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Deadpool & Wolverine – La parata dei dimenticati

Deadpool & Wolverine (2024) di Shawn Levy è il terzo capitolo della (finora) trilogia dedicata al personaggio di Wade Wilson.

A fronte di un budget piuttosto importante – 200 milioni di dollari – ha aperto splendidamente al primo weekend: 438 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Deadpool & Wolverine?

Wade ormai è un Deadpool in pensione che ha appeso il costume al chiodo. Ma forse un’occasione per contare è ancora possibile…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Deadpool & Wolverine?

Dipende.

Deadpool & Wolverine mi è sembrato come una grossa sbronza: sul momento appare tutto divertente e senza freni, un sogno lucido da cui non vorresti mai uscire, con un protagonista che torna più fedele a sé stesso che mai…

…ma, una volta uscita dalla sala, riflettendo sull’inconsistente passerella di personaggi, sulla trama fumosa e approssimata, e sulla costruzione non propriamente indovinata del rapporto fra il duo protagonisti, tutto è crollato come un castello di carte.

Però, se riuscite a tenere il cervello spentissimo, vi divertirete un mondo.

Dissacrare

Deadpool & Wolverine si apre con una dissacrazione.

La pellicola prende per i capelli il problema fondamentale su cui i fan si interrogavano da mesi – il Wolverine di questa pellicola è una variante? – e rende esplicitamente impossibile riportare sulla scena quel Logan la cui dipartita è entrata negli annali del genere.

Tuttavia, questa scelta nasconde un significato ulteriore.

Nonostante infatti si tratti di un film MCU, il grande protagonista della pellicola è l’ormai defunto Universo Fox, quasi come se Deadpool volesse riportare in vita una realtà ormai morta da tempo per concedergli l’ultima avventura

…con risultati discutibili.

Ma andiamo con ordine.

Crisi

Tornando all’apice della storia, Deadpool è in piena crisi di mezza età.

Dopo aver ormai abbandonato le vesti da eroe, Wade cerca di portare avanti una vita più tranquilla come venditore di auto: ma il parrucchino serve a poco nel nascondere le cicatrici – fisiche e emotive – che hanno segnato per sempre la sua vita, portandolo ad un doloroso capolinea.

Infatti dopo essere stato rifiutato negli Avengers, Wade si è ritrovato incapace di trovare il suo posto nel mondo, intrappolato in limbo in cui non può né smettere davvero di essere il mercenario chiacchierone né ritornare in quelle vesti per mancanza di un effettivo riconoscimento.

In generale, il discorso di Happy su come diventare un Avengers sembra il qualche modo un more of the same del monologo di Colosso in Deadpool 2 (2018), con la differenza che in questo caso è forse più centrato e più adatto alla figura di Deadpool.

E qui cominciano i primi problemi.

Paradox

Paradox poteva essere l’unico villain.

Molto chiara anche in questo frangente l’intenzione di voler raccontare la TVA come la Marvel stessa, che vuole distruggere immediatamente l’ex Universo Fox, e portare un Deadpool nuovo di zecca dentro al suo universo, dimenticandosi di tutto il resto.

Tuttavia, anche qui troviamo una spiegazione non esattamente limpida del piano dell’antagonista – o presunto tale – che sembra quasi più un pretesto per cominciare l’avventura di Deadpool alla ricerca di un nuovo Wolverine per salvare il suo universo.

Per il resto, il viaggio nel multiverso alla scoperta delle varianti dell’artigliato è nel complesso piuttosto piacevole, anche se molto meno memorabile di quanto potenzialmente sarebbe potuto essere, proprio una serie di inside joke che potrebbero apparire piuttosto oscuri ai non appassionati.

Ma è solo l’inizio.

Vuoto

La vera partita si gioca nel Vuoto.

Comincia fin da subito a definirsi il rapporto di forte antagonismo fra i due protagonisti, con uno dei tanti scontri piuttosto sanguinosi – per certi versi il punto forte della pellicola – con coreografie particolarmente creative e che non si risparmiano sul lato splatter.

E nel Vuoto si trova l’ultimo dei camei che ho veramente apprezzato.

Riportare in scena Chris Evans dopo Endgame (2019) era un grande azzardo, soprattutto in vista di Captain America: Brave New World (2025): si rischiava di distogliere l’attenzione da quello che dovrebbe essere il nuovo Capitano.

Quindi sulle prime ero un po’ contraddetta da questa scelta…

…e invece infine ho amato tutta la costruzione del climax tramite le parole dello stesso Deadpool, che fomenta il pubblico nell’idea di star finalmente rivedendo uno dei personaggi più iconici dell’MCU…

…che invece si rivela uno dei personaggi forse più noti dell’Universo Fox, benché parte di film da sempre molto bistrattati.

Da qui in poi, il delirio.

Sovrappopolazione

In Deadpool & Wolverine c’è spazio per tutti…

…oppure no?

Dall’arrivo alla base di Cassandra Nova comincia una parata di personaggi – di cui io a malapena so il nome, figurarsi il pubblico più inesperto – che sono solo apparentemente figure sullo sfondo, in realtà si rivelano spesso protagonisti di diverse inquadrature ammiccanti.

La stessa Cassandra è un villain fin troppo improvvisato, con un minutaggio striminzito ed una costruzione drammatica piuttosto carente, soprattutto vista la portata dei suoi poteri – motivo per cui, nello snodo narrativo fondamentale fra secondo e terzo atto, deve essere piegata a necessità di trama.

Ma il peggio arriva dopo.

Lasciando da parte Nicepool – forse una provocazione brontolona di Ryan Reynolds verso la Gen Z? – mi ha lasciato piuttosto perplessa la gestione dei quattro camei di punta del film: se è anche comprensibile l’inserimento di X-23, visto l’insistenza con cui parla di Logan (2017) …

…meno convincente l’importanza data a Elettra e Blade – protagonisti di film che sono al più mormorati dagli appassionati del genere – fino al dimenticatissimo Gambit, niente più che una spalla all’interno di X-Men le origini – Wolverine (2009), che invece diventa personaggio di punta in questo sgangherato team d’assalto.

E così il sovraffollamento è inevitabile.

Spazio

In Deadpool & Wolverine i personaggi devono contendersi la scena.

Una dinamica che è sicuramente l’esito dei diversi rimaneggiamenti della sceneggiatura – che ha visto non meno di cinque mani al lavoro – portando così questo gruppo di personaggi ad essere importante in un primo momento, e ad esistere solo fuori scena un attimo dopo – senza che la loro missione sia neanche così chiara…

Allo stesso modo, Deadpool deve farsi mettere fuori gioco nel confronto fra Cassandra e Wolverine proprio per dare spazio a Logan di raccontare la sua storia e di creare un rapporto col la villain – che, purtroppo, ho trovato ancora una volta molto fumoso e poco convincente.

E, da questo punto in poi, il film comincia a contraddirsi.

Che l’anello di Doctor Strange fosse un mezzo della trama per risolvere fin troppe situazioni era purtroppo chiaro fin da No Way Home (2021), ma in questo caso risulta ancora più incomprensibile visto che Cassandra parla di come abbia annientato l’ex Stregone Supremo con fin troppa leggerezza…

…e unicamente per dare un modo a Deadpool & Wolverine di chiudere il secondo atto.

Intralcio

Per non concludere il terzo atto troppo velocemente, i due protagonisti hanno bisogno di un intralcio.

E lo stesso è il punto più basso del film.

Il susseguirsi improbabile di migliaia di Deadpool sullo schermo mi ha ricordato una delle mie storie fumettistiche preferite di Enrico Faccini, La Banda Bassotti e l’incredibile Multiplicator (2013), in cui un duplicatore creava copie infinite di Paperoga nei modi in modi strambi e grotteschi.

