anche se non verrà riconosciuto come quello che vorrebbe essere dagli altri, potrà comunque fare quello che lo renderà felice.

E questo senza doversi isolare da tutti, anzi preoccupandosi sinceramente per la sorella.

Il nonno Litte Miss Sunshine

Il nonno vuole vincere la sua libertà.

La libertà di vivere come vuole, anche in modo non accettato dalla società purista americana. E continua a farlo, nonostante le conseguenze, e fino alla fine. E alla fine muore, ma felicemente.

Insieme a Sheryl, il nonno è uno degli elementi di unione e un motore dell’azione, sia da vivo che da morto. Infatti il climax finale del ballo della famiglia, una danza gioiosa di unione, è merito della sfacciataggine del nonno.

La famiglia riesce a proseguire il viaggio, nonostante il cadavere nel bagagliaio, per le riviste pornografiche che il nonno ha acquistato. E tutta la vicenda è messa in moto dallo stesso, che aiuta la nipote nel suo spettacolo.

Richard Little Miss Sunshine

Richard è l’elemento più problematico del film.

Impulsivo, ossessionato dal sogno americano di vincere o perdere.

Senza vie di mezzo.

Durante la pellicola deve tuttavia prendere delle decisioni importanti, che gli fanno mettere in discussione i suoi valori. In particolare il momento di consapevolezza avviene durante il concorso di bellezza.

Guardando quelle bambine truccate e sessualizzate all’inverosimile, capisce che non vale sempre la pena vincere sempre, che sua figlia non deve per forza gareggiare, se sono queste le condizioni.

E infine anche lui sceglie la propria famiglia, proteggendo la figlia e intervenendo per primo per aprire la danza finale, nonostante sa che così verrà definitivamente escluso ed umiliato.

Ma ormai non è più importante.

Sheryl Little Miss Sunshine

Sheryl è una donna forte, coi piedi ben piantati a terra, che cerca di unire la famiglia.

La sua vittoria, alla fine, è riuscire a riportare insieme i suoi familiari, come cerca di fare per tutta la pellicola: riprende Richard quando intimorisce Olive, cerca di aiutare Frank, cerca in tutti i modi di ricongiungersi con Dwayne quando perde la testa e, alla fine, sostiene tutti sulle sue spalle.

È davvero il collante del gruppo.

È forse il personaggio che vince di più di tutti: riesce a vedere la famiglia finalmente e davvero unita, come avrebbe voluto, e per questo chiude le danze, correndo felice verso la figlia.

Vincere da subito

Little miss sunshine

Il tema principale della pellicola è ben esplicitato dal concorso stesso, che rappresenta l’atto conclusivo nonché il punto di arrivo del climax dell’intera pellicola.

Può sembrare eccessivo ed esagerato, ma è invece tremendamente reale.

L’ultimo tassello nel mosaico della cultura della vittoria a tutti i costi degli Stati Uniti, quando fin da giovanissimi si viene messi in competizione. Vestiti da adulti, costretti a diventare degli oggetti di scena, principalmente a favore dei genitori stessi e del ritorno economico che ne può derivare.

Little miss sunshine

Ci sono state molte discussioni, soprattutto ai tempi, sulla questione dei concorsi di bellezza.

La maggiore questione è che queste occasioni rappresentavano (e rappresentano) perfettamente il sogno americano. Non seguono infatti grandi capitali per accedervi, basta essere abbastanza belli e saper fare qualcosa di interessante, soprattutto nei circuiti più bassi.

E infatti le facce delle persone del pubblico sono facce assolutamente normali e ordinarie.

L’ipocrisia

Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Little Miss Sunshine mette bene in scena la sessualizzazione rasente alla pedofilia di questi concorsi, con ragazzine truccate e acconciate come modelle, eroicizzate al limite del sopportabile ed estremamente ammiccanti.

Non a caso è emblematica la faccia del padre quando vede lo spettacolo, profondamente a disagio, come ogni persona di buon senso si sentirebbe.

E così lo spettatore con lui.

E quindi l’ipocrisia sta nel fatto che, quando una bambina fa qualcosa di effettivamente erotico e apparentemente volgare, in realtà semplicemente divertendosi nella sua ingenuità dei sette anni, è assolutamente inaccettabile.

Vivere di espedienti

Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Come la maggior parte della classe media statunitense e delle persone che partecipano a questo tipo di concorsi, la famiglia della pellicola è in difficoltà economica. Deve sempre vivere di espedienti e soluzioni dell’ultimo minuto per andare avanti, faticosamente, perdendo ogni energia.

Perché se ci si arrende si è, appunto, dei perdenti.

Così non possono lasciare Frank in ospedale per farsi curare adeguatamente perché non c’è l’assicurazione sanitaria adatta. Non possono prendere un aereo per andare in California, non possono permettersi un’alternativa all’auto rotta. In ogni modo devo mettersi insieme, mettersi in strada.

Il viaggio e tutti i suoi ostacoli rappresentano perfettamente come è la loro vita: un imprevisto dietro l’altro, a cui non sono sempre pronti a rispondere.

Bonus

Breaking bad, sei tu?

In Little Miss Sunshine ci sono dei collegamenti involontari alla serie Breaking bad, che esordì sui nostri schermi due anni dopo.

Anzitutto, la famiglia abita ad Albuquerque, dove si svolge anche la serie tv. Inoltre nel film appaiono per dei camei Bryan Cranston come Stan, il collega del padre e Dean Norris, come il poliziotto che li ferma in autostrada.

Rispettivamente Walter White e Hank Schrade, due dei personaggi principali della serie cult, che i fan di Breaking bad non potranno non riconoscere.

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Animali fantastici: I segreti di Silente – L’ultimo chiodo della bara?

Questo articolo è stato scritto a quattro mani da me e dal mio collaboratore, che mi ha dato un prezioso supporto.

Animali fantastici: I segreti di Silente (2022) è il terzo capitolo del franchise Animali fantastici, spin-off e prequel della saga di Harry Potter. La pellicola è diretta da David Yates, che si occupò della regia della saga principale a partire da Harry Potter e l’ordine della fenice, ed è stata scritta da J.K. Rowling, autrice della saga, e da Steve Kloves, che ha partecipato alla scrittura di tutti i film del franchise.

Il film arriva dopo quattro anni dal secondo capitolo, Animali Fantastici – I crimini di Grindelwald (2018), per via dello scarso successo economico e del riscontro del pubblico: 654 milioni di incasso contro un budget di 200 milioni. Non un disastro, ma comunque l’incasso più basso dell’intera produzione di Harry Potter.

