Una poltrona per due (1983) di John Landis è un cult di Natale tutto italiano, e anche il più particolare fra tutti.
Infatti, non è un film di Natale.
Almeno, non in senso stretto.
Un film che, non a caso, ebbe un ottimo successo commerciale: a fronte di appena 15 milioni di dollari di budget, ne incassò ben 120 in tutto il mondo.
Di cosa parla Una poltrona per due?
Le vicende parallele di Louis, un ricco imprenditore, e di Billy, un senzatetto, si intrecciano in maniera assolutamente inaspettata…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Una poltrona per due?
Assolutamente sì.
Una pellicola piacevole e ottimamente costruita insieme: la struttura narrativa è perfetta, la caratterizzazione dei personaggi e la loro evoluzione ottimamente ideata, oltre ad essere genuinamente divertente anche alla millesima visione.
Un cult che merita di essere tale.
E che non potete assolutamente perdervi.
L’introduzione, anche con poco
Il primo atto del film è tutto dedicato all’introduzione dei personaggi e del loro contrasto.
Lo stesso è annunciato già dalle primissime scene, in cui riprese della strada della città e delle realtà più povere corrono parallele alle inquadrature della vita agiata di Louis.
Fin da subito la pellicola ci racconta come Louis sia troppo sicuro della sua posizione: nato e cresciuto nella bambagia, trattato da tutti coi guanti, si sente all’interno di una roccaforte. Elemento fra l’altro ben raccontato dall’apice della sua introduzione, la parte della cena con Penelope, in cui dice al maggiordomo Coleman:
L’introduzione di Billy Ray è più breve, ma altrettanto efficace.
Viene subito inquadrato come un senzatetto che vive di espedienti, fingendosi un invalido di guerra e pure cieco, portando alla divertentissima gag con i due poliziotti, quando finge di aver recuperato miracolosamente la vista.
Da lì il suo personaggio si scontra per la prima volta con la sua controparte, arrivando a definire il primo punto di contrasto: la parola di Louis, nonostante si sia trattato di un malinteso, viene immediatamente creduta, mentre Billy Ray viene sbattuto in galera, dopo una mirabolante fuga.
Il suo personaggio viene infine definito dalla scena della prigione, in cui si dimostra ancora una volta come uno che cerca sempre di fregare gli altri, millantando imprese mai compiute.
Bonus
Nella scena della prigione, il ragazzo appoggiato alle sbarre è niente di meno che Giancarlo Esposito, il futuro interprete dell’iconico Gus Fring in Breaking bad!
Una coincidenza interessante vedere un attore ancora sconosciuto, che avrà la sua gloria a quasi trent’anni di distanza, e Eddie Murphy, interprete che stava per raggiungere il successo con la sua parte nel buddy movie cult 48 ore (1982).
Il piano si mette in moto
Parallelamente all’introduzione dei protagonisti, conosciamo anche i due antagonisti, i famigerati Duke Brothers.
E li conosciamo soprattutto per due caratteristiche: l’avarizia e le macchinazioni. Fin dalle prime scene cominciano a portare le idee per il loro terrificante piano, basato semplicemente sulla noia e il desiderio di sperimentare con la vita degli altri.
Per tutto il tempo fra l’altro vivranno del loro antagonismo, sia per la scommessa, sia per i loro caratteri opposti, ben definiti dalla scena della macchina in cui bisticciano su quali offerte fare in Borsa.
E così i due cominciano a muovere le pedine in gioco, e ad innescare la parte centrale, con i suoi due archi narrativi opposti: uno costruttivo e uno distruttivo.
Louis: l’arco distruttivo
La distruzione del personaggio di Louis è definita dalla sua perdita di identità.
E la stessa passa attraverso la perdita dei vestiti.
Anzitutto Louis viene incastrato per i due crimini più umilianti (ma comunque molto credibili) per una persona del suo livello: il furto e il possesso di droga – due crimini di strada. E, fin da subito, soprattutto al commissariato, cerca di ribadire l’importanza della sua persona.