Ma, se in quel caso era una storia ben controllata, qui il film si perde in un intermezzo veramente insensato e fuori controllo, utile solo per portare in scena l’ennesima battaglia epica, talmente fine a se stessa da essere conclusa con una scusa veramente blanda – ma del tutto funzionale al proseguimento della trama.

Infatti, in questo modo i protagonisti hanno lasciato fin troppo spazio di manovra a Cassandra, che ha cominciato a fare il bello e il cattivo tempo all’interno della TVA, portando avanti un piano, ancora una volta, molto improvvisato e non particolarmente convincente nelle sue motivazioni.

E qui nascono i miei maggiori dubbi.

Rapporto

Deadpool & Wolverine doveva essere il coronamento della storica amicizia fra Reynolds e Jackman.

Per questo ho trovato piuttosto intelligente fare cominciare i due personaggi in un aspro antagonismo, proprio per dar loro occasione di maturare e di portare nella finzione cinematografica il rapporto che li lega al di fuori dallo schermo…

…peccato che manchi qualcosa.

Tutta la costruzione emotiva del finale l’ho trovata fin troppo brusca, mancante di un solido retroterra di evoluzione del rapporto fra i due protagonisti, che porta ad un momento epico che per questo risulta insapore – e risolto con una battuta altrettanto poco convincente.

Così, se in chiusura della pellicola il quadretto familiare si è felicemente ricomposto, rimane insistentemente presente un senso di mancanza, un senso di insoddisfazione, non solo per la costruzione mancata del loro rapporto, ma proprio per un film che ti ammalia con un umorismo anche molto coinvolgente…

…ma che, per il resto, risulta infine incredibilmente dimenticabile.

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Deadpool 2 – Un film per famiglie

Deadpool 2 (2018) di David Leitch è il secondo capitolo della trilogia (?) dedicato al personaggio omonimo.

A fronte di un budget quasi raddoppiato rispetto al precedente – 110 milioni di dollari – ebbe un successo economico lievemente minore: appena 734 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Deadpool 2?

Diventato un killer internazionale, Wade Wilson cerca ancora di vivere felicemente la sua relazione con Vanessa. Ma i veri villain sono in agguato…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Deadpool 2?

Sì, soprattutto se vi è piaciuto il primo.

In questo secondo capitolo Reynolds cominciò il fortunato sodalizio artistico con David Leitch, con cui collaborerà anche per Free Guy (2021) e per un piccolo cameo in Bullet Train (2022), concedendogli qui ancora più spazio di manovra.

Questa maggiore libertà artistica si andò però a scontare con un’idea di fondo che sembra in qualche modo cercare di imbrigliare il personaggio in una trama che gli sta stretta, forse con l’idea di inserirlo all’interno di futuri film degli X-Men targati Fox…

…che, di fatto, non vedremo mai.

Continuità

Deadpool sui barili di petrolio in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

Deadpool 2 si pone in diretta continuità con il precedente.

Si comincia sempre dalla fine, da un Deadpool pronto a farsi saltare in aria in un appartamento devastato e su una pila di barili di benzina, ponendosi di nuovo al centro della scena con una linea comica nerissima che esaspera il concetto di supereroe inscalfibile.

Deadpool in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

Poi, come nel primo capitolo, si torna indietro, ad un’apparente situazione idilliaca, in cui il protagonista ha espanso la sua attività criminale al di fuori dei confini statunitensi, come in realtà tipico di ogni film action che si rispetti – e la saga di John Wick insegna.

Tuttavia, ancora una volta il sogno d’amore con Vanessa viene vanificato da un incidente casuale quanto inevitabile.

Eppure, ora non c’è un nemico da vendicare.

Solo un corpo da distruggere.

A pezzi

Deadpool X-Man in prova in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

Deadpool deve essere rimesso insieme.

Ancora una volta vengono portati in scena quegli X-Men di riserva, ancora una volta gli stessi cercano – quasi metanarrativamente – di portare il protagonista dentro al loro universo, con un Wade diventa un eroe in prova con tanto di maglietta identificativa.

Ma la sua prima sfida rivela l’impossibilità del personaggio di far parte di questo universo narrativo rispettandone le regole: per quanto voglia davvero riuscire a salvare la vera vittima della situazione, Deadpool mostra chiaramente di non saperlo fare come un eroe.

Russell in prigione in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

In un altro senso, la stessa dinamica si ripete anche in prigione.

Mentre Russell cerca di diventare il protagonista attivo di un improbabile prison drama, dimenticandosi del tutto di essere un bambino senza poteri facilmente scalzabile da uno dei tanti energumeni che popolano la Prigione di Ghiaccio

…Deadpool è fin da subito contrario all’idea di farsi coinvolgere, scegliendo invece di essere del tutto passivo al suo triste destino: lasciare che il cancro lo divori, ora che persino l’ultima flebile speranza di vita dopo la morte di Vanessa gli è scoppiata in faccia a tempo zero.

Squadra

La parte centrale percorre strade piuttosto classiche…

…pur andandole a vanificare un momento dopo.

La rinascita di Wade dovrebbe passare per la costruzione di un team alternativo, con un simpaticissimo siparietto dedicato agli iconici colloqui di ammissione, fra cui spicca l’incomprensibile coinvolgimento di Peter e la gag del ritardatario Svanitore.

Deadpool in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

Così l’inizio di una sessione di allenamento piuttosto classica, che dovrebbe portare il team a trovare la propria coesione interna, si conclude in un bagno di sangue sempre più improbabile, in cui quasi tutti i membri della X-Force vengono uccisi uno dopo l’altro.

Questa parte centrale si chiude con un combattimento non particolarmente memorabile, ma che riesce ben a raccontare il personaggio di Domino, che diventa così una figura piuttosto determinante nella trama, mettendo alla prova le sue effettive capacità fortunate.

Ma il team si deve ricomporre altrove.

Comporre

Deadpool in una scena del trailer di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

L’ultimo atto è un grande azzardo.

Già prima di Endgame (2019), Deadpool 2 sperimentava con uno degli elementi più difficili da trattare all’interno di una narrazione di qualsiasi tipo: i viaggi nel tempo e il giocare con il tessuto spazio-temporale, citando, fra l’altro, Terminator (1984) e tutte le dinamiche derivate.

Così Cable diventa un improbabile alleato della squadra di Deadpool per un obbiettivo comune: riuscire ad impedire il destino oscuro e omicida di Russell, con, ancora una volta, un combattimento non particolarmente indimenticabile, ma che si salva nelle sue battute finali.

Deadpool X-Man  in una scena di Deadpool 2 (2018) di David Leitch

Poi tutto viene riscritto.

Di fatto il sacrificio di Deadpool scatena una serie di eventi e decisioni che riescono a risolvere la situazione nel modo migliore possibile: come Cable si rende conto che un futuro felice è possibile anche senza uccidere Russell, salva Deadpool che a sua volta può risolvere gli errori passati.

Una scelta che ho trovato tuttavia fin troppo azzardata, che sicuramente rincuora dopo un finale che si prospettava fin troppo tragico, ma che potenzialmente rischia di vanificare tutta la maturazione emotiva di Deadpool fino a quel momento…

…forse ancora di più in vista di Deadpool e Wolverine (2024).

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Deadpool – Una origin story tutta sua

Deadpool (2016) di Tim Miller è il primo capitolo della trilogia (?) omonima dedicata al personaggio di Wade Wilson.

A fronte di un budget abbastanza basso per un cinecomic – circa 58 milioni di dollari – è stato un ottimo successo commerciale: 782 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Deadpool?

Wade Wilson è un mercenario che vive alla giornata e che, incredibilmente, trova la sua anima gemella. Ma l’amore è solo una tragedia con qualche spot commerciale…

Vi lascio il trailer per farmi un’idea:

Vale la pena di vedere Deadpool?

Ryan Reynolds in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

Assolutamente sì, soprattutto se, come me, siete saturi della Marvel.

