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2022 Avventura Azione Comico Commedia nera Drammatico Film Giallo Horror Humor Nero Scream - Il secondo rilancio Scream Saga Thriller

Scream 5 – Just another requel

Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett rappresenta il secondo e più recente rilancio della saga omonima, presa in mano da due giovani registi emergenti, dopo la triste dipartita di Wes Craven.

Una riproposizione del brand che, nonostante poche e contenute sbavature, riesce a riportare in scena un cult ormai nato quasi 30 anni fa e che è sempre riuscito a riproporsi e ad adattarsi ai nuovi tempi.

E con Scream 5 lo fa quasi con la stessa freschezza di Scream 4 (2011).

Tuttavia, in questo caso fu anche un successo commerciale: con un budget molto più contenuto del precedente (21 milioni contro 40 milioni di dollari) e con un incasso anch’esso contenuto, tuttavia portando complessivamente ad un film molto redditizio: 140 milioni dollari in tutto il mondo.

E infatti è già pronto il sequel, Scream 6 (2023).

Di cosa parla Scream 5?

Dopo 30 anni dall’inizio della scia di sangue di Woodsboro, la saga ricomincia nella stessa città, con questa volta due nuove protagoniste, Tara e Sam, perseguitate dal loro passato legato agli eventi del primo film…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream 5?

Jenna Ortega in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Per quanto mi riguarda, assolutamente sì.

Scream 5 è un fresco e piacevole rilancio della saga, riuscendo ad adeguarsi ai nuovi gusti, ma mantenendo gli schemi classici dell’horror slasher e della saga in generale. La grande novità della pellicola è che, a differenza degli altri film, dove di solito si instaurava un dialogo metanarrativo con il film stesso, in questo caso il dialogo è con lo spettatore.

Una bella scelta che riesce a rinnovare la colonna portante della saga.

Inoltre gli elementi degli scorsi film sono utilizzati con maggiore consapevolezza e capacità, in maniera pure superiore a Scream 4, che comunque io avevo apprezzato, ma che forse come punto debole aveva proprio il rimettere troppo in scena i vecchi personaggi.

Qui è tutto perfettamente equilibrato.

Un nuovo horror

Jenna Ortega in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Ask me about Hereditary! Ask me about It follows!

Chiedimi di Hereditary! Chiedimi di It follows!

Il primo passo che il film doveva fare era riuscire a rimettersi in contatto con il nuovo pubblico e il nuovo gusto in fatto di horror. Non essendo fan dell’horror mainstream contemporaneo e quindi conoscendone poco, avevo paura di rimanere spaesata.

E invece il film ha voluto sorprendermi.

Quando a Tara nella prima scena viene chiesto quale sia il suo film horror preferito, lei risponde molto candidamente Babadook (2014), elogiando anche la profondità del racconto e della trama. E così dopo continua citando altro horror autoriale come The Witch (2015), Hereditary (2018) e It follows (2014).

Così si racconta un panorama del cinema horror davvero mutato, dove i film autoriali non sono più così tanto di nicchia, ma riescono anzi ad incontrare il gusto di un pubblico più ampio, e in generale ad essere elogiati, come viene fatto anche nel film.

Una scelta davvero azzeccata.

Dialogare col pubblico

Jack Quaid in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Real Stab movies are meta slasher whodunits, full stop

Un vero film di Stab è uno slasher metanarrativo di stampo giallo, fine.

Come anticipato, la grande novità del film è il dialogo fra il film e il pubblico.

Il punto centrale del film è come gli stessi registi fossero consapevoli che ci sarebbero state molte critiche nei confronti della loro pellicola da parte dei nostalgici, che avrebbero voluto rivedere una riproposizione della trilogia originale.

E infatti questa è la tendenza generale di molte riproposizioni di cult (horror e non), fra cui l’esempio più evidente è sicuramente Halloween, che utilizza ancora schemi narrativi dei primi slasher, gli stessi che Scream derideva negli Anni Novanta.

E gli stessi killer infatti sono dei fan incalliti di Stab, che vogliono creare una storia vera da utilizzare per un sequel degno di questo nome.

Anche se in certi momenti risulta eccessivo da questo punto di vista, è davvero interessante includere nel film un discorso così vero e attuale, anticipando appunto le stesse critiche del film, anche a fronte dell’insuccesso di Scream 4, che era molto innovativo rispetto all’originale.

La regola del prevedibile

Ghostface in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Uno dei punti forti del primo Scream era la sua prevedibilità.

Davanti ad un pubblico abituato all’idea che il killer non è mai la persona più prevedibile, Scream scelse come uno dei killer proprio la persona più prevedibile. In Scream 5 praticamente dall’inizio sentiamo la soluzione del mistero dalla bocca di Dwight:

Never trust love interest

Mai fidarsi del proprio fidanzato

e infatti uno dei killer è Richie, il ragazzo di Sam, come fra l’altro le sottolinea proprio nel momento della sua rivelazione. Fra l’altro scelta eccellente castare un attore come Jack Quaid, conosciuto in questo periodo soprattutto per il suo remissivo personaggio di Hughie in The Boys.

E sempre Dwight aggiunge:

The first victim always has a friend group that the killer is a part of

La prima vittima ha sempre un gruppo di amici di cui il killer fa parte

E infatti l’altro killer è Amber, che sembra anche il personaggio che, paradossalmente, più si preoccupa della salute di Tara.

Inserire l’originale con il nuovo

Melissa Barrera in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Come detto, Scream 5 riesce in maniera pure migliore di Scream 4 ad aggiornare effettivamente le protagoniste del film, che sono davvero al centro della scena e della storia.

Mi è piaciuta particolarmente Tara: Jenna Ortega, non comunque alla sua prima esperienza e pronta ad esplodere con la prossima serie tv Wednesday, è riuscita a portare in scena in maniera davvero convincente tutto il dolore fisico e reale del suo personaggio.

Mi ha leggermente meno convinto il personaggio di Sam, che viaggia pericolosamente sul filo del trash: il fatto che veda il padre Billy Loomis che la incita a fare quello che fa nel finale, dove sfoga la sua furia omicida, è un elemento che potrebbe facilmente sfuggire di mano, sopratutto in un sequel.

Ben organico invece l’inserimento di Sidney e Gale, che sono solo delle spalle dei protagonisti che riescono ad arricchire il racconto e ad aiutare i personaggi a risolvere il mistero con la loro esperienza passata, ma senza mai rubare la scena alle protagoniste.

Ed era ora di passare la fiaccola.

Una nuova regia

Marley Shelton in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

La regia di Scream 5 mi ha piacevolmente sorpreso.

Uno degli elementi più piacevoli della saga è sempre stata la regia molto ispirata e con non pochi guizzi, fin da Scream (1996). E uno degli elementi più importanti da gestire sono sempre state le morti e la violenza, riuscendo sempre a renderle spettacolari e quasi artistiche.

Altrettanto bene riesce questa coppia di autori a portare una regia interessante e con non pochi momenti di rara eleganza. Anzitutto, l’uso del sangue, che ho trovato veramente magistrale, andando non poche volte a creare quasi dei quadri grotteschi e drammaticamente splendidi da osservare.

Ma la sequenza che mi ha davvero colpito è stata quella riguardante la morte di Judy e del figlio Wes. La genialità nasce quando al telefono Ghostface dice alla donna

Ever seen the movie Psycho?

Hai mai visto Psycho?

e poi si stacca con un’inquadratura eloquente sulla doccia che si sta facendo Wes, che è una delle inquadrature iconiche della famosa scena della doccia di Psycho (1960), appunto. Fra l’altro, come viene anche raccontato in Scream 4, il capolavoro di Hitchcock è considerato fra i capostipiti del genere slasher.

E si prosegue con una lunghissima sequenza in cui la camera gioca continuamente con lo spettatore, con Wes che apre e chiude infiniti sportelli dietro ai quali ci aspetteremmo di vedere il killer che sappiamo essere in casa.

Puoi essere più metanarrativo di così?

