Categorie
Dramma storico Drammatico Film Film Primavera 2022

Marie Antoinette – Morte all’austriaca

Marie Antoinette (2006) è uno dei primi film di Sofia Coppola, e uno dei miei preferiti della sua produzione.

A fronte di un budget abbastanza consistente – 40 milioni – fu un discreto flop: appena 60 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Marie Antoinette

La giovanissima Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa d’Austria, viene catapultata nella realtà della Corte di Versailles, un luogo a lei particolarmente antagonistico…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Marie Antoinette?

Mary Nighy, Kirsten Dunst e Judy Davis in una scena del film Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola

Assolutamente sì.

Anche se il trailer lo fa sembrare un dramma in costume di seconda categoria, in realtà è molto di più: Sofia Coppola ha voluto rivisitare l’estetica del periodo con colori molto carichi e canzoni pop di sottofondo.

Ma non eccedendo mai in questo senso.

Anzi, il suo tocco registico ben si adatta al contesto storico, riuscendo anzi ad alleggerire la pesantezza complessiva della vicenda. Non un film non del tutto leggero o spensierato, ma un racconto profondamente autoriale e con tematiche non del tutto semplici.

Tuttavia, anche se la storia procede abbastanza speditamente, ricca di avvenimenti, manca di quel drama che potrebbe tenervi facilmente attaccati allo schermo.

Raccontare Marie Antoinette

Raccontare Marie Antoinette non è semplice.

La sua figura è stata inquinata dai fiumi di inchiostro versati degli intellettuali del tempo (e oltre): l’ultima regina di Francia divenne un capro espiatorio della Rivoluzione Francese, fu odiata dentro e fuori Versailles perché austriaca (e quindi straniera).

E, sopratutto, divenne simbolo di tutti gli eccessi della nobiltà dell’ancien regime.

Invece, se ci informa da fonti più super partes, Maria Antonietta era quella che si vede nel film: una ragazza molto semplice, financo frivola, per nulla pronta alle responsabilità che le furono messe sulle spalle.

Inoltre, non volle mai essere una spia per la sua patria né si interessò mai di politica. Preferì invece godersi il suo lusso e i suoi privilegi, nonostante l’ambiente soffocante della corte di Francia e i suoi problemi matrimoniali.

La regista ha infatti reso la figura di Maria Antonietta il più vicino possibile alla realtà storica, andando anche a smentire i pettegolezzi che la circondarono per secoli, portando un personaggio tridimensionale e ben esplorato.

Un matrimonio disastrato?

Altra finezza della sceneggiatura è di aver raccontato nella maniera più credibile e storicamente accurata il rapporto fra Luigi XVI e Maria Antonietta.

Infatti, il loro matrimonio non andava in porto non perché il Delfino disprezzasse la moglie, ma perché aveva un blocco con lei in quanto austriaca. Per questo ho preferito vedere Luigi XVI interessato più alle sue passioni e molto meno al rapporto sessuale con la moglie.

Sarebbe stato piuttosto facile raccontare – sbagliando – un marito crudele e vendicativo che si intratteneva con altre donne, ignorando la sua sposa. Invece si mostra come la loro relazione si costruì col tempo, arrivando se non all’amore, quantomeno ad un rapporto di affetto e di rispetto reciproco.

Splendido sempre in questo senso il modo in cui viene raccontata la loro relazione sessuale: per nulla smaccato o volgare, ma anzi genuinamente divertente e sottile.

Gli eccessi della nobiltà

Kirsten Dunst in una scena del film Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola

Altro elemento fondamentale è la rappresentazione di Versailles.

Un luogo di frivolezza, formalità al limite dell’assurdo ed un pettegolezzo continuo. Quindi la realizzazione del sogno del Re Sole, Luigi XIV, che portò tutti i nobili di Francia presso la sua corte per poterli controllare e di fatto privare del loro potere politico.

E infatti non vediamo mai questi personaggi complottare politicamente, ma solo vivere una vita dissoluta e frivolissima, interessati solo all’ultima chiacchiera e all’ultimo scandalo di corte.

Gli unici personaggi che parlano di politica, e in pochissime scene, sono Luigi XVI e i suoi collaboratori, e vagamente anche Maria Teresa alla nipote Maria Antonietta.

Tuttavia, come anticipato, non si racconta una nobiltà dissoluta al limite della volgarità, magari con scene di sesso piuttosto spinte come in altri prodotti già citati. Le scene di sesso ci sono, ma sono rese piuttosto artisticamente e ben amalgamate all’interno del contesto raccontato.

Categorie
2021 Commedia Commedia romantica Drammatico Film Oscar 2022

The worst person in the world – Una generazione perduta?

The worst person in the world (2021) è un film norvegese, per la regia di Joachim Trier, cineasta già attivo da molti anni e che con questo film chiude la sua Trilogia di Oslo. La pellicola è stata candidata a Miglior film internazionale agli Oscar 2022 (perdendo contro Drive my car) e al Festival di Cannes 2021 ha conquistato il premio per Miglior interpretazione femminile.

Un film che si propone di raccontare il dilemma generazione dei millenials, all’interno di una commedia romantica.

Ci è riuscito?

Di cosa parla The worst person in the world

La pellicola racconta di Julie, una ragazza di quasi trent’anni che cerca costantemente di trovare la propria strada nella vita, stressata dalla generazione più vecchia di lei per prendere una decisione e far fronte alle sue responsabilità. E, per questo, si barcamena fra due relazioni sentimentali.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché The worst person in the world non funziona (secondo me)

Renate Hansen Reinsveen e Anders Danielsen Lie in una scena del film The worst person in the world (2021) uscito in italia come La persona peggiore del mondo candidato all'oscar come miglior film internazionale

Come anticipato, The worst person in the world sembrava voler raccontare un dilemma generazionale: i millennial sono una generazione di adulti trattati dalla società con gli stessi parametri di una realtà culturale ormai tramontata. Troppo giovani per essere presi sul serio, ma abbastanza adulti da prendere scelte importanti sulla propria vita.

La pellicola pare appunto voler partire da queste premesse, sviluppando la tematica attraverso il racconto delle relazioni romantiche travagliate della protagonista. In realtà, a parte qualche concetto femminista buttato lì e qualche problema generazionale non particolarmente esplorato, The worst person in the world non è altro che una commedia romantica di medio livello, che cade nel facile patetismo sul finale.

La persona peggiore del mondo?

Renate Hansen Reinsveen e Anders Danielsen Lie in una scena del film The worst person in the world (2021) uscito in italia come La persona peggiore del mondo candidato all'oscar come miglior film internazionale

Il film si propone fin dal titolo di raccontare il dramma e il conflitto della protagonista, che si sente appunto la persona peggiore del mondo per le sue scelte di vita. Il problema è che sicuramente Julie fa delle scelte che moralmente non sono del tutto condivisibili, ma sono anche le migliori per lei. E questo, che sembrava dover essere il tema principale della pellicola, non viene affrontato fino in fondo, non riuscendo di conseguenza a contestualizzare adeguatamente il titolo e la tematica.