Infatti, per quanto Deadpool sia un film con un Ryan Reynolds ancora col freno tirato, si pose come un’interessante alternativa in un panorama di origin story che al tempo – pur con ottime eccezioni come Homecoming (2016) – apparivano spesso blande e poco originali.

In questo senso il primo capitolo del mercenario chiacchierone era in tutto e per tutto un film per adulti – e non a caso era un rated R – colmo di battute sessuali e di una volgarità piuttosto spinta, ma mai fuori luogo, ma anzi piuttosto piacevole.

Insomma, da riscoprire.

Forward

Ryan Reynolds in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

Forse anche consapevole di non godere di una trama particolarmente avvincente, Deadpool parte dalla fine.

Di fatto Deadpool rischia nel sacrificare il climax narrativo piuttosto classico che porta l’eroe della storia a comprendere i suoi poteri, individuare il suo antagonista e scontrarsi con lo stesso, scegliendo invece di mettersi nella sua versione finale già al centro della scena.

Ryan Reynolds in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

E dai titoli di testa la pellicola dà la sua prima zampata, riscrivendo gli stessi per deridere il genere di riferimento, mettendo anche le mani avanti per un prodotto che comunque – probabilmente non per volontà di Reynolds – risulta spesso molto standard e prevedibile.

Eppure lo stesso attore protagonista cerca costantemente di rianimarla con gli sfondamenti della quarta parete e con vari siparietti piuttosto fuori dagli schemi, come il disegno di Francis che Deadpool utilizza come identikit o la piccola avventura comica del tassista.

Poi, si torna indietro.

Alternativa

Ryan Reynolds e Morena Baccarin in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

Nel racconto del suo passato e della relazione con Vanessa, Deadpool vuole essere il più scorretto possibile.

In un altro contesto probabilmente avremmo visto un mercenario di buon cuore che alla fine, grazie alla scoperta dei suoi poteri, decideva di cambiare vita e di passare da anti-eroe a eroe effettivo, magari riuscendo al contempo a dare una vita più dignitosa alla sua sciagurata fidanzata.

Ma questo è un film che non vuole essere né MCU né Fox…

Ryan Reynolds in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

…e che non segue nessuna di queste regole.

Così effettivamente il punto di partenza del protagonista non è altro che un modo per permettergli di arrivare alla sua nuova identità con già l’esperienza da assassino su commissione, che comunque non viene caricata di un’eccessiva drammaticità, ma anzi mantenuta piacevolmente comica.

Allo stesso modo, il primo scambio fra Vanessa e Wade è definito da una serie di irresistibili battute piuttosto pesanti e sicuramente non family friendly, che sono solo l’antipasto per il racconto piuttosto spinto dello sviluppo della loro relazione, con un umorismo davvero irresistibile.

Ma ogni storia d’amore ha la sua tragedia.

Svolta

Ryan Reynolds in una scena di Deapool (2016) di Tim Miller

Deadpool non avrebbe dovuto essere Deadpool.

Solitamente nel genere la trama drammatica che porta alla deviazione morale è un’esclusiva dei villain, che servono molto spesso a caricarli di una maggiore tridimensionalità – con risultati altalenanti, che vanno da Thanos in Infinity war (2018) all’imbarazzo di Dar-Benn in The Marvels (2023).

Al contrario, la pellicola sceglie, pur mantenendo un buon equilibrio con il versante comico, di spogliare il più possibile Deadpool dalle vesti supereroistiche, e persino da quelle di anti-eroe, rendendolo il più possibile un personaggio con i piedi per terra.

Per questo il protagonista si fa attirare nella trappola di Francis, nella promessa di una seconda vita…

…non tanto per acquisire dei poteri, ma piuttosto per utilizzare gli stessi per sopravvivere al cancro e continuare il sogno d’amore con Vanessa, dovendo affrontare un processo che, come racconta lo stesso Deadpool, ha i toni propri del genere orrorifico.

Ma la rinascita sembra impossibile.

Senza ritorno

Deadpool ha intrapreso una strada senza ritorno.

Per quanto riesca con la sua furbizia a liberarsi dalla sua prigione, il suo aspetto mostruoso sembra un ostacolo insuperabile davanti al suo ricongiungimento con Vanessa, con una scena discretamente straziante in cui, mentre cerca di approcciarla, viene additato dai passanti.

Per questo a Deadpool rimane solamente la strada della vendetta, che si accompagna alla più classica creazione del costume, un momento sempre molto delicato di ogni origin story, ma che viene arricchito dalla dinamica piuttosto divertente della lavanderia.

A questo punto il film prende le strade più classiche della origin story, in cui l’interesse amoroso viene rapito dal villain di turno come esca per scatenare la battaglia finale – nonostante Vanessa non sia per niente una donzella da salvare, anzi.

In questo ultimo frangente Deadpool riesce un po’ a fatica ad evadere i più classici topoi del genere, proprio appesantito da una coppia di villain veramente stereotipati, ma risulta infine vincente grazie alla sua più grande provocazione.

Distinto

Infatti ci si aspetterebbe che Deadpool scelga infine di diventare effettivamente un eroe, abbandonando i suoi desideri di vendetta…

…mentre invece il protagonista si avvicina ancora di più allo spettatore scegliendo di piantare giustamente in fronte al suo carnefice un proiettile, con cui il film riesce chiaramente a definirsi come alternativo rispetto al resto del genere – che, a posteriori, lo ripagherà moltissimo.

Allo stesso modo ben riuscito il ricongiungimento con Vanessa, raccontato con toni mai eccessivi, ma anzi con un taglio che riesce a mantenersi sulla linea della credibilità, con una battuta finale che racconta molto bene il loro rapporto fuori dagli schemi:

After a brief adjustment period and a bunch of drinks…it’s a face I’d be happy to sit on.

Dopo un breve periodo di adattamento e un bel po’ di drink…è una faccia su cui sarei felice di sedermi.
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Captain Marvel

Captain Marvel ritornerà?

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The Marvels — Un film ad ostacoli

The Marvels (2023) di Nia DaCosta è il sequel di Captain Marvel (2019).

A differenza del primo capitolo, la pellicola è stata un pesante flop commerciale: con budget di circa 220 milioni di dollari, ha incassato appena 206 milioni in tutto il mondo…

Di cosa parla The Marvels?

Per uno strano incrocio di eventi e destini, Carol Danvers, Monica Rambeau e Kamala Khan si ritrovano coinvolte in un’avventura per la salvezza della galassia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Marvels?

Dipende.

Di per sé The Marvels è un film di qualità medio-bassa per l’MCU: non arriva ai picchi di orrore di Ant-Man and the Wasp: Quantumania (2023), ma al contempo è del tutto evidente come sia un prodotto piuttosto scarso – per scrittura, finalità e montaggio.

Da persona che si è lasciata per anni facilmente coinvolgere nell’umorismo anche molto sempliciotto targato Marvel, sono rimasta piuttosto fredda, anzi quasi imbarazzata, davanti ai tentativi di rendere simpatici e affabili due personaggi così freddi e seri come Carol Danvers e Monica Rambeau.

Ma l’errore più grande di questa pellicola è indubbiamente il suo sconvolgente gatekeeping: pur avendo visto entrambi i prodotti introduttivi dei personaggi – Wandavision (2021) e Ms. Marvel (2022) – mi sono ritrovata comunque confusa dalla totale mancanza di una reintroduzione degli stessi.

E se ero confusa io, posso solo immaginare come si sia sentito chi non sa neanche di chi si sta parlando…

Diversa

Carol appare fin da subito diversa.

Se il suo personaggio aveva preso una direzione caratteriale inedita fin dalla post-credit di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli (2021), in The Marvels è fin da subito presentata come molto più ironica, affabile, pasticciona.