Quindi questa era l’ultima chance per la saga, destinata altrimenti a chiudersi con questo film. Animali fantastici: I segreti di Silente è davvero l’ultimo chiodo della bara di Animali Fantastici?

Di cosa parla Animali fantastici – I segreti di Silente

Ambientato un anno dopo lo scorso capitolo, Animali fantastici: I segreti di Silente racconta del tentativo disperato di Silente, interpretato da Jude Law, di contrastare l’ascesa del mago oscuro Grindewald, ora interpretato da Mads Mikkelsen, che vuole scatenare una guerra contro i babbani per ristabilire il potere dei maghi, in particolare dei maghi purosangue. Per questo metterà insieme una squadra composta fra gli altri da Newt Scamander, interpretato da Eddie Redmayne, magizoologo autore del libro che dà il nome al franchise, Animali fantastici e dove trovarli.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Una produzione travagliata

Johnny Depp nei panni di Grindewald in una scena del film Animali Fantastici - I crimini di Grindewald (2018)

Come nella migliore saga maledetta, la produzione di questo film è stata incredibilmente travagliata. E stranamente il covid non è stato neanche il problema più importante: lo scandalo maggiore ha coinvolto Johnny Depp, che ha interpretato Gellert Grindelwald fino al secondo film. L’attore infatti, dopo essere stato coinvolto in un ancora non chiarito caso di violenza domestica con la moglie, ha fatto causa alla rivista britannica Sun, che l’aveva chiamato wife-beater (lett. picchiatore di moglie), perdendo. Per questo, la Warner Bros ha licenziato l’attore, per paura di paura di farsi cattiva pubblicità.

La parte di Grindelwald è stata quindi assegnata Mads Mikkelsen, attore noto al grande pubblico soprattutto per la serie Hannibal, ma che ha anche recitato nel recente ed acclamato Un altro giro (2020).

E non è finita qui.

Questo film non s’ha da fare

Oltre al caso sopra, le riprese sono state ovviamente bloccata dalle pandemia, anche se il film era già stato fin da prima rimandato di un anno, proprio per lavorarci maggiormente dopo l’insuccesso del secondo capitolo. Sia l’attrice Tina, Katherine Waterston, sia l’attrice di Nagini nel secondo film, Claudia Kim, non hanno partecipato al film o vi hanno partecipato pochissimo. L’una per una grave forma di Covid, durata diversi mesi, l’altra per uno stato di gravidanza avanzato.

Oltre a questo, Ezra Miller, che nel film interpreta Aurelius Silente, è stato recentemente arrestato per aggressione, e ha ricevuto un ordine restrittivo nei confronti della coppia che lo ospitava in quel periodo. Questo non ha influito sulla produzione del film, ma potrebbe farlo in futuro.

Dov’è la magia?

Mads Mikkelsen in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

L’errore più grande di questa saga in generale, e in questo caso è particolarmente evidente, è stato far ritornare David Yates alla regia. Questo regista ha la capacità di spegnere ogni possibile magia, rendendo tutto inutilmente dark (anche nel senso letterale del termine) e, soprattutto, vestendo tutti i personaggi non solo come babbani, ma in maniera assolutamente poco originale.

Il caso più ridicolo è ovviamente Grindelwald, che a me non ha trasmesso assolutamente nulla: nonostante l’indubbia abilità dell’attore, il suo personaggio non è per nulla credibile. E per fare un cattivo credibile almeno per l’aspetto non ci vuole tanto: bastava semplicemente vestirlo da mago. Oppure mantenere l’estetica di Johnny Depp nel secondo film.

Oltre a questo, fateci caso: i personaggi del film non usano le bacchette come bacchette magiche, ma come pistole. Le puntano alle spalle per minacciare, non le usano praticamente mai per fare qualcosa di veramente magico e sono presenti anche sequenze a rallenty, in cui le magie lanciate sembrano dei proiettili,

Di fatto, Animali fantastici: I segreti di Silente sembra più un gangster movie che un film di Harry Potter.

Qualcosa di buono

Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

In Animali fantastici: I segreti di Silente qualcosa di buono c’è: anzitutto, non è un film (almeno per me) noioso. Nonostante mi sentissi costantemente confusa, non mi sono mai annoiata. Talvolta le creature magiche tornano anche protagoniste della scena, anche se riciclando qualche gag già stantia.

Newt Scamander è obbiettivamente l’unico personaggio veramente credibile del film, che riesce a mantenersi coerente fin dal primo capitolo e ci regala anche qualche sorriso durante un film invece nel complesso abbastanza pesante.


Da qui farò spoiler.

Una sceneggiatura segreta

Jessica Williams, Callum Turner, Jude Law, Dan Fogler e Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente (2022) diretto da David Yates

Come anticipato, la pellicola è stata realizzata da nomi importanti per il mondo di Harry Potter, che dovrebbero conoscere la saga come le loro tasche. Invece, oltre a fare degli errori palesi (come spiegherò più avanti), hanno ideato una trama che è un vero colabrodo.

All’inizio del film viene rivelato che Grindelwald è in grado di prevedere il futuro. Quindi, per confonderlo e impedirgli di scoprire quello che realmente stanno progettando, Silente affida ad ogni personaggio una missione differente, ma nessuno di loro è al corrente di quale sia il vero piano.

Ne risulta un susseguirsi di eventi completamente slegati fra loro e senza un particolare senso logico. Purtroppo, coerentemente con il titolo del film, sembra che Silente faccia del suo meglio per confondere non solo Grindelwald, ma anche lo spettatore: anche dopo aver finito il film, non risulta chiaro quale fosse il piano.

È come se gli sceneggiatori si fossero trovati davanti due strade: scrivere una trama coerente (cosa che richiede un certo livello di impegno e abilità), oppure fregarsene e scrivere una storia incoerente e giustificarla con un espediente narrativo. E hanno scelto la seconda.

I personaggi insulsi

Jude Law e Dan Fogler in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Oltre a Grindelwald, su cui mi sono già espressa, praticamente tutti i personaggi sembrano in
cerca di una direzione
. Nel film Silente attua uno stratagemma per ingannare Grindelwald, creando cinque valigie uguali e consegnandone una a ciascuno dei protagonisti, ma solo una di queste contiene il prezioso qilin. Questa scena potrebbe costituire un’efficace rappresentazione della produzione del film: pare quasi che siano state scritte cinque sceneggiature diverse che sono state poi chiuse in buste tutte uguali e distribuite a caso agli attori, senza che nessuno sapesse quale fosse quella vera.