Ho visto molto più focus, soprattutto nella parte finale, sul personaggio di Aksel, il fidanzato quarantaquattrenne con cui Julie ha un evidente conflitto generazionale. A lui viene infatti viene dedicato ampio spazio nelle ultime sequenze, in particolare con un monologo dal forte impatto emotivo. Insomma, il suo personaggio mi è sembrato decisamente più profondo ed esplorato rispetto a quello della protagonista, complice probabilmente anche il fatto che chi ha scritto e diretto la pellicola fa parte della generazione di Askel, appunto.

Vale la pena di vedere The worst person in the world?

Renate Hansen Reinsveen in una scena del film The worst person in the world (2021) uscito in italia come La persona peggiore del mondo candidato all'oscar come miglior film internazionale

Nonostante il film sia a mio parere fallace nel rendere al meglio la tematica trattata, è complessivamente un film godibile, soprattutto se apprezzate le commedie romantiche. In particolare se siete amanti della produzione europea, generalmente estranea agli stereotipi più smaccati del genere, come invece tipico del cinema statunitense.

Semplicemente, non aspettatevi un film particolarmente brillante come si propone di essere.

Categorie
2022 Avventura Azione Dramma storico Drammatico Fantasy Film Nuove Uscite Film

The Northman – L’epopea estenuante

The Northman (2022) è l’ultima pellicola diretta da Robert Eggers, cineasta attivo solo da pochi anni, ma che ha già lasciato un’impronta importantissima nel mondo del cinema. Infatti le sue due prime pellicole, The Witch (2015) e The Lighthouse (2021), sono dei piccoli capolavori.

The Northman è il primo prodotto ad alto budget in cui Eggers viene coinvolto, riuscendo comunque a mantenere la sua inconfondibile forma autoriale. Tuttavia, essersi aperto al cinema mainstream potrebbe non essere la scelta migliore per questo regista.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla The Northman

La trama prende ispirazione dall’Amleto di Shakespeare ed è ambientata nell’Europa del Nord del X sec. a. C. Il giovane Amleth è il primogenito ed erede al trono della dinastia del padre, il Re Corvo. Il genitore viene tuttavia ucciso davanti ai suoi occhi da un terribile tradimento, costringendo il giovane alla fuga, ma giurando vendetta.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

C’è un po’ di Eggers in questo film

Alexander Skarsgård in una scena del film The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Io sono una grande fan di Eggers: ho apprezzato il suo The Witch per la freschezza che ha portato al genere, e mi ha incantato con la sua follia in The Lighthouse. Quindi le mie aspettative erano ovviamente altissime.

E, nel complesso, non posso dire che siano state deluse. Come anticipato, la firma di Eggers si sente: splendide sequenze oniriche, sempre al limite del fantastico e del delirio, l’elemento magico ben contestualizzato soprattutto nella figura dell’animale simbolo sempre presente nelle sue pellicole, personaggi potenti e monumentali.

Tuttavia, questa pellicola non è Eggers fino in fondo, e i problemi produttivi sono esplicativi in questo senso: il montaggio è derivato da un compromesso fra la produzione e il regista. Quindi se da una parte abbiamo un film comunque complesso, costruito con grande cura, con una ricerca storica precisa e lucida, dall’altra abbiamo il tentativo di rendere un prodotto più digeribile per il grande pubblico.

Quindi, come The Lighthouse mi era sembrato il punto di arrivo di una carriera già fulminante di un cineasta di altissimo livello, The Northman mi è parsa in parte una soluzione di compromesso. Insomma, una pellicola che, se Eggers fosse stato lasciato a briglie sciolte, mi sarebbe piaciuta probabilmente di più.

Ma non per questo mi sento di bocciarlo, tutt’altro.

Il cast delle grandi occasioni

Alexander Skarsgård e Anya Taylor Joy in una scena del film  The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

All’interno di una trama con uno scheletro narrativo complessivamente semplice, il protagonista è invece complesso e tridimensionale. Interpretato dall’ottimo Alexander Skarsgård, che è anche produttore e ideatore del film, Amleth è un personaggio profondamente tormentato, violento e ossessionato, oltre che estremamente fallibile. Quindi tutt’altro che un eroe di un’epopea in senso classico, ma un uomo guidato ed accecato da una profonda e terribile vendetta.

Oltre a questo, Eggers ha avuto come sempre a disposizione un cast di altissimo livello: anzitutto Anya Taylor Joy, attrice praticamente scoperta da questo regista, conosciuta soprattutto per la serie tv La regina degli scacchi, ma che ha dato prova di grandi capacità anche in prodotti più di nicchia come appunto The Witch e il più recente Emma (2020). Inoltre, un’ottima prova attoriale di Nicole Kidman: nonostante la difficoltà dell’espressività del volto dovuta alla pesante chirurgia plastica cui si è sottoposta (per sua stessa ammissione), è stata premiata da una regia indovinata, che le è stata cucita addosso per esaltare al meglio le sue capacità recitative. E infine l’inarrestabile Ethan Hawk, che appare per poco ma che è ancora in splendida forma (per quanto mi avesse fatto perdere le speranze nel recente Moonknight).

Un cast delle grandi occasioni, appunto.

The Northman fa per me?

Ethan Hawk in una scena del film di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

C’è solo un prodotto a cui mi sento di paragonare The Northman, ovvero la serie Sky nostrana Romolus, creata dall’ottimo Matteo Rovere. Quindi se vi è piaciuta quella serie, guardate The Northman.

Nello specifico, se apprezzate le saghe epiche, con una contestualizzazione storica praticamente perfetta, un ritmo incalzante, in un contesto assolutamente brutale e violento, può fare certamente per voi. Tuttavia, se siete fan puristi di Eggers come me, ridimensionate le aspettative.

Rimandare la vendetta

Alexander Skarsgård in una scena del film The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Una delle cose che mi hanno poco convinto della pellicola è stato l’andamento del piano di Amleth: si ha la sensazione che il protagonista continui ad annunciare la sua vendetta, ma si prenda tantissimo tempo prima di metterla in atto.

Allo stesso modo, ho trovato quasi estenuante questo continuo rimando dello scontro finale, come se dovesse essere per forza costruito a tavolino. Capisco che Amleth volesse seguire la sua profezia, ma sembra quasi doverla forzare perché si avveri: ne è un esempio chiarissimo il fatto che debba darsi un appuntamento sul vulcano per il maledetto duello con Fjölnir, come prescritto dalla predizione, e questo non possa avvenire quando i due si trovano faccia a faccia, con ai piedi i cadaveri dei loro congiunti. Ma è l’unico problema effettivo che mi sento di segnalare, dovuto fra l’altro, a mio parere, al compromesso di montaggio di cui sopra.

Personaggi femminili vincenti

Anya Taylor Joy in una scena del film  The Northman (2022) di Robert Eggers in uscita il 21 aprile

Una delle cose che riesco meno a sopportare, più dei personaggi femminili stile Mary Sue, sono i personaggi femminili forzati in situazioni dove appaiono totalmente fuori luogo. Uno degli esempi che per primo mi viene alla mente è quello della bambina protagonista di Dumbo (2019): povera in canna, realisticamente analfabeta, anacronisticamente interessata alla scienza, con un personaggio falsamente al passo coi tempi.