E così anche per il modo di vestire: se nel primo film prediligeva colori scuri e decisi, in questo caso opta per un abbigliamento molto più simpatico, quasi ironico, che ha il suo picco nella molto discutibile scena in cui diventa una principessa.

Un tentativo che si sposa perfettamente con tutte le difficoltà sia di riproporre in maniera vincente questo personaggio sullo schermo, poco spendibile sia a livello caratteriale – all’inizio appariva fredda e distante – sia per i suoi poteri spropositati.

Ma più che un tentativo di cambiamento, è un tentativo di adattamento.

Uniformare

In The Marvels, Carole deve essere sempre meno simile a sé stessa…

…e sempre più vicina a Ms. Marvel.

La serie di Kamala Khan è il punto di riferimento per il taglio della pellicola – o, almeno, il taglio che la pellicola avrebbe voluto avere – cercando di rendere il più possibile ironiche e divertenti le scene di combattimento quanto di team building.

Si passa così dall’assurdità del primo scontro – con lo scambio continuo ed imprevedibile fra le tre protagoniste – alle scene di training del terzetto, fino a momenti fra il comico e il grottesco di Goose e la sua famiglia che divorano l’equipaggio…

E se questo cambiamento tutto sommato potrebbe pure funzionare grazie alle capacità attoriali di Brie Larson, lo stesso non si può assolutamente dire per Monica Rambeau, personaggio nato in un contesto estremamente drammatico – ricordato anche nella pellicola…

…e i cui gli accenni comici – come quando non vorrebbe volare per salvare Ms. Marvel – mal si adattano alla figura più fuori luogo del terzetto: per quanto ci si sforzi in quella direzione, purtroppo il personaggio di Teyonah Parris è totalmente agli antipodi rispetto a Ms. Marvel.

Elemento che aggrava ancora di più il gatekeeping selvaggio della pellicola.

Ostacolo

The Marvels è una pellicola davvero poco accessibile.

Che sia per via di tagli in fase di post-produzione, che sia per una visione ormai tramontata di stretta connessione fra serie tv e cinema, in ogni caso il pubblico generalista si è trovato totalmente spaesato davanti a due personaggi di cui non sapeva nulla.

Discorso meno grave per Ms. Marvel, di cui quantomeno si recupera il taglio ironico e la regia frizzante ed originale della sua serie di riferimento, nonché le simpatiche dinamiche familiari – anche se le stesse, senza aver visto la serie, risultano molto meno godibili.

Monica Rambeau è invece un mistero.

Oltre alla già citata difficoltà di adattare un personaggio così drammatico ad un contesto così fortemente ironico, si aggiunge la totale mancanza di reintroduzione del suo personaggio, con pochi accenni alle dinamiche di Wandavision e un maggiore focus sul rapporto con Carol.

Tuttavia, trovo piuttosto ingenuo sperare di coinvolgere emotivamente lo spettatore con un collegamento così debole, riferito non solo ad un film di diversi anni fa, ma soprattutto ad un personaggio che, per ovvi motivi, in Captain Marvel era interpretato da un’altra attrice.

E non è neanche l’aspetto peggiore della pellicola.

Quota

L’elemento più incomprensibile, anzi genuinamente ridicolo di The Marvels, è il suo villain.

Nonostante l’MCU abbia raramente brillato per i suoi antagonisti, in questo caso il villain di Captain Marvel aveva un’importanza non da poco, in quanto doveva giustificare i decenni di assenza della protagonista dall’universo cinematografico.

Purtroppo, la vicenda raccontata è ben poco efficace, e anzi toglie valore alla storia stessa di Captain Marvel, i cui problemi sembrano sostanzialmente limitati ad uno dei tanti mondi che avrebbe liberato dall’Intelligenza Suprema.

Ma il villain diventa praticamente parodistico per l’interpretazione dell’attrice, Zawe Ashton, costantemente sopra le righe, inutilmente eccessiva a dei livelli tali che è incredibile come non sia stata candidata ai Razzie Awards.

Per il resto, il villain si integra nella costante mediocrità del film, proponendo una motivazione banale e già ampiamente esplorata, e a cui la pellicola non sembra neanche particolarmente interessata, concedendogli un minutaggio abbastanza limitato.

Dove si colloca The Marvels (2023)?

Vista la quantità di personaggi presenti, The Marvels si colloca in maniera abbastanza precisa nell’universo MCU.

Il film è ambientato nell’autunno del 2025, subito dopo Ms. Marvel – a cui si collega direttamente – e Hawkeye (2021) – che era ambientato nel Natale del 2024 – e probabilmente anche dopo Secret Invasion (2023).

La pellicola si colloca nella Fase 5 e nella Saga del Multiverso.

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Captain Marvel – Un simbolo vuoto

Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck è stato uno dei più grandi successi commerciali dell’MCU – che fosse per il personaggio o per la vicinanza ad Endgame (2019), è ancora un mistero.

Infatti, a fronte di un budget di 152 milioni di dollari, ha incassato 1,1 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Captain Marvel?

Vers fa parte della Starforce, una potente squadra di nobili guerrieri dell’impero Kree. Ma niente è quello che sembra…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Captain Marvel?

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

Dipende.

Già al tempo dell’uscita fu piuttosto palese che Captain Marvel fosse niente più che un film molto medio dell’MCU, con un ottimo reparto tecnico – viene da piangere se confrontiamo la CGI di questo film con quella di Secret Invasion (2023) – e una struttura abbastanza classica.

Appare altresì piuttosto evidente, soprattutto ad una revisione ad anni di distanza, quanto la pellicola vada incasellata all’interno delle nuove tendenze del cinema post-metoo, con una Marvel che propose un film bandiera per far vedere di essere dalla parte giusta...

…finendo per produrre un prodotto estremamente vuoto e fine a sé stesso.

Costretta

Brie Larson e Jude Law in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

L’incipit risulta molto più eloquente a visione conclusa.

La protagonista si trova fra due fuochi – il suo caposquadra e allenatore, Yon-Rogg, e la Suprema Intelligenza con un aspetto misterioso – accomunati dalla volontà di limitarla nell’espressione dei suoi poteri e del suo potenziale.

Ma, oltre ad essere frustrata, Vers è totalmente indottrinata dalla propaganda politica dell’Impero Kree, che vorrebbe schiacciare totalmente il popolo degli Skrull – il quale, sulle prime, appare infatti piuttosto ostile ed intrigante.

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

Una situazione iniziale che metanarrativamente racconta tutt’altro.

La condizione della protagonista vorrebbe in altri termini rappresentare la situazione di donna media all’interno della società in cui vive, la quale cerca costantemente di soffocare le sue potenzialità e di tenerla sotto controllo, tramite una propaganda spicciola e pressioni sia fisiche che psicologiche.

Questa volontà così squisitamente politica finisce involontariamente per depotenziare la protagonista stessa, che manca totalmente di un arco evolutivo, fondamentale in ogni origin story per rendere l’eroe interessante e vicino allo spettatore.

Limitata

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

In altre parole, Captain Marvel è un personaggio totalmente fine a sé stesso.

Carol Danvers è infatti una figura già arrivata, che non deve veramente affrontare nessuna sfida fondamentale per diventare effettivamente un’eroina, ma il cui punto di arrivo è semplicemente la scoperta del suo vero potenziale.

Ma, nel frattempo, pur subendo le costrizioni imposte dai Kree, la protagonista è comunque un personaggio potente ed irriverente, i cui errori sono sostanzialmente inutili nell’economia narrativa, vista la facilità con cui li risolve…

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

…risultando così talmente perfetta da apparire per questo fredda, distante, potendo soddisfare solamente le necessità immediate del basso ventre del pubblico di quel periodo, ma rendendola sostanzialmente un personaggio senza futuro.