Partiamo dalla professoressa Eulalie Hicks, il cui impiego secondario è probabilmente la sceneggiatrice di Netflix; ha il ruolo di fornire a Jacob il riassunto delle puntate precedenti, e successivamente quello di essere una presenza sostanzialmente inutile e fastidiosa. Inoltre, l’unica cosa che poteva essere interessante, ovvero il fatto che fosse una professoressa di una scuola del Sud America, non è minimamente esplorato, né menzionato esplicitamente.

L‘unico compito di Jacob è quello di rimettersi con Queenie. Non ci sarebbe altro da aggiungere, se non fosse che la loro relazione è davvero superficiale, oltre che esageratamente melensa. Queenie non sembra in principio convinta della sua scelta, poi sente obbligata, Jacob continua a inseguirla per parlarle, e alla fine si sposano. Nel complesso, noioso e poco interessante.

Per non parlare dell’indimenticabile personaggio di Yusuf, fratello dell’ancora più indimenticabile (nonché defunta) Leta Lestrange, il cui arco narrativo risulta, se possibile, ancora meno avvincente. Finge di allearsi con Grindelwald, ed ovviamente alla fine si scopre che era sempre stato dalla parte del bene. Personaggio che è apparso per pochissimo, ha detto due battute, e non ha avuto quasi alcuna influenza sugli eventi: perché dovremmo restare col fiato sospeso per la sua scelta?

Albus Silente?

Jude Law in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Per quanto Jude Law possa essere un bravo attore, a me il suo Silente non convince per nulla. Questo è più una questione soggettiva che una critica oggettiva al film: sarà anche il fatto che non è vestito per nulla da mago, sarà che non vedo in lui la figura saggia ed enigmatica che dovrebbe diventare di lì a non molti anni, ma quando vedo Jude Law non riesco mai a pensare a Silente.

E, essendo uno dei personaggi più importanti non solo della saga, ma anche di questa storia, è veramente un dispiacere.

Il problema di Aurelius Silente

Una delle problematiche principali, che era sorta fin dal secondo capitolo, era la vera identità di Credence Barebone, alias Aurelius Silente. Si è discusso per anni della possibilità che fosse una frottola di Grindelwald, che ci potessero essere diverse spiegazioni, alcune anche piuttosto articolate come l’ipotesi che l’Obscuriale che lo possedeva fosse in realtà quello di Ariana Silente.

Tuttavia, alla fine, hanno optato per quella che sembra una pezza. Io non so se fosse che avevano in mente tutt’altri piani, forse troppo complicati, come traspariva effettivamente dal secondo film. Sta di fatto che la storiella di Aberforth è poco credibile e buttata lì.

Non ci viene detto nulla sulla madre, su come Aurelius sia effettivamente diventato orfano, nulla. Rimane una questione poco chiara e mal spiegata. Oltre al fatto che appare stranissimo che una questione così importante non sia mai stata citata prima nella saga principale. Ma tant’è.

Il voto infrangibile

Jude Law e Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Lasciando da parte le ovvie battute sul fatto che se il voto si chiama infrangibile dovrebbe essere tale, personalmente non mi è piaciuta la gestione di questo tema. Di fatto quello che propone il film non è logicamente sbagliato, ma l’ho trovato comunque poco chiaro. Non si capisce bene se il voto si infrange perché i due contendenti avevano intenzioni diverse (uno di protezione, l’altro di attacco), e quindi si ritornerebbe all’abusatissimo tema dell’amore protettivo, oppure se entrambi non volessero più far parte di questo patto e per questo si sia infranto.

L’ultima opzione, che sarebbe quella migliore, non avrebbe comunque senso perché il voto infrangibile dovrebbe proprio fungere da protezione in caso le parti volessero scioglierlo, ma in realtà mancano abbastanza informazioni in merito per avere una risposta chiara.

Una progetto fallimentare in partenza

Possiamo dire, senza troppo timore di essere smentiti, che Animali Fantastici era probabilmente un progetto fallito in partenza. Il primo film, nonostante non fosse piaciuto a tutti, era a mio parere gradevole: si percepiva la magia e, giustamente, il focus principale erano appunto gli animali fantastici, e solo secondariamente la trama politica.

Dal secondo film il focus principale è la storia di Grindewald e Silente, andando in parte a snaturare il progetto stesso. Si sarebbero potuti fare dei bei film su Newt che cercava animali fantastici, magari insieme a Jacob, e veniva occasionalmente richiamato per aiutare Silente. E chissà se avrebbero avuto successo.

Il citazionismo disperato

Altro problema del progetto, che si vede già dal secondo film, è la mancanza di esplorazione ulteriore del mondo magico. Nel primo quantomeno veniva approfondita la realtà magica americana, diversa da quella britannica anche solo per i nomi. Dal secondo capitolo in poi, questa idea si perde totalmente: a parte alcuni dettagli che ci fanno capire di essere prima a Parigi, poi a Berlino, l’ambientazione non ha alcun valore.

Sembrava che si sarebbe dovuto esplorare di più il mondo magico anche delle altre scuole di magia, solo accennate nella saga, e invece si è preferito il citazionismo esasperato. Oltre alla breve sequenza ad Hogwarts, in cui rivediamo tutti gli elementi iconici della saga, fra cui il boccino d’oro, il Quidditch e la Stanza delle Necessità, il film è pieno di citazioni veramente ingenue. La più terribile a mio parere è quella nel dialogo fra Aberforth e Aurelius, in cui Aberforth dice Sempre, una delle battute più iconiche e abusate dell’intera saga.

Dimentichiamoci di Harry Potter

In ultimo, nonostante le persone coinvolte nella scrittura, chi ha prodotto Animali fantastici: I segreti di Silente sembra non avere ben chiaro quello di cui sta scrivendo. Ed è veramente paradossale. Fra le varie cose, mi ha fatto veramente ridere vedere che all’inizio, quando la professoressa Eulalie Hicks si smaterializza insieme a Jacob, prima dicono che stanno usando una passaporta, poi i due appaiono a distanza di qualche minuto, l’uno smaterializzato, l’altra che sembra apparire dal fuoco magico del camino, ovvero tramite la Metropolvere (quella che si vede in Harry Potter e la camera dei segreti per capirci).

Tutto questo ignorando sempre il fatto che i maghi facciano spesso magie senza paura di farsi vedere dai babbani, questione che è sempre stata importante per la saga.

Insomma, Animali fantastici: dove trovarli? Nei titoli di coda.