Invece la bellezza di questo film è anche di non aver neanche pensato a provare ad introdurre personaggi femminili irrealistici, magari donne guerriere fuori dal tempo. Invece si è deciso di sfruttare quello che si aveva disposizione nella realtà storica rappresentata, forti anche di una solida ricerca al riguardo: anzitutto Olga, ridotta schiava, legata al mondo della magia e dell’esoterismo, che si rifiuta violentemente di sottomettersi alla sua condizione e che aiuta il protagonista ad attuare il suo piano.

Ma soprattutto nota di merito per il personaggio di Nicole Kidman, Gudrún: invece di essere ridotta al ruolo di madre e moglie fedele, è una donna che ha ritrovato una vita felice alle spalle di un marito che l’aveva forzata ad una gravidanza e ad un matrimonio che non la rendeva felice. Un personaggio femminile che non ha paura di essere violento persino verso il figlio e di rivoltare la situazione del tradimento fratricida a suo vantaggio. Una donna terribile, certo, ma non ingabbiata in uno stereotipo pesante e datato. E, per questo, decisamente più interessante di quanto mi sarei aspettata.

Categorie
Avventura Cinema per ragazzi Commedia Commedia nera Cult rivisti oggi Dramma familiare Drammatico Film Film Primavera 2022 Racconto di formazione

Little Miss Sunshine – Vincere a tutti i costi

Little Miss Sunshine (2006) di Jonathan Dayton e Valerie Faris, è un piccolo cult di inizio Anni 2000.

Non a caso, a fronte di un budget risicatissimo – appena 8 milioni di dollari – sbancò i botteghini internazionali con 108 milioni di incasso, e fu candidato a tre premi Oscar, vincendone due.

Di cosa parla Little Miss Sunshine?

Una piccola famiglia della classe media affronta un viaggio improvviso per accompagnare la piccola Ollie. In questa occasione ogni personaggio svilupperà il proprio percorso, con piccoli e grandi drammi personali…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Little Miss Sunshine?

Assolutamente sì.

Little Miss Sunshine divenne un cult all’epoca per tanti motivi.

Prima di tutto, è un film davvero ben scritto, che porta in scena alternativamente momenti incredibilmente divertenti, sia sequenze assai drammatiche, con sempre un’importante riflessione di fondo.

Un prodotto da recuperare assolutamente, per ridere, piangere e appassionarsi sinceramente alle storie dei personaggi, oltre che per venire vicino ad un mondo e ad una cultura che sono dominanti nel panorama internazionale, ma molto diversi dalla nostra cultura europea.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Vincere e perdere

Abigail Breslin, Toni Colette, Steve Carelle e Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

La bellezza di Little Miss Sunshine risiede soprattutto la sua capacità di raccontare una storia davvero corale, dove ogni personaggio è tridimensionale e ha un’evoluzione avvincente.

Non a caso il film si apre con una piccola carrellata di scene di presentazione di tutti i personaggi ed il loro arco narrativo.

La piccola Olive e il suo sogno, il padre e il suo corso di life coaching, il fratello e la sua sfida, il nonno e la dipendenza dalle droghe, la madre che è il suo rapporto difficile col fratello, e infine il fratello suicida.

Il tema principale, come anticipato, è la cultura della vittoria. Vincere, vincere per forza, unica cosa che conta, come ben si vede dalle prime due scene: Olive che guarda e sogna la vittoria come reginetta di bellezza e il padre che racconta come si può essere o vincitori o perdenti. E bisogna essere vincitori.

E infatti ogni personaggio riesce a vincere e a perdere la sua battaglia personale.

Olive Little Miss Sunshine

Olive è una bambina di appena sette anni, eppure è il perno dell’intera pellicola.

Vediamo molto spesso il tutto dal suo punto di vista, che riesce ad empatizzare, nonché a venire in aiuto degli altri personaggi: Frank e il suo dramma personale, così il fratello Dwayne e la sua sconfitta.

Il sogno di Olive non è realmente quello di vincere per essere bella, ma di vincere per divertirsi. Tuttavia non è, pur ingenuamente, estranea a tutte le pressioni sociali che vogliono che lei sia bella, magra e già perfetta.

Emblematica in questo senso la scena in cui il padre cerca di convincerla a non mangiare il gelato per non ingrassare, così come quelle in cui si guarda allo specchio, più di una volta, preoccupandosi di non essere abbastanza bella.

Sono bella?

Abigail Breslin in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Effettivamente Olive non è una ragazzina convenzionalmente bella: è una bambina come tante, con un aspetto nella media, che non cerca di essere niente di più bello o di diverso dalla sua età.

Ma è comunque appunto influenzata dagli stimoli esterni del mondo degli adulti, tanto che chiede al nonno se lei è effettivamente bella e se riuscirà a vincere. Tuttavia, solo delle ansie derivate esternamente, non qualcosa che nasce naturalmente da lei.

La drammatica realtà è che se Olive non avesse le influenze positive di alcuni membri della sua famiglia, in poco tempo sarebbe caduta in un disturbo alimentare, come altre ragazzine prima di lei.

Frank Little Miss Sunshine

Frank è un perdente, sia per come si sente, sia perché non riesce a vincere il suo onore e andare avanti con la propria vita.

Non riesce a lasciare da parte il più grande traguardo della propria vita, l’unica cosa con cui riesce a definirsi.

E infatti alla fine il motivo vero del suo tentato suicidio non è né un amore fallito né aver perso il lavoro, ma aver perso il suo riconoscimento, che ribadisce (anche se scherzosamente), in altri momenti della pellicola.

La vittoria di Frank è riuscire a trovare una nuova identità, a capire di essere una persona completa anche senza essere riconosciuto come vincente. E riesce a riconoscersi in un nuovo contesto e un nuovo obbiettivo: la sua famiglia.

Non a caso è il primo a correre verso l’hotel del concorso.

E, non a caso, quando vede sul giornale il suo rivale riconosciuto con il premio che lui pensa che gli sia dovuto, lo mette via con solo una smorfia di disappunto, ma, infine, di accettazione.

Dwayne Litte Miss Sunshine

Dwayne è in una crisi esistenziale estrema.

Sente di odiare profondamente la sua famiglia e porta testardamente avanti l’obbiettivo di liberarsi dalla stessa.

Ma, in realtà, c’è una persona a cui non può odiare: Olive. Non è un caso infatti che sia Dwayne sia quello che si accorge della mancanza della sorella quando questa viene dimenticata alla stazione di servizio

E così Olive è l’unica persona che riesce veramente, e senza una parola, a convincerlo a tornare dalla famiglia quando Dwayne ha la sua crisi. E infine il ragazzo, come Frank, accetta che, anche se non verrà riconosciuto come quello che vorrebbe essere dagli altri, potrà comunque fare quello che lo renderà felice.

E questo senza doversi isolare da tutti, anzi preoccupandosi sinceramente per la sorella.

Il nonno Litte Miss Sunshine

Il nonno vuole vincere la sua libertà.

La libertà di vivere come vuole, anche in modo non accettato dalla società purista americana. E continua a farlo, nonostante le conseguenze, e fino alla fine. E alla fine muore, ma felicemente.