Non a caso, il film stesso si affretta a spiegare retroattivamente e in più momenti la mancata presenza del personaggio nelle avventure degli Avengers fino a quel momento, risultando però, in ultima analisi, ben poco credibile.

Importanza

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

Captain Marvel non è un personaggio importante.

Neanche il tempo di essere introdotta, Carol Danvers fu messa immediatamente da parte nel film successivo: in Endgame ritorna solamente alla fine della battaglia, risultando comunque l’elemento meno interessante della scena, quasi un deus ex machina.

A posteriori, insomma, Carol Danvers rappresenta la poca lungimiranza dell’MCU post-Endgame, proprio nella scelta di introdurre un personaggio ben poco riutilizzabile, che non conquistò il cuore del pubblico, ma che anzi venne sempre più odiato negli anni.

Brie Larson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

E risulta particolarmente sconfortante che il primo personaggio femminile protagonista di un film dell’universo cinematografico ottenne una gestione così ingenua e superficiale, capace, come detto, solamente di guardare alle necessità immediate del pubblico…

…e invece totalmente incapace di costruire un’eroina tridimensionale e sfaccettata, della cui storia avremmo potuto appassionarci nei film successivi, portando invece ad un’icona vuota, che diventerà la futura protagonista di uno dei più pesanti flop della Marvel.

Contorno

Brie Larson e Samuel Jackson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

Paradossalmente, la parte più interessante di Captain Marvel è il suo contorno.

Se infatti mettiamo da parte le sequenze prettamente dedicate alla protagonista, il film è una spy story anche piuttosto intrigante nelle sue dinamiche – ovviamente dimenticandoci da come queste siano state in seguito mal sfruttate in Secret invasion…

In particolare, il personaggio che rimane più positivamente impresso è il giovane Fury, che rappresenta anche la linea comica della pellicola, assolutamente necessaria a fronte del carattere così freddo e insapore della protagonista.

Brie Larson e Samuel Jackson in una scena di Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck

Meno convincente invece, come detto, il tentativo di incasellamento e di importanza retroattiva per questo film, in particolare nello smaccato tentativo di collegare direttamente il personaggio agli Avengers.

Per questo a mio parere sarebbe stato molto più intelligente creare una storia di maturazione realistica e coinvolgente – come poteva essere quella del poco precedente Spider-Man: Homecoming (2017) – anche sacrificando il collegamento diretto con l’universo di appartenenza.

Dove si colloca Captain Marvel (2019)?

Captain Marvel si colloca nella preistoria dell’MCU: essendo ambientato nel 1995, volgarmente potremmo dire che si trova fra Captain America (2011) e Iron Man (2008).

E, proprio come il primo film di Steve Rogers, entrambe le post-credit collegano il film ad Avengers: la prima direttamente al successivo Endgame, la seconda – anche se più alla lontana – a The Avengers (2012)

Anche se alcuni folli consigliano, nella visione cronologica dell’MCU, di guardarlo dopo il film sul primo vendicatore, Captain Marvel è uno degli ultimi titoli dell’affollata Fase 3, conclusiva della Saga dell’Infinito.

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Guardiani della Galassia Vol. 3 – Farewell?

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) è l’ultimo (?) capitolo della trilogia omonima creata e diretta da James Gunn per l’MCU.

A fronte di un budget piuttosto importante di 250 milioni di dollari, è stato il quarto maggior incasso del 2023, con 845 milioni di dollari al botteghino.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

in neretto le vittorie

Migliori effetti speciali

Di cosa parla Guardiani della Galassia Vol. 3?

Subito dopo lo Speciale di Natale, i Guardiani si trovano nella loro base, ma improvvisamente una nuova minaccia fa capolino…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Guardiani della Galassia Vol. 3?

Chris Pratt in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

In generale, sì.

Guardiani della Galassia Vol. 3 è un film fatto davvero apposta per i fan – dell’MCU, ma soprattutto del brand. Al punto che, per godere appieno della visione, è quantomai necessario vedere lo Speciale di Natale rilasciato nel 2022: la vicenda prende le mosse proprio da lì.

In generale, è un film che lavora moltissimo sul lato emotivo, con l’evidente intenzione – purtroppo per ovvi motivi – di chiudere dignitosamente tutti i personaggi, rischiando però in molti punti di forzare certe caratterizzazioni…

Ma, se siete fan dei Guardiani, ve ne innamorerete.

Il protagonista assente?

Rocket in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Una particolarità di Guardiani della Galassia Vol. 3 è il cambio di protagonista.

Nonostante infatti si cerchi di dare più o meno spazio a tutti, il centro emotivo non è più Star Lord, ma Rocket e il suo passato. Tuttavia, il personaggio è assente dalla scena per la maggior parte della pellicola, vivendo solamente nei flashback.

Una storia piuttosto dolorosa, che ridimensiona il personaggio e lo porta su binari meno esplorati finora, con un’inedita crudeltà che domina la scena – pur perfettamente nascosta grazie ad una tecnica registica estremamente abile.

Rocket in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Per quanto mi sia profondamente emozionata nel veder raccontare la sua storia – che ha toccato tutti i tasti giusti – d’altra parte un po’ mi è dispiaciuto vedere così poco in scena quel Rocket a cui ero abituata finora, uno dei miei personaggi preferiti dei Guardiani…

Ma ho comunque apprezzato che la missione della pellicola fosse il suo complesso e intricatissimo salvataggio, preferendola ad una narrazione più tipica con il villain di turno da sconfiggere – soprattutto per il collegamento emotivo che è riuscito a creare.

E a questo proposito…

Il villain nelle retrovie

Will Poulter in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Adam Warlock, interpretato dalla stella nascente Will Poulter, era stato venduto se non come il villain principale, sicuramente come una figura importante nel film.

E invece è tutto il contrario.

Un personaggio che è stato quasi sicuramente riscritto e di gran lunga ridimensionato, diventando una sorta di antagonista di contorno, con una caratterizzazione piuttosto abbozzata ed un arco evolutivo altrettanto debole.

Per quanto non avrei personalmente voluto che fosse più centrale nella scena – anzi, l’avrei direttamente eliminato – mi dispiace per l’attore, per cui questo film doveva essere probabilmente un punto di svolta per la sua carriera…

Ma parlando del vero villain…

Un villain per ogni occasione

Chukwudi Iwuji  in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Ho decisamente apprezzato l’Alto Evoluzionario.

Come nel precedente capitolo, Gunn ha scelto di scrivere un villain che fosse profondamente legato ad uno dei personaggi. E questo carattere così altalenante, che passa da una finta docilità ad una rabbia distruttiva, unito al suo totale disinteresse per il valore della vita, ai miei occhi l’ha avvicinato ad un altro villain importantissimo dell’MCU.

Thanos.

Anche se ovviamente l’Alto Evoluzionario non ha la medesima profondità ed importanza, presenta la stessa malvagità giustificata del villain della Saga dell’Infinito, in questo caso nel ruolo di un dio generoso quanto vendicativo. E l’ottima performance di Chukwudi Iwuji ha fatto il resto.

I secondari al centro

Mantis in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Dovendo dire addio per sempre ai suoi personaggi, James Gunn ha voluto dare ad ognuno un proprio arco evolutivo ed una conclusione.

L’esempio più evidente è Mantis.

Personaggio introdotto come secondario in Guardiani della Galassia Vol. 2, con un ruolo da protagonista nello speciale, Mantis ha un’evoluzione essenziale quanto brusca: viene emotivamente più approfondita, diventando al contempo anche quasi aggressiva.

Inoltre, si scopre come i suoi poteri possano essere essenziali non solo come supporto emotivo per il gruppo, ma anche all’interno degli stessi combattimenti e delle intrusioni. E da quello ne deriva il suo finale: l’inizio di un viaggio per riscoprire sé stessa.

Drax in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Drax è un discorso a parte.