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Encanto – L’happy ending a tutti i costi

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Encanto (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione
Miglior colonna sonora originale
Migliore canzone originale

Encanto (2021) è l’ultima pellicola Disney Pictures uscita lo scorso novembre, nonché il 60esimo classico della casa di produzione statunitense. Nonostante ad oggi sia diventato un piccolo cult online, soprattutto per la canzone We don’t talk about Bruno, è stato un discreto flop commerciale: 251 dollari di box office contro un budget di 120. Quindi forse sono riusciti a rientrare nei costi di produzione, ma, con la massiccia campagna marketing che è stata fatta, non è neanche detto. Comunque per la Disney non un buon risultato.

Il film è stato una sorprendete riscoperta quando è uscito in streaming a Natale, creando un trend tutt’ora vivo, soprattutto su TikTok. E dopo spiegheremo come questo è di fatto un precedente pericoloso.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Encanto

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

La storia di Encanto ruota intorno a Mirabel, parte della famiglia Madrigal, il punto di riferimento per una piccola comunità immaginaria della Colombia. Tutta la famiglia di sangue è caratterizzata per possedere poteri eccezionali, che mette al servizio del bene comune. Tutti tranne Mirabel. La protagonista sarà anche l’unica a rendersi conto di come la magia stia sparendo e a cercare di risolvere il mistero e ricostruire la solidità della famiglia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Encanto

Encanto, nonostante le problematiche che esporremo nella parte spoiler, è un film molto valido, dal grande potere intrattenitivo e con delle canzoni che ti entrano veramente ne cuore. Non a caso è diventato famoso soprattutto per quest’ultime. La protagonista è una ventata di aria fresca per il genere: non è la solita protagonista femminile stereotipata (da cui la Disney sta cercando di distaccarsi da anni), ma è intraprendente, coraggiosa e con una bellezza non convenzionale, ma più realistica.

La storia nel complesso, nonostante il finale a mio parere poco convincente, riesce a trasportati in un mondo nuovo e davvero magico, e a farti esplorare bene o male tutti i personaggi della famiglia. Nel complesso, un film che ogni fan della Disney dovrebbe avere nel suo arsenale.

La questione degli Oscar 2022

Come ampiamente previsto, questo film ha vinto miglior film d’animazione agli Oscar 2022. Personalmente, nonostante il film sia complessivamente gradevole e ben fatto, penso che il premio dovesse essere vinto da I Mitchell contro le macchine (2021), prodotto Netflix di altissima qualità che vi consiglio caldamente di recuperare. O, al massimo, da Luca (2021), altro prodotto veramente valido della Pixar uscito la scorsa estate.

Tuttavia, il posizionamento dell’uscita rendeva assolutamente telefonata la vittoria di Encanto: solitamente i film che si vogliono far vincere agli Oscar vengono fatti uscire il più vicini possibile alla premiazione.

Il precedente pericoloso

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Non è un buon momento per i film d’animazione e, più in generale, i film per famiglie: la pellicola d’animazione che ha incassato di più nel 2021 è stata Sing 2 (377 milioni contro 85 milioni di budget), portandosi a casa circa la metà degli incassi del primo capitolo della saga.

In generale, vuoi per la difficoltà di recarsi serenamente in sala, soprattutto con bambini piccoli, vuoi per la sempre maggiore offerta delle piattaforme streaming, il pubblico più giovane sta abbandonando la sala. E la Disney, consapevole di questo, ha rilasciato il film neanche un mese dopo la sua uscita in sala su Disney+, portando al successo che ha avuto.

Un pericolosissimo precedente: senza lo streaming, Encanto non avrebbe avuto successo. E non è un caso, quindi, che Red (2021), l’ultima pellicola Pixar, sia stata rilasciata in streaming direttamente. La terza pellicola Pixar di fila.

Perché le canzoni di Encanto sono già dei piccoli cult

Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Le motivazioni del successo delle canzoni di Encanto sono fondamentalmente due: Lin-Manuel Miranda e la loro funziona nella storia. Se il primo nome non vi dice niente, sappiate che bene o male questo personaggio fa già parte della nostra vita (e non ce ne siamo accorti). Diventato in poco tempo il golden boy di Hollywood, ha sceneggiato Hamilton (2020), tratto dal famosissimo musical che è stato un successo incredibile negli Stati Uniti, e ha diretto l’ottimo Tik, tik…boom! (2021). Oltre a questo, aveva una parte abbastanza importante ine Il ritorno di Mary Poppins (2018).

Miranda è un ottimo sceneggiatore di musical (e se avete visto Tik, tik…boom! sapete di cosa sto parlando) ed con Encanto è stato capace di portare aria fresca al genere animato. Infatti la particolarità delle canzoni di Encanto è appunto il loro ruolo nella storia: molto spesso nei classici Disney (e non solo) le canzoni sono poco memorabili anche perché hanno un ruolo veramente marginale nella storia, spesso solo momenti di riflessione dei personaggi. Il primo esempio davvero emblematico in questo senso è Frozen II (2019), di cui infatti alcuna canzone è rimasta nel cuore degli spettatori.

In Encanto, invece, la canzoni sono spesso anche mischiate anche ai dialoghi dei personaggi e hanno una funzione chiave nella trama: o la portano direttamente avanti (come nel caso di !Hola casita!, la canzone finale di Abuela), oppure sono funzionali a far capire profondamente i personaggi del film (come la canzone di Luisa). Oltre a questo, sono canzoni sempre diverse fra loro e molto orecchiabili. Io, personalmente, le ho adorate dalla prima all’ultima.

Toccare i tasti giusti

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, e Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Io, per la maggior parte del finale, ero in lacrime. E non la classica lacrimuccia, proprio un pianto vero. Perché per tutto il film, e soprattutto alla fine, Encanto è riuscito a toccare i tasti giusti. In particolare i problemi familiari che più o meno tutti abbiamo o abbiamo avuto nella vita, il rapporto coi nostri nonni e potenzialmente l’abbandono di una persona amata.

Sono delle situazioni in cui ci si può facilmente immedesimare, perché piuttosto comuni. Oltre a questo, più realisticamente parlando, la famiglia Madrigal e l’esperienza di Mirabel non sono altro che la storia di ragazzini prodigio, che sentono la pressione al successo da parte dei genitori. Un altro tema, non a caso, piuttosto comune.

Una protagonista diversa

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Come anticipato, uno dei grandi meriti di questa pellicola è di portare in scena una protagonista diversa dal solito: finalmente non una insopportabile e irrealistica Mary Sue, speciale fin dalla nascita, ingenua e senza nessuno spirito di intraprendenza. Mirabel è invece intraprendente, decisa, ha una gamma espressiva ampia e realistica, ha sentimenti positivi ma anche molto negativi e molto umani.