Ghostface in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Stop fucking up my ending

Basta rovinare il mio finale

Nonostante non sia l’elemento principale, la metanarrativa e la consapevolezza dei protagonisti degli schemi del film stesso che stanno vivendo è presente, e pure fatta bene.

L’unica sbavatura che mi sento di segnalare è che tutto questo elemento avrebbe dovuto essere nelle mani di Mindy, la quale da un certo punto in poi prende le redini di questo discorso come erede spirituale di Randy.

E infatti è la stessa che diventa la protagonista della scena più metanarrativa del film: Mindy che grida a Randy in Stab di girarsi che ha il killer alle spalle, mentre lo stesso grida la medesima cosa a Jamie Lee Curtis in Halloween, mentre Mindy stessa ha alle spalle il killer.

Ed è la stessa che anche racconta la questione dei requel, ovvero di remakesequel che effettivamente abbondano in questo periodo e che, in un certo senso è pure Scream 5. E quando siamo alle porte del terzo atto, ovvero quello della rivelazione, Mindy istruisce Amber di cosa non fare per non essere uccisa dal killer, con anche diversi finti colpi di scena sull’identità del killer.

Con la stessa Amber che annuncia l’inizio dell’ultimo atto del film:

Welcome to act three

Benvenuti nel terzo atto
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2022 Avventura Azione Comico Commedia Dramma familiare Fantascienza Fantasy Film Oscar 2023

Everything everywhere all at once – Forse troppo

Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche è un film totalmente surreale, che riesce ad unire il genere fantascientifico e fantastico con il dramma familiare.

Un prodotto tanto creativo e profondo tanto, per certi versi, difettoso.

Il film è stato un successo di pubblico incredibile, sopratutto al botteghino statunitense: a fronte comunque di un budget non irrisorio di 25 milioni di dollari, è arrivato ad incassare ben 140 milioni in tutto il mondo.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Everything everywhere all at once (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film
Miglior regista
Migliore sceneggiatura originale

Miglior attrice protagonista a Michelle Yeoh
Miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan
Migliore attrice non protagonista a Jamie Lee Curtis

Migliore attrice non protagonista a Stephanie Hsu
Miglior montaggio
Migliori costumi
Migliore colonna sonora
Miglior canzone originale

Di cosa parla Everything everywhere all at once?

Evelyn è una donna immigrata che si spacca la schiena dietro alla gestione della sua lavanderia a gettoni e della sua complicata famiglia. Un giorno viene improvvisamente contattata da un uomo che dice di venire da un altro universo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Everything everywhere all at once?

Michelle Yeoh in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Dipende.

Everything everywhere all at once è uno di quei classici film che spaccano il pubblico: è in effetti un prodotto particolarissimo, neanche facilissimo da seguire, ma che, se siete ben disposti, vi entrerà nel cuore.

Insomma, se state cercando un film che è un’esplosione di creatività e di pura estetica, che cerca di trasmettere dei profondi messaggi sulla vita e sulla famiglia, riuscendo anche ad essere discretamente divertente, potrebbe fare per voi.

Se invece non siete propensi ad accettare un film che dà più valore al messaggio e all’estetica che alla trama di per sé, potreste genuinamente odiarlo.

Essere disastrosamente creativi…

Stephanie Hsu in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

La creatività e l’estetica di questo film è non solo ammirabile, ma davvero sensazionale.

Sopratutto con i diversi costumi e aspetti di Joy, riesce a sperimentare e a portare in scena veramente di tutto, con una varietà e una cura del suo personaggio che mi ha fatto veramente impazzire.

Al contempo, anche se le idee raccontate magari non sono il massimo dell’originalità, ma anzi pescano a piene mani da cult come Matrix, i registi riescono comunque a sbizzarrirsi parecchio.

Sopratutto particolarmente divertenti sono i trampolini, anche se ammetto che ho riso meno dei miei compagni in sala (e forse anche di voi), per certe battute.

Insomma, per me l’umorismo è vincente fintanto che non scade nello slapstick.

…ma dimenticarsi del resto

Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Per quanto un film possa essere incredibilmente creativo e artistico, non può dimenticarsi di avere una struttura narrativa, a meno che non voglia lanciare una corrente cinematografica che si ribella alle strutture narrative stesse (e non credo sia questo il caso).

Penso sia più probabile che questa coppia di fantasiosi ma anche talentuosi registi si sia trovata con un’ottima idea fra le mani, ma non sono stati in grado di esplicarla efficacemente in una struttura narrativa.

Infatti sembra che la trama parta in un certo senso immediatamente, senza neanche una introduzione effettiva che porti ad un secondo atto, che si espanda disordinatamente fino ad un finale che è pure efficace, ma che non arriva in maniera organica.

Non del tutto da buttare, ma un pochino più di ordine e di idee chiare avrebbe indubbiamente giovato al film.

La spirale dell’autodistruzione

Stephanie Hsu in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Uno dei punti fondamentali del film è il racconto di questo senso di fallimento e del volersi del tutto annullare.

Volendo andare a leggere più drammaticamente il black bagel, è possibile che si volesse raccontare in maniera anche un po’ più scanzonata la depressione e probabilmente anche il suicidio.

Joy sembra infatti volersi lasciare totalmente travolgere da questo senso di inadeguatezza e di fallimento.

È invece la madre, Evelyn, che accetta infine il suo fallimento, di essere la sua versione peggiore possibile, ma comunque di riuscire ad apprezzare la bellezza di quel poco che ha e di tutto il valore che può avere anche solo stare con suo marito, cosa che in altri universi di successo non ha.

Un finale quasi da commedia, ma ben contestualizzato e che ti scalda il cuore.

Contro il sogno americano

Michelle Yeoh in una scena di Everything everywhere all at once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinertche

Due elementi mi hanno particolarmente colpito della pellicola: la scelta della protagonista e il racconto del sogno americano.

Anzitutto, particolarmente raro vedere come protagonista di un film con elementi anche action una donna di mezza età, con anche la sua controparte di Deirdre, interpretata da un’esplosiva Jamie Lee Curtis.

Altrettanto dissacrante il fatto che la realizzazione personale della protagonista, almeno in potenza, non avvenga negli Stati Uniti, la terra promessa, ma in patria. Anzi, la scelta di immigrare negli Stati Uniti è quello che l’avrebbe portata più alla povertà e alla poca realizzazione.

Una certa novità in un panorama recente che racconta di come gli immigrati negli Stati Uniti che hanno solo da guadagnare nella nuova situazione: basta guardare Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli (2021) e Red (2022) per capire la tendenza.

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Avventura Azione Commedia nera Drammatico Film Horror Humor Nero Scream Saga Scream Trilogia Originale Thriller

Scream 3 – Una rara conclusione

Scream 3 (2000) di Wes Craven è il terzo capitolo della saga omonima, che chiude quella che potremmo chiamare la trilogia originale, che venne poi ripresa nel 2011 con Scream 4 e poi ancora nel 2022 con Scream 5.

Il capitolo che, insieme al successivo, ebbe il maggiore budget della saga: ben 40 milioni, ben ricompensato da un incasso complessivo di 161 milioni di dollari.

Di cosa parla Scream 3?

Dopo gli avvenimenti del precedente film, Sidney vive in una vita appartata, nascosta da tutti, per paura di essere di nuovo presa di mira da Ghostface. Tuttavia l’incubo non è finito, con anche la scoperta del passato misterioso della madre…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

https://www.youtube.com/watch?v=tyABaaJCRRs&ab_channel=GhostfaceItalia

Vale la pena di vedere Scream 3?

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Per quanto mi riguarda, il terzo capitolo di Scream è anche più interessante del precedente, con una costruzione più mirata e pensata, che è riuscita ad evitare un importante scivolone nel trash, pur esplorando il topos piuttosto tipico di scoperta del passato oscuro dei personaggi, che invece ha una risoluzione semplice ma efficace.

Un film che gioca veramente tanto con lo spettatore e con le sue aspettative, creando un fantastico dialogo metanarrativo fra i personaggi in scena e il film stesso, con un buon esempio di chiusura di una trilogia con poche sbavature.

