The Elephant Man (1980) è il primo film della fase commerciale di David Lynch – aperta e chiusa in pochi anni con Dune (1984).
A fronte di un budget molto piccolo – 5 milioni di dollari, circa 19 oggi – è stato un ottimo successo commerciale: 26 milioni in tutto il mondo (circa 100 oggi).
Di cosa parla The Elephant Man?
Frederick Treves è uno studioso di chirurgia che si trova davanti ad un caso veramente anomalo. Ma quello che sembra solo una bestia…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Elephant Man?
In generale, sì.
Facendo parte del suo timido approccio al grande pubblico di Lynch, The Elephant Man non offre ovviamente la tipica esperienza della sua filmografia, ridotta a pochi accenni comunque ben pensati, ma che mai farebbero pensare ad uns sua pellicola.
Tuttavia, nel complesso rimane una pellicola godibile, che in tempi non sospetti affronta con rara delicatezza – e, soprattutto, senza una virgola di pietismo – la storia di un moderno Frankenstein da un altro punto di vista.
Insomma, dategli un’occasione.
Nascosto
Una delle idee più indovinate di The Elephant Man è tenere per lungo tempo nascosto il protagonista.
Infatti, quella che potrebbe sembrare la classica tattica di questo tipo di film di tenere nascosto il mostro per accrescere la curiosità morbosa dello spettatore, è invece un modo intelligente e sottile di fare in modo di farci vedere prima la crudeltà che circonda il personaggio…
…così da farci empatizzare con lui per la sua condizione ora di fenomeno da baraccone, quasi una bestia, e poi come corpo che mostrare e umiliare a piacimento per una dimostrazione scientifica, senza mai curarsi dei suoi sentimenti.
E così, pur arrivando alla rivelazione del suo mostruoso aspetto in una modalità molto classica, ci arriviamo anche carichi di una particolare consapevolezza sull‘angoscia ancora inespressa di questa creatura, che proprio per la mancanza apparente di intelletto non può avere alcuna dignità.
Eppure…
Prova
John deve dare prova della sua umanità.
I goffi tentativi del Dottor Treves sono facilmente rivelati come se volesse ammaestrare l’uomo elefante, quasi come una scimmia che non fa altro che imitare il parlato umano, ma senza avere alcun tipo di capacità di elaborare pensieri propri.
E invece molti timidamente infine il protagonista riesce a dimostrare di essere molto più di quello che sembra, di saper decantare interi passi di opere letterarie, che ha segretamente imparato a memoria, e che gli permettono di evadere questa dolorosa condizione.
E nella fase centrale, man mano che John acquisisce il suo nuovo status, il film viaggia sul filo di un pericoloso pietismo, proprio per le struggenti esternazioni del protagonista davanti alla ritrovata e insperata gentilezza nei suoi confronti.
Eppure The Elephant Man rimane sempre solido su questo fronte…
…e per fortuna, considerando l’ultimo atto.
Agguato
Lo stato bestiale è sempre in agguato.
È in agguato nelle parole delle domeniche, le stesse che sulle prime erano inorridite dall’aspetto di John, ma che ora invece si dimostrano concretamente preoccupate davanti alla curiosità morbosa degli ospiti di John…
…per paura che il protagonista possa essere ferito da individui che lo continuano a considerare come un fenomeno fa baraccone.
E quel pericolo è sempre in agguato soprattutto per la presenza del crudele, colpevole di una scena veramente struggente in cui John viene totalmente spogliato della sua ritrovata umanità per diventare una pura bestia da strattonare secondo i desideri del pubblico…
…per poi essere definitivamente rapito per capitalizzare sulla sua pelle, spogliato e rinchiuso in una gabbia, vittima del generale ludibrio, che perlomeno attrae la naturale pietà degli altri freaks, che gli offrono la possibilità di fuggire.
Ma non basta.
Nel finale è fondamentale per il protagonista riuscire finalmente ad autodeterminarsi come uomo, davanti ad una folla pronta ad assaltarlo, accompagnandoci così ad un finale agrodolce, in cui John si abbandona ad un sonno sereno di quel che rimane della sua breve vita.