Ma è tutto inutile.
E qui comincia la prima perdita effettiva di identità, tramite la perdita dei vestiti, che gli vengono sottratti, e mai più ridati. E si vede subito dal contrasto con la fidanzata, Penelope, quando va a recuperarlo al commissariato: lei perfettamente curata, lui assolutamente impresentabile, come da lei stessa sottolineato.
Subito dopo, cerca ancora in due occasioni di ribadire la sua identità: prima cercando di rientrare in casa, poi andando in banca, dove le sue carte di credito vengono sequestrate e la sua identità totalmente distrutta.
Il suo primo picco è raggiunto quando, dovendo pregare Ophelia di portarlo con lui, si mette in ginocchio, con un parallelismo incredibilmente vincente con la scena in cui Billy Ray si fingeva un invalido. E fra l’altro perdendo tutta la sua statura, abbassandosi al livello (e sotto) di una persona che fino al giorno prima avrebbe disprezzato.
Il tentativo di ritorno
In seconda battuta Louis tenta di recuperare la sua identità, che ormai gli è stata totalmente sottratta.
E lo fa cercando di riassumere gli abiti che lo definivano, ma è impossibile: quella cravatta, quella camicia e quella giacca così stravagante stonano moltissimo davanti all’abbigliamento ben più sobrio dei suoi amici del club. E infatti per questo ancora una volta viene respinto.
L’ultimo atto della sua distruzione è il banco dei pegni: Louis cerca di ottenere anche un certo tipo di riconoscimento, di cui era tanto sicuro, tramite lo speciale orologio da polso, che però viene totalmente svalutato.
E ancora perde un altro pezzo di sé.
Caduta libera
L’ultimo atto della sua distruzione è la cena di Natale.
Il preludio è rappresentato da un momento di drammatica consapevolezza di Louis, che si trova davanti all’immagine di Billy che ha ormai preso il suo posto. Mentre lui è fuori, totalmente emarginato da quello che un tempo era tutto il suo mondo.
Ma il trigger è l’articolo di giornale dove vede che Billy Ray ha definitivamente preso il suo posto anche agli occhi del pubblico.
E in quel momento Louis perde per certi versi la sua natura umana, e diventa quasi un essere bestiale. Così cambia del tutto abiti, diventando in tutto e per tutto un barbone, che fa ribrezzo nei modi e nell’aspetto.
E a quel punto, la mossa disperata: cercare di incastrare Billy Ray, facendo leva su un’improbabile autorità che non possiede più. Ma, una volta trovatosi davanti alla sconfitta, scappa come era stato per la sua controparte prima di lui.
Infine quando Billy cerca di raggiungerlo per innescare il terzo e conclusivo atto del film, lui gli risponde con un verso animalesco: Louis non è più Louis. E diventa totalmente un emarginato, schifato e allontanato da tutti, mentre è sull’autobus nella sua forma peggiore…
E il picco definitivo è la sua quasi morte.
Billy Ray – L’arco costruttivo
L’arco di Billy segue la china totalmente opposta: una ricostruzione dell’identità.
Come le due scene dedicate dell’introduzione ci hanno ben raccontato, Billy è un personaggio furbo – o che crede di esserlo – che racconta storie clamorose su imprese mai compiute per avere una sorta di riconoscimento sociale.
E infatti, dopo una prima fase di assestamento, Billy decide di spendere la sua nuova posizione – e i suoi nuovi soldi – per rivalersi su quelli che l’avevano sbeffeggiato, inaugurando la sua nuova casa con un festivo che prende strade inaspettate.
E qui avviene la sua epifania.
Una lenta, ma significativa presa di coscienza che colpisce il personaggio mentre vede diverse persone che non rispettano in alcun modo le proprietà degli altri. E forse in quelle stesse vede lo specchio del suo comportamento fino al giorno prima.