Ma, soprattutto, non è un personaggio positivo solo a parole: aiuto veramente la sua famiglia, aiuta Antonio nel suo viaggio con un sincero affetto e aiuto che il resto della famiglia non gli dà. E, incredibilmente, non è rancorosa contro la sua famiglia, composta per la maggior parte da adorabili stronzi.

Una rappresentazione davvero inclusiva

La famiglia Madrigal in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Encanto non solo ha reso protagonista della scena la comunità latina, in particolare colombiana, finora ben poco presente sui nostri schermi, ma è riuscito a farlo in maniera interessante e intelligente. I personaggi non sono per nulla stereotipati come spesso succede, sono tutti diversi fra loro di aspetto, con una splendida varietà di volti e di rappresentazione.

Oltre a questo, Encanto ha portato in scena una delle poche rappresentazioni di una donna muscolosa e possente, senza ridicolizzarla o renderla una macchietta, ma con un profondo dramma personale. Ed è splendido come molte persone, di solito scarsamente rappresentate, si siano ritrovate nel suo personaggio.

Il personaggio di Bruno e l’umorismo vincente

Bruno, interpretato da John Leguizamo, in una scena del film

Il personaggio di Bruno è la vera punta di diamante del film e non a caso è anche quello spesso più citato. Il film utilizza un trope che io personalmente adoro, ovvero introdurre un personaggio a parole e poi crearvi dell’attesa intorno. Oltre a questo, è un personaggio con cui facilmente empatizziamo e a cui è dedicante una delle scene che più mi spezzano il cuore di tutta la pellicola, ovvero quando Mirabel scopre che Bruno ha creato un allungamento del tavolo della sala da pranzo e ha disegnato sopra il suo piatto.

Ma è anche un personaggio genuinamente divertente, soprattutto per le parti in cui interpreta i suoi alter-ego. Fra l’altro, ci sono diversi momenti in cui Bruno è presente in scena prima che appaia, in primo luogo nella scena della canzone a lui dedicata.

In generale l’umorismo del film è piuttosto vincente, con battute che riescono a farmi ridere anche ad una seconda visione, in particolare all’inizio quando Mirabel afferma che è speciale come tutti i membri della sua famiglia, uno dei bambini le dice Maybe your gift is being in denial (Magari il tuo talento è negare la realtà).

Perché il finale di Encanto non funziona

Abuela, interpretata da María Cecilia Botero, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale è in realtà triplice: la giustificazione assoluta del personaggio di Abuela Alma, la morale problematica e la mancanza di un finale vero.

Il problema di Abuela Alma

Nella conclusione Mirabel si mostra assolutamente comprensiva nei confronti della nonna, accettando il suo dolore e il suo trauma, e conseguentemente giustificando il suo comportamento terribile finora. Quella della nonna (e in parte anche degli altri membri della famiglia) era una pura violenza psicologica, infatti se non fossimo in un film Disney il potere di Mirabel sarebbe la depressione profonda.

La storia della nonna è indubbiamente bella e toccante, anche molto empowering a suo modo: una donna solo, con tre figli, che riesce a costruire una solida comunità. Tuttavia, appunto, il suo trauma non giustifica la violenza con cui opprime i suoi familiari, che portano appunto ad una distruzione dell’armonia familiare.

Nota a margine, fra l’altro, per l’ossessione ancora viva del co-regista del film, Byron Howard, per il tema della luce: se fate un confronto con Rapunzel (2010), di cui era sempre co-regista, noterete delle grande similitudini fra il fiore del film del 2010 e la candela di Encanto.

Il finale non finale

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale di Encanto è proprio che non è un finale, ma una conferma della situazione precedente. C’erano diversi e vari problemi all’interno della famiglia, anzitutto quello già detto della nonna, ma anche la generale ansia e infelicità dei componenti della famiglia. Questo problema non è veramente risolto, perché è assolutamente poco credibile che basti una canzone per risolvere il trauma profondo di Mirabel, quello di Bruno e a risaldare i rapporti fra i personaggi.

Anche perché il problema di fondo resta: anche se la famiglia Madrigal si vuole forse più bene ora, sono comunque persone che devono essere al servizio della loro comunità, dare una certa immagine di sè, come viene ben mostrato nel film. Tutto questo non viene risolto.

Ma il problema più grande a mio parere è proprio Mirabel.

La morale distorta

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Nella conclusione scopriamo che il vero potere di Mirabel è quello di tenere unita la famiglia e, di conseguenza, l’intera comunità. Tuttavia, questo la rende totalmente un personaggio dipendente, che non potrà mai veramente staccarsi da questo contesto senza che possa succedere ancora una volta il disastro della fine del film.

Questo perché, come già detto, i problemi della famiglia non sono risolti. Quindi Mirabel, che è comunque un personaggio intraprendente e con voglia di fare, non potrà mai essere più che il collante della famiglia, senza avere un vero ruolo se non quello fondamentalmente ancellare.

Il finale perfetto sarebbe stato se Mirabel si fosse allontanata dalla famiglia, cercando la felicità e la possibilità di esprimersi altrove. E invece deve rimanere ancora ad un ambiente, che, in fin dei conti, è davvero soffocante.

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The Batman – Il noir inaspettato

The Batman (2022) di Matt Reeves è il nuovo film dedicato ad uno dei personaggi più iconici della DC, dopo le ottime prove di Nolan e la poca simpatia invece per quello di Ben Affleck.

Un film che, soprattutto per il periodo, ha incassato benissimo: 770 milioni di dollari a fronte di un budget di 200 milioni.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per The Batman (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior sonoro
Miglior
trucco e acconciatura
Migliori effetti visivi

Di cosa parla The Batman?

Batman è in attività da soli due anni e collabora strettamente con Jim Gordon, uno dei pochi poliziotti non corrotti. Si affaccia improvvisamente il caso del misterioso Enigmista…

Vi lascio il trailer per farmi un’idea:

Vale la pena di vedere The Batman?

Matt Reeves ce l’ha fatta.

Potrei anche chiudere direttamente la recensione qui.

The Batman è un film che riesce a portare sulla scena un’investigazione noir, a citare due capisaldi della storia cinematografica di Batman, ovvero Nolan e Burton, e ad ispirarsi splendidamente ai fumetti, con continui riferimenti. Il tutto in soli tre ore.

Cosa vi posso dire di più?