Il suo personaggio di per sé non ha un cambiamento significativo, anzi rimane per certi versi troppo uguale a sé stesso. Infatti, la sua comicità è fondamentalmente sempre identica: indubbiamente divertente ma, arrivati al terzo film, non ugualmente brillante come poteva apparire all’inizio…

Ma la parte importante è il suo finale: al pari di Star Lord, anche Drax capisce che è il momento di fermarsi, non essere più Il Distruttore, ma un padre per la nuova famiglia che si è creato. E, anche se è fin troppo didascalica, è comunque una conclusione che mi è parsa coerente e che ho nel complesso apprezzato.

Un protagonista indebolito?

Chris Pratt e Zoe Saldana in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

In questo capitolo, Star Lord è un personaggio estremamente legato all’emotività.

Sia per il salvataggio di Rocket – di cui è il principale motore – sia per la relazione con Gamora. Se per certi versi la sua rappresentazione è forse troppo melensa e il suo rapporto con l’ex-compagna troppo insistente, probabilmente non si poteva fare diversamente.

Infatti, Peter aveva mostrato fin da subito un interesse per una ragazza che faticava anche solo ad accettarlo nella sua vita, con un rapporto, soprattutto sulle prime, assai antagonistico – in particolare da parte di Gamora – che si risolveva solo alla fine del secondo capitolo.

Zoe Saldana in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Tuttavia, ho personalmente apprezzato la conclusione.

Gunn ha scelto saggiamente di non abbassarsi alle dinamiche più tipiche da commedia romantica, con un ricongiungimento amoroso sul finale, magari costruito in maniera pure poco credibile e interessante.

Si mostra invece come Gamora ritorni ad un’altra famiglia, quella che ha ritrovato in questa realtà, e che non deve per forza di nuovo legarsi né a Quill né ai Guardiani – e trovando come loro una inaspettata nuova forma.

Ci saranno altri film sui guardiani della galassia?

All’indomani dell’uscita di Guardiani della Galassia Vol. 3, la maggior parte degli attori ha chiuso le porte a future partecipazioni alla saga.

Zoe Saldana (Gamora) non ha dimostrato ulteriore interesse per l’MCU – e, essendo legata all’estremamente redditizio brand di Avatar, non ne ha francamente neanche bisogno…

Dave Bautista (Drax) ha scelto una via più drammatica per la sua carriera – recentemente come protagonista di Army of the Dead (2021) e Bussano alla porta (2022). Gli altri due personaggi – Mantis e Nebula – per quanto interessanti, non sono così tanto di richiamo da farli riapparire né in singolo né in gruppo.

Come se non bastasse, Sean Gunn, fratello del regista, non solo interpreta l’ex-ravager Kraglin, ma dà anche le movenze a Rocket – e non è da sottovalutare la sua eventuale, ma quasi scontata, assenza…

Una scena di Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023) di James Gunn

Quindi è l’ultimo film sui Guardiani?

Secondo me, per tutti i motivi di cui sopra, sì.

E questo anche perché questo brand è troppo legato alla figura di James Gunn, che nel prossimo futuro avrà decisamente molte e altre gatte da pelare…

Tuttavia, rimane la questione Star Lord – che, a quanto pare, ritornerà. Visto l’andamento di carriera di Chris Pratt, che avuto i suoi momenti più economicamente interessanti solo legandosi a grandi brand, non mi stupisce che abbia stretto un altro accordo con l’MCU.

Ma, per quali prodotti, è ancora un grande mistero…

Dove si colloca Guardiani della Galassia 3?

Come i precedenti capitoli di Guardiani della Galassia, anche il terzo film della saga è totalmente autonomo.

E, nonostante sembri che siano passati solo pochi mesi da Guardiani della Galassia (2014), il film si colloca nel 2024, quindi sia dopo Endgame (2019), sia dopo lo Speciale di Natale.

È il secondo film della Fase Cinque.

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Guardiani della Galassia Vol. 2 – Il film della maturazione

Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) è il sequel dell’omonimo film che fece la fortuna di James Gunn, confermata proprio da questo capitolo: dopo il licenziamento del regista per dei tweets di cattivo gusto (ma molto datati), cast e pubblico si rivoltarono contro la produzione.

Il resto è storia.

Fra l’altro un sequel che confermò l’andamento positivo del brand, con anche un aumento degli incassi: 863 milioni, contro 200 di budget – il primo ne aveva guadagnati circa un centinaio in meno.

Di cosa parla Guardiani della Galassia Vol. 2?

Pochi mesi dopo il primo film, i Guardiani sono impegnati in una missione per i Sovereign, ma non tutto va come si immaginavano…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Guardiani della Galassia Vol. 2?

Michael Rooker e Sean Gunn in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) di James Gunn

In generale, sì.

Assolutamente sì se avete visto ed apprezzato il primo capitolo: vedendoli per la prima volta a così poca distanza, mi sono resa conto della superiorità di Guardiani della Galassia Vol. 2 rispetto alla pellicola del 2014, indice forse anche di una maggiore maturazione e libertà del regista a seguito del successo ottenuto.

Nonostante non manchi di qualche elemento anche di forte debolezza, riesce a migliorarsi sotto molti aspetti, anzitutto per l’antagonista e per la struttura narrativa, che evade la gestione più classica di questo tipo di prodotti, come era stato invece per il precedente.

Un nuovo obbiettivo

Michael Rooker e Rocket Raccon in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) di James Gunn

Nel precedente film l’obbiettivo finale della pellicola era costituire il gruppo, in questo caso Gunn si è trovato davanti all’ostacolo di dover gestire un gruppo piuttosto folto di personaggi – vista anche l’introduzione di Mantis e la maggior importanza di Yondu.

E ha sperimentato una gestione dei personaggi che sarà poi la stessa di Infinity War (2018): dividerli in piccole storyline autoconclusive, per poi farli rincontrare nel finale.

L’arco narrativo più azzeccato è ovviamente quella di Yondu e Rocket, utile ad entrambi per un’interessante riflessione e conseguente maturazione: come Rocket si rende conto della sua irriverenza e incapacità di fare gruppo, Yondu sceglie di abbandonare la sua corazza burbera per rinsaldare il rapporto con Peter.

Ma qui nasce il primo problema…

Come si cambia…in fretta

Rocket Raccon e Groot in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) di James Gunn

A conti fatti, l’arco narrativo di Rocket e Yondu è quello meglio costruito, mentre gli altri appaiono complessivamente molto più difettosi.

Escludendo la coppia Drax e Mantis, che rappresenta semplicemente un simpatico siparietto comico, l’arco narrativo che mi ha meno convinto è quello di Peter e suo padre.

Per quanto il film si impegni moltissimo nel raccontare la diffidenza di Star Lord nei confronti di Ego, concede molto meno minutaggio al racconto dell’assuefazione di Peter verso il ritrovato genitore.

Infatti, nonostante Ego riesca a convincere sottilmente il figlio della sua visione, al contempo lo stesso si rivolta fin troppo facilmente e nettamente contro di lui, anche se il trigger è molto potente – il trauma della morte della madre – e rivela immediatamente la vera natura dell’antagonista.

Karen Gillan in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) di James Gunn

Altro discorso per Nebula e Gamora.

Il loro rapporto è in realtà una costante anche nei successivi film degli Avengers, ed era già stato introdotto nello scorso capitolo. Tuttavia, il loro parziale rappacificamento mi è parso un po’ troppo veloce, e avrebbe secondo me avuto bisogno di un maggiore screentime.

Tuttavia, mi sono anche in parte ricreduta quando l’argomento viene nuovamente affrontato sul finale, con almeno un parziale ed effettivo confronto fra le due, che verrà poi meglio raccontato nei film successivi, collocato proprio nel momento di riflessione generale di tutti i personaggi.

Lo stesso problema?