E a quel punto capisce che non vuole essere più quella persona.
La brillantezza sopita
Il secondo passo della sua evoluzione è l’entrata alla Duke & Duke: anche incoraggiato giocosamente da Randolph, dimostra che, nonostante sia un senzatetto probabilmente senza alcun tipo di istruzione, riesce ad indovinare le previsioni sull’andamento di borsa.
E questo perché, a differenza dei Duke Brothers, ha un polso più chiaro della situazione della vita reale del consumatore comune, che era lui stesso fino a poco tempo prima.
Ovviamente si tratta di un racconto molto fantasioso, ma che funziona perfettamente nel contesto della pellicola, che ovviamente richiede un’importante sospensione dell’incredulità.
Cambiare faccia
Il picco della sua evoluzione corrisponde a quello di Louis, ovvero il primo momento in cui si scontrano direttamente.
E le parti si scambiano definitivamente, non solo perché Billy Ray diventa la persona con autorità e credibilità, ma soprattutto perché Billy si comporta nello stesso modo di Louis all’inizio del film, disprezzando quel tipo di persona che era lui stesso poco tempo prima.
E infatti il suo comportamento rappresenta la chiusura della scommessa.
Il piano risolutivo?
La bellezza di Una poltrona per due è che il terzo atto, che rappresenta lo scioglimento della vicenda, è una storia a parte.
Finalmente tutti i pezzi si mettono insieme: Billy, Louis e Ophelia uniscono le loro conoscenze e capiscono il piano dei Duke Brothers, riuscendo a intesserne uno loro parallelo per togliergli la ricchezza dalle mani.
E riescono effettivamente a batterli perché i due fratelli sono sempre troppo sicuri della loro posizione.
Così mettono insieme quella che è in tutto e per tutto una carnevalata, all’interno di una cornice narrativa che gioca proprio di maschere e finte maschere: chi si traveste per Capodanno, chi finge di essere travestito, chi rimane per sempre con un’altra identità.
E qui va fatto un discorso a parte.
Giocare con gli stereotipi in Una poltrona per due
Visto con gli occhi di oggi, e sopratutto decontestualizzando questo elemento, sembrerebbe che in Una poltrona per due Dan Aykroyd abbia fatto una black face.
Invece tutta la scelta di queste maschere ha un preciso significato, che si può cogliere solo ragionando sul periodo storico e sul racconto del razzismo all’interno del film.
Per tutta la pellicola vediamo infatti un razzismo sotterraneo ma onnipresente, associato principalmente ai Duke Brothers.
Billy Ray viene costantemente discriminato dai personaggi, ma non dalla pellicola stessa: considerando il periodo in cui è stato prodotto, è un personaggio del tutto scevro dagli stereotipi, che anzi lascia spazio alla creatività interpretativa di Eddie Murphy.
Proprio per questo, in questa sequenza il regista calca invece la mano nella direzione opposta, e inserisce una sconvolgente black face all’interno della fiera degli stereotipi, come uno schiaffo in faccia allo spettatore, all’interno di un film che ne è totalmente privo.
Quindi lo stereotipo dell’africano rumoroso, della donnina svedese piacente, del prete irlandese ubriacone.
E, fra l’altro, la mascherata di Louis ha un preciso intento narrativo: il personaggio deve nascondersi agli occhi di Clarence Beeks, che ovviamente conosce la sua faccia.
Ophelia in Una poltrona per due
Sempre secondo lo stesso concetto, anche Ophelia è un personaggio femminile interessantissimo, proprio perché non vive di stereotipi, anzi.
Ophelia è una figura femminile veramente scandalosa: non una donna angelica, non solo l’interesse amoroso del protagonista, ma una donna forte, decisa, che sa perfettamente usare il suo corpo per costruirsi una vita.
E senza nessuna vergogna per essere una prostituta.