Insieme a Sheryl, il nonno è uno degli elementi di unione e un motore dell’azione, sia da vivo che da morto. Infatti il climax finale del ballo della famiglia, una danza gioiosa di unione, è merito della sfacciataggine del nonno.

La famiglia riesce a proseguire il viaggio, nonostante il cadavere nel bagagliaio, per le riviste pornografiche che il nonno ha acquistato. E tutta la vicenda è messa in moto dallo stesso, che aiuta la nipote nel suo spettacolo.

Richard Little Miss Sunshine

Richard è l’elemento più problematico del film.

Impulsivo, ossessionato dal sogno americano di vincere o perdere.

Senza vie di mezzo.

Durante la pellicola deve tuttavia prendere delle decisioni importanti, che gli fanno mettere in discussione i suoi valori. In particolare il momento di consapevolezza avviene durante il concorso di bellezza.

Guardando quelle bambine truccate e sessualizzate all’inverosimile, capisce che non vale sempre la pena vincere sempre, che sua figlia non deve per forza gareggiare, se sono queste le condizioni.

E infine anche lui sceglie la propria famiglia, proteggendo la figlia e intervenendo per primo per aprire la danza finale, nonostante sa che così verrà definitivamente escluso ed umiliato.

Ma ormai non è più importante.

Sheryl Little Miss Sunshine

Sheryl è una donna forte, coi piedi ben piantati a terra, che cerca di unire la famiglia.

La sua vittoria, alla fine, è riuscire a riportare insieme i suoi familiari, come cerca di fare per tutta la pellicola: riprende Richard quando intimorisce Olive, cerca di aiutare Frank, cerca in tutti i modi di ricongiungersi con Dwayne quando perde la testa e, alla fine, sostiene tutti sulle sue spalle.

È davvero il collante del gruppo.

È forse il personaggio che vince di più di tutti: riesce a vedere la famiglia finalmente e davvero unita, come avrebbe voluto, e per questo chiude le danze, correndo felice verso la figlia.

Vincere da subito

Little miss sunshine

Il tema principale della pellicola è ben esplicitato dal concorso stesso, che rappresenta l’atto conclusivo nonché il punto di arrivo del climax dell’intera pellicola.

Può sembrare eccessivo ed esagerato, ma è invece tremendamente reale.

L’ultimo tassello nel mosaico della cultura della vittoria a tutti i costi degli Stati Uniti, quando fin da giovanissimi si viene messi in competizione. Vestiti da adulti, costretti a diventare degli oggetti di scena, principalmente a favore dei genitori stessi e del ritorno economico che ne può derivare.

Little miss sunshine

Ci sono state molte discussioni, soprattutto ai tempi, sulla questione dei concorsi di bellezza.

La maggiore questione è che queste occasioni rappresentavano (e rappresentano) perfettamente il sogno americano. Non seguono infatti grandi capitali per accedervi, basta essere abbastanza belli e saper fare qualcosa di interessante, soprattutto nei circuiti più bassi.

E infatti le facce delle persone del pubblico sono facce assolutamente normali e ordinarie.

L’ipocrisia

Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Little Miss Sunshine mette bene in scena la sessualizzazione rasente alla pedofilia di questi concorsi, con ragazzine truccate e acconciate come modelle, eroicizzate al limite del sopportabile ed estremamente ammiccanti.

Non a caso è emblematica la faccia del padre quando vede lo spettacolo, profondamente a disagio, come ogni persona di buon senso si sentirebbe.

E così lo spettatore con lui.

E quindi l’ipocrisia sta nel fatto che, quando una bambina fa qualcosa di effettivamente erotico e apparentemente volgare, in realtà semplicemente divertendosi nella sua ingenuità dei sette anni, è assolutamente inaccettabile.

Vivere di espedienti

Greg Kinnear in una scena del film Little miss sunshine (2006)

Come la maggior parte della classe media statunitense e delle persone che partecipano a questo tipo di concorsi, la famiglia della pellicola è in difficoltà economica. Deve sempre vivere di espedienti e soluzioni dell’ultimo minuto per andare avanti, faticosamente, perdendo ogni energia.

Perché se ci si arrende si è, appunto, dei perdenti.

Così non possono lasciare Frank in ospedale per farsi curare adeguatamente perché non c’è l’assicurazione sanitaria adatta. Non possono prendere un aereo per andare in California, non possono permettersi un’alternativa all’auto rotta. In ogni modo devo mettersi insieme, mettersi in strada.

Il viaggio e tutti i suoi ostacoli rappresentano perfettamente come è la loro vita: un imprevisto dietro l’altro, a cui non sono sempre pronti a rispondere.

Bonus

Breaking bad, sei tu?

In Little Miss Sunshine ci sono dei collegamenti involontari alla serie Breaking bad, che esordì sui nostri schermi due anni dopo.

Anzitutto, la famiglia abita ad Albuquerque, dove si svolge anche la serie tv. Inoltre nel film appaiono per dei camei Bryan Cranston come Stan, il collega del padre e Dean Norris, come il poliziotto che li ferma in autostrada.

Rispettivamente Walter White e Hank Schrade, due dei personaggi principali della serie cult, che i fan di Breaking bad non potranno non riconoscere.

Categorie
2022 Avventura Azione Drammatico Fantasy Film Nuove Uscite Film

Animali fantastici: I segreti di Silente – L’ultimo chiodo della bara?

Questo articolo è stato scritto a quattro mani da me e dal mio collaboratore, che mi ha dato un prezioso supporto.

Animali fantastici: I segreti di Silente (2022) è il terzo capitolo del franchise Animali fantastici, spin-off e prequel della saga di Harry Potter. La pellicola è diretta da David Yates, che si occupò della regia della saga principale a partire da Harry Potter e l’ordine della fenice, ed è stata scritta da J.K. Rowling, autrice della saga, e da Steve Kloves, che ha partecipato alla scrittura di tutti i film del franchise.

Il film arriva dopo quattro anni dal secondo capitolo, Animali Fantastici – I crimini di Grindelwald (2018), per via dello scarso successo economico e del riscontro del pubblico: 654 milioni di incasso contro un budget di 200 milioni. Non un disastro, ma comunque l’incasso più basso dell’intera produzione di Harry Potter.

Quindi questa era l’ultima chance per la saga, destinata altrimenti a chiudersi con questo film. Animali fantastici: I segreti di Silente è davvero l’ultimo chiodo della bara di Animali Fantastici?