Un Batman diverso

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Reeves invece porta in scena un Batman acerbo, profondamente violento e fallibile, in una Gotham sporca e cattiva.

La sporcizia la percepiamo in ogni inquadratura, che gioca appunto su questa regia e fotografia sporcate, che paiono quasi amatoriali. The Batman è un noir di tutto rispetto, con delle scene thriller anche abbastanza disturbanti, degli antagonisti di prima categoria e un amore sentito per il personaggio.

Infatti Reeves non solo è debitore a Nolan, che è cita parecchio, ma anche a Burton e soprattutto ai cicli fumettistici de Il lungo Halloween (1998, cui si ispirò anche Nolan per Il cavaliere oscuro) e Batman: Hush (2003) – di cui parlerò alla fine della recensione.

Il Batman contemporaneo

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Fin dall’inizio The Batman introduce ad un noir che si ispira profondamente al ciclo fumettistico cult de Il lungo Halloween.

La costruzione dell’indagine è ben condotta e ti guida passo passo nella scoperta del mistero. Tornano anche in scena alcuni degli antagonisti politici più interessanti di Batman, ovvero il Pinguino, interpretato dall’ottimo Colin Farrell, e Carmine Falcone, interpretato da John Turturro.

Un elemento davvero vincente della pellicola è la totale assenza di tempi morti.

Anche le parti meno interessanti – come la storia di Catwoman – hanno un suo ruolo importante nello svelamento della vicenda, che riesce a tenerti attaccato allo schermo per tre ore, pur soffrendo di qualche discontinuità di ritmo, soprattutto fra la prima e la seconda parte.

Riscoprire Paul Dano

Paul Dano nei panni di dell'Enigmista in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Il cast è la vera punta di diamante

Non vorrei dire che io amavo Paul Dano ben prima che fosse di moda, ma permettetemi almeno di consigliarvi di recuperare al più presto una delle sue prove attoriali giovanili, ovvero Little miss sunshine (2006) e il suo esordio registico, Wildlife (2018), un dramma familiare piuttosto tipico ma con una mano registica veramente capace.

Paul Dano ci ha regalato una performance davvero incredibile, con e senza maschera.

Con la maschera è un killer sanguinario e spietato, completamente allucinato e davvero pauroso. Il suo monologo ad Arkham rivela tutta la sua potenza recitativa con cui è riuscito a regalarci un villain pazzo ma non sopra le righe, con un piano ben costruito e una profonda sofferenza interiore.

Non dico che possa essere paragonato al Joker di Heath Ledger, ma ci va molto vicino.

Sad Batman

Robert Pattinson nei panni di Batman in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Pattinson ha portato in scena un Batman acerbo.

Ma per davvero questa volta: nonostante il Batman di Christian Bale fosse comunque fallibile, si dimostrava fin da subito padrone della situazione. In questo caso è invece un Batman profondamente depresso e insicuro in cerca ancora una sua identità, lugubre e tenebroso con o senza maschera.

E per me Pattinson ha fatto veramente centro.

Spero che tutti i suoi detrattori si siano finalmente ricreduti.

Un perfetto Pinguino

Colin Farrel nei panni del Pinguino in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

Il Pinguino ha uno screen time abbastanza ridotto, ma si fa notare.

Un uomo viscido, avido e, a suo modo, anche abbastanza ridicolo. Come spiegherò più avanti, per me è una delle maggiori citazioni a Burton. Un Colin Farrell perfettamente in parte, che è riuscito a portare in scena un Pinguino praticamente perfetto, grottesco al punto giusto, regalandoci anche un sorriso in una pellicola complessivamente piuttosto tragica.

I secondari minori

Catwoman non mi ha stregato.

Temevo un personaggio molto più sopra le righe e vicino a concetti ormai stantii di girl power e simili. Invece mi sono trovata davanti ad un personaggio complessivamente interessante, che però non è riuscito a catturarmi.

E per quando riguarda Alfred…

Sono consapevole che riuscire ad eguagliare la classe di Michael Caine è quasi impossibile, però questo Alfred, fra lo screen time ridottissimo e l’interpretazione poco interessante, non mi ha detto proprio nulla.

Matt Reeves si porta Andy Serkis dietro dalla trilogia de Il pianeta delle scimmie, dove interpretava – o, meglio, dava le movenze – alla scimmia protagonista Cesare. Un’ottima prova attoriale, probabilmente Serkis è il miglior interprete in circolazione a saper padroneggiare questa tecnica.

Ma oltre a quello non mi ha mai convinto.

Questa voglia pazza di politicizzare tutto

Robert Pattinson nei panni di Batman e Jayme Lawson nei panni di Bella Reàl futura sindaca di Gotham in una scena del film The Batman 2022 diretto da Matt Reeves

La saga di Batman, per come è raccontata nei fumetti, ha un problema abbastanza pesante: è dominata da personaggi maschili e bianchi.

Per questo va, anche giustamente, attualizzata.

Quindi niente di male, anzi, a cambiare etnia dei personaggi di Catwoman e Gordon, fra l’altro con due attori di livello. Meno bello è inserire messaggi smaccati, fra cui l’unico teppista non violento all’inizio che è afroamericano e così l’unica politica buona della situazione che è una donna nera.

Non so se si può parlare in questo caso di token, ma sicuramente una simpatica strizzata d’occhio ad un pubblico molto spesso poco rappresentato. Però questa non è rappresentazione, ma un messaggio politico molto preciso e veramente ingenuo.

Ma di questo non posso incolpare Reeves: è un andamento generale delle grandi produzioni, quindi facilissimo che abbia ricevuto certe indicazioni dall’alto.

Alcune inezie…

Avrei voluto un finale diverso, più maestoso e di impatto.

Avrei quasi preferito che finisse con Joker e l’Enigmista, mentre il finale l’ho trovato abbastanza banale.

Il ritmo, come detto, è un po’ discontinuo, e la prima parte del film è più interessante della seconda per molte cose, ma nel complesso ti tiene. Questo film mi ha confermato i miei problemi con gli inseguimenti in auto, che purtroppo non riescono mai a catturarmi.

Non proprio un’inezia è la sensazione della mancanza di una origin story strutturata come era quella di Nolan in Batman Begins, visto che mi ha un po’ stranito il rapporto fra Gordon e Batman, per nulla introdotto.

Ma sono difetti su cui posso assolutamente soprassedere.

Perché ho paura per Joker di The Batman

La presenza di Joker interpretato da Barry Keoghan era già stata praticamente confermata, quindi non è stata una grande sorpresa.