Insomma, se vi è piaciuto Scream finora, non ve lo potete perdere.

Dialogare con il film

Liev Schreiber in scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Il tratto metanarrativo di Scream 3 si arricchisce con un elemento nuovo: i personaggi che sembrano dialogare con i creatori stessi del film, tanto più quando sono i personaggi di Stab 3, con un cortocircuito mentale di grande eleganza e genialità.

Si comincia subito con la battuta di Cotton

Why can’t these guys write me a fucking decent part?

Perché non sono capaci di scrivermi una parte decente?

facendo riferimento narrativamente a Stab 3, ma in realtà metanarrativamente proprio al suo ruolo in Scream 2 quanto nel terzo capitolo: nel film precedente era alla stregua del comico-grottesco, mentre in questo capitolo è una delle prime vittime.

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Così Sarah, che nel film interpreta Candy, la classica vittima dei film horror di serie b, e che infatti dice:

I’m Candy, the chick the gets killed second

Sono Candy, la sgallettata che viene uccisa per seconda

e infatti è la seconda vittima. Così anche il Detective Kincaid, che fa riferimento a come i killer di solito diano la caccia ai poliziotti che indagano sui loro casi.

Usually one cop makes it

Di solito uno dei poliziotti sopravvive

dice quasi un po’ con speranza. E nel finale rischia non poco di non essere così fortunato.

Il pericolo del trash

Jamie Kennedy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

The past will come back to bite you in the ass

Il passato si ritorcerà contro di te

Un grande pericolo che ho percepito, soprattutto nella sequenza della cassetta di Randy, era il rischio che volessero strafare, e quindi di ricadere nel trash più putrido. Secondo le sue stesse parole, il terzo film di una saga horror è raro che venga prodotto.

Ma, quando succede, è un film con i fuochi d’artificio.

In particolare l’elemento più pericoloso era l’idea di indagare il passato della madre di Sidney, che poteva scadere nelle più terrificanti dinamiche da soap opera. Invece si è scelto di raccontare una backstory abbastanza semplice e credibile, in cui semplicemente la madre era un’aspirante attrice divenuta vittima delle ben note dinamiche di sfruttamento sessuale di Hollywood.

Il topos del killer imbattibile

Ghostface in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

You’ve got a killer who’s gonna be superhuman

Il killer è come un super umano

È tremendamente attuale il racconto che Scream 3 fa del topos del killer imbattibile: basti solo pensare che la questione è diventata quasi un meme per il personaggio di Michael Myers nella nuova trilogia di Halloween, dove torna sempre in vita, nella maniera più ridicola e incredibile che potete immaginare.

E senza voler essere divertenti.

In questo caso effettivamente il killer sembra effettivamente imbattibile, ma c’è una giusta ragione: si è attrezzato con una tuta antiproiettile. Tuttavia, una volta scoperto, basta semplicemente sparargli alla testa per riuscire effettivamente a batterlo.

Anche se comunque, in maniera ovviamente comica, Ghostface torna in vita.

Il buon finale per Sidney

Anyone, including the main character, can die

Chiunque, compreso il personaggio principale, può morire

Per mettere un po’ di pepe alla narrazione, all’interno del film si nomina la possibilità che la protagonista, la scream queen, possa effettivamente rischiare la vita e perdere del tutto la plot-armor che la definisce.

Ed infatti sembra che Sidney rischi più volte la vita, e, ad un certo punto, sembra davvero morta, ma utilizza lo stesso trucco del killer: si è protetta con la tuta antiproiettile ed effettivamente scompare dopo che è sembrato essere morta, cogliendo contropiede il killer stesso.

Una scelta che ho trovato veramente geniale.

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Avventura Azione David Cronenberg Fantascienza Film Horror

Scanners – Basta poco

Scanners (1981) è uno dei più importanti film di David Cronenberg, che rappresenta l’esempio tipico della sua filmografia, con un incontro l’horror e lo sci-fi classico.

Un film fatto con poco, praticamente nulla, ma che da quel poco riesce a trarre un prodotto validissimo.

Il budget si aggira infatti intorno ai 3,5 milioni di dollari (circa 11 milioni oggi), e ne incassò 14,2 milioni. Un buon successo tutto sommato, che portò infatti alla creazione di un franchise a dieci anni di distanza, senza però il coinvolgimento di Cronenberg.

E ci sono ottime ragioni sul perché non avrebbero dovuto farlo.

Di cosa parla Scanners?

Nel 1981, nella società esistono diverse persone con capacità telepatiche, potenzialmente mortali. Il gruppo ha un capo Darryl Revok, che vuole distruggere la società che l’ha creato e contro cui si oppone Cameron Vale, un uomo inconsapevole dei suoi poteri e delle sue origini…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Scanners?

Michael Ironside in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

In generale, sì.

Forse non il miglior prodotto del regista, ma quello in cui è riuscito tanto di più a lavorare con quello che aveva, mostrando una regia molto indovinata, effetti speciali tutto sommato di ottima fattura e una storia complessivamente molto intrigante.

Aiuta anche una durata molto contenuta, che lo rende un prodotto facilmente digeribile, nonostante appaia decisamente più interessante nella prima parte, mentre sul finale diventa leggermente più lento e meno interessante.

Comunque un piccolo cult di Cronenberg da recuperare.

Il potere della regia…

Stephen Lack in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

Come detto, Scanners è un prodotto un low-budget, paragonabile ai più recenti The Lighthouse (2021) e X – A sexy horror story (2022), che ci dimostrano proprio come anche con pochissimo si possono fare prodotti di alta qualità. In questo caso basta del trucco prostetico e degli effetti da discount, che a volte sembrano quasi ridicoli, per portare in scena sequenze di grande effetto.

Particolarmente iconica è la scena dello scontro finale, in cui i due scanners hanno le vene che si gonfiano e scoppiano, si strappano pezzi di carne, con degli effetti visivi evidentemente di un’altra epoca, ma che sono comunque davvero d’impatto.

Tuttavia, l’altro caposaldo del film dovrebbero essere gli attori…

…e il problema degli attori

Michael Ironside in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

Nonostante il casting sia molto indovinato (l’eroe e l’antagonista hanno una fisionomia facciale perfetta per i loro ruoli), purtroppo l’unico attore che riesce veramente a sostenere la parte senza sembrare sciatto o ridicolo è Michael Ironside, che interpreta Darryl Revok.

Il suo personaggio è perfetto nel suo essere intrigante e profondamente malvagio.

Non si può dire lo stesso dell’attore protagonista, Stephen Lack, che interpreta Cameron: soprattutto sul finale, ha una recitazione veramente apatica, che non riesce trasmettere l’importanza delle rivelazioni e di quello che sta succedendo in scena. Il tutto aggravato dalla recitazione dell’attrice di Kim, che fra tutti è la peggiore.

E nel momento in cui tutta la credibilità della scena è rimessa nelle mani degli attori, la mancanza di credibilità degli stessi guasta certe scene.

Un eroe positivo?

In prima battuta Cameron sembrerebbe un eroe positivo, del tutto ignaro delle sue capacità, e che il Dottor Ruth sembra voler maneggiare a suo vantaggio. In realtà fin da subito, e poi per tutto il resto del film, si vedono delle ombre non indifferenti sul suo personaggio.

Anzitutto, perché utilizza con convinzione e con pochi scrupoli i suoi poteri, senza farsi veramente problemi. Anzi, a tratti sembra veramente ubriaco di tutto il potere che possiede, riuscendo alla fine a distruggere il nemico, potendo poi annunciare entusiasta, quando si è impossessato del suo corpo

We’ve won

Abbiamo vinto

Perchè i sequel di Scanners non hanno senso

Come anticipato, dal 1991 vennero prodotti due sequel, distribuiti direttamente in videocassetta, e poi due spin-off.