Di cosa parla Animali fantastici – I segreti di Silente

Ambientato un anno dopo lo scorso capitolo, Animali fantastici: I segreti di Silente racconta del tentativo disperato di Silente, interpretato da Jude Law, di contrastare l’ascesa del mago oscuro Grindewald, ora interpretato da Mads Mikkelsen, che vuole scatenare una guerra contro i babbani per ristabilire il potere dei maghi, in particolare dei maghi purosangue. Per questo metterà insieme una squadra composta fra gli altri da Newt Scamander, interpretato da Eddie Redmayne, magizoologo autore del libro che dà il nome al franchise, Animali fantastici e dove trovarli.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Una produzione travagliata

Johnny Depp nei panni di Grindewald in una scena del film Animali Fantastici - I crimini di Grindewald (2018)

Come nella migliore saga maledetta, la produzione di questo film è stata incredibilmente travagliata. E stranamente il covid non è stato neanche il problema più importante: lo scandalo maggiore ha coinvolto Johnny Depp, che ha interpretato Gellert Grindelwald fino al secondo film. L’attore infatti, dopo essere stato coinvolto in un ancora non chiarito caso di violenza domestica con la moglie, ha fatto causa alla rivista britannica Sun, che l’aveva chiamato wife-beater (lett. picchiatore di moglie), perdendo. Per questo, la Warner Bros ha licenziato l’attore, per paura di paura di farsi cattiva pubblicità.

La parte di Grindelwald è stata quindi assegnata Mads Mikkelsen, attore noto al grande pubblico soprattutto per la serie Hannibal, ma che ha anche recitato nel recente ed acclamato Un altro giro (2020).

E non è finita qui.

Questo film non s’ha da fare

Oltre al caso sopra, le riprese sono state ovviamente bloccata dalle pandemia, anche se il film era già stato fin da prima rimandato di un anno, proprio per lavorarci maggiormente dopo l’insuccesso del secondo capitolo. Sia l’attrice Tina, Katherine Waterston, sia l’attrice di Nagini nel secondo film, Claudia Kim, non hanno partecipato al film o vi hanno partecipato pochissimo. L’una per una grave forma di Covid, durata diversi mesi, l’altra per uno stato di gravidanza avanzato.

Oltre a questo, Ezra Miller, che nel film interpreta Aurelius Silente, è stato recentemente arrestato per aggressione, e ha ricevuto un ordine restrittivo nei confronti della coppia che lo ospitava in quel periodo. Questo non ha influito sulla produzione del film, ma potrebbe farlo in futuro.

Dov’è la magia?

Mads Mikkelsen in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

L’errore più grande di questa saga in generale, e in questo caso è particolarmente evidente, è stato far ritornare David Yates alla regia. Questo regista ha la capacità di spegnere ogni possibile magia, rendendo tutto inutilmente dark (anche nel senso letterale del termine) e, soprattutto, vestendo tutti i personaggi non solo come babbani, ma in maniera assolutamente poco originale.

Il caso più ridicolo è ovviamente Grindelwald, che a me non ha trasmesso assolutamente nulla: nonostante l’indubbia abilità dell’attore, il suo personaggio non è per nulla credibile. E per fare un cattivo credibile almeno per l’aspetto non ci vuole tanto: bastava semplicemente vestirlo da mago. Oppure mantenere l’estetica di Johnny Depp nel secondo film.

Oltre a questo, fateci caso: i personaggi del film non usano le bacchette come bacchette magiche, ma come pistole. Le puntano alle spalle per minacciare, non le usano praticamente mai per fare qualcosa di veramente magico e sono presenti anche sequenze a rallenty, in cui le magie lanciate sembrano dei proiettili,

Di fatto, Animali fantastici: I segreti di Silente sembra più un gangster movie che un film di Harry Potter.

Qualcosa di buono

Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

In Animali fantastici: I segreti di Silente qualcosa di buono c’è: anzitutto, non è un film (almeno per me) noioso. Nonostante mi sentissi costantemente confusa, non mi sono mai annoiata. Talvolta le creature magiche tornano anche protagoniste della scena, anche se riciclando qualche gag già stantia.

Newt Scamander è obbiettivamente l’unico personaggio veramente credibile del film, che riesce a mantenersi coerente fin dal primo capitolo e ci regala anche qualche sorriso durante un film invece nel complesso abbastanza pesante.


Da qui farò spoiler.

Una sceneggiatura segreta

Jessica Williams, Callum Turner, Jude Law, Dan Fogler e Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente (2022) diretto da David Yates

Come anticipato, la pellicola è stata realizzata da nomi importanti per il mondo di Harry Potter, che dovrebbero conoscere la saga come le loro tasche. Invece, oltre a fare degli errori palesi (come spiegherò più avanti), hanno ideato una trama che è un vero colabrodo.

All’inizio del film viene rivelato che Grindelwald è in grado di prevedere il futuro. Quindi, per confonderlo e impedirgli di scoprire quello che realmente stanno progettando, Silente affida ad ogni personaggio una missione differente, ma nessuno di loro è al corrente di quale sia il vero piano.

Ne risulta un susseguirsi di eventi completamente slegati fra loro e senza un particolare senso logico. Purtroppo, coerentemente con il titolo del film, sembra che Silente faccia del suo meglio per confondere non solo Grindelwald, ma anche lo spettatore: anche dopo aver finito il film, non risulta chiaro quale fosse il piano.

È come se gli sceneggiatori si fossero trovati davanti due strade: scrivere una trama coerente (cosa che richiede un certo livello di impegno e abilità), oppure fregarsene e scrivere una storia incoerente e giustificarla con un espediente narrativo. E hanno scelto la seconda.

I personaggi insulsi

Jude Law e Dan Fogler in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Oltre a Grindelwald, su cui mi sono già espressa, praticamente tutti i personaggi sembrano in
cerca di una direzione
. Nel film Silente attua uno stratagemma per ingannare Grindelwald, creando cinque valigie uguali e consegnandone una a ciascuno dei protagonisti, ma solo una di queste contiene il prezioso qilin. Questa scena potrebbe costituire un’efficace rappresentazione della produzione del film: pare quasi che siano state scritte cinque sceneggiature diverse che sono state poi chiuse in buste tutte uguali e distribuite a caso agli attori, senza che nessuno sapesse quale fosse quella vera.

Partiamo dalla professoressa Eulalie Hicks, il cui impiego secondario è probabilmente la sceneggiatrice di Netflix; ha il ruolo di fornire a Jacob il riassunto delle puntate precedenti, e successivamente quello di essere una presenza sostanzialmente inutile e fastidiosa. Inoltre, l’unica cosa che poteva essere interessante, ovvero il fatto che fosse una professoressa di una scuola del Sud America, non è minimamente esplorato, né menzionato esplicitamente.

L‘unico compito di Jacob è quello di rimettersi con Queenie. Non ci sarebbe altro da aggiungere, se non fosse che la loro relazione è davvero superficiale, oltre che esageratamente melensa. Queenie non sembra in principio convinta della sua scelta, poi sente obbligata, Jacob continua a inseguirla per parlarle, e alla fine si sposano. Nel complesso, noioso e poco interessante.

Per non parlare dell’indimenticabile personaggio di Yusuf, fratello dell’ancora più indimenticabile (nonché defunta) Leta Lestrange, il cui arco narrativo risulta, se possibile, ancora meno avvincente. Finge di allearsi con Grindelwald, ed ovviamente alla fine si scopre che era sempre stato dalla parte del bene. Personaggio che è apparso per pochissimo, ha detto due battute, e non ha avuto quasi alcuna influenza sugli eventi: perché dovremmo restare col fiato sospeso per la sua scelta?

Albus Silente?