Tuttavia io ho molta paura.

Per quanto l’attore mi piaccia moltissimo (e per questo vi consiglio di recuperare American Animals, uno dei migliori heist movie degli ultimi anni), Joker è un personaggio pericoloso da portare in scena.

È un attimo cadere nello squallido con interpretazioni da galera come quella di Jared Leto in Suicide Squad (2016). Si possono anche avere delle ottime prove come quella più recente di Joaquin Phoenix, ma il livello che è stato messo da lui e da Ledger a suo tempo è veramente alto e difficile da raggiungere.

Oltre a questo, sarebbe anche ora di dire basta a Joker. È un personaggio veramente incredibile, ma a questo punto siamo anche un po’ saturi: nel giro di dieci anni abbiamo avuto tre interpretazioni.

Staremo a vedere.


Aggiornamento postumo

Dopo aver visto questa meraviglia di scena, mi sento di ritirare tutto quello di cui sopra. Sono già innamorata.

I riferimenti in The Batman

Il film è pregno di riferimenti a Nolan, ai fumetti e in parte anche a Burton.

Da qui in poi parlerò di alcuni cicli fumettistici e dei film di Nolan e Burton, senza però fare spoiler importanti. Però se non volete sapere niente non proseguite con la lettura.

I riferimenti a Nolan

Christian Bale in una scena di Il cavaliere oscuro (2008) diretto da Christopher Nolan

Tutta la storia in un certo senso si ispira a Il cavaliere oscuro, con un killer fuori controllo che uccide personaggi importanti di Gotham per mandare un messaggio. In particolare il primo video che l’Enigmista fa vedere in diretta televisiva è praticamente quello del Joker di Nolan, anche se molto più cruento.

Poi la scena di Batman inseguito dalla polizia che sale le scale col rampino è identica ad una analoga scena di Batman Begins. E infine tutto l’inseguimento del Pinguino, che, per quanto sia coerente al personaggio, è veramente simile a quando Joker cerca di farsi colpire da Batman in macchina.

E, ovviamente, la Bat Caverna che è letteralmente una caverna con pipistrelli dentro.

I riferimenti a Burton

Burton è citato più sottilmente, ma secondo me si può ritrovare nelle caratterizzazioni fortemente gotiche di alcuni ambienti, come Villa Wayne e la chiesa del funerale del sindaco Mitchell.

Ma secondo me Burton è vivo soprattutto nel Pinguino, unico personaggio vagamente umoristico, ma anche e soprattutto grottesco, esattamente come in quello di Batman Returns (1992):

Ovviamente si tratta di due stili registici e di un design differente, ma le somiglianze sono innegabili.

I riferimenti fumettistici

The Batman si ispira fondamentalmente a due cicli fumettistici: Il lungo Halloween e Batman: Hush.

Anzitutto, ovviamente, il primo delitto avvenga ad Halloween, come ne Il lungo Halloween, così anche come tutta l’impostazione noir e hard boiled, che permea le pagine del fumetto. Inoltre Catwoman che ferisce Falcone sul viso richiama l’aspetto caratteristico del personaggio nel fumetto:

E così anche la parentela di Catwoman con Falcone, che è lasciata in sospesa in questo ciclo, ma viene rivelata nel suo sequel, Batman: vittoria oscura (1999)

Per quanto riguarda Hush, l’Enigmista riprende molto il suo aspetto:

E ad un certo punto quando parla del Caso Wayne utilizza proprio la parola Hush, che è fondamentalmente un’onomatopea come il nostro shh.

Più sottilmente, quando Catwoman vuole uccidere il poliziotto corrotto e Batman la ferma, la macchina da presa indugia su Gordon. Nel fumetto infatti Batman si trovava in una situazione analoga e Gordon interveniva per fermarlo proprio con le stesse parole del film.

Non credo di aver mai visto un amore così profondo per i fumetti e per il personaggio come The Batman, che riesce a battere quasi Nolan.

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Uncharted o il ciclo fantastiche avventure ad alto budget

Uncharted (2022) è il nuovo cinegame, ovvero un film tratto da un videogioco, che è arrivato nelle nostre sale la scorsa settimana. Un’ambizioso progetto di Playstation Production, la casa di produzione dell’omonima console nata solo due anni fa, proprio con l’obbiettivo di portare sul piccolo e grande schermo i suoi prodotti videoludici. La star di richiamo in questo caso è Tom Holland, al momento sulla cresta dell’onda per l’incredibile successo di Spiderman No Way Home (2021).

Il film sta andando piuttosto bene nei botteghini internazionali, riuscendo in soli due weekend a quasi rientrare nei costi (finora 226 milioni contro 120 di budget), dando per praticamente certo un sequel.

Di cosa parla Uncharted

Uncharted è un prequel della saga videoludica, che porta come protagonista il giovane Nathan Drake, protagonista del videogioco, e il suo compare Sully, interpretato da Mark Wahlberg. Cresciuto in un orfanatrofio, il giovane Nathan e il fratello Sam sognano di potersi imbarcare in avventure in giro per il mondo alla scoperta di tesori nascosti.

In particolare la loro passione riguarda l’Ora di Magellano, ovvero il tesoro che l’esploratore portoghese avrebbe lasciato nascosto da qualche parte nel mondo dopo la circumnavigazione del globo. Sam lascerà il giovanissimo Nathan con la promesse di rincontrarsi in futuro. Quindici anni dopo, Nathan, ormai cresciuto, verrà ingaggiato da Sully, spietato cercatore di tesori, per portare a termine il sogno del fratello.

Vi lascio al trailer per farvi un’idea.

Un film di pochissime pretese

Uncharted è un pellicola che gode di un buon budget ma di una produzione veramente poco impegnata sul lato qualitativo. La storia è veramente semplice e lineare, nonché davvero prevedibile. Però in realtà questo non è un problema: l’obbiettivo principale di questo film è intrattenere e far passare due ore in allegria, cosa che riesce effettivamente a fare.

Tuttavia lascia un po’ perplessi trovarsi davanti ad un obbiettivo così ambizioso e una produzione così scarsa. Non so giudicare per il videogioco, ma non so quanto saranno contenti i fan della saga videoludica di vedersi adatta un gioco così quotato come Uncharted in una pellicola che sembra, e lo dico senza timore di essere smentita, un film per la tv del ciclo di Italia 1 Fantastiche Avventure.

Datemi una cuccia!

