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Il grande Lebowski – Il piccolo Drugo

Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen fu la pellicola che segnò definitivamente il successo di questo talentuoso duo di registi.

A fronte di un budget piuttosto contenuto – appena 15 milioni di dollari – fu nel complesso un buon successo commerciale47 milioni in tutto il mondo – diventando nel tempo un grandissimo cult.

Di cosa parla Il grande Lebowski?

Jeffrey Lebowski, detto il Drugo, è un annoiato nullafacente che vive la sua vita alla giornata. Ma una curiosa omonimia sarà l’inizio di una grande avventura…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Il grande Lebowski?

Jeff Bridges e John Goodman in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Assolutamente sì.

Il grande Lebowski fu solo la naturale continuazione di Fargo (1996), volendo ancora raccontare, con imprevedibili toni comici e surreali, una parentesi di irresistibile di violenza e criminalità all’interno di una vita quietamente soddisfacente…

…arricchendo la scena con una folla di personaggi sempre più improbabili e indimenticabili, in una storia a scatole cinesi di cui è anche difficile tenere il passo – ma proprio qui sta anche la bellezza del film.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Shock

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Il Drugo vive la vita più serena che si possa immaginare.

Una seducente voce fuori campo ci introduce ad un panorama che sulla carta sembra quasi proprio di un western, con protagonista un eroe leggendario e imperscrutabile, che invece si rivela un adorabile fannullone, così pigro da pagare persino pochi centesimi di spesa con un assegno.

Pochi tocchi di colore che, come già dimostrato nel precedente Fargo, bastano per rendere poliedrico e iconico il protagonista, che seguiamo nella sua disimpegnata routine, senza un pensiero al mondo…

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

…che viene improvvisamente interrotta dalla prima delle numerose incursioni, in cui vengono affibbiati al nostro protagonista delle caratteristiche via via sempre meno credibili: se all’inizio possiamo credere che sia in debito con personaggi poco raccomandabili…

…molto meno verosimile che il Drugo abbia una moglie a carico – come lui ci tiene particolarmente a sottolineare – fra l’altro riducendo a non perdere la sua irresistibile vena ironica neanche mentre gli affondano la testa nel water:

Where’s the money, Lebowski? Where’s the fucking money, shithead?
(Drugo) It’s uh… uh… it’s down there somewhere, let me take another look.

Dove sono i soldi, Lebowski? Dove cazzo sono i soldi stronzo?
Sono…em…qua dentro da qualche parte, fammi dare un’altra occhiata.

Ma le preoccupazioni del Drugo sono molto limitate.

Tappeto

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Lebowski ha una sola preoccupazione.

Il suo tappeto rovinato.

Niente più che un fastidio che il protagonista inizialmente non vuole neanche affrontare, ma che infine si decide a risolvere incoraggiato da suoi altrettanto strambi amici, in particolare Walter, che non ha mai abbandonato il campo di battaglia – e così il suo senso di giustizia.

Così, con la visita al grande Lebowski, il Drugo si immerge in un universo di apparenze, in cui le presunte prove della bontà del miliardario – il suo impegno sociale e le sue amicizie politiche – vengono insistentemente sottolineate dall’ingenuo assistente del miliardario, Brandt.

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Ma, nonostante le sue grandi conquiste caritatevoli, il magnate risponde con grande insofferenza alle richieste del Drugo, convinto che sia solo l’ennesimo personaggio che cerca di immergere le mani nel suo importante portafoglio.

Ma se Drugo è un uomo dalle vedute ristrette, nondimeno si dimostra piuttosto abile nell’ottenere quello che vuole senza particolare sforzo: fare leva sulla genuina bontà del segretario e sulla sua assoluta convinzione della bontà del suo superiore…

…per portarsi a casa un tappeto pure più bello.

Ma i problemi sono appena iniziati.

Occasione

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Con Il grande Lebowski i fratelli Coen si prendono apertamente gioco di un topos narrativo piuttosto tipico.

Ovvero, la storia di un improbabile eroe.

