La spada nella roccia (1963) è il diciottesimo Classico Disney, nonché l’ultimo uscito prima della morte di Walt Disney – e l’ultimo che supervisionò direttamente.
A fronte di un budget di 2 milioni di dollari, fu un buon successo commerciale: 4,75 milioni di dollari nella sua prima distribuzione.
Di cosa parla La spada nella roccia?
Artù è un giovane ragazzo orfano destinato a diventare uno scudiero. Ma il destino ha in mente qualcosa di diverso per lui…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere La spada nella roccia?
Assolutamente sì.
Anche se spesso è considerato un film minore nella storia della Disney di questo periodo, La spada nella roccia è una pellicola da riscoprire: ereditando la narrazione per quadri di Lilli e il Vagabondo (1955), questo Classico è un tipico coming of age…
…ma che riesce a distinguersi da molti suoi simili grazie ad un umorismo piacevolissimo, una morale che rappresenta un incontro fra realtà storica ed evoluzione del protagonista piuttosto peculiare, e momenti ormai diventati iconici.
Insomma, da vedere.
La spada nella roccia Produzione
La spada nella roccia era nei piani della Disney fin dal 1939.
Infatti quell’anno Walt Disney acquistò i diritti per trasporre l’opera di T. H. White, ma in piani produttivi saltarono più volte negli anni, prima di tutto per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e poi per il progressivo disinteresse nei confronti del progetto.
Proprio come La carica dei 101 (1961), anche la sceneggiatura de La spada nella roccia fu sviluppata da un unico autore, che richiese non meno di due rielaborazioni, anche per la difficoltà intrinseca di adattare l’opera di partenza.
Il casting vocale fu turbolento.
La prima scelta per il doppiaggio di Artù fu Rickie Sorensen, che però crebbe considerevolmente durante la produzione, al punto da dover essere sostituito da due figli del regista, Wolfgang Reitherman.
Ne consegue che, fra una scena e l’altra, e persino all’interno della stessa scena, si può notare un cambiamento vocale per il personaggio di Artù.
Per la parte animata si utilizzò ancora una volta la tecnica Xerox, con l’aggiunta della tecnica touch-up per la fase di pulizia delle bozze che andavano poi effettivamente a comporre le immagini della pellicola.
Grazie a questa nuova idea, gli assistenti di animazione, che prima avrebbero dovuto trasferire gli schizzi degli animatori della regia su nuovi fogli di carta, scrivevano invece direttamente sugli schizzi degli animatori, riuscendo così a risparmiare molto tempo.
Immaturità
Pur con qualche perdonabile ingenuità, il racconto dell’immaturità storica de La spada nella roccia è davvero ottimo.
Il periodo portato in scena può essere volgarmente collocato nell’Alto Medioevo, sicuramente in un’epoca pre-carolingia: per quanto secoli non così devastanti come spesso raccontati, comunque rappresentarono un momento di grande povertà e di dispersione culturale.
Il deterioramento del sistema scolastico, la frammentazione del panorama intellettuale, dovuta anche alla devastazione politica, rende infatti credibile un analfabetismo diffuso e un’epoca basata unicamente sul valore della forza.
E proprio qui si inserisce Merlino.
Prospettiva
Merlino rappresenta lo spettatore…
…e con lo stesso dialoga.
Avendo una prospettiva – seppur non chiarissima – dell’evoluzione umana, quasi da umanista incallito, Merlino non riesce a sopportare questo guazzabuglio medievale, quasi come se fosse lo spettatore contemporaneo calato in una realtà senza elettricità, senza idraulica, senza cultura…
Proprio per questo, l’educazione di Artù non è fine a sé stessa.
Merlino non vuole solo educare il futuro Re di un’Inghilterra mancante di una guida, mancante di alcun tipo di lungimiranza, ma vuole fare in modo che lo stesso sia il punto di svolta per la stessa, soprattutto culturalmente parlando.
In questo senso il mago esagera anche nel suo coinvolgimento – proponendo materie, come la biologia, che non esistevano proprio in quel periodo – ma proprio perché nella sua prospettiva è fondamentale gettare le basi per un’Europa acculturata e con una visione proiettata verso il futuro.
Per questo Artù non è Artù…
Corrispondenza
Senza voler portare un’eccessiva sovralettura, il personaggio di Artù, più che corrispondente al mitico condottiero britannico del VI sec., è una rappresentazione più o meno consapevole di Carlo Magno.
Saltando qualche secolo in avanti e spostandoci a livello geografico, il leggendario Re dei Franchi era sostanzialmente una analfabeta che gettò le basi culturali fondamentali per la rinascita intellettuale dell’Occidente fra il Basso Medioevo e l’Età Umanistica.
Insomma, una figura storica capace di cambiare prospettiva.
Ed è proprio questa la base della sua apparentemente stramba educazione.
Merlino cerca di porre il giovane pupillo in vesti diverse e molto più indifese, dove Artù deve capire come salvarsi la pelle grazie al suo intelletto e non più (solamente) tramite la forza, proprio per portare ad una visione molto più a lungo raggio.
In questo modo Artù potrà effettivamente essere il Re che farà cambiare prospettiva al suo Paese e all’Occidente tutto, proprio mentre l’Inghilterra sta cercando il suo prossimo regnante – e la sua prossima guida – ancora tramite una prova di forza.
Ostacolo
Perché Artù può estrarre la spada?
Anche se la sfuriata di Merlino quando il giovane protagonista sceglie di diventare uno scudiero sembra troppo improvvisa, in realtà è del tutto giustificata: nonostante i suoi grandi sforzi, il suo pupillo sceglie comunque di sottomettersi alla cultura dominante…
…e di porsi anzi in secondo piano in un mondo definito da scontri all’ultimo sangue e da una totale dimenticanza del vero simbolo che avrebbe definito il futuro del Paese – la Spada nella Roccia – che viene riscoperto proprio dal protagonista.
E Artù può estrarre la spada perché, nonostante la sua poca forza fisica, ha dimostrato in più occasioni di sapersi – anche solo potenzialmente – adattare a circostanze cangianti e sfidanti, e quindi di essere capace, a differenza dei suoi compatrioti, di diventare la guida di cui il suo Paese ha bisogno.
Per questo Merlino sceglie di tornare da Artù proprio nel momento di maggior bisogno, quando lo stesso ha mosso il primo passo nella sua evoluzione, ma quando ha ancora bisogno di una insegnante che gli faccia guardare al futuro con una maggior consapevolezza e intelligenza.