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Uncharted o il ciclo fantastiche avventure ad alto budget

Uncharted (2022) è il nuovo cinegame, ovvero un film tratto da un videogioco, che è arrivato nelle nostre sale la scorsa settimana. Un’ambizioso progetto di Playstation Production, la casa di produzione dell’omonima console nata solo due anni fa, proprio con l’obbiettivo di portare sul piccolo e grande schermo i suoi prodotti videoludici. La star di richiamo in questo caso è Tom Holland, al momento sulla cresta dell’onda per l’incredibile successo di Spiderman No Way Home (2021).

Il film sta andando piuttosto bene nei botteghini internazionali, riuscendo in soli due weekend a quasi rientrare nei costi (finora 226 milioni contro 120 di budget), dando per praticamente certo un sequel.

Di cosa parla Uncharted

Uncharted è un prequel della saga videoludica, che porta come protagonista il giovane Nathan Drake, protagonista del videogioco, e il suo compare Sully, interpretato da Mark Wahlberg. Cresciuto in un orfanatrofio, il giovane Nathan e il fratello Sam sognano di potersi imbarcare in avventure in giro per il mondo alla scoperta di tesori nascosti.

In particolare la loro passione riguarda l’Ora di Magellano, ovvero il tesoro che l’esploratore portoghese avrebbe lasciato nascosto da qualche parte nel mondo dopo la circumnavigazione del globo. Sam lascerà il giovanissimo Nathan con la promesse di rincontrarsi in futuro. Quindici anni dopo, Nathan, ormai cresciuto, verrà ingaggiato da Sully, spietato cercatore di tesori, per portare a termine il sogno del fratello.

Vi lascio al trailer per farvi un’idea.

Un film di pochissime pretese

Uncharted è un pellicola che gode di un buon budget ma di una produzione veramente poco impegnata sul lato qualitativo. La storia è veramente semplice e lineare, nonché davvero prevedibile. Però in realtà questo non è un problema: l’obbiettivo principale di questo film è intrattenere e far passare due ore in allegria, cosa che riesce effettivamente a fare.

Tuttavia lascia un po’ perplessi trovarsi davanti ad un obbiettivo così ambizioso e una produzione così scarsa. Non so giudicare per il videogioco, ma non so quanto saranno contenti i fan della saga videoludica di vedersi adatta un gioco così quotato come Uncharted in una pellicola che sembra, e lo dico senza timore di essere smentita, un film per la tv del ciclo di Italia 1 Fantastiche Avventure.

Datemi una cuccia!

Tom Holland e Mark Wahlberg in una scena del film Uncharted (2022)

Questo è il caso da manuale di un regista incapace di dirigere gli attori: d’altronde a capo di questo film c’è niente poco di meno che Ruben Fleischer, autore di Venom (2018). Ricordiamolo, la stessa persona che è riuscita a far diventare cane quella meraviglia di Tom Hardy. Il livello è da recita di fine anno in una scuola media, in cui ognuno fa quello che può e il regista non ha cuore (o la capacità) di dire che sta facendo male.

Mark Wahlberg l’avevo discretamente rivalutato per Istant Family (2018), ma in generale è sempre stato un attore di poco spessore e che si associava a progetti di livello abbastanza discutibile come Ted (2012) e I poliziotti di riserva (2010). In questo caso ha la stessa intensità recitativa di quando legge la lista della spesa. Lo stesso livello di Val Kilmer in Batman forever (1995) per intenderci. Una sola espressione indispettita per tutta la pellicola, anche quando deve dire battute divertenti, condendoci solo un sorriso nelle ultime scene.

Tati Gabrielle, che interpreta la villain principale del film, ha dato una migliore prova in Le terrificanti avventure di Sabrina, anche conosciuta come una delle più terrificanti serie di Netflix in tempi recenti. Tom Holland ha fatto il minimo indispensabile, anni luce comunque dalla sua interpretazione in Spiderman, dove a mio parere si era confermato un attore completo. L’unico attore con una vera dignità è Banderas: nonostante le sue occhiate da cattivone siano abbastanza ridicole, alza decisamente il livello.

Il ritorno a Twilight e altre meraviglie

Uno dei problemi principali di questo film è la sceneggiatura, ma non per come è stata scritta, ma per come è stata interpretata: di per sé lo script non è da buttare, ma per come si sono comportati gli attori è stato lo stesso di buttarlo nella spazzatura. Fa particolarmente effetto quando ci sono delle battute che dovrebbero essere divertenti e sono interpretate da Wahlberg con l’ennesima faccia corrucciata e nessuna intensità recitativa.

Per il resto, presenta le stesse ingenuità di Spiderman No Way Home (2021): i personaggi escono convenientemente di scena quando non servono più, per poi tornare quando la trama lo richiede. Più di una volta durante il film la domanda dove è finito questo personaggio sorgeva spontanea quando questo spariva e nessuno in scena sembrava preoccuparsene.