Non ho avuto il (dis)piacere di vedere questi prodotti, ma non ne sento neanche il bisogno, in quanto non sono opera di Cronenberg. E, soprattutto, perché l’idea stessa dei sequel di per sé non ha alcun senso.

Il film già di per sé è basato su un topos narrativo piuttosto semplice e tipico, che acquista valore perché nelle mani di un grande regista, che è stato appunto capace di tirare fuori un buon prodotto con poco. Ma allo stesso tempo il film scricchiola in alcuni punti, e basta davvero poco perché la storia stessa appaia ridicola.

Oltre a questo, il finale perde tutto il suo significato con l’idea di un sequel.

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Animazione Avventura Azione Cinema d'autunno Commedia Commedia nera Fantasy Wes Anderson

Fantastic Mr. Fox – Una favola per adulti

Fantastic Mr. Fox (2009) è il primo lungometraggio animato con la tecnica stop-motion di Wes Anderson, a cui è seguito L’isola dei cani (2018).

Il film fu purtroppo un pesante flop commerciale: a fronte di un budget non esattamente ridotto come 40 milioni di dollari, ne incassò appena 46 in tutto il mondo.

Di cosa parla Fantastic Mr. Fox?

In un mondo con animali semi-antropomorfi, Mr. Fox è una volpe che ha rinunciato alla sua natura animalesca di rubagalline su richiesta della moglie. Tuttavia, la sua avventatezza lo porterà a conseguenze inaspettate…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Fantastic Mr. Fox?

George Clooney come Mr Fox in Fantastic Mr Fox (2009) di Wes Anderson

Assolutamente sì.

Fantastic Mr. Fox è assolutamente quello che vi potreste aspettare da Wes Anderson, con una tecnica di animazione che sembra calzargli a pennello e che per certi versi mi ha ricordato alcune sequenze di Grand Budapest Hotel (2018).

Un piccolo film di breve durata che ho trovato davvero piacevole da guardare, con una trama a sorpresa davvero piena di colpi di scena. Come al solito, non fatevi frenare dal fatto che sia un prodotto di animazione: non è un prodotto per l’infanzia, anzi è molto più godibile da un pubblico adulto.

Cos’è la tecnica stop-motion

La tecnica stop-motion, in Italia nota come passo uno, è una tecnica di animazione con l’utilizzo di una speciale macchina da ripresa, che riprende fotogramma per fotogramma.

Questo richiede diverse pose degli elementi della scena, rendendola una tecnica quanto affascinante che complessa.

Nel caso di Fantastic Mr. Fox i soggetti in scena sono dei pupazzi, avendo alle spalle professionisti come lavoratori anche con Tim Burton per La sposa cadavere (2005), altro prodotto creato con la stessa tecnica.

Anderson, oltre al successivo prodotto di animazione L’isola dei cani, utilizzò tecniche simili anche per Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004) e Grand Budapest Hotel.

Se volete approfondire, ecco un dietro le quinte della realizzazione del progetto:

Perché è così difficile trasporre Roald Dahl

Vale la pena di spendere due parole su questa questione, soprattutto perché Roald Dahl è stato l’autore della mia infanzia, di cui lessi ogni storia, compresa l’autobiografia e la biografia.

E per l’occasione ho ripreso anche in mano il romanzo originale.

Generalmente parlando, la particolarità di questo autore sta tutto in certi elementi grotteschi, quasi orrorifici che inseriva nelle sue opere, nonché le morali non scontate dietro alle sue storie.

Uno dei punti più alti era forse ne Gli Sporcelli, in cui la coppia protagonista quasi si mangiava dei bambini che catturava, oltre a farsi gaslighting a vicenda, con tinte davvero horror.

Ma anche più semplicemente il finale de Le Streghe, che non è esattamente quello che ti aspetteresti da una storia per bambini, e che infatti è stata edulcorata senza alcuna vergogna nel film del 1990.

Paradossalmente è stato meglio che l’abbia preso in mano un regista come Wes Anderson, che ha cercato anzi di rendere la storia originale più digeribile per il suo pubblico.

Tuttavia, mentendo un totale rispetto per l’opera originale, arricchendola di contenuti, invece che cambiarla radicalmente

Una trama inaspettata

Willem Dafoe come Rat in Fantastic Mr Fox (2009) di Wes Anderson

In un prodotto più banale mi sarei aspettata che il punto di arrivo sarebbe stato la scoperta da parte della moglie delle malefatte di Mr. Fox.

E invece le stesse sono quasi il motore della vicenda che porta al finale.

Questa apparente anomalia riguarda anche il modo in cui Anderson ha cercato di arricchire la storia, che originariamente era molto più lineare e molto più breve. Nel libro in particolare manca tutta la sequenza iniziale di contrasto di Mr. Fox e la moglie.

Il regista è riuscito ad aggiungere dove bisognava aggiungere, soprattutto rendendo i personaggi più tridimensionali e la storia più ampia, ma mantenendo inalterato il cuore della storia.

Antropomorfi, ma non del tutto

Il carattere di antropomorfismo dei personaggi è reso con grande equilibrio, senza renderli del tutto umani, ma mantenendo il loro lato animalesco.

Si vede particolarmente nei momenti in cui le volpi mangiano come animali, appunto.

Nonché la questione di Badger, l’opossum, che in dei momenti improvvisamente perde coscienza del mondo. Questa caratteristica tanto strana è tipica del comportamento dei membri della sua specie, che in dei momenti sembrano morti.

Una reazione quasi involontaria che questi animali hanno quando si sentono minacciati, e che ha uno spassoso effetto comico all’interno del film.

Altrettanto geniale è tutta la messa in scena di come Mr. Fox organizzi di fatto una rapina umana, ma del tutto coerente con la sua natura da volpe ruba galline, appunto.

Il topos della fuga dal quotidiano

Un elemento che potrebbe apparire quantomeno bizzarro di questa pellicola è il tipo di rappresentazione del rapporto matrimoniale fra Mr. Fox e Mrs. Fox.

Tuttavia, facendo abbastanza attenzione si può notare come evidentemente la storia sia ambientata negli Anni Sessanta-Settanta, proprio quando fu pubblicato (e ambientato) il libro di ispirazione.

Così appare molto più comprensibile questa idea dell’uomo scapestrato in gioventù che si sente intrappolato nella vita matrimoniale, come effettivamente era tipico a livello sociale in quel periodo.

Fra l’altro il personaggio di Mr. Fox è molto più ampliato rispetto al libro, in cui era un eroe positivo in tutto e per tutto, nonostante in certi momenti si mettesse in luce la sua furbizia per finalità non del tutto positive…

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2022 Avventura Azione Comico Commedia Drammatico Film Gangster Movie Giallo Nuove Uscite Film

Bullet train – Perché gli action movie sono noiosi?

Bullet train (2022) di David Leitch è un action movie uscito recentemente in sala. O, meglio, uno dei migliori action movie che potreste vedere negli ultimi tempi. Non è un caso che alla regia ci sia l’autore di due dei migliori film d’azione degli ultimi anni: John Wick (2014) e Atomica Bionda (2017). E, per non farsi mancare nulla, è stato anche regista di Deadpool 2 (2018).

E si vede.

Ad oggi ha incassato 213 milioni in tutto il mondo, a fronte di un budget di 90: rientrati pienamente nel budget, anche se meritava di più.

Di cosa parla Bullet train?

La trama ruota intorno a diversi personaggi, accomunati dall’essere invischiati con i peggiori boss del crimine al mondo. Fra colpi di scena e voltafaccia, come sempre nulla è come sembra…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché guardare Bullet train?

Brad Pitt in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

Bullet train è un film da vedere per vari motivi, anzitutto per il fatto che prende i maggiori problemi degli action movie e li supera egregiamente. Quindi ve lo consiglio particolarmente se non vi piace particolarmente il genere.

La pellicola è incredibilmente divertente e intrattenente, costruendo anche un piccolo ma avvincente mistero che serpeggia per tutta la sua durata. Una bella sorpresa, per un autore di valore, che vale assolutamente la pena di recuperare.