Tom Holland e Mark Wahlberg in una scena del film Uncharted (2022)

Questo è il caso da manuale di un regista incapace di dirigere gli attori: d’altronde a capo di questo film c’è niente poco di meno che Ruben Fleischer, autore di Venom (2018). Ricordiamolo, la stessa persona che è riuscita a far diventare cane quella meraviglia di Tom Hardy. Il livello è da recita di fine anno in una scuola media, in cui ognuno fa quello che può e il regista non ha cuore (o la capacità) di dire che sta facendo male.

Mark Wahlberg l’avevo discretamente rivalutato per Istant Family (2018), ma in generale è sempre stato un attore di poco spessore e che si associava a progetti di livello abbastanza discutibile come Ted (2012) e I poliziotti di riserva (2010). In questo caso ha la stessa intensità recitativa di quando legge la lista della spesa. Lo stesso livello di Val Kilmer in Batman forever (1995) per intenderci. Una sola espressione indispettita per tutta la pellicola, anche quando deve dire battute divertenti, condendoci solo un sorriso nelle ultime scene.

Tati Gabrielle, che interpreta la villain principale del film, ha dato una migliore prova in Le terrificanti avventure di Sabrina, anche conosciuta come una delle più terrificanti serie di Netflix in tempi recenti. Tom Holland ha fatto il minimo indispensabile, anni luce comunque dalla sua interpretazione in Spiderman, dove a mio parere si era confermato un attore completo. L’unico attore con una vera dignità è Banderas: nonostante le sue occhiate da cattivone siano abbastanza ridicole, alza decisamente il livello.

Il ritorno a Twilight e altre meraviglie

Uno dei problemi principali di questo film è la sceneggiatura, ma non per come è stata scritta, ma per come è stata interpretata: di per sé lo script non è da buttare, ma per come si sono comportati gli attori è stato lo stesso di buttarlo nella spazzatura. Fa particolarmente effetto quando ci sono delle battute che dovrebbero essere divertenti e sono interpretate da Wahlberg con l’ennesima faccia corrucciata e nessuna intensità recitativa.

Per il resto, presenta le stesse ingenuità di Spiderman No Way Home (2021): i personaggi escono convenientemente di scena quando non servono più, per poi tornare quando la trama lo richiede. Più di una volta durante il film la domanda dove è finito questo personaggio sorgeva spontanea quando questo spariva e nessuno in scena sembrava preoccuparsene.

La CGI è veramente altalenante: non ci vuole molto sforzo per vedere gli attori saltare e fare acrobazie davanti ad un enorme green screen. Nota di merito Holland torni agli sfarzi di Taylor Lautner nei panni di Jacob nella saga di Twilight, costretto ad essere a petto nudo in scene dove non c’è nessun bisogno. La bellezza di diversificare il target.

Bei tempi.

Perché guardare comunque Uncharted

Nonostante tutti i problemi produttivi, Uncharted sono due ore che volano. La trama, nonostante sia prevedibile, riesce a tenerti incollato alle vicende, le scene di azione non sono male e il mistero è abbastanza interessante e portato avanti in maniera convincente.

Si ride abbastanza, forse più ridendo del film che per le sue battute, interpretate in maniera, come detto, veramente indescrivibile. Il livello è decisamente inferiore ad un Jungle cruise (2021), che non solo aveva una regia molto più ispirata, ma anche degli interpreti molto in parte e una trama più interessante. Però non tutti possono essere come The Rock, e dobbiamo accettarlo.

Insomma, se cercate un intrattenimento di livello molto basilare per passare una serata in compagnia non è una brutta scelta.

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Level 16: poca spesa, tanta resa?

Level 16 (2018) è una piccola produzione canadese di stampo thriller-fantascientifico. Un film pochissimo conosciuto, che ha avuto una distribuzione molto limitata e che, secondo i dati ufficiale, ha raccolto non più di 15.000 dollari. Ma visto che probabilmente il budget del film era di due noccioline è possibile che pure si siano messi in tasca qualcosa.

Di cosa parla Level 16

Un gruppo di ragazze è costretto a vivere fin dalla primissima infanzia in una struttura di stampo militare, senza finestre, senza aver mai visto la luce del sole, e con una routine rigidissima. L’obbiettivo di tutte è di essere sempre pulite, seguendo regole strettissime, su come essere umili e poco curiose, con la promessa che, una volta raggiunti i 16 anni di età, saranno adottate.

La protagonista, Vivien, rimasta traumatizzata per essere stata brutalmente punita quando aveva appena otto anni, verrà portata a scoprire la verità dietro alla struttura dalla sua compagna, Sophia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché vale la pena di vedere Level 16

Ovviamente, bisogna partire con la consapevolezza che, appunto, si tratta di una produzione veramente piccola. Quindi ovviamente non troverete attori conosciuti né effetti speciali da urlo, ma in generale bisogna riconoscere al film di aver tratto il meglio dalle risorse che aveva, limitando molto le scenografie e gli ambienti.

Il cast di giovanissime attrici è piuttosto convincente, e in generale gli attori sono tutti piuttosto in parte. La trama riesce ad essere piuttosto intrigante fino all’ultimo atto, rivelando poco a poco i segreti che si nascondono dietro a questa misteriosa organizzazione. In generale il film intrattiene ed è a suo modo intrigante, e la rivelazione è abbastanza convincente.

Cosa non funziona

Purtroppo i limiti del film non sono dati solamente dal budget: lo svolgimento della trama non è sempre lineare, anzi tende a incartarsi un po’ su se stessa, nel continuo tentativo di non rivelare troppo subito, così da tenerti col fiato sospeso fino alla fine.

Oltre a questo, la rivelazione finale, per quanto convincente, non è sviluppata a dovere: per questo credo che bisogna incolpare le risorse limitate, perché esplicare fino in fondo la dinamica dell’organizzazione del film sarebbe stato piuttosto complesso. Tuttavia per molte cose sarebbe bastato aggiungere anche solo qualche linea di sceneggiatura per riuscire a completare la rivelazione.

Inoltre il finale risulta in parte confuso e poco chiaro nel suo scioglimento.

Level 16 fa per me?

Celina Martin in una scena del film Level 16 2019

Penso che abbiate capito di che tipo di film stiamo parlando: io personalmente sono parecchio intrigata da quelle pellicole che hanno come tema principale persone cresciute in luoghi di semi-prigionia e col lavaggio del cervello, il cui esempio più riuscito è sicuramente Dogtooth (2009). In questo caso si parla di un film senza troppe pretese, che riesce a fare il suo lavoro ed intrattenere con una trama abbastanza semplice.

Per un pomeriggio da riempire è perfetto.