La CGI è veramente altalenante: non ci vuole molto sforzo per vedere gli attori saltare e fare acrobazie davanti ad un enorme green screen. Nota di merito Holland torni agli sfarzi di Taylor Lautner nei panni di Jacob nella saga di Twilight, costretto ad essere a petto nudo in scene dove non c’è nessun bisogno. La bellezza di diversificare il target.

Bei tempi.

Perché guardare comunque Uncharted

Nonostante tutti i problemi produttivi, Uncharted sono due ore che volano. La trama, nonostante sia prevedibile, riesce a tenerti incollato alle vicende, le scene di azione non sono male e il mistero è abbastanza interessante e portato avanti in maniera convincente.

Si ride abbastanza, forse più ridendo del film che per le sue battute, interpretate in maniera, come detto, veramente indescrivibile. Il livello è decisamente inferiore ad un Jungle cruise (2021), che non solo aveva una regia molto più ispirata, ma anche degli interpreti molto in parte e una trama più interessante. Però non tutti possono essere come The Rock, e dobbiamo accettarlo.

Insomma, se cercate un intrattenimento di livello molto basilare per passare una serata in compagnia non è una brutta scelta.

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Level 16: poca spesa, tanta resa?

Level 16 (2018) è una piccola produzione canadese di stampo thriller-fantascientifico. Un film pochissimo conosciuto, che ha avuto una distribuzione molto limitata e che, secondo i dati ufficiale, ha raccolto non più di 15.000 dollari. Ma visto che probabilmente il budget del film era di due noccioline è possibile che pure si siano messi in tasca qualcosa.

Di cosa parla Level 16

Un gruppo di ragazze è costretto a vivere fin dalla primissima infanzia in una struttura di stampo militare, senza finestre, senza aver mai visto la luce del sole, e con una routine rigidissima. L’obbiettivo di tutte è di essere sempre pulite, seguendo regole strettissime, su come essere umili e poco curiose, con la promessa che, una volta raggiunti i 16 anni di età, saranno adottate.

La protagonista, Vivien, rimasta traumatizzata per essere stata brutalmente punita quando aveva appena otto anni, verrà portata a scoprire la verità dietro alla struttura dalla sua compagna, Sophia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché vale la pena di vedere Level 16

Ovviamente, bisogna partire con la consapevolezza che, appunto, si tratta di una produzione veramente piccola. Quindi ovviamente non troverete attori conosciuti né effetti speciali da urlo, ma in generale bisogna riconoscere al film di aver tratto il meglio dalle risorse che aveva, limitando molto le scenografie e gli ambienti.

Il cast di giovanissime attrici è piuttosto convincente, e in generale gli attori sono tutti piuttosto in parte. La trama riesce ad essere piuttosto intrigante fino all’ultimo atto, rivelando poco a poco i segreti che si nascondono dietro a questa misteriosa organizzazione. In generale il film intrattiene ed è a suo modo intrigante, e la rivelazione è abbastanza convincente.

Cosa non funziona

Purtroppo i limiti del film non sono dati solamente dal budget: lo svolgimento della trama non è sempre lineare, anzi tende a incartarsi un po’ su se stessa, nel continuo tentativo di non rivelare troppo subito, così da tenerti col fiato sospeso fino alla fine.

Oltre a questo, la rivelazione finale, per quanto convincente, non è sviluppata a dovere: per questo credo che bisogna incolpare le risorse limitate, perché esplicare fino in fondo la dinamica dell’organizzazione del film sarebbe stato piuttosto complesso. Tuttavia per molte cose sarebbe bastato aggiungere anche solo qualche linea di sceneggiatura per riuscire a completare la rivelazione.

Inoltre il finale risulta in parte confuso e poco chiaro nel suo scioglimento.

Level 16 fa per me?

Celina Martin in una scena del film Level 16 2019

Penso che abbiate capito di che tipo di film stiamo parlando: io personalmente sono parecchio intrigata da quelle pellicole che hanno come tema principale persone cresciute in luoghi di semi-prigionia e col lavaggio del cervello, il cui esempio più riuscito è sicuramente Dogtooth (2009). In questo caso si parla di un film senza troppe pretese, che riesce a fare il suo lavoro ed intrattenere con una trama abbastanza semplice.

Per un pomeriggio da riempire è perfetto.

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The Suicide Squad, un capolavoro ignorato

Per la regia di James Gunn, in quella strana estate del 2021 è uscito The Suicide Squad. Un progetto nato da un’ingiustizia: il visionario regista, uscito a sorpresa dal cinema indie, aveva firmato i due Guardiani della Galassia (2014) e Guardiani della galassia Vl.2 (2017), ricevendo un’ottima risposta di pubblico e critica.

