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La La Land – Una storia di distruzione

La La Land (2016) è il terzo film di Damien Chazelle, nonché la pellicola che l’ha portato al successo presso il grande pubblico, aggiudicandosi moltissimi premi, fra cui la Coppa Volpi per Emma Stone e sei premi Oscar.

A fronte di un budget medio – 30 milioni – è stato un enorme successo: 447 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla La La Land?

Mia e Sebastian sono due giovani sognatori che cercano di sfondare in un contesto molto competitivo come quello di Los Angeles, perdendosi in bellissimi sogni da musical che contrastano con la più triste realtà…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere La La Land?

Emma Stone e Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Assolutamente sì.

La La Land è una delle più incredibili sperimentazioni artistiche e cinematografiche degli ultimi anni, che riesce a raccontare una decostruzione e, di fatto, una distruzione di un genere su diversi livelli: fotografia, messinscena, metanarrativa.

Quando si dice che Chazelle ha avuto il suo picco troppo presto, io rispondo che questa pellicola è stata il primo passo di un percorso incredibile di riflessione sui generi e sul cinema, sulla realtà e sul sogno, con un’evoluzione altrettanto interessante in Babylon (2022).

Non un musical, non un anti-musical, ma una sperimentazione imperdibile.

La falsa partenza

L’incipit di La La Land ci racconta già tutto della visione di Chazelle.

In un contesto molto urbano e reale, la scena esplode improvvisamente in un rocambolesco numero musicale, con la classica canzone introduttiva e positiva del più classico dei musical, ma che in realtà suggerisce fin da subito il sottotesto (neanche tanto sotteso) metanarrativo del film.

In particolare, è interessante osservare uno specifico passaggio della canzone:

Summer Sunday nights
We’d sink into our seats
Right as they dimmed out all the lights
The Technicolor world made out
of music and machine
It called me to be on that screen
And live inside its sheen
La sera delle domeniche d'estate
Sprofondiamo nelle nostre poltroncine
Appena spengono tutte le luci
Quel mondo di Technicolor fatto
di musica e macchina
Mi ha invitato a stare su quello schermo
e a vivere nella sua lucentezza

Questi pochi versi raccontano il desiderio del protagonista della canzone di far parte di quel mondo Technicolor fatto di musica, ovvero il mondo del musical, facendo riferimento in particolare alle opere prodotte fra gli Anni Venti e Cinquanta – in cui la tecnica del Technicolor fece la sua fortuna.

Per il resto la canzone anticipa proprio il percorso dei protagonisti – il più classico per il genere: partire con nulla (without a nickel to my name), cercando di raggiungere il successo (I’m reaching for the heights), pur andando incontro a diversi ostacoli (and even when the answer’s no / or when my money’s running low).

E, nonostante tutto, il protagonista della canzone conclude dicendo insistentemente It’s another sunny day: è un altro giorno di sole, è un altro giorno positivo, niente mi può fermare dall’inseguire il mio sogno.

Ma è un falso inizio.

L’altro inizio

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Il vero inizio della storia è quando i protagonisti effettivamente entrano in scena, dopo essere rimasti ai margini per tutto il numero musicale d’apertura.

Ma la prima apparizione di Mia è ancora ingannevole.

In prima battuta sembra che la ragazza stia parlando al telefono, ma subito dopo scopriamo che in realtà sta ripassando le battute per il provino. La rivelazione dell’inganno è sottolineata dall’improvviso colpo di clacson di Sebastian, che sembra riportare alla realtà sia Mia, sia lo spettatore.

La successiva scena del provino è luogo contrasti: la protagonista cerca testardamente di mantenere viva la scena, ma lo sguardo dello spettatore non può che essere distratto dal personaggio fuori fuoco alle sue spalle che si muove insistentemente.

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Una scena, fra l’altro, dai toni carichi e estremamente ingannevoli: per quanto sembri il classico momento in cui la protagonista riesce finalmente a vivere il suo sogno ed a diventare una star del cinema, la sequenza si rivela invece il solito provino senza futuro.

Anche Sebastian ha un climax simile: costretto a suonare insulse canzoncine natalizie, infine si decide a far mostra delle sue capacità musicali, improvvisando un pezzo con cui spera finalmente di riuscire a conquistare il pubblico e lo sperato successo.