Pom Klementieff, Dave Bautista, Chris Pratt, Kurt Russell e Zoe Saldana in una scena di Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017) di James Gunn

Uno dei principali problemi di Guardiani della Galassia era proprio la scelta dell’antagonista.

Nel sequel Gunn compie un parziale passo avanti.

E dico parziale in quanto, anche se indubbiamente il personaggio di Ego è ben gestito, raccontando abbastanza approfonditamente la sua psicologia e le sue motivazioni, sostanzialmente le stesse si riassumono – ancora una volta – nel desiderio di conquistare il mondo.

Anche peggio se parliamo dei Sovereign, l’elemento più debole, soprattutto esteticamente, dell’intera pellicola: personaggi veramente anonimi, che potevano essere sostituiti od eliminati dalla pellicola con poche righe di sceneggiatura.

Infatti, la loro vera utilità è introdurre il villain del terzo capitolo, Adam Warlock.

La morte di Yondu è probabilmente una delle più dolorose dell’intero MCU.

Ma era di fatto inevitabile.

È evidente che in questo capitolo Gunn volesse approfondire Yondu: nonostante sia un personaggio davvero accattivante e intrigante, aveva avuto fin troppo poco spazio nel primo capitolo.

E il suo approfondimento è anche finalizzato a farci comprendere meglio il significato della sua morte, essenziale per il personaggio di Quill: il protagonista dice definitivamente addio la figura paterna e scende a patti con un trauma che l’aveva accompagnato per tutta la vita, anche se nella maniera più tragica…

Dove si colloca Guardiani della Galassia 2?

Come il primo capitolo, Guardiani della Galassia Vol. 2 è un film altrettanto autonomo, tanto da essere ambientato appena un paio di mesi dopo la pellicola del 2014.

Non a caso le diverse post-creditben cinque! – non si collegano in alcun modo agli altri film dell’MCU, ma servono ad approfondire alcuni aspetti della pellicola stessa, ad inserire alcune gag per smorzare la tragicità del finale, nonché ad introdurre il villain del terzo capitolo.

La pellicola è fra i primi tre film dell’affollata Fase 3, conclusiva della Saga dell’Infinito.

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Guardiani della Galassia – Un film indipendente

Guardiani della galassia (2014) è il primo capitolo della trilogia omonima diretta da James Gunn – quando era ancora un regista di nicchia – nonché il film di introduzione di questo gruppo di personaggi.

Un prodotto che ottenne, a sorpresa viste le premesse, un buon successo – e non solo commerciale: con un budget di circa 232 milioni, ne incassò 733.

Di cosa parla Guardiani della Galassia?

Peter Quill, aka Star Lord, è un criminale spaziale che cerca di mettere le mani sul preziosissimo Orb, senza però saperne il vero valore…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Guardiani della Galassia?

Chris Pratt e Dave Bautista in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

In generale, sì.

Soprattutto se non siete particolarmente appassionati di cinecomic e siete dei casual watcher dell’MCU: a differenza di altre pellicole della Marvel, Guardiani della Galassia è un film così tanto a sé stante che non ci sono neanche delle post-credit che lo collegano agli altri prodotti del franchise.

Infatti, più che un film di supereroi, è un’avventura fantascientifica caratterizzata da una comicità anche piuttosto piacevole rispetto ad altri prodotti MCU, ma che pecca nei soliti problemi di questi film: struttura narrativa ripetitiva e villain insipido.

Tuttavia, come prodotto di intrattenimento, ve lo consiglio molto.

Creare un gruppo

Chris Pratt e Zoe Saldana in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

Una delle sfide più ardue era il saper creare un gruppo che fosse effettivamente unito e credibile.

Per quanto ci sia qualche debolezza narrativa – anche piuttosto prevedibile – il film riesce complessivamente bene in questo senso, utilizzando due elementi particolarmente vincenti: costruzione di un solido background ed assegnazione di un obiettivo personale ad ogni componente del gruppo.

Il primo elemento sembra molto scontato, ma non lo è per niente: basta pensare a prodotti con finalità analoghe come Suicide squad (2016), quasi comico da questo punto di vista, che allestisce una squadra di personaggi bidimensionali e che non hanno alcun motivo per fare gruppo.

Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista e Vin Diesel in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

Al contrario, anche e soprattutto attraverso i dialoghi, Guardiani della Galassia riesce a rendere tutti i personaggi abbastanza tridimensionali e a fornire ad ognuno di loro un proprio personale e credibile motivo di fare gruppo con gli altri protagonisti.

Come elemento bonus ai fini della credibilità, i conflitti fra i personaggi non vengono risolti fino in fondo, anzi si ritrovano anche nei film successivi.

Ed è piuttosto indicativo in questo senso che il rapporto fra Gamora e Star Lord non venga concluso alla fine di questo capitolo – e neanche propriamente nel successivo, in realtà.

Tuttavia, qui sorgono i primi problemi.

Tornare all’essenziale

Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista e Vin Diesel in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

Per i primi due atti del film la narrazione scorre in maniera piuttosto credibile ed interessante, e anche abbastanza anomala per un prodotto di questo tipo, non venendo mai meno all’identità dei personaggi stessi.

Poi, col terzo atto, questo elemento si indebolisce.

Il primo scontro con l’antagonista porta, come sempre, alla sconfitta degli eroi, che devono mettere da parte i propri principi per salvare il mondo, quindi seguendo binari più sicuri e consolidati del genere di riferimento.

Tuttavia, come scelta stona un poco con l’identità dei protagonisti stessi.

Ma non manca comunque una costruzione abbastanza piacevole e una conclusione non del tutto scontata, che apre anche le porte anche al sequel in maniera piuttosto coerente – indice di una progettualità presente fin da questo primo capitolo.

Il solito problema

Lee Pace e Karen Gillan in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

Un altro problema evidente della pellicola – e in realtà della maggior parte dei prodotti MCU – è la bidimensionalità dell’antagonista, Ronan l’Accusatore. E non è di sicuro un caso che lo stesso sia legato proprio allo snodo narrativo meno efficace della pellicola, di cui sopra.

E personalmente un po’ mi dispiace: si vede che Gunn ha comunque cercato di costruire un minimo di trama politica per contestualizzare il villain, così da non renderlo semplicemente un nemico spinto dal desiderio di conquistare il mondo.

Lee Pace in una scena di Guardiani della galassia (2014) di James Gunn

Tuttavia, è una strategia che purtroppo non funziona fino in fondo.

E mi dispiace anche per Lee Pace, attore che io ho sempre apprezzato, sia come l’elfo altezzoso in La desolazione di Smaug (2013), sia in quel ruolo veramente indovinato per le sue capacità di Fratello Giorno nella serie tv Fondazione (2021- …).

E questo è anche il motivo per cui Guardiani della Galassia è il mio secondo film MCU preferito, dopo a Spiderman Homecoming…

Gamora Guardiani della Galassia

Il personaggio di Gamora purtroppo fu un personaggio scritto nel periodo peggiore dell’MCU per i personaggi femminili, che dovevano essere o delle insopportabili Mary Sue, possibilmente anche acide, oppure ipersessualizzate come Black Widow in Iron Man 2 (2010).

E ovviamente il picco è stato Captain Marvel (2019).

E Nebula non è da meno.

Tuttavia, bisogna ammettere che quantomeno in questo caso entrambi i personaggi femminili sono ottimamente contestualizzati nella storia e nella loro caratterizzazione – qui e anche – e soprattutto – nei successivi prodotti.

Dove si colloca Guardiani della Galassia?

Come detto, Guardiani della Galassia è un film molto autonomo, ma dovrebbe indicativamente collocarsi nel 2014 durante Captain America – Civil War (2016) – e così anche il sequel.

Si trova a circa a metà della Fase 2.

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2023 Antman Avventura Azione Cinecomic Comico Drammatico Fantascienza Film MCU Nuove Uscite Film

Antman and the Wasp: Quantumania – Is this Antman?