E, poco dopo, il dramma. Riemergono una serie di tweet del regista un po’ salty (sinceramente anche poco divertenti), e, praticamente da un giorno all’altro, James Gunn è fatto fuori dalla Disney. E la DC, ancora in una gestione molto fumosa del suo universo, decide di buttarsi a pesce. Prende Gunn e gli dà carta bianca. E lui, grande appassionato di fumetti, recupera i più improbabili personaggi, i più secondari, secondarissimi, e li porta sullo schermo in maniera convincente ed azzeccata.

Di cosa parla The Suicide Squad

The Suicide Squad ha una trama non troppo complessa: riprende l’idea del fumetto e del disastroso Suicide Squad (2016), di una squadra di supercattivi (se così vogliamo chiamarli), in questo caso più avanzi di galera con capacità eccezionali, che dovranno imbarcarsi in una missione suicida appunto, sotto la guida della severissima Amanda Waller, interpretata dalla esplosiva Viola Davis, che riprende il suo ruolo del precedente film.

The Suicide Squad è non è quindi un requel: fa riferimento ad alcuni avvenimenti del film del 2016 e anche a Birds of Prey (2020), ma è di fatto un reboot, perché si può vedere il film e comprenderlo anche senza aver visto i precedenti.

Per il resto, lascio la parola al trailer.

Questo film fa per me?

Probabilmente no. Ancora mi stupisco che abbiano potuto lasciare così carta bianca al Gunn. Il film può essere tremendo o stupendo, a seconda dei vostri gusti. Aspettatevi di digerire molto sangue, membra, squartamenti estremamente grafici che troverete raramente nel cinema commerciale. Oltre a questo, battute davvero cattive e pesanti, nonché parecchio volgari.

Ripeto, non per tutti.

E, per favore, tenete lontani i bambini da questo film. Si, perché in Italia il film non è stato vietato e famiglie ignare si sono recate in sala, per fuggire a gambe levate dopo pochi minuti.

Una recensione onesta

Non sarò mai oggettiva su questo film. Ieri sera l’ho visto per la terza volta in meno di un anno. Mi ha entusiasmato fin dalla prima visione e i motivi sono presto detti: la storia è ben strutturata, per nulla banale (anche se a prima vista potrebbe non sembrare), i personaggi sono esplosivi.

Ha degli elementi veramente strani per un il cinema mainstream statunitense: propone un ritratto degli USA ferocemente realistico, ben incarnato dal personaggio di Peacemaker (interpretato dall’ex-wrestrer John Cena), il cui nome è tutto un programma. E in un momento in cui il sogno americano si sta lentamente deteriorando, colpire dove fa più male (le presunte guerre di pace e per portare la democrazia) fa male, malissimo.

La violenza non è facilmente digeribile, anche per me, che sono una grande fan dello splatter: veramente tanta, veramente esplicita, veramente costante. In dei momenti l’ho trovata in parte anche rivoltante.

L’umorismo è veramente da spanciarsi nella maggior parte dei momenti: si ride tanto, e di gusto. Unica nota dolente, per me: Harley Quinn l’ho trovata noiosa. Non mi ha fatto mai ridere, nonostante ci provi costantemente. E forse non è un caso che la battuta che mi ha fatto meno ridere di tutto il film è sua (quella della pioggia, che si vede anche nel trailer).

Verdetto finale.

Lo promuovo a pienissimi voti. Nonostante ci siano delle cose che ho trovato troppo estreme persino per me, è un film veramente incredibile, e che, probabilmente non avrà un futuro.

Non per cuori sensibili.

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The King’s man – Le origini grottesche e ridicole

Penso che il titolo sia già piuttosto esplicativo di cosa ne penso di The King’sman – Le origini. Sono una discreta fan della saga King’s Man: ho recuperato il primo fuori tempo massimo, il secondo al cinema alla sua uscita. Il primo l’ho apprezzato e non poco, nel secondo sentivo già scricchiolare qualcosa. Per questo mi sono davvero cadute le braccia.

Di cosa parla The King’sman – Le origini

The King’s Man – Le origini è un prequel della fortunata saga King’s Man appunto, che racconta la nascita del gruppo di agenti segreti britannici. In questo caso i protagonisti sono Orlando (interpretato da Ralph Finnes) e il figlio Conrad (interpretato da Harris Dickinson, che interpretava il principe Filippo nella saga di Maleficent). Orlando ha dedicato la sua vita a portare aiuto nelle zone di guerra e realtà del terzo mondo. E ora, da pacifista convinto, cerca di intervenire nell’intrigo di eventi che scatenanti della Prima Guerra Mondiale, cercando di portarla alla più veloce conclusione. Per questo si oppone alla scesa sul campo del figlio, il quale, da bravo giovane patriota del suo tempo, non vede l’ora di mettersi in gioco per il suo paese.