E invece perde il lavoro e non ottiene il presunto amore della sua vita.

Si comincia in piccolo

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

La scena successiva è il momento in cui, apparentemente, Mia accetta di seguire la trama del musical.

Incoraggiata dalle sue amiche ad andare alla festa dove potrà incontrare la persona che stava cercando (a little chance encounter / could be the one you’ve waited for), ovvero, secondo il modello classico del musical, il suo interesse amoroso.

In realtà, ancora una volta, la scena è piena di elementi di disturbo: anzitutto il fatto che la musica di sottofondo sembra costantemente voler introdurre la parte cantata, ma la stessa ci mette moltissimo tempo prima di partire effettivamente.

Allo stesso modo gli altri personaggi in scena – che appaiono come effettivamente integrati nella stessa – spingono Mia ad accettare le vesti di quel personaggio (letteralmente), mentre la ragazza sembra deriderli per il loro comportamento, intervenendo con un’unica battuta, con cui si tira fuori dalla scena: I think I’ll stay behind.

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Solo in un momento successivo, dopo un paio inquadrature che mostrano come Mia non abbia trovato nella festa quello che cercava, la protagonista riprende le battute della canzone in maniera molto più malinconica, parlando a sé stessa con un atteggiamento disilluso.

Ma the show must go on, e i personaggi della festa continuano la medesima canzone di prima, in maniera ancora più convinta e confusionaria, lasciando definitivamente Mia al di fuori della scena e del numero musicale, proprio come aveva detto lei poco prima:

Watching while the world keeps spinning around.

Guardando mentre il mondo continua ad andare avanti.

Rifiutare il musical

Emma Stone e Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

La sequenza della festa in piscina è ancora più straniante, grazie ad una fotografia incredibilmente azzeccata.

Per quanto, infatti, la scena sia piena di colori caricatissimi, la fotografia racconta altro, scegliendo invece una luce molto più naturale, con lunghe ombre sui volti dei personaggi, i quali appaiono del tutto fuori contesto per il genere di appartenenza.

Ma l’iconica scena del ballo è quella più esplicativa.

I protagonisti sembrano come intrappolati all’interno della trama del musical, che li obbliga ad incontrarsi, anche se non sono interessati l’uno all’altro, mostrando anzi un rapporto molto conflittuale, come racconta lo stesso scambio fra i due:

— It's pretty strange that we keep running into each other.
— It is strange. Maybe it means something.
— I doubt it.
— Yeah, I don't think so.
— È così strano che continuiamo ad incontrarci. 
— È strano. Magari vuol dire qualcosa.
— Non credo.
— Sì, neanche io.
Emma Stone e Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Le battute della canzone iniziata da Sebastian sono particolarmente indicative: il protagonista racconta come la scena sia perfetta per un incontro romantico (that’s tailor-made for two), ma aggiunge peccato che siamo noi due (what a shame those two are you and me), mostrando tutta la sua arroganza.

Al che Mia, ancora una volta deridendo questa ipotetica situazione romantica, racconta come lei per prima non sia interessata, e di come quella scena non faccia per lei (But, I’m frankly feeling nothing), soprattutto con quelle scarpe.

E allora i due sembrano come trascinati dentro la sequenza, con Mia che si cambia istintivamente le scarpe, come a rendersi pronta per il successivo numero musicale, e Sebastian che si muove meccanicamente e la coinvolge in un assurdo balletto, anche un po’ scoordinato, che dovrebbe farli innamorare…

Ma viene ancora interrotto da un elemento di disturbo.

La la land pontile

Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Lo stesso schema si ripete per la scena del pontile: Sebastian chiede alla città se stia splendendo per lui, se questo è per lui l’inizio di qualcosa di nuovo e fantastico (is this the start of something wonderful and new?)…

…ma viene subito riportato con i piedi per terra quando capisce che il cappello non è un oggetto di scena pensato per il suo numero musicale, venendo infatti interrotto dal compagno della signora con cui sta ballando languidamente, concludendo:

Or one more dream / That I cannot make true

O un altro sogno / che non posso realizzare

Accettare il sogno

Emma Stone e Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

L’atto centrale è l’accettazione del sogno.