Perchè gli action movie sono noiosi

Non me ne vogliano gli appassionati del genere: se non vi piace semplicemente (e anche giustamente) vedere la gente menarsi con grandi frasi ad effetto, è facile che vedendo molti action movie, soprattutto quelli poco ispirati, vi annoierete a morte.

Un film come The Gray Man, per capirci.

I due più importanti problemi degli action movie puri sono la mancanza di originalità (e chiarezza) nelle scene di azione e il prendersi incredibilmente sul serio.

E Bullet train supera entrambi questi problemi.

Anzitutto, come ci si potrebbe facilmente aspettare da questo regista, le scene di azione non solo sono piuttosto originali, ma spesso anche divertenti e, soprattutto, dirette con una regia dinamica, frizzante e chiarissima.

Inoltre, il film scherza spesso con se stesso e con gli stereotipi del genere a cui appartiene, non prendendosi mai veramente sul serio, ma riuscendo ad ironizzare su tutto, alleggerendo la situazione nei momenti giusti.

Mettere insieme i pezzi

Aaron Taylor-Johnson e Brian Tyree Henry in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

Una colonna portante di Bullet train, nonché uno degli aspetti che gli impedisce di essere un pallido film action, è la sua componente mistery. Un elemento che non è affrontato dai personaggi come se dovessero effettivamente investigare la questione, andando anzi a tentoni e mettendo insieme i pezzi quasi casualmente.

Infatti chi deve mettere insieme gli indizi, anche prima dei personaggi stessi, è lo spettatore stesso, cui viene fornita una pista visiva inequivocabile. Così come il figlio di Morte Bianca è morto piangendo sangue, così anche tutti gli invitati al matrimonio di Wolf muoiono nella stessa maniera.

E qui il film dà la prima finta soluzione: il cameriere che urta Wolf al matrimonio e che di fatto gli impedisce di bere il vino è Ladybug. Ma, differentemente da quello che si pensa, non l’ha fatto appositamente. E, soprattutto, il veleno non era nel vino che Wolf non ha bevuto, ma nella torta che Hornet aveva preparato.

Tutti i pezzi vanno al loro posto quando si racconta la fuga del serpente e poi l’introduzione di Honert, che chiude il cerchio.

Creare un universo di ironia

Brad Pitt in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

Quando si scrive un film comico, o quando comunque si vuole inserire una linea comica all’interno di un prodotto, la strategia migliore è quella di farlo affezionare alla comicità del film.

Nel caso di Bullet train con pochi tocchi e scelte indovinate si è riuscito a creare un universo di ironia perfettamente funzionante.

Già l’immagine di Lemon, un uomo adulto che giudica le persone tramite un cartone per bambini, anche portandosi dietro gli stickers della serie, è esilarante. Ma questo elemento viene ancora più intelligentemente sviluppato in due direzioni.

Da una parte le battute comiche, che incredibilmente non smettono mai di far ridere. Dall’altra, con un effetto anche drammatico e funzionale alla storia: sul treno sono tutti dei Diesel, perché bluffano.

E ha anche una funzione nella trama: Lemon lascia lo sticker di Diesel su Prince per far capire all’amico che non è una persona di cui fidarsi. E, nel piccolo monologo dopo la sua morte, gli dice che lui era come Thomas.

Personaggi mai banali

Brad Pitt e Brian Tyree Henry in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

Complessivamente i personaggi del film sono tutti a loro modo interessanti, mai banali e con la loro unicità. Infatti, a differenza di altri film di questo genere in cui i personaggi sono solo figurine sullo sfondo, ognuno ha i suoi tratti caratteristici. Tangerine è iroso e impulsivo, Lemon è un uomo semplice ma anche spietato, LadyBug è la linea comica ed un uomo ossessionato dalla sua crescita personale.

E così via.

La sceneggiatura riesce insomma a mettere in scena un piccolo universo di personaggi che riescono perfettamente ad incastrarsi fra loro in maniera mai banale e scontata, ma in continuo cambiamento e in maniera sempre interessante.

Con splendide eccezioni…

I pochi difetti?

Joey King in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

I pochi difetti del film si concentrano tutti intorno ai momenti in cui si prende sul serio. In particolare, riguardo ai personaggi di Morte Bianca e The Prince. La figlia di Morte Bianca non è di per sé un personaggio poco interessante, ma alla lunga l’ho trovata leggermente ridondante nei suoi comportamenti. E ha una fine non soddisfacente, ma distrutta dall’elemento comico: per quanto abbia riso quando Lemon la investe per vendicarsi della morte del fratello, mi aspettavo una conclusione più interessante.

Ancora meno convincente ho trovato Morte Bianca, che è un personaggio fortemente costruito all’interno del film, arrivando ad un reveal finale che ho trovato complessivamente poco soddisfacente. Il suo personaggio mi è parso troppo stereotipato e poco tridimensionale per l’importanza che gli era stata data nel film.

Insomma, tutti i momenti in cui il film è troppo attaccato al suo genere mi è piaciuto di meno.

Pochi tocchi di David Leitch

Zazie Beetz in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

In questo film troviamo diversi elementi quasi tipici di questo regista: eredita anzitutto da Deadpool 2 il cameo di Ryan Reynolds, nonchè l’attrice di Hornet, Zazie Beetz, che in Deadpool 2 intepretava Domino, la ragazza fortunata.

Dallo stesso film conferma il suo gusto nell’inserire cameo di attori famosi: come nel cinecomic aveva messo Tom Cruise, qui vediamo anche Channing Tatum e il già citato Ryan Reynolds.

Ovviamente poi conferma la sua capacità di raccontare scene d’azione in maniera appassionante e mai banale, fra l’altro ancora con la splendida scelta di sparatoria dalle macchine come in John Wick.

Cosa succede in Bullet train?

Se non siete sicuri di aver compreso tutta la trama di Bullet Train, ecco una spiegazione per voi.

La trama prende le mosse dal piano di Morte Bianca, che ha portato a bordo del treno le diverse persone che considerava come colpevoli della morte della moglie. Anzitutto Lemon e Tangerine, che dovevano salvare il figlio, che sono gli stessi autori della strage in Bolivia degli uomini del boss, che ha dovuto andare a gestire la situazione e quindi non essere sulla macchina in cui c’era la moglie.

Al contempo la moglie è morta perchè l’unico chirurgo che doveva salvarla era stato avvelenato da Hornet, che quindi Morte Bianca ha ingaggiato per uccidere il figlio, promettendogli i soldi della cauzione per il rapimento dello stesso. E l’omicidio del figlio era voluto perchè la sua ulteriore bravata era stato il motivo per cui la moglie era sulla macchina in cui poi è stato uccisa. Infine LadyBug era sul treno al posto di Carver, che era l’autore della morte della donna.

Joey King in una scena di Bullet train (2022) di David Leitch

The Prince non fa parte del piano di Morte Bianca, ma aveva un piano tutto suo: ha attirato il figlio di Yuichi sul tetto di un centro commerciale per spingerlo giù e poi rivelare al padre che era stata lei a mandarlo in ospedale, riuscendo così ad attirarlo sul treno.

Infatti Yuichi gli serve per uccidere Morte Bianca: l’uomo avrebbe dovuto cercare di uccidere il boss, con un tentativo che sarebbe ovviamente andato a vuoto come tutti i precedenti, e a quel punto Morte Bianca l’avrebbe ucciso, come sua abitudine, tramite la stessa arma dell’attentato. E quell’arma conteneva un meccanismo per cui, premendo il grilletto, scoppiava in faccia al malcapitato.

La valigetta con il meccanismo analogo serviva come piano di riserva per lo stesso fine.

Il bullet train esiste veramente?

Sì, il bullet train esiste veramente.

Inoltre, come viene mostrato nel film, in Giappone vi è una rete di treni ad alta velocità che collega le maggiori città. La velocità si aggira sui 320 km/h: per fare un paragone, un nostro Frecciarossa può raggiungere i 400 km/h.