Jude Law in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Per quanto Jude Law possa essere un bravo attore, a me il suo Silente non convince per nulla. Questo è più una questione soggettiva che una critica oggettiva al film: sarà anche il fatto che non è vestito per nulla da mago, sarà che non vedo in lui la figura saggia ed enigmatica che dovrebbe diventare di lì a non molti anni, ma quando vedo Jude Law non riesco mai a pensare a Silente.

E, essendo uno dei personaggi più importanti non solo della saga, ma anche di questa storia, è veramente un dispiacere.

Il problema di Aurelius Silente

Una delle problematiche principali, che era sorta fin dal secondo capitolo, era la vera identità di Credence Barebone, alias Aurelius Silente. Si è discusso per anni della possibilità che fosse una frottola di Grindelwald, che ci potessero essere diverse spiegazioni, alcune anche piuttosto articolate come l’ipotesi che l’Obscuriale che lo possedeva fosse in realtà quello di Ariana Silente.

Tuttavia, alla fine, hanno optato per quella che sembra una pezza. Io non so se fosse che avevano in mente tutt’altri piani, forse troppo complicati, come traspariva effettivamente dal secondo film. Sta di fatto che la storiella di Aberforth è poco credibile e buttata lì.

Non ci viene detto nulla sulla madre, su come Aurelius sia effettivamente diventato orfano, nulla. Rimane una questione poco chiara e mal spiegata. Oltre al fatto che appare stranissimo che una questione così importante non sia mai stata citata prima nella saga principale. Ma tant’è.

Il voto infrangibile

Jude Law e Eddie Redmayne in una scena del film Animali fantastici: I segreti di Silente  (2022) diretto da David Yates

Lasciando da parte le ovvie battute sul fatto che se il voto si chiama infrangibile dovrebbe essere tale, personalmente non mi è piaciuta la gestione di questo tema. Di fatto quello che propone il film non è logicamente sbagliato, ma l’ho trovato comunque poco chiaro. Non si capisce bene se il voto si infrange perché i due contendenti avevano intenzioni diverse (uno di protezione, l’altro di attacco), e quindi si ritornerebbe all’abusatissimo tema dell’amore protettivo, oppure se entrambi non volessero più far parte di questo patto e per questo si sia infranto.

L’ultima opzione, che sarebbe quella migliore, non avrebbe comunque senso perché il voto infrangibile dovrebbe proprio fungere da protezione in caso le parti volessero scioglierlo, ma in realtà mancano abbastanza informazioni in merito per avere una risposta chiara.

Una progetto fallimentare in partenza

Possiamo dire, senza troppo timore di essere smentiti, che Animali Fantastici era probabilmente un progetto fallito in partenza. Il primo film, nonostante non fosse piaciuto a tutti, era a mio parere gradevole: si percepiva la magia e, giustamente, il focus principale erano appunto gli animali fantastici, e solo secondariamente la trama politica.

Dal secondo film il focus principale è la storia di Grindewald e Silente, andando in parte a snaturare il progetto stesso. Si sarebbero potuti fare dei bei film su Newt che cercava animali fantastici, magari insieme a Jacob, e veniva occasionalmente richiamato per aiutare Silente. E chissà se avrebbero avuto successo.

Il citazionismo disperato

Altro problema del progetto, che si vede già dal secondo film, è la mancanza di esplorazione ulteriore del mondo magico. Nel primo quantomeno veniva approfondita la realtà magica americana, diversa da quella britannica anche solo per i nomi. Dal secondo capitolo in poi, questa idea si perde totalmente: a parte alcuni dettagli che ci fanno capire di essere prima a Parigi, poi a Berlino, l’ambientazione non ha alcun valore.

Sembrava che si sarebbe dovuto esplorare di più il mondo magico anche delle altre scuole di magia, solo accennate nella saga, e invece si è preferito il citazionismo esasperato. Oltre alla breve sequenza ad Hogwarts, in cui rivediamo tutti gli elementi iconici della saga, fra cui il boccino d’oro, il Quidditch e la Stanza delle Necessità, il film è pieno di citazioni veramente ingenue. La più terribile a mio parere è quella nel dialogo fra Aberforth e Aurelius, in cui Aberforth dice Sempre, una delle battute più iconiche e abusate dell’intera saga.

Dimentichiamoci di Harry Potter

In ultimo, nonostante le persone coinvolte nella scrittura, chi ha prodotto Animali fantastici: I segreti di Silente sembra non avere ben chiaro quello di cui sta scrivendo. Ed è veramente paradossale. Fra le varie cose, mi ha fatto veramente ridere vedere che all’inizio, quando la professoressa Eulalie Hicks si smaterializza insieme a Jacob, prima dicono che stanno usando una passaporta, poi i due appaiono a distanza di qualche minuto, l’uno smaterializzato, l’altra che sembra apparire dal fuoco magico del camino, ovvero tramite la Metropolvere (quella che si vede in Harry Potter e la camera dei segreti per capirci).

Tutto questo ignorando sempre il fatto che i maghi facciano spesso magie senza paura di farsi vedere dai babbani, questione che è sempre stata importante per la saga.

Insomma, Animali fantastici: dove trovarli? Nei titoli di coda.

Categorie
2021 Commedia Drammatico Film Nuove Uscite Film

C’mon C’mon – Una piccola storia

C’mon C’mon (2021) è l’ultimo film di Mike Mills, autore fondamentalmente sconosciuto ai più, ma che ha avuto la grande fortuna di mettersi sotto l’egida della A24 e di poter dirigere Joaquin Phoenix.

La A24 è un’ambiziosa casa di produzione statunitense, che può vantare di aver prodotto pellicole di alto valore, come tutti i film di Robert Eggers finora, fra cui quello che uscirà settimana prossima, The Northman (2022), nonché Macbeth (2021) di Joel Coen. E giusto proprio per dire due nomi di nessuna importanza.

Non a caso C’mon C’mon è un’opera a tratti sperimentale, certamente originale e con un comparto tecnico di alta qualità.

Di cosa parla C’mon C’mon

La vicenda ruota intorno a Johnny, interpretato da Joaquin Phoenix, un giornalista che gira le principali città degli Stati Uniti per intervistare giovani ragazzi sul loro futuro. Johnny riceve, dopo un anno che non si parlavano, una chiamata dalla sorella, Viv.

Questa deve partire per andare ad assistere l’ex-marito, e per questo deve lasciare a casa il figlio, Jesse. Johnny si offre quindi di stare con Jesse finché la sorella non farà ritorno. Con questa esperienza Johnny non solo riprenderà contatto con il nipote, ma ripenserà anche al suo passato e al suo rapporto con la sorella.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché vedere C’mon C’mon

Joaquin Phoenix e Gaby Hoffmann in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Diversamente da quello che si potrebbe pensare dalla sinossi, C’mon C’mon non è un film né eccessivamente drammatico né particolarmente impegnativo. È invece molto intimo e toccante, e accompagna lo spettatore passo passo in una storia piccola, neanche troppo fuori dal comune, ma che ti entra nel cuore.

La regia è degna di nota: rinchiude i personaggi, con inquadrature rese ad arte e margini ristretti, in spazi piccoli e familiari. Poi li libera in spazi ampi e ariosi, con campi lunghi e lunghissimi, che abbracciano panorami urbani immensi.