Passaggio che avviene in maniera quanto più surreale e artificiosa, quanto comprensibile all’interno del genere musical: Mia si rende conto che non vuole stare con Greg, si alza improvvisamente e raggiunge Sebastian al cinema.

E, non a caso, si mostra a Sebastian come immersa nello schermo, proprio come lui aveva profetizzato:

Well’, I’ll see you into the movies.

Bene, allora ti rivedrò al cinema.
Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Ma questa volta, nonostante il film sembra contro di loro, interrompendosi improvvisamente, la coppia decide di continuare sulla strada definita della storia: nelle atmosfere fantastiche dell’Osservatorio, sboccia il loro amore, con persino un elemento fantastico che li porta a volteggiare fra le stelle – pur nel loro iniziale stupore.

La sequenza successiva usa ed abusa del linguaggio del musical, anzitutto con la transizione che chiude sul bacio fra i due e apre con una Mia finalmente sicura del suo sogno, intenta a scrivere la sceneggiatura che la farà diventare una star, seguito da un montaggio che racconta il felice susseguirsi delle vicende.

Tuttavia, diversi elementi in scena raccontano altro, a partire dalla sequenza in cui i due si allontanano in auto, ambientata in uno squallido vicolo con i cassonetti della spazzatura e la strada crepata…

Una dura realtà

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Ma la realtà sembra farsi largo prima del previsto.

La sequenza musicale che accompagna il passare del tempo è molto più malinconica di quanto racconterebbe la canzone: si mostra Mia che continua a lavorare strenuamente per raggiungere il suo sogno, anche se sembra meno vicino di quanto sembri.

Finché non arriva al momento della prova: a spettacolo concluso, quando le luci si accendono e noi ci aspetteremmo una folla festante che si congratula con Mia per la sua performance, in realtà vediamo solo pochi sparuti spettatori, e una voce fuori campo che critica duramente la sua prova attoriale.

E, se Sebastian quanto la storia sembravano promettere alla protagonista di potercela fare, la realtà racconta qualcosa di molto diverso: lo spettacolo non l’ha visto nessuno, non è stato il successo sperato e Mia non ha neanche i soldi per pagare il teatro.

Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

La situazione non è migliore per Sebastian.

In teoria il protagonista ha scelto una carriera che avrebbe dovuto portargli abbastanza soldi per realizzare il suo effettivo sogno, ma ancora una volta lo stesso è molto meno a portata di mano di quanto pensasse.

E, davanti agli occhi increduli della fidanzata, accetta di suonare una musica che non lo rappresenta, che sulla carta aveva sempre detto di odiare, come la stessa Mia gli fa notare nella scena della cena.

La la land dinner

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Una scena, fra l’altro, immersa in un’apparente atmosfera sognante tinta di un suggestivo verde smeraldo, che in realtà diventa lo sfondo per il contrasto e lo scontro definitivo fra la coppia, prologo della loro rottura.

Ma Chazelle non ci vuole lasciare senza speranza, non vuole dirci di abbandonare i nostri sogni: nonostante tutto, la scelta dello spettacolo ha portato Mia al risultato sperato, ovvero di essere coinvolta in una grande produzione.

E la scena del provino è indicativa proprio per la scelta della fotografia e la messinscena: mentre tutte le altre sequenze analoghe mostravano una Mia vestita di colori carichi ed illusori, in questo caso la scena è definita da tinte più tenui e da una messinscena molto più verosimile.

What if…

Emma Stone e Ryan Gosling in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

La chiusura di La La Land è magistralmente metanarrativa.

Anche se Mia è diventata una famosa attrice, anche se ha potuto realizzare il suo sogno, non ha ottenuto tutto quello che sperava e credeva: la reazione con Sebastian si è chiusa fuori scena, portando i due ad allontanarsi del tutto per molto tempo.

Ma, totalmente per caso, proprio come il loro primo incontro, la scena del club di Sebastian è il momento dell’epifania.

La prima sequenza racconta la versione della storia secondo i canoni musical più tradizionali: all’interno di uno sfondo pittoresco in cui i protagonisti sono perfettamente integrati, la loro vita e il loro amore sono costellati di immediati e facilissimi successi.