Però no, in cinquant’anni di servizio, non vi è stato un solo incidente a bordo di questi treni.

E alla fine arriva Sandra Bullock a rovinarmi il film. E vabbè.

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Avventura Azione Comico Commedia Film Heist movie Il primo primo Allen Le mie radici Mockumentary Woody Allen

Prendi i soldi e scappa – L’arte del paradosso

Prendi i soldi e scappa (1969) è una delle prime pellicole di Woody Allen, in un periodo in cui sperimentava ampiamente con il surreale e con quel tipo di comicità che è diventata la sua firma.

L’ho scelto come prima tappa per la mia (ri)scoperta di questo regista perché è stato forse il primo film che ho visto della sua cinematografia e fra i primi film che mi hanno fatto innamorare del cinema.

Una pellicola prodotta veramente con niente: appena 1.53 milioni di dollari (circa 12 milioni oggi), con un incasso di 2,9.

Di cosa parla Prendi i soldi e scappa?

Nella forma del mockumentary, il film racconta la storia di Virgil, timido ragazzo cresciuto nella criminalità e il degrado e che non è mai riuscito a trovare il suo posto nel mondo. Per colpa di una serie di improbabili situazioni, diventerà uno dei criminali più ricercati degli Stati Uniti.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Prendi i soldi e scappa?

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Assolutamente sì.

Prendi i soldi e scappa è un film abbastanza particolare, proprio per i suoi due elementi portanti: la forma del finto documentario e la comicità assolutamente surreale, che gioca in maniera intelligente con lo slapstick.

In generale è un film che vi consiglierei di guardare un po’ a prescindere, anche per vedere le prime mosse che Allen muoveva all’inizio della sua produzione. Tuttavia, se questi elementi di cui sopra non sono nelle vostre corde, potrebbe non essere così godibile.

Il mockumentary before it was cool

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Prima Allen il cinema aveva sperimentato con il genere mockumentary, a partire dal classico della cinematografia, Quarto potere (1941). La particolarità di Prendi i soldi e scappa è utilizzare questo taglio narrativo in maniera comica.

E l’effetto comico nasce anzitutto dalla voce della voce fuori campo che racconta la maggior parte degli avvenimenti, con il classico tono del documentario più agèe, rimanendo del tutto seria ed imponente anche quando racconta qualcosa di evidentemente comico.

Fra le scelte più esilaranti, le mie preferite sono sicuramente i genitori di Virgil, che viene raccontato con estrema serietà che si coprono il viso per la vergogna del figlio, e quando si riferisce il commento speranzoso del protagonista riguardo alla sua condanna a 800 anni galera:

At the trial, he tells his lawyer confidently that with good behavior, he can cut the sentence in half.

Al processo, ha detto al suo avvocato in confidenza che, grazie alla buona condotta, può dimezza la sua pena.

Esilarante.

L’arte del paradosso

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Come detto, la colonna portante del film è la comicità paradossale: oltre all’utilizzo comico del documentario, Allen si dimostrò fin da subito capace di ridere di sé stesso. Il regista, spesso protagonista delle sue pellicole, ha infatti un aspetto ormai iconico e innocuo, che nel contesto del film appare davvero ai limiti del paradosso.

Ovviamente la narrazione è estremizzata, raccontando Virgil proprio come un idiota, che diventa uno dei criminali più ricercati degli Stati Uniti nonostante abbia partecipato a crimini uno più improbabile dell’altro.

Tematica su cui Allena tornerà, seppur in maniera diversa, in altre pellicole successive dal taglio anche più drammatico, come Criminali da strapazzo (2000)

La comicità mai scadente

La comicità della pellicola è a tratti fantozziana, ma, a differenza di questa, non scade mai nello slapstick puro e, di fatto, prevedibile. Al contrario lavora sempre sull’effetto sorpresa, sia nei momenti comici più elaborati, sia in quelli di comicità più semplice.

Ad esempio, all’inizio è esilarante l’assurdità della situazione per cui Virgil suona nella banda cittadina, ma non può di fatto farlo perché per suonare il violoncello ha bisogno di stare seduto.

O ancora il climax comico dell’arresto alla fine, quando l’amico che sta rapinando gli prende gentilmente la pistola di mano e gli dice di essere un poliziotto.

Un tipo di comicità più semplice, ma mai scadente, è quella per esempio della scena in cui in prigione il protagonista cerca di piegare la camicia col macchinario apposito, ma questa gli si rivolta contro.

Insomma, una comicità che non sbaglia un colpo.

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2021 Avventura Azione Cinema per ragazzi Commedia Fantasy Film Un'estate al cinema

Jungle Cruise – Tutto nacque da una giostra…

Jungle Cruise (2021) di Jaume Collet-Serra è un classico blockbuster estivo. Uscì in quella strana estate del 2021, quando distribuire le pellicole in sala era ancora un terno al lotto.

Nonostante la presenza di due star come The Rock e Emily Blunt, nonostante tutti gli elementi che lo rendono una piacevole avventura per ragazzi, non fu un buon successo commerciale. Infatti, a fronte di un budget di 200 milioni di dollari, ne incassò appena 220.

Tuttavia, per il momento storico fu considerato soddisfacente, tanto che è stato ordinato un sequel.

Di cosa parla Jungle Cruise?

Londra, 1916. La Dottoressa Lily è una giovane e intraprendente avventuriera che vuole mettersi sulle tracce delle leggendarie Lacrime della Luna, che permetterebbero di guarire ogni malattia. La sua avventura viene ostacolata da un misterioso principe europeo, che vuole fare di tutto per mettere le mani su quel tesoro…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Jungle cruise?

The Rock in una scena di Jungle Cruise (2021) di Jaume Collet-Serra

Jungle cruise è un film senza molte pretese, ma che comunque si impegna a dare tutto il tempo ai personaggi per respirare e farsi conoscere dal pubblico. Per certi versi anche troppo, vista la durata atipica per un prodotto di questo genere (più di due ore!).

Tuttavia, è anche una pellicola divertente e che intrattiene facilmente, con una regia frizzante e coinvolgente. Lo consiglio per una visione rilassata, sopratutto se siete appassionati dei film di avventura per ragazzi di questo tipo.

Che cos’è la Jungle cruise?

Come anticipato, questo film è tratto dalla giostra omonima di Disneyland.

Non è la prima volta che Disney fa un’operazione del genere: la stessa cosa era successa anche con la saga di Pirati dei Caraibi. E in questo caso l’ispirazione primaria si vede molto bene all’interno del film: una delle scene principali riguarda proprio un gruppo di turisti che viene portato su un battello attraverso la giungla, con tanti effetti speciali per intrattenere il pubblico.

E infatti, provando la giostra di ispirazione, potrete vivere praticamente quello che vedete nel film.

Perché Lily è un buon personaggio…

Emily Blunt in una scena di Jungle Cruise (2021) di Jaume Collet-Serra

Alla prima visione ero rimasta poco convinta dalla gestione dei personaggi di Lily e di MacGregor. Se per il fratello ho ancora qualche riserva, per lei mi sono effettivamente ricreduta.

Il suo personaggio è indubbiamente costruito a tavolino: è una ragazza giovane e avventurosa, che non si lascia fermare da niente, neanche da un mondo di uomini che cercano di bloccarla e sminuirla. Oltre a questo, è anche animalista e non può assolutamente sopportare il maltrattamento di animali.

Un personaggio che appare forzato per come è messo in scena, sopratutto per il contesto storico, ma che è anche giusto per il tipo di target. Mi immagino quanto facilmente una bambina o ragazzina riesca ad immedesimarsi in questa protagonista le cui dinamiche, con le dovute differenze, può ritrovarle anche nella sua vita quotidiana.

…ma MacGregor forse no.

The Rock e Jack Whitehall in una scena di Jungle Cruise (2021) di Jaume Collet-Serra

Il personaggio di MacGregor è stato costruito con lo stesso concetto, ma in questo caso forse ricadendo in uno stereotipo troppo pesante per essere gestito con così tanta leggerezza.