In prima battuta sembra infatti che il Drugo sia riuscito senza sforzo a tornare alla sua vita di totale indifferenza, nonostante i diversi disturbi esterni che cercano insistentemente di ottenere la sua attenzione tramite la segreteria telefonica.

Jeff Bridges, Steve Buscemi e John Goodman in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

E così il suo godersi appieno il suo nuovo tappeto viene ancora una volta improvvisamente disturbato da una nuova intrusione, da un nuovo giocatore in questa sciocca prova di potere, che però inizialmente non viene rivelato.

Infatti la nostra attenzione – e quella del Drugo – viene immediatamente distolta dal ritorno in scena del vero Lebowski, che introduce il grande mistero della pellicola: il rapimento della seducente Bunny, la moglie trofeo.

E il suo quieto vivere ne è sempre più turbato…

Fuga

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Il Drugo è sempre più immerso in una storia da cui vorrebbe solo fuggire.

Con momenti di irresistibile ironia – come il cercapersone a cui il protagonista non può rispondere durante il torneo di bowling – si articola così il complesso scambio della valigetta, ancora più complicato dall’intrusione di Walter, che vorrebbe approfittarsi della situazione.

E il Drugo ne paga tutte le conseguenze.

Perdendo sia la valigetta sia la macchina, il protagonista si trova intrappolato in una rete di bugie ed intrighi da cui non riesce a districarsi, aggravato anche dall’intervento di un nuovo personaggio, Maude, la figlia di Lebowski, che conferma i sospetti sul finto rapimento.

Il mistero si infittisce con il coinvolgimento del giovane Larry Sellers, apparentemente autore del furto, il primo momento della grottesca ironia già sperimentata in Fargo, che spoglia il racconto di ogni vena drammatica, mettendo ancora più in luce l’improbabilità dei personaggi coinvolti.

Ma esiste una via d’uscita?

Bandolo

Jeff Bridges in una scena di Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen

Il Drugo è molto meno stupido di quanto si potrebbe credere.

Raccogliendo indirettamente gli indizi che gli arrivano quasi casualmente, il protagonista riesce a comporre più chiaramente il quadro della situazione, confermata dal ritorno di Bunny, che smaschera tutte le presunte vittime e criminali in scena. 

Ma l’elemento interessante, di totale disillusione del film, è che non vi è nessuna conseguenza per il grande Lebowski, se non l’essere definitivamente umiliato dalla paranoia di Walter, che pensa che tutto sia un inganno, persino la disabilità del finto miliardario.

Ancora più ridicolo è infine il confronto con i presunti rapitori, che decidono comunque, proprio per principio, di derubare i protagonisti, diventando autori dell’unica nota veramente amara della pellicola: la morte di Donny.

E così ancora una volta il film si conclude con una nota agrodolce, in cui il protagonista non è cambiato per nulla, ma la sua maggiore preoccupazione è ancora il prossimo torneo di bowling…

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Fargo – Una parentesi criminale

Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen è stato il primo dei grandi successi di questo talentuoso duo di registi statunitensi.

A fronte di un budget molto piccolo – appena 7 milioni di dollari, circa 14 oggi – è stato un ottimo successo commerciale: 60 milioni di dollari in tutto il mondo – circa 120 oggi.

Di cosa parla Fargo?

Jerry è un mediocre impiegato in una concessionaria, che farebbe di tutto per cambiare la sua vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Fargo?

Frances McDormand in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Assolutamente sì.

Fargo è stato amore a prima vista: già da questa splendida pellicola i fratelli Coen seppero distinguersi per una scrittura davvero attenta e puntuale, capace di portare in scena con pochi tratti personaggi poliedrici e incredibilmente reali.

Una storia che riesce ottimamente ad unire un lato più amaro ad una verve più strettamente ironica, fra la commedia più leggera e il puro humor nero, al limite del surreale – incontro che definirà gran parte della loro produzione successiva.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Mediocre

William H. Macy in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

In Fargo entriamo nella vicenda quasi in medias res.