Emma Stone in una scena di La La Land (2016) di Damien Chazelle

Una messinscena che decostruisce totalmente il genere, mostrando ambientazioni che vivono sempre di più di sottrazione, sempre più artificiali e teatrali.

La seconda sequenza mostra qualcosa di diametralmente diverso: attraverso il linguaggio iperrealistico del finto documentario, scopriamo il destino della coppia se avesse abbandonato i propri sogni, per seguire la più felice via dell’amore e di una vita più modesta, che però non li avrebbe divisi.

E, in quello scambio finale di sguardi, vediamo tutta la consapevolezza dei protagonisti per quello che avrebbe potuto essere, i due estremi irraggiungibili, quando la realtà è invece una malinconica via di mezzo…

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Avventura Commedia nera Damien Chazelle Drammatico Film

Whiplash – La musica nel sangue

Whiplash (2014) di Damien Chazelle è il suo secondo lavoro come regista, ma anche la sua prima esperienza come autore non indipendente, prima di arrivare al grande successo di La La Land (2016).

Con un budget assai contenuto – appena 3,3 milioni di dollari – fu un ottimo successo al botteghino: quasi 49 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Whiplash?

Andrew Neiman sogna di diventare il miglior batterista della sua generazione, ma la strada per la gloria è molto più insidiosa di quanto potesse pensare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Whiplash?

Assolutamente sì.

Whiplash è una pellicola realizzata veramente con poco, retta sulle spalle di un attore di bravura immensa come J. K. Simmons, il cui ruolo gli è stato sostanzialmente cucito addosso, grazie anche alla sua presenza scenica inarrivabile.

La scelta delle inquadrature e del doppiaggio è sublime, e riesce perfettamente ad immergere lo spettatore all’interno dei vari momenti e suoni di un’orchestra, con un’ottima dinamicità e riprese mai banali.

Insomma, un esercizio di stile veramente imperdibile.

Il sogno (im)possibile

Nella primissima scena vediamo il provino di Neiman, del tutto fallimentare.

Anzi, quasi umiliante.

E che ci racconta molto del suo carattere.

Nonostante il ragazzo sia già all’interno di una – a suo dire – delle più importanti scuole di musica del mondo, non è abbastanza: il vero obiettivo è diventare al pari delle leggende della batteria.

E l’unica via è ottenere l’apprezzamento di Fletcher.

Nonostante un primo fallimento, Nielsen si sente finalmente baciato dalla fortuna quando il terribile direttore gli permette di entrare nella sua band.

In questo momento di euforia, si lascia ingannare dalle rassicurazioni di quel lupo travestito da agnello, abbassando le difese, per poi essere travolto – come tutti – dalla vera sfida: sopportare l’umiliazione, l’aggressione anche (e soprattutto) personale, la corsa impossibile per raggiungere il giusto tempo.

E allora il protagonista comincia veramente a perdere coscienza di quello che gli sta intorno, a sfidare e a sfidarsi per superare i propri limiti per raggiungere l’eccellenza. Ma neanche questo basta: servono ancora ore e ore di provini, di sangue sputato per poter ottenere la parte.

Gloria mundi

La gloria è passeggera.

Ancora una volta Nielsen ricade nell’errore di essere troppo sicuro di sé stesso, di pensare di avere la parte in tasca, di essere indiscutibilmente il migliore di tutti. Ma, allo stesso modo, basta un errore, un taxi perso, delle bacchette dimenticate per far andare tutto a rotoli.

E così, in questa lotta disperata per essere ancora il primo della classe, per dimostrare davvero di avere la potenza di una leggenda nel sangue, Nielsen è disposto persino a trascinarsi via da un incidente automobilistico, arrivare zuppo di sangue sul palco…

…e fallire miseramente.

La vera prova

Nel terzo atto è ora di voltare pagina.

Nielsen getta via – letteralmente – il suo sogno, e decide invece di dedicarsi ad altro, di trovarsi un lavoretto, di cercare di riallacciare i rapporti con Nicole – anche se inutilmente. Ma il destino è ancora una volta in agguato.