Anche se non viene detto esplicitamente, il suo dialogo con Frank suggerisce abbastanza chiaramente che MacGregor è un uomo omosessuale che vive in una società ostile, e che solo la sorella lo supporta. E per questo viene associato ad una serie di stereotipi, come la sua passione per il vestirsi bene e in generale la vita raffinata.

Tuttavia, anche questo può essere un personaggio in cui un bambino si può rivedere: magari un giovane spettatore con le stesse difficoltà del personaggio, che non riesce ad imporsi e a rispettare le richieste che la società che lo circonda. E che alla fine, in diversi momenti prende coraggio e interviene nell’azione.

Quindi, non del tutto da buttare, ma avrei preferito che fosse meno stereotipato.

Un film animato?

La regia del film come detto è piuttosto frizzante, tanto da portare una messa in scena che sembra nè più nè meno quella di un lungometraggio animato. E per questo funziona perfettamente.

Lo conferma il character design dei personaggi: Mr Nilo e il Principe sono incredibilmente esagerati nell’aspetto e nei comportamenti, al limite della macchietta. Ma in questo caso delle macchiette simpatiche e che funzionano, con degli attori eclettici e di altissimo livello.

Non a caso Paul Giamatti è uno dei miei caratteristi preferiti, a partire dal suo personaggio in Una notte da leoni 2 (2011)

E Jessie Plemons conferma ancora il suo eclettismo, passando da un film di questo tipo a ruoli incredibilmente complessi come in I’m Thinking of Ending Things (2020). E la morte del suo personaggio, schiacciato comicamente come la Strega dell’Ovest da un masso enorme, non fa che confermare la vena comica e cartoonesca della pellicola.

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American Animals – L’insoddisfazione rapace

American Animals (2018) di Bart Layton è un heist movie di rara bellezza, capace di sperimentare con il formato del documentario in maniera assolutamente originale e sperimentale. È difficile spiegare questo film a chi non l’ha mai visto: basti sapere che non è ispirato ad una storia vera, ma, come il film stesso spiega fin dall’inizio, è effettivamente una storia vera.

Le notizie sul budget non sono sicure, ma dovrebbe aggirarsi intorno ai 3 milioni di dollari, con un incasso di 4 milioni in tutto il mondo: un incasso piuttosto misero, per un film di grande valore.

Di cosa parla American Animals?

Spencer e Warren sono due studenti universitari annoiati dalla vita, totalmente insoddisfatti del percorso che sembra già stato scelto per loro. Per questo decidono di intraprendere una apparentemente semplicissima rapina…

Vi metto qua il trailer, ma personalmente vi sconsiglio di guardarlo: un caso da manuale di come banalizzare drammaticamente un prodotto, cercando di collegarlo ad un film di maggior successo.

Infatti nella pellicola si cita brevemente Le iene (1992) di Quentin Tarantino, e il trailer italiano gira tutto intorno a questo, quando di fatto è una citazione che, se decontestualizzata come in questo caso, mostra un taglio narrativo che il film di fatto non possiede.

Perché guardare American Animals?

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Come anticipato, American Animals è un prodotto incredibilmente sperimentale. All’interno del film ci sono le interviste dei protagonisti reali della rapina raccontata, che interagiscono anche direttamente con gli attori in scena. Quindi la storia raccontata è totalmente genuina e corrispondente agli eventi reali.

Non dovete però immaginarvi un mockumentary: il documentario è reale e ottimamente integrato all’interno della pellicola, ma non finge di essere quello che non è. Ma, per capire di cosa sto parlando, dovete guardarlo voi stessi.

È un film che mi sentirei di consigliare abbastanza a tutti: se siete appassionati di heist movie, sopratutto quelli più interessanti e di concetto come Logan’s Lucky (2017), non potete veramente perdetevelo.

Perché i manoscritti sono così importanti in American Animals?

Ci tengo a spendere due parole riguardo all’importanza e alla preziosità dei manoscritti, perchè potrebbe apparire strana a chi non è del settore.

Anzitutto, certi manoscritti sono considerati effettivamente delle opere d’arte: i cosiddetti volumi illuminati sono impreziositi da miniature, di fatto piccoli dipinti di anche di grande valore, fatti per esempio con la foglia d’oro. Non a caso facevano (e fanno) parte delle collezioni di re e regine.

Inoltre, i manoscritti, anche senza essere belli, possono avere un valore storico incalcolabile: semplificando molto, più un volume si avvicina temporalmente ed a livello di fedeltà al testo originale dell’opera, più è prezioso. E, soprattutto nel caso dei testi a stampa, le prime edizioni hanno un valore altissimo fra studiosi, ma anche e soprattutto collezionisti.

E il mercato nero di questi manoscritti è più prolifico di quanto si possa pensare…

Raccontare una storia vera

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

L’incontro fra la forma del documentario e film in senso stretto è fondamentalmente perfetta: oltre ad una messa in scena della parte documentaristica che si vede essere passata nelle mani di un autore capace, il montaggio è magistrale.

La fluidità con cui si passa da una scena all’altra, con un montaggio dinamico e che riesce perfettamente a coniugare le parole delle persone reali della vicenda con gli attori in scena. E la macchina da che riesce veramente a cogliere l’essenza del loro racconto, lasciando che i protagonisti si raccontassero, per riportare visivamente le loro parole sullo schermo.

La scelta degli attori

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il casting degli attori è davvero ottimo: tutti gli interpreti sono scelti e diretti con grande cura, riuscendo oltre ad assomigliare moltissimo alle persone reali, ad essere le loro perfette controparti in scena.

In particolare è stato veramente interessante vedere in scena due attori di grande valore, ma che abbiamo cominciato a conoscere davvero solo recentemente. Anzitutto Evan Peters, che è noto principalmente al grande pubblico per il suo ruolo di Quicksilver negli ultimi due film degli X-Men e come Fietro (Fake Pietro, in riferimento al casting finto di Piero Maximoff) in Wandavision. In realtà ha fatto molto altro, anzitutto vincendo recentemente l’Emmy per l’acclamata serie Omicidio ad Easttown.

E come non parlare di Barry Keoghan, interprete con un volto e un’espressività tutta sua, che lavorato in film molto di nicchia come Il sacrificio del cervo sacro (2017) e che recentemente si è affacciato al grande pubblico con Eternals (2021). Ma probabilmente lo ricorderete soprattutto per il poco che l’abbiamo visto come Joker in The Batman (2022).

L’insoddisfazione rapace

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

American Animals si propone anche di esplorare le motivazioni dietro ai protagonisti, che sembrano del tutto essere ricondotti ad una insofferenza e insoddisfazione rapace. La stessa insoddisfazione che sembra divorarli dentro, rinchiusi in una vita già definitiva senza aver fatto nulla di interessante.

Per certi versi mi ha ricordato Bling Ring (2013), anche se in questo caso la motivazione è molto più profonda. I protagonisti si immaginavano al centro di una vicenda avventurosa e avvincente, che gli cambierà la vita e che ricorderanno per sempre. E che sarà di fatto senza conseguenze.

Ma la realtà si rivela molto diversa.

Il punto di rottura

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il punto di rottura gira tutto intorno alla figura della bibliotecaria.

La donna è infatti l’incognita del piano che nessuno, nemmeno Warren, vuole davvero affrontare. Nel suo racconto del piano la questione sembra molto semplice: la donna gli sviene semplicemente fra le braccia.

Ma quando invece deve molto maldestramente colpirla e legarla, quando la donna piange e addirittura si urina addosso, allora tutto crolla. Se notate prima di quel momento i personaggi sono abbastanza contenuti, anzi decisamente scherzosi nei loro rapporti.

Invece, da quel momento in poi la situazione precipita, e tutte le tensioni sotterranee esplodono, arrivando fino al punto in cui Chas li punta una pistola addosso, Eric fa a botte per un nonnulla, Warren ruba stupidamente da un supermercato e Spencer provoca un incidente.

Di fatto tutti i personaggi arrivano ad un punto di esplosione, in cui vogliono solo farsi prendere, farsi punire.