Oltre ad una recitazione molto spontanea, con un Joaquin Phoenix sempre in formissima, lascia a bocca aperta la stella nascente di Woody Norman, che interpreta Jesse, che ci regala una recitazione di altissimo livello. Inoltre nel film le interviste sono a persone reali intervistate dallo stesso Phoenix, che danno ancora un tocco di autenticità a tutta la storia.

Insomma, da non perdere.

Perché non guardare questo film

Gaby Hoffmann in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Per quanto trovi che sia un film abbastanza accessibile e apprezzabile alla maggior parte del pubblico, ci sono motivi molto validi per cui potrebbe non piacervi. Anzitutto, se vi annoiano i film del genere familiare o, ancora più specificamente, quello con i rapporti fra un adulto ed un bambino, lasciate perdere. Se preferite film movimentati, con tanti colpi di scena o momenti di impatto, non è il film che fa per voi.

Insomma, per me un film assolutamente valido, ma sta a voi.

Cosa mi è piaciuto

Joaquin Phoenix in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Joaquin Phoenix. E potremmo anche chiuderla qui.

Sono sempre stregata dalla capacità di questo attore di interpretare ruoli sempre diversi e sempre convincenti (come avevo raccontato altrove). Come era stato abilissimo ad interpretare un personaggio disturbato e violento in Joker (2019), qui riprende una recitazione più intima come in Her (2015). È uno di quegli splendidi casi in cui sembra che un attore non stia interpretando una parte: Phoenix e Norman potrebbero star costruendo un bellissimo rapporto nella vita vera per quanto mi riguarda.

E parliamo di Jesse.

Un bambino, un ruolo

Woody Norman in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Di solito odio i bambini impertinenti nei film, però in questo caso la sua presenza è assolutamente funzionale alla trama, in quanto permette di fare le domande per lo spettatore. Molto delicato rappresentare un bambino non neurotipico senza dire mai esplicitamente di quale situazione si stia parlando.

Tuttavia riesce a raccontare con grande efficacia la difficoltà e i dubbi che giustamente sorgono ai genitori o agli adulti che si trovano in certe situazioni. Ma, ancora più importante, evita di rivestire la narrazione di un patetismo tipico di questo tipo di narrazioni.

Jesse è rumoroso, iperattivo, quasi estenuante in certe scene. Woody Norman è stata davvero una sorpresa: dovrei vederlo in un’intervista per capire quanto stesse recitando e quanto fosse un comportamento spontaneo, perché la sua recitazione è talmente naturale e credibile che davvero mi veniva da pensare che si fosse trovato per caso sul set. Spero che non sia una di quelle meteore di Hollywood, ma che faccia strada.

Raccontare una storia

Joaquin Phoenix in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Il modo in cui la storia è stata raccontata mi ha davvero coinvolto: quei flashback senza audio, quelle scene che sembra di guardare dal buco della serratura, sprazzi di realtà e di passato che ci vengono mostrati poco a poco, con di sottofondo la voce narrante dei personaggi.

Mi ha davvero colpito anche l’utilizzo delle favole o del punto di vista di Jesse per raccontare il passato, anche con questioni emotivamente pesanti come la condizione del padre.

Tuttavia, non sono andata fino in fondo.

Perché C’mon C’mon non mi ha preso fino in fondo

Woody Norman in una scena del film C'mon C'mon (2021) di Mark Mills, prodotto dalla A24 dal 7 aprile al cinema

Metto le mani avanti: sono ingenuamente una grande fan di quel sottogenere dei buddy movie che costruiscono il rapporto fra un adulto e una persona più giovane, di cui il perfetto esempio è sicuramente Il Grinta (2016) dei Fratelli Coen, film che ho amato per quello e per altri motivi.

Tuttavia, visto che sono ormai avvezza ai trigger emotivi dei prodotti audiovisivi, mi sono resa conto che nelle scene in cui avrei dovuto versare copiose lacrime per il comportamento di Jesse, in particolare quando non mostra di voler vedere la madre, non ero coinvolta. Nel complesso mi sono sentita più toccata dalla esasperazione degli adulti per Jesse che per l’ingenuità e la frustrazione di Jesse stesso.

Forse è una conseguenza di voler rappresentare un bambino così tanto realistico.

Oppure sono solo io.

Categorie
2021 Drammatico Film Thriller

The card counter – È solo un gioco

The Card Counter è l’ultima pellicola di Paul Schrader, noto soprattutto per essere sceneggiatore di uno dei capisaldi della filmografia di Martin Scorsese, ovvero Taxi Driver (1976). Il film è stato presentato al Festival di Venezia 2021, poi è uscito nelle sale italiane lo scorso settembre.

Purtroppo una pellicola che ha avuto poca risonanza, soprattutto nelle premiazioni internazionali, dove è stato ingiustamente ignorato: a parte la prestigiosa candidatura al Leone D’oro a Venezia, il nulla. Un vero peccato, per una pellicola di alto valore artistico e con un Oscar Isaac davvero sorprendente.

Il film ha incassato davvero pochissimo (appena 5 milioni a livello internazionale), e in parte la colpa potrebbe anche essere della campagna marketing.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla The Card Counter

William Tell, interpretato da Oscar Isaac, che abbiamo visto recentemente in Dune (2021) e attualmente in Moon Knight, è un giocatore d’azzardo, che si guadagna da vivere giocando a carte nei casinò. Pur non interessato a guadagnare più del necessario, viene coinvolto in un circuito di partite di alto livello da La Linda, cacciatrice di talenti che decide di finanziarlo.

Dietro alla sua scelta in realtà si celeranno importanti questioni del suo tenebroso passato, riguardanti anche il giovane Cirk, interpretato da Tye Sheridan, noto soprattutto per essere stato protagonista di Ready player one (2018).

Vi lascio il trailer, ma, prima di vederlo, vi consiglio di proseguire con la lettura.

Trailer ingannevoli (di nuovo)

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

In generale, vi sconsiglio di guardare il trailer, perché è davvero ingannevole. Non come quello di Dune, ma ci andiamo vicino. La campagna marketing è stato il motivo per cui non ho recuperato il film al tempo: dà un’idea del tutto sbagliata della pellicola, oltre a spoilerare la maggior parte delle scene clou. Visto così sembra la storia di un giocatore d’azzardo con un passato oscuro, in un filmetto di seconda categoria di Canale Cinque.

Invece, oltre al fatto che il poker è fondamentalmente solo la cornice delle storia, il film è profondo, riflessivo, piuttosto enigmatico nel suo andamento fino alle battute finali. Tuttavia, The card counter è anche un film poco spendibile per il grande pubblico, soprattutto nel mercato italiano. Per questo si è scelto di presentarlo per quello che non è (e non sarà né la prima né l’ultima volta che succede, purtroppo). Oltre a questo, il titolo, che ha un significato specifico all’interno della pellicola, è totalmente stravolto nella traduzione: Il collezionista di carte non ha nessun significato, perché il protagonista conta le carte a poker, non le colleziona.

Per questo, lasciate che vi spieghi io se è un film che fa per voi, senza dovervi far raggirare dal suddetto trailer.

The card counter fa per me?