E ancora una volta il protagonista si fa gabbare dall’apparente disponibilità di Fletcher, che lo tratta come se fosse il suo alunno prediletto, come se tutto questo fosse solo successo per spianargli la strada verso la leggenda.

Ma la vera prova è quella più inaspettata.

Fletcher aveva abilmente costruito un teatrino con l’unico fine di umiliare Nielsen, per pura vendetta. Ma, inaspettatamente, il ragazzo gli dimostra di aver imparato veramente la sua lezione.

E infatti questa volta non basta un’umiliazione per farlo desistere, ma è anzi la stessa il motore che porta il protagonista a diventare il cuore della banda, e a sfociare in un disperato, quanto perfetto, assolo.

E così, finalmente, trovare negli occhi del maestro quell’apprezzamento tanto ricercato.

Fletcher Whiplash

Whiplash ci mette davanti ad un importante dilemma morale.

I metodi poco ortodossi, anzi micidiali di Fletcher hanno portato tanti ad abbandonare il proprio sogno, addirittura un suo alunno alla depressione ed al suicidio, nonostante avesse tutte le carte in regola per entrare nella leggenda.

E il maestro ci racconta in realtà per filo e per segno il suo metodo educativo per riuscire veramente a tirare fuori dai suoi studenti il loro meglio, per riuscire a scovare la prossima promessa del jazz.

E, proprio per Nielsen, ci mette davanti ad un importante what if…

Se Fletcher non avesse fatto passare l’inferno al protagonista, se non l’avesse messo continuamente davanti alle sfide, all’umiliazione, e non l’avesse anche involontariamente portato a mettersi davvero alla prova, sarebbe veramente diventato un bravo batterista?

O sarebbe rimasto solo un mediocre musicista?

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2022 Comico Damien Chazelle Dramma storico Drammatico Film Nuove Uscite Film Oscar 2023

Babylon – Il cinema che resta

Babylon (2022) è l’ultima pellicola di Damien Chazelle, regista che ha avuto il suo picco di popolarità con La la land (2016), ma che ha già dimostrato di poter spaziare in diversi generi.

Anche in questo caso.

Il film si sta purtroppo rivelando un flop commerciale: a fronte di un budget di 75 milioni di dollari, finora ne ha incassati solo 15…

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Babylon (2022)

(in nero i premi vinti)

Migliori costumi
Miglior scenografia
Migliore colonna sonora

Di cosa parla Babylon?

All’interno del cinema della fine degli Anni Venti, sulla soglia della sua più grande rivoluzione, si intrecciano le storie di diversi personaggi.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Babylon?

Margot Robbie e Diego Luna in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Assolutamente sì.

Nonostante la pellicola sia stata seppellita dalla critica statunitense – anzi, forse proprio per questo motivo – Babylon è arte pura, un racconto del profondo amore di Chazelle per la Settima Arte.

Pur con una durata veramente importante, è un film che racchiude l’apice della capacità artistica di questo regista, con degli interpreti straordinari, in particolare una Margot Robbie al massimo della forma.

Consiglio a latere: se non avete mai visto Singing in the rain (1952), vi consiglio caldamente di recuperarvelo prima della visione.

Un cinema vero

Brad Pitt in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Un grande pregio di Babylon è il riuscire a raccontare, fra il drammatico e il grottesco, cosa significava – e cosa significa – girare un film.

Un cinema disordinato, caotico, genuinamente pericoloso, dove soprattutto le più umili maestranze e comparse venivano facilmente sacrificate – anche letteralmente. Un cinema più complesso, in cui si girava tutto con la luce naturale, con mezzi quasi casalinghi.

E il passaggio al cinema degli studios non rese le cose più semplici…

Con risultati fra il comico e il grottesco.

Jack Conrad

La morte del divo

Brad Pitt in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Jack Conrad è la figura più drammatica fra i protagonisti.

Inizialmente lo vediamo come il divo intoccabile, che si muove in una consolidata rete di conoscenze e favori, la quale, insieme alla sua furbizia, gli permette di avere successo. Tuttavia da metà film la sua stella comincia lentamente a calare, in maniera inizialmente quasi impercettibile.

Ma inevitabile.