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2022 Avventura Azione Commedia Fantascienza Film Horror Jordan Peele Satira Sociale Western

Nope – L’orrore di concetto

Nope (2022) è l’ultima pellicola di Jordan Peele, cineasta diventato famoso per Get out (2015) e poi per Us (2019).

Una pellicola dove il regista statunitense compie un ulteriore passo avanti nella sua produzione, portando un prodotto più complesso, maturo ed intrigante, che si spoglia del didascalismo che aveva un po’ guastato la sua seconda pellicola.

Purtroppo il film non sta incassando moltissimo, essendo già uscito da un mese in quasi tutto il mondo: davanti ad una produzione di 68 milioni, finora ne ha incassati solo 115.

Di cosa parla Nope?

OJ è un giovane addestratore di cavalli per produzioni cinematografiche, che si trova ad affrontare un misterioso nemico che infesta i cieli delle sue praterie…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Nope?

Steven Yeun in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

Assolutamente sì: dopo aver sperimentato con il genere horror, Peele si contamina con il genere sci-fi e western in maniera originale e assolutamente iconica.

Se siete già appassionati al cinema di Jordan Peele, non potete assolutamente perdervelo. Se avete paura di trovarvi davanti ad un horror davvero spaventoso e violento, non preoccupatevi: il film crea una tensione non da poco, con concetti non poco disturbanti, ma non mostra mai una violenza sanguinosa e spaventosa.

Un orrore più sottile, che ti entra sottopelle, ma che è di concetto e lasciato in parte all’immaginazione dello spettatore, più che veramente mostrato.

Uno dei migliori film di quest’anno finora, senza dubbio.

Cosa significa nope e altri piccoli concetti essenziali

Il senso del titolo purtroppo si perde del tutto nel doppiaggio, ma era inevitabile: nope è un modo più colloquiale di dire no, nel senso no, neanche per sogno: per citare UrbanDictionary, un no definitivo, che nega in qualunque modo quello di cui si sta parlando. Quindi, se lo vedete doppiato, ricordatevi che a volte, quando sentirete gli attori dire no, in originale dicono nope. Parola che ha un significato ben più ampio e preciso, appunto.

Sono state date non poche interpretazioni su questo titolo, ma Peele ha assicurato che voleva solo che fosse la reazione dello spettatore davanti alla pellicola.

Oltre a questo, per capire una battuta che altrimenti cadrebbe piatta, History Channel è un canale televisivo statunitense noto per trasmettere documentari pseudo scientifici e scandalistici, di fatto delle riconosciute bufale.

Infine, il nome del protagonista è OJ, omonimo di O.J. Simpson, che è stato al centro di uno dei più famosi casi di cronaca nera in ambito statunitense negli Anni Novanta.

Ora siete pronti per vedere il film. 

Raccontare il mostro

Per raccontare il mostro, Peele non poteva prendere come modello un caposaldo della cinematografia occidentale: Lo squalo (1972), pellicola che è citata continuamente.

Infatti, se si confronta la modalità di svelamento del nemico di Nope con il capolavoro di Spielberg, l’omaggio è evidente: prima mostrato in maniera sfuggevole, tanto che non si vede neanche la sua forma, poi come ombra, infine potentemente presente in scena.

Ed è incredibile come il mostro faccia paura appunto come concetto: vediamo uomini vivi all’interno del suo apparato digerente, li vediamo urlare, ma non capiamo perchè dovremmo aver paura. Ma, quando lo capiamo, è tremendamente disturbante.

A vedersi, il nemico non è un mostro pauroso, ma anzi molto enigmatico. Sembra al contempo limitato ad una bocca enorme ed a degli occhi che non possiamo vedere, ma poi appare molto più complesso e incomprensibile quando rivela tutta la sua natura sul finale.

Alzare lo sguardo

Daniel Kaluuya in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

La tecnica registica è veramente un tocco di classe: in non poche scene Peele riesce non solo farti seguire con lo sguardo la visione dei personaggi verso il mostro, ma ti porta veramente ad alzare gli occhi verso il margine dello schermo, quindi a diventare tu stesso un protagonista della scena.

Oltre a questo le scene sono incredibilmente travolgenti per questo uso dell’inquadratura che taglia di sbieco il soggetto, lasciandolo ai margini e insistendo sul cielo dove dovrebbe apparire il mostro. Come se il regista si dimenticasse di star girando un film volesse solo riuscire a catturare questa incredibile creatura.

Gordy: rafforzare un concetto

La storia secondaria e parallela è quella di Jupe, traumatizzato dalla visione in gioventù della strage della scimmia Gordy. Il collegamento con la trama principale è veramente debole ed è un aspetto che a mente fredda potrebbe pure essere considerato un difetto.

Ma la scena di Gordy serve a rafforzare un concetto, ad irrobustire la sensazione di inquietudine e di pericolo della vicenda. L’animale del film è quello che l’uomo cerca di domare, ma che in realtà è un predatore, una bestia incontrollabile, che semplicemente non puoi addomesticare.

Come la creatura protagonista del film, Gordy non ha un aspetto inquietante e minaccioso, anzi era un personaggio simpatico portato all’interno di una sit-com televisiva di successo. E questa tecnica è amplificata anche dal personaggio di Haley, la ragazza che partecipava allo show insieme a Jupe, e che rivediamo fra il pubblico durante il suo spettacolo. Una figura muta e inquietante, che porta le terribili conseguenze dell’attacco.

Di nuovo, un personaggio che non aggiunge niente alla trama, ma che arricchisce la scena dell’attacco.

La non-lettura

Daniel Kaluuya in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

Ho sentito molte interpretazioni date a questa pellicola: riferimenti al mondo delle maestranze del cinema, al ruolo degli attori neri nel cinema, al COVID… Per me la bellezza di questa pellicola è la mancanza di una spiegazione chiara e l’apertura a molteplici interpretazioni.

Non avendo letto immediatamente alcun significato ulteriore, preferisco non trovarne alcuno, ma considerarlo semplicemente un ottimo film horror che gioca con generi diversi e che definisce un definitivo passo avanti per la cinematografia di questo regista.

La fantascienza credibile

Steven Yeun in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

In questa pellicola Peele non solo è riuscito a sperimentare con generi diversi, ma a portare una fantascienza che per certi versi mi ha ricordato Arrival (2016): una fantascienza credibile. In particolare si smarca dall’immaginario collettivo, alimentato da diversi film sci-fi e catastrofici dagli Anni Settanta in poi: l’idea che gli extraterrestri, se ci invadessero, sarebbero esseri molto più intelligenti di noi, capaci di dominarci.

Invece l’alieno, se così vogliamo considerarlo, di Nope è niente di più che una bestia, un animale primitivo che caccia l’uomo e che l’uomo deve cacciare per sopravvivere. Un concetto che è stato rafforzato da una scena apparentemente inutile, ma che è pregna di significato: quando i ragazzini cercano di terrorizzare OJ travestendosi da alieni.

In quel momento lo spettatore viene ricondotto su binari consueti, pensando che quelli che vede sono la minaccia del film. Invece quelle figure non sono altro che uno scherzo, un gioco con lo spettatore e con le sue aspettative. Il nemico del film, infatti, è tutta un’altra cosa.

Chi è il mostro?

Nel film non viene spiegata per nulla l’origine della creatura, ma la pellicola sembra suggerire che sia in circolazione dagli Anni Cinquanta e che per tanto tempo sia stato confuso con un disco volante. In realtà, a meno che non si voglia pensare che sia stato particolarmente attivo in quella zona perché Jupe gli offriva in pasto i cavalli per il suo spettacolo, non sembra molto credibile.

Tuttavia qui si apre la strada alle interpretazioni e all’immaginazione dello spettatore. E la scelta di lasciare questo spazio al pubblico è stata una delle più indovinate, evitando di andare ad incagliarsi in spiegazioni non del tutto soddisfacenti come in Us, appunto.

Un grande passo avanti, appunto.