Lascio il resto al trailer.

Cosa funziona.

Qualcosa, incredibilmente, funziona. L’ambientazione è davvero affascinante, ben curata e anche, quando vuole, storicamente credibile. Gli attori sono generalmente convincenti e la trama, nonostante zoppichi vistosamente, sulla carta ha degli elementi intriganti. Sulla carta, appunto.

Cosa non funziona

Tutto. Per essere un film di intrattenimento, l’ho trovato veramente estenuante. La trama si perde in sé stessa, prende una strada, poi cambia idea, e torna indietro. La risoluzione è ridicola, i villain sono da mani nei capelli.

Rasputin è un pessimo antagonista. È grottesco, ridicolo, financo disgustoso. La regia per il suo personaggio è ambiziosa, non posso dire di no, ma per me è semplicemente inaccettabile. La riscrittura storica degli eventi sembra fatta da un bambino di 10 anni molto fantasioso. Soprattutto per quanto riguarda le scene post-credit. Ralph Finnes come protagonista action non è convincente. Viene mostrato fino ad un certo momento in un modo, e alla fine occupa tutta la scena, nella maniera meno credibile che possiate immaginare.

The King’sman – Le origini fa per me?

Dipende. Se vi piacciono le cose pesantemente trash, proprio stile primi anni 2000, livello American Pie però negli Anni Venti, The King’sman – Le origini potrebbe piacervi. Se vi estasiate per riscritture storiche fantasiose stile la serie Hunters, anche. Se siete fan della saga, non saprei dirvi: io sono discretamente fan e l’ho odiato, ma ho sentito altri che ne sono rimasti convinti.

Io comunque vi ho avvertito.

Mi tolgo qualche sassolino con spoiler

rasputin interpretato da Rhys Ifans nel film The King'sman - Le origini del 2022

La scena di Rasputin è fra le scene più disgustose che abbia visto in tempi recenti. Mi ha fatto volare con la mente agli anni d’oro della commedia americana primi anni 2000, come quel capolavoro di Dodgeball (2004), e a più recenti e discutibili film come Pitch Perfect (2014). Ci vuole davvero genio per scrivere un personaggio così stupidamente volgare.

Inoltre inserisce velatamente l’elemento magico, visto che alla fine la gamba di Orlando è stata curata effettivamente grazie alla lingua di Rasputin. Il tutto però sembra solamente un meccanismo per mandare avanti la trama.

Non ho mai visto un patriottismo britannico così sfacciato: dalla dichiarazione iniziale della compianta Emily su come aiutino gli altri e quanto siano bravi, alla dichiarata superiorità del re di Inghilterra, che rispetto agli altri capi di stato appare saggio e maturo, mentre gli altri sono dei poveri infanti. Inoltre, a chi è venuta l’idea di far interpretare lo zar, il kaiser e il re allo stesso attore?

Poi, ci sono un paio di cose che danno fastidio a me personalmente.

Le cose che danno fastidio a me personalmente

daniel bruhl in King's man le origini film del 2022 su DIsney Plus

Non sono totalmente contraria alla riscrittura storica fantasiosa: la già citata Hunters a me è complessivamente piaciuta, lo stesso per la serie The Great che è dichiaratamente storicamente inesatta. In questo caso, però, ridurre tutto il conflitto a dei dispetti fra bambini l’ho trovato veramente ridicolo.

Non sarebbe ora di smetterla di far interpretare personaggi non anglofoni da attori che non parlano la lingua che dovrebbero parlare? Il senso di mettere nel cast un attore di grande valore come Daniel Bruhl, che è tedesco, e farlo recitare in inglese per la parte di un tedesco non la capisco proprio. Dover ancora sentire personaggi che parlano fra loro non in inglese, ma in inglese con accento caricato (soprattutto in un doppiaggio italiano da piangere), è insostenibile. Soprattutto se mi trovo pellicole incredibilmente mainstream come The Forever Purge (2021) dove ci sono personaggi messicani che parlano giustamente nella loro lingua madre. Non è difficile.

Eppure questo film non è l’unico che ancora continua a fare questo errore.

Ultimo ma non meno importante, l’inclusione forzata e fuori luogo. In un epoca dominata da uomini bianchi, la produzione ha deciso che era una buona idea mettere dei token per rappresentare una donna e un uomo nero. Nelle parti dei buoni, ovviamente. La non storicità del personaggio nero la posso anche accettare in un contesto di riscrittura fantasiosa, ma è assolutamente insostenibile la strada che ha preso certo cinema contemporaneo nel rappresentare le donne come delle insopportabili Mary Sue.

È ora di dire basta.

Per i più coraggiosi, vi lascio con la videoclip ufficiale di Rasputin.

Buona visione.