Segue fondamentalmente lo stesso arco del protagonista di The Artist (2011), ma con un esito molto più drammatico.

Ma proprio intorno a lui si sviluppa il principale concetto della pellicola: essere parte di un cinema che rimarrà, anche se ora sembra spacciato. Ma, alla fine, la pesantezza di questa conclusione, la sensazione di non avere più posto nel mondo che dava tutto il senso alla sua esistenza, costringe Jack ad uscire di scena.

Nellie LaRoy

Un minuto di fama

Morgot Robbie in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Nellie racconta in maniera molto disincantata la difficoltà di sfondare ad Hollywood, su come sia tutto basato su raccomandazioni e colpi di fortuna.

Del tutto casualmente infatti Nellie riesce a mostrare il suo talento nella recitazione – la classica situazione di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. E Margot Robbie regge perfettamente la parte, riuscendo con grande abilità ad entrare e uscire dal personaggio in scena.

Ma la fama improvvisa, come prevedibile, svanisce nel giro di pochi anni.

Perché, come tante dive prima di lei, Nellie è schiava dei vizi e dell’eccesso, e, quando arriva il momento, non riesce in alcun modo a riabilitare la sua immagine davanti alla buona società.

Così in qualche modo non riesce mai ad uscire dal suo personaggio, lo stesso che l’aveva portata alla gloria.

E infine viene inghiottita dal buio della scena.

James Mckay

La discesa nell’inferno

Tobey Mcguaire in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Prima di parlare del vero protagonista del film, voglio fare una menzione d’onore a Tobey Maguire.

Lontano dalle scene per tanto tempo e tornato solo recentemente per Spiderman – No way home (2021), in Babylon dimostra che qualcosa è cambiato. Sarà perché nelle abili mani di Chazelle, l’attore è riuscito a portare un personaggio che funziona perfettamente fra l’orrore e il grottesco.

La sua sequenza è un’effettiva discesa negli inferi, definita da lugubri tinte rossastre, in cui Mckay ci accompagna, ci trascina attraverso questa tenebra paurosa. Un paesaggio pieno di mostri, violenza e erotismo.

La versione orrorifica della sequenza iniziale della festa.

Manny Torres

Il cinema che rimane

Diego Luna in una scena di Babylon (2022) di Damien Chazelle

Manny Torres rappresenta perfettamente il modello del self-made man.

Partendo dal nulla, ricoperto da sterco di elefante, riesce, sempre grazie all’ultimo capriccio del divo, a farsi prepotentemente strada nel mondo dello show business. Ma il suo vero obbiettivo è quello di salvare Nellie, il suo oggetto del desiderio.

Da questo punto di vista è davvero interessante il racconto di come si costruisce – e ricostruisce – l’immagine pubblica di un attore.

Ma Nellie è insalvabile.

E alla fine Manny sceglie di scappare e salvare sé stesso, tornando ad Hollywood solamente molti anni dopo, quando il cinema è profondamente cambiato.

Regalandoci una scena di incredibile potenza visiva.

Raccontare il cinema

Se non si ha una conoscenza almeno basilare della storia del cinema – anche legittimamente – si potrebbe non comprendere fino in fondo la potenza della sequenza finale.

In generale, Babylon è un enorme omaggio a Singing in the rain (1952), che è proprio il film che Manny va a vedere in sala. In quel momento si rende conto di quanto, nonostante la fine drammatica degli altri personaggi, le loro storie abbiano contribuito a scrivere e costruire la storia del Cinema.

E da lì parte una lunga sequenza in cui sì va avanti e indietro nel mostrare tutto quello che il Cinema ci ha regalato – da L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (1896) a Un chien andalou (1929), fino ad arrivare ad Avatar (2009).

Fino a distruggere l’immagine in semplici colori primari che si susseguono.

Con il finale che racconta la sua commossa consapevolezza.

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Avventura Damien Chazelle Dramma familiare Dramma storico Drammatico Film Il racconto dello sbarco

First man – L’altro lato della luna

First man (2018) di Damien Chazelle è il terzo lungometraggio del regista famoso per La La Land (2016).