Jerry ha già da tempo meditato una sorta di riscatto segreto per ottenere con l’inganno i soldi che gli servono per il suo progetto altrimenti impossibile, utilizzando la sua sfortunata moglie come merce di scambio per pescare a piene mani nel portafoglio del suocero.

Ma già dal primo scambio con i due rapitori capiamo quando il protagonista sia vittima della sua stessa mediocrità, del suo farsi sempre mettere i piedi in testa e così non riuscire mai ad emergere dalla sua condizione di grigio impiegato, nonostante si creda invece un grande stratega.

William H. Macy in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Quindi un potenziale personaggio da compatire che viene sempre più tratteggiato come inetto e pure meschino, soprattutto quando ci viene finalmente mostrato il panorama familiare: una moglie piacevole e accogliente, che non merita un marito del genere…

…e un patriarca sicuramente arcigno e pungente, ma che alla lunga diventa anche comprensibile nel suo non voler investire il suo patrimonio in un personaggio poco affidabile come il suo genero – come verrà poi ribadito nell’amaro incontro con gli altri investitori.

William H. Macy e Kristin Rudrüd in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Così l’incapacità di Jerry di metterci la faccia è tanto più evidente in un parallelismo sottile ma fondamentale nella scena della concessionaria: davanti ad un cliente insoddisfatto, il protagonista è incapace di far valere la sua posizione, e agisce tramite sotterfugi e mezzucci.

E non potrebbe mettersi in mani più sbagliate per il suo progetto…

Improvvisazione

Steve Buscemi in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Carl e Gaear si inseriscono perfettamente nel concetto di decostruzione del fascino criminale.

Fargo uscì infatti nel periodo di tramonto del fascino dei serial killer statunitensi, che avevano imperversato la cronaca nera fra gli Anni Settanta e Ottanta, spesso diventando protagonisti di culti e ammirazioni fuori controllo per l’avventatezza del loro crimini.

Al contrario, i fratelli Coen raccontano questi personaggi proprio come due criminalucci da strada, che ricercano una conferma del loro status – particolarmente Carl – in un atteggiamento di particolare superiorità e supponenza, nonché tramite le più squallide compagnie femminili.

Steve Buscemi in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

E proprio loro diventano vettori della violenza spropositata e fuori controllo che trasformerà un semplice rapimento fittizio in una passerella di morte imprevedibile e incontrollabile, alimentata da una serie di fraintendimenti e sfortune.

E proprio qui si inserisce la riflessione del più importante personaggio della storia: Marge.

Alternativa

Frances McDormand in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Marge è una protagonista piuttosto particolare.

Il suo personaggio è quello che meglio incarna lo spirito di Fargo: un racconto reale e umano, che riesce in poche pennellate ben pensate a tratteggiare perfettamente i personaggi in scena, in cui un semplice risveglio all’alba e le premure del marito, Norm, ci raccontano un matrimonio felice quanto ordinario.

E tutta l’indagine riguardo all’assurda scia di omicidi è quasi una parentesi all’interno di una vita molto semplice ma comunque soddisfacente, in cui la maggior preoccupazione è la vittoria di Norm per la sua opera d’arte, inframmezzata dai discorsi più seri riguardo invece ai killer allo sbaraglio.

Frances McDormand in una scena di Fargo (1996) di Joel e Ethan Coen

Infatti l’atteggiamento di Marge, nonostante l’avventatezza degli eventi di cui diventa testimone, è sempre sereno e solare, quasi dovesse interfacciarsi con una vicenda del tutto ordinaria, quasi ridicola – e comunque molto meno interessante di quanto gli stessi protagonisti vorrebbero farla passare.

Per questo la sua amarezza è così profonda davanti ad un crimine dettato esclusivamente dal desiderio di guadagno, di una riaffermazione del sé arrogante e destinata alla totale distruzione, con un contrasto molto sentito fra le drammatiche vicende innescate da Jerry…

…e il più semplice, quanto soddisfacente, quadretto familiare che si ricompone nel finale.

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