Infatti, in un mondo degli ultimi, Ophelia è perfettamente consapevole della difficoltà di evitare il degrado e l’autodistruzione. Per questo riesce a costruirsi una propria realtà dove può muoversi liberamente e guadagnarsi una vita con quello che ha a disposizione.
Cosa succede nel finale?
Il finale, per quanto avvincente, non è semplicissimo da capire per chi non mastica la materia.
Per questo ho preso spunto da un articolo molto dettagliato de Il Post, cercando di spiegarlo in maniera anche più semplice: fondamentalmente i Duke Brothers vogliono mettere le mani sulle previsioni del raccolto dell’anno per avere un’idea dell’andamento del mercato, e poi acquistare i cosiddetti futures.
I futures sono dei contratti fra due parti che scommettono sull’andamento di un prodotto: entrambi si accordano per acquisire una certa merce ad un certo prezzo in un momento futuro.
E solo una delle parti ci guadagnerà a seconda del prezzo effettivo del prodotto: se ad esempio io mi accordassi per comprare il succo d’arancia a 10 dollari fra un mese, ma fra un mese il succo d’arancia avrà un valore di mercato di 15 dollari, io lo comprerò sempre a quella cifra e ci guadagnerò rivedendolo e guadagnando sulla differenza.
Così anche al contrario.
Cosa succede nel finale di una poltrona per due
In Una poltrona per due quindi i Duke Brothers, ingannati dal finto rapporto, pensano che il raccolto sarà scarso e di conseguenza il prezzo alto. Per questo comprano tantissimi futures, sicuri che, una volta diffuso il rapporto, il prezzo schizzerà alle stelle e lo ci guadagneranno avendo comprato ad un prezzo inferiore.
Al contrario, Louis e Billy, sapendo che il raccolto invece sarebbe stato ottimo e di conseguenza il prezzo basso, stipulano dei futures come venditori, promettendo di vendere il prodotto ad un prezzo che gli investitori in quel momento considerano basso.
Tuttavia, quando viene svelato il rapporto veritiero, gli investitori si rendono conto di essersi impegnati a comprare il prodotto ad un prezzo altissimo rispetto al valore effettivo di mercato, che, dopo l’annuncio, che crolla immediatamente. Quindi cercano di stipulare dei futures per vendere il prodotto, che i protagonisti accettano di comprare dopo che il prezzo è sceso ancora.
Quindi Billy e Louis vincono perché prima dell’annuncio, avevano concordato di vendere il prodotto ad un prezzo molto alto rispetto a quello che è il valore di mercato dopo l’annuncio. Così, sempre dopo l’annuncio, possono comprare le arance ad un prezzo basso e venderle ad un prezzo alto. I Duke Brothers, avendo scommesso il contrario, hanno perso tutti i loro soldi.
Perché Una poltrona per due è un cult di Natale?
La particolarità di Una poltrona per due è che è considerato un film natalizio, ormai una tradizione, ma di fatto non è un film di Natale in senso stretto.
Infatti, è una tradizione tutta italiana dovuta alla programmazione Mediaset.
Il film fu trasmesso per la prima volta in tv nel 1986, e poi dal 1987 si cominciò a metterlo in onda a Dicembre, avvicinandosi progressivamente sempre di più al periodo natalizio. Questo evidentemente perché, in prima battuta, la pellicola era stata inserita nella programmazione dicembrina in quanto ha effettivamente degli elementi legati alle festività.
E il pubblico negli anni ha sempre risposto benissimo: una Poltrona per due è un film senza tempo, piacevole da vedere e con un forte messaggio di speranza e di rivalsa degli ultimi, che riesce in qualche modo a colpire in un periodo in cui ci sente stressati e sommersi dal Natale e dagli impegni che ci prendiamo per il nuovo anno.
Sostanzialmente Mediaset ha cavalcato una tendenza e l’ha resa una tradizione, programmando Una poltrona per due, a partire dal 1997, ogni anno per la sera di Natale.
E le tradizioni sono dure a morire…