Purtroppo questo nuovo progetto non ebbe per nulla lo stesso riscontro, anzi fu sostanzialmente ignorato al di fuori del circuito dei festival.

E fatti fu un flop commerciale: appena 105 milioni di dollari di incasso contro un budget di 59.

Di cosa parla First man

1962, Stati Uniti. Dopo un importante lutto familiare, Neil Armstrong, il primo uomo che metterà piede sulla Luna, entra a far parte del progetto Gemini della NASA e la sua corsa disperata verso lo spazio.

Un viaggio per nulla semplice, e molto meno glorioso di quello che si potrebbe pensare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perchè First man è stato un flop e perché guardarlo comunque

Ryan Gosling in una scena di First Man (2018) di Damian Chazelle

Dipende.

Il flop di First man è facilmente spiegabile: Chazelle, invece che piegarsi al successo di La La Land, ha deciso di sperimentare con un genere diverso.

E ha prodotto una pellicola sublime, con una tecnica registica di altissimo livello, ma decisamente molto meno spendibile per il grande pubblico. Il film è infatti drammaticamente lento, ma con una lentezza voluta e necessaria.

E infatti va visto con calma, prendendosi il suo stesso tempo. E va vista perché è una pellicola spettacolare, con una tecnica e una scrittura che si avvicina a certi capolavori di Lars von Trier. Non a caso a me ha ricordato per certi aspetti Melanchonia (2011).

Quindi prendetevi il vostro tempo, ma guardatelo.

Storia di un fallimento

Ryan Gosling e Corey Stoll in una scena di First Man (2018) di Damian Chazelle

Soprattutto se non si fa parte della generazione che visse il periodo, è difficile immaginarsi il clima che circondò l’Allunaggio.

In piena guerra fredda, con questa isteria collettiva di contrasto alla Russia che si vede anche ne Il gigante di ferro (1999), e davanti ad una scia di morti e fallimenti che guastarono la credibilità del progetto. E, di conseguenza, un generale malumore dell’opinione pubblica.

Perché effettivamente per l’uomo comune statunitense esplorare lo spazio non era una grande scommessa.

E non lo è neanche per i contemporanei: basta solo pensare che gli astronauti che esploreranno altri pianeti oltre la Luna non sono, con ogni probabilità, ancora nati. E chissà quante generazioni passeranno prima che potremo vivere oltre la Terra o almeno sfruttare le risorse che gli altri pianeti ci offrono.

Fatte queste premesse, è più facile immedesimarsi nel sentimento popolare del tempo.

L’uomo sulla luna

Ryan Gosling e Claire Foy in una scena di First Man (2018) di Damian Chazelle

Il racconto di Neil Armstrong è drammatico ma necessario: non un eroe, ma un uomo come tanti, con una situazione familiare complessa, e, soprattutto, un uomo assolutamente fallibile.

Si evita insomma un tipo di narrazione di predestinazione, come si può vedere in film molto più commerciali come Captain America (2011). L’unico elemento di predestinazione in qualche misura è il fatto che il protagonista guarda sempre verso la Luna.

Ma perché Luna è un luogo lontano, quasi rassicurante, dove per un attimo Neil può davvero distaccarsi dai suoi problemi terreni, dove può finalmente dirgli addio. Toccante la scena in cui si lascia scivolare dalle dita il braccialetto della figlia, di cui non aveva mai più parlato, ma la cui morte l’aveva profondamente turbato per quasi dieci anni.

E infine si riconcilia con la moglie, che accetta la sua mano tesa.

Una regia perfetta

Quando parlo di una regia perfetta non credo di esagerare: non poteva esserci una tecnica migliore di questa per raccontare questo tipo di storia. Chazelle fa infatti grande uso della camera a mano, dando un taglio molto intimo alla maggior parte delle scene.

E, con il suo continuo e sublime uso dei primi piani stretti e strettissimi, il suo indugiare sui particolari, fa sentire lo spettatore come se fosse veramente in quella stanza, in quella astronave, ad osservare la scena.

Ancora più splendida la scelta della rappresentazione dello sbarco: sulla Luna non ci sono rumori e, quando si incammina, Armstrong non può sentire nient’altro che se stesso, il proprio respiro affannoso.

E, così, avere un momento di pace.