One Hour Photo (2002) di Mark Romanek è un thriller psicologico con protagonista Robin Williams in uno dei titoli più particolari della sua carriera.
A fronte di un budget piuttosto contenuto – 12 milioni di dollari – è stato nel complesso un ottimo successo commerciale: 52 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla One Hour Photo?
Sy è un dipendente del laboratorio di sviluppo fotografico della SaveMart ed è totalmente innamorato del suo lavoro. Una persona che non farebbe male ad una mosca…giusto?
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere One Hour Photo?
Assolutamente sì.
One Hour Photo vi sembrerà un titolo veramente anomalo se siete abituati ai personaggi bonari e confortanti della filmografia di Williams – come Mrs. Doubtfire (1993) e L’attimo fuggente (1989).
Ma, proprio per questo, è un’opera che vale la pena di essere scoperta, anche solo come ulteriore conferma di quanto fosse un interprete multiforme e pronto ad intraprendere i ruoli più diversi, soprattutto quando, come in questo caso, era premiato da una scrittura precisa e profondamente enigmatica.
Aspettative
One Hour Photo gioca sulle aspettative.
E in due direzioni.
Da una parte, si basa sui personaggi più iconici della carriera di Williams, che per diversi anni aveva fatto innamorare il pubblico con le sue figure accoglienti e confortanti – anche nei titoli più drammatici come Will Hunting (1997) – fingendo di portare in scena un ruolo analogo…
…nonostante l’apertura del film ci porti in una direzione totalmente differente, suggerendoci (senza mostrarlo) che il protagonista si sia macchiato di atti sanguinosi e disturbanti, di cui parla con la massima tranquillità, interessato esclusivamente ai suoi preziosi scatti.
Eppure, anche questa è una falsa pista.
E solo una delle tante.
Ruolo?
Sy vuole prendere il posto di Will?
Uno dei lati più inquietanti del protagonista è il suo atteggiamento nei confronti sia di Nina che del piccolo Jake, verso cui nutre evidentemente un interesse morboso, cercando con piccoli ed ingenui stratagemmi di inserirsi forzosamente nella loro vita.
E l’innocuo autoscatto con la fotocamera di famiglia è solo l’inizio.
Per Nina Sy sembra volersi riproporre come un compagno più premuroso e attento, gettando l’esca con la comune lettura, con cui riesce ad attaccare facilmente bottone con la donna, di cui percepisce la profonda insoddisfazione nei confronti del marito.
Invece per Jake vuole essere il padre presente e accogliente che Will non è mai stato, diventando l’unico partecipante della sua partita di baseball, e pure sbilanciandosi nel voler difendere il bambino dal suo acre allenatore e pure comprandogli dei giocattoli sottobanco.
Ma la realtà è ben più complessa.
Ruolo
Sy non vuole – e non può – prendere il post di Will.
Nel suo struggente monologo finale il protagonista rivela il suo ambiguo risentimento nei confronti della famiglia Yorkin, di cui vuole prendere parte non come nuovo patriarca, ma come un pezzo aggiuntivo di un nucleo affettivo che gli appare così tanto desiderabile.
Per questo il suo odio verso Will non deriva dall’impossibilità di sostituirlo, ma bensì dall’osservare come un uomo così egoista sprechi totalmente il grande regalo che la vita gli ha fatto, lontano dagli orrori dell’infanzia che hanno invece segnato l’esistenza del protagonista.
Proprio per questo sulle prime Sy si immagina come una parte ormai integrata della famiglia, un vecchio zio che vizia il bambino e che, al contempo, tiene così tanto ai suoi parenti da volerli proteggere dalla disgustosa infedeltà di Will.
E nel finale tutto viene perfettamente rivelato.
Angolo
Sy può vivere solamente nella finzione.
Il protagonista ha costruito una sceneggiata del tutto fittizia nei confronti di Will e della sua amante – come ci tiene più volte a ribadire durante la tortura – ma non per umiliarli, ma bensì per creare uno spazio di cui può fare finalmente parte.
Una realtà ideale rappresentata dalle foto perfette e idilliache che aveva sviluppato, dalla grottesca galleria di momenti della famiglia Yorkin nella sua stessa casa, creata con una serie di scatti rubati ed impressi nel tempo nella loro fugace perfezione.
Ma di questa realtà Sy non può esserne il centro.
Infatti il focus dei suoi scatti finali non sono i due vergognosi soggetti umani, ma bensì gli oggetti di sfondo, di contorno, in cui Sy rivede perfettamente se stesso, incastonato in una panorama di cui può finalmente fare parte, anche se relegato agli angoli dell’inquadratura…
…gli unici dove gli è possibile stare.