Antman and the Wasp – Quantumania (2023) di Peyton Reed è il terzo film dedicato al personaggio di Antman – o, almeno, lo dovrebbe essere. Un prodotto che neanche si pensava di fare in prima battuta, visto lo scarso riscontro commerciale dei film dedicati a questo personaggio.

Nonostante tutto, il film ha incassato finora 357 milioni di dollari in tutto il mondo, prospettando un buon guadagno, che sicuramente ripagherà l’investimento di 200 milioni.

Di cosa parla Antman and the WaspQuantumania?

Dopo gli eventi di Endgame, Scott Lang sta cercando di vivere una vita normale con la sua famiglia, in particolare con la figlia adolescente. Ma la stessa ha una sorpresa in serbo per lui…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea – ma vi sconsiglio di guardarlo, visto quanto è spoileroso:

Vale la pena di vedere Antman and the WaspQuantumania?

Paul Rudd e Evangeline Lilly in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

Sì e no.

Non lo considero un film totalmente da buttare: ha molte idee buone sulla carta e un villain veramente incredibile, ma entrambi sono davvero mal sfruttati, per via di una scrittura molto carente, in particolare nei dialoghi e in certe battute al limite dell’agghiacciante – livello Thor Love & Thunder (2022) per capirci.

Un film che non sconsiglio in toto, ma che non mi sento di raccomandare se cercate un film su Antman.

Non lo è.

Un inizio brillante

Paul Rudd e Kathryn Newton in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

Nelle battute iniziali del film ero fiduciosa.

L’incipit sembra davvero proprio di un film di Antman, con la sua gustosa ironia e con Scott al centro della scena. E ho anche il sospetto che fosse veramente l’incipit di un film dedicato ad Antman, ma che poi risulta del tutto inutile nel contesto generale della pellicola.

Infatti, a parte questi pochi minuti iniziali, il film manca totalmente di un atto introduttivo, che lasci un po’ di respiro allo spettatore prima di immergerlo nel cuore della narrazione. Così, nel giro di neanche venti minuti, i protagonisti sono già nel Regno Quantico e già si parte immediatamente con l’azione.

E non è neanche il problema principale…

Senza sapore

Jonathan Majors in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

L’idea sulla carta era quella di costruire un primo atto basato sulla minaccia incombente di Kang, spiegare il passato di Janet tramite flashback, mostrare la potenza e la malvagità del villain e poi arrivare allo scontro finale.

Nella pratica, queste idee non sono sorrette da una buona scrittura.

La maggior parte degli snodi narrativi non sono ben raccontati e appaiono poco credibili. Due su tutti: la genialità riscoperta di Cassie e del suo macchinario costruito in segreto, e sopratutto Janet che non racconta qualcosa di così fondamentale come la presenza di Kang. Senza parlare della conversione di Modok: sulla carta ha perfettamente senso, ma accade per tutti i motivi sbagliati.

Jonathan Majors in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

E questo anche per i dialoghi veramente scritti male, deboli e per certi versi imbarazzanti, sopratutto quando scadono in un umorismo davvero infantile, che probabilmente potrà far divertire un pubblico molto giovane, ma che a me non ha per nulla coinvolto.

Altrettanto poco mi ha coinvolto la sottotrama dei popoli distrutti da Kang: gli viene dedicato pochissimo spazio, tanto che non abbiamo modo per conoscere i personaggi e la loro storia, a cui invece era importante dedicare la parte centrale.

In questo modo, invece, non sappiamo niente di loro e ancora meno ci interessa della loro sorte nella battaglia finale.

Parliamo di Kang

Jonathan Majors in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

Kang è l’elemento più forte del film.

Ma anche lui non manca di difetti.

Jonathan Majors riesce indubbiamente, con la sua presenza scenica, a raccontare un villain minaccioso e profondamente malvagio, un villain da temere. Tuttavia, la messinscena non lo premia del tutto in questo senso: viene raccontato il suo enorme ed inimmaginabile potere, ma alla fine lo stesso non viene davvero mostrato nell’effettivo.

Si temeva l’effetto Captain Marvel, per cui il personaggio sarebbe risultato troppo potente?

Comunque tutta la drammaticità e l’interesse per il personaggio mi è abbastanza scesa nel mid-credit con i vari Kang: nonostante indubbiamente l’attore si sia impegnato nel caratterizzare diversamente le sue varie versioni, il loro character design mi è sembrato veramente molto dozzinale.

Senza considerare i preoccupanti cori da stadio dei vari Kang, quasi scimmieschi…

Il ridicolo

I prodotti MCU sono sempre stati per la maggior parte caratterizzati da un umorismo piuttosto frizzante e giocoso.

Tuttavia, ultimamente, hanno smesso di farmi ridere, complice un umorismo davvero infantile e poco indovinato, che purtroppo ha cominciato a caratterizzare questi prodotti già con Thor Love & Thunder (2022) e con She Hulk (2022).

In questo film, il picco di bruttezza per me è Modok.

Il suo personaggio è veramente troppo, da ogni punto di vista: non mi ha fatto ridere sostanzialmente mai, e mi sono sentita in particolare veramente imbarazzata davanti alla sequenza dedicata alla sua morte. Ed è anche preoccupante che lo abbiano caricato della maggior parte della linea comica, quando il film ha – o dovrebbe avere – come protagonista un personaggio che si presta così ben al ruolo di comic relief.

Un rapporto buttato in faccia

Paul Rudd e Kathryn Newton in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

Il rapporto fra Cassie e Scott era sempre stato molto importante sia per la caratterizzazione del protagonista, sia per il coinvolgimento emotivo che portava.

Era evidente che a questo punto il loro rapporto doveva essere riscritto e raccontato in una veste nuova, in quanto Cassie è ormai un’adolescente. Tuttavia, l’inizio del loro arco narrativo doveva essere posta nell’incipit, ma, come abbiamo visto, a questa parte si lascia pochissimo spazio.

Durante il film più in generale la costruzione del loro rapporto è molto debole e vive di spunti poco esplorati. Ma, nonostante questo, il loro rapporto è continuamente sbattuto in faccia allo spettatore, in maniera alla lunga davvero fastidiosa – quasi come se la pellicola fosse consapevole della mancanza di ulteriori elementi a supporto…

Una trama per tutti

Paul Rudd, Kathryn Newton e Kathryn Newton in una scena di Antman and the Wasp - Quantumania (2023) di Peyton Reed

A visione conclusa, mi sono resa drammaticamente conto di come questo non sia un film su Antman.

È un film su Kang.

Evidentemente Antman and the Wasp – Quantumania è stato pensato per introdurre Kang come villain della Fase Multiversale, che avrà il suo picco con Avengers: Secret Wars (2026). E, per questo, molti altri personaggi si sarebbero prestati perfettamente per questa trama e per questa ambientazione – i Guardiani e Thor, per esempio.

Quindi, con ogni evidenza questo non è un film ideato per chiudere la trilogia di Antman.

La bellezza del personaggio infatti era di essere un eroe urbano con ambientazioni molto terrene, con un taglio narrativo simpatico e giocoso. E nonostante si potessero esplorare anche ambientazioni e trame differenti, sarebbe stato bello se lo si fosse fatto avendo in mente di mettere in scena un film dedicato a questo personaggio, appunto.

E la mancanza dei personaggi secondari degli altri due film è piuttosto indicativa in questo senso…

Dove si colloca Antman and the Wasp: Quantumania?

Antman and the Wasp – Quantumania è fondamentale nel racconto complessivo dell’MCU, soprattutto della nuova fase.

Infatti introduce sul grande schermo il villain della Fase Multiversale ed è non molto successivo a Endgame (2019), quindi si ambienta probabilmente nel 2024.

È il primo film della Fase 5.