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Anzitutto, ed è quasi ovvio, se vi è piaciuto Taxi Driver, è probabile che vi piaccia anche The card counter. Infatti lo scheletro narrativo è simile, così come le dinamiche. In generale, come anticipato, aspettatevi un film molto riflessivo, il cui andamento è di difficile prevedibilità, oltre che con un Oscar Isaac in forma smagliante.

Se vi intrigano i film con trame davvero imprevedibili, con colpi di scena intelligenti e anche scene di violenza piuttosto forti, è il film che fa per voi. Se invece preferite stare lontani da contenuti troppo spinti sul lato della violenza, fisica e psicologica, e che non sono immediati nel messaggio, scegliete altro.

L’imprevedibilità

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Se c’è una cosa che davvero apprezzo in un film è quando non riesco a prevederne l’andamento, arrivando quasi ad esserne confusa sulle prime. Per me è stato il caso de Il potere del cane, e per The card counter fino agli ultimissimi momenti non avevo veramente idea della piega del film.

In particolare sono rimasta scioccata sia per la scena in Bill minaccia Cirk, sia per quando il ragazzo gli manda la foto della casa della madre, e subito Bill capisce che sta ingannando.

Inoltre, a mio parere, la pellicola si presta a più interpretazioni.

La mia interpretazione

Willem Dafoe in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Secondo la mia visione, Bill era un soldato messo in una situazione in cui è riuscito a perdere se stesso, lasciandosi tentare da una violenza disumana proprio dal Maggior Gordo.

Tuttavia proprio la sua punizione l’ha portato a ricostruire la propria persona, adottando uno stile di vita ordinato e preciso al limite dell’ossessione, come si vede bene già anche solo nelle scene della prigione.

E, non a caso, vediamo sempre un personaggio riflessivo e calcolatore, che non si lascia mai prendere dalla rabbia, tranne in due momenti: quando minaccia Cirk e quando uccide Gordo. Ma, anche in quel caso, si tratta di momenti di passaggio, piccoli scatti d’ira per poi tornare alla posa iniziale.

Ricostruire il presente

Tye Sheridan in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Penso che la conoscenza di Cirk sia stata un trigger per il protagonista, che per tutta la pellicola sembra voler mettere in pratica lui stesso il piano del ragazzo. Invece il suo progetto è quello di salvare Cirk, come lui non è riuscito a salvare se stesso

Un piano obbiettivamente complesso, degno di una mente così complessa. Infatti, proprio per evitare di ricadere in nuovi problemi, Bill si guadagna da vivere giocando a carte, ma rimanendo, come lui stesso dice, sotto al radar. L’unico motivo per cui sceglie di puntare più in alto è quello di aiutare Cirk, guadagnando dei soldi che altrimenti non significherebbero nulla per lui.

Perché alla fine, appunto, le carte non erano altro che un gioco, un modo per sopravvivere che si adattasse alla sua mente geniale, senza voler andare oltre, anzi odiando la realtà dei casinò, come dice anche esplicitamente a La Linda.

Oscar Isaac: l’attore che non ci meritiamo

Oscar Isaac in una scena del film Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Indipendentemente dal fatto che Oscar Isaac sia un attore incredibile, qui è riuscito ancora a sorprendermi: riesce a dipingere in volte delle espressioni al contempo annoiate e schifate davvero eloquenti, per rendere un personaggio freddo e calcolatore, che non si lascia turbare da nulla.

La voce ben modulata per ogni singola battuta, così ben dosata e con i tempi giusti: un fuoriclasse. Riesce ad essere tutto: calmo, schifato, indifferente, e, infine, rabbioso.

Per non parlare della calcolatissima recitazione corporea: se notate in molte scene, soprattutto quando gioca a carte, tiene una mano a metà del braccio, come se volesse trattenerlo, mentre l’altra mano è puntata aggressivamente in avanti, come sul punto di scattare, come un artiglio.

Dove sta la vergogna

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

La vergogna sta sulla testa di chi ha ignorato non solo questo film, ma soprattutto Oscar Isaac. La pellicola è stata infatti candidata al Festival del Cinema di Venezia, ma non altrove. Penso che come minimo probabilmente la miglior prova attoriale di Oscar Isaac in tempi recenti meritasse quantomeno una candidatura. Ma come minimo.

Anche la regia avrebbe potuto ricevere qualche riconoscimento: piuttosto originale in molte scene, sperimentando con piani sequenza, grandangoli e splendide dissolvenza incrociate.

Cosa tutto sommato non mi ha convinto di The card counter

Oscar Isaac in una scena del film Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

In generale lo svolgimento della trama mi ha davvero appassionato, tanto che, come già detto, non mi aspettavo certe svolte. Tuttavia alla fine dei conti per certe cose lo scheletro narrativo l’ho trovato un po’ banale, forse mi sarei aspettata qualcosa di più profondo.

La profondità certamente non manca a questo film, che è leggibile su più livelli, in un insieme che ben si amalgama in una risultato di tutto rispetto. Tuttavia a fine visione mi è sembrato che gli mancasse quel quid per fare il passo definitivo nella giusta direzione.

Ma a dire così mi sembra di fargli inutilmente le pulci. Quindi mi accontento di aver visto un film di alto livello, diretto con grande passione e con un Oscar Isaac che non penso di aver mai visto così in parte. E parliamo di accontentarci…

Categorie
2021 Animazione Avventura Disney Drammatico Film Oscar 2022

Encanto – L’happy ending a tutti i costi

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Encanto (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione
Miglior colonna sonora originale
Migliore canzone originale

Encanto (2021) è l’ultima pellicola Disney Pictures uscita lo scorso novembre, nonché il 60esimo classico della casa di produzione statunitense. Nonostante ad oggi sia diventato un piccolo cult online, soprattutto per la canzone We don’t talk about Bruno, è stato un discreto flop commerciale: 251 dollari di box office contro un budget di 120. Quindi forse sono riusciti a rientrare nei costi di produzione, ma, con la massiccia campagna marketing che è stata fatta, non è neanche detto. Comunque per la Disney non un buon risultato.

Il film è stato una sorprendete riscoperta quando è uscito in streaming a Natale, creando un trend tutt’ora vivo, soprattutto su TikTok. E dopo spiegheremo come questo è di fatto un precedente pericoloso.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Encanto

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

La storia di Encanto ruota intorno a Mirabel, parte della famiglia Madrigal, il punto di riferimento per una piccola comunità immaginaria della Colombia. Tutta la famiglia di sangue è caratterizzata per possedere poteri eccezionali, che mette al servizio del bene comune. Tutti tranne Mirabel. La protagonista sarà anche l’unica a rendersi conto di come la magia stia sparendo e a cercare di risolvere il mistero e ricostruire la solidità della famiglia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Encanto

Encanto, nonostante le problematiche che esporremo nella parte spoiler, è un film molto valido, dal grande potere intrattenitivo e con delle canzoni che ti entrano veramente ne cuore. Non a caso è diventato famoso soprattutto per quest’ultime. La protagonista è una ventata di aria fresca per il genere: non è la solita protagonista femminile stereotipata (da cui la Disney sta cercando di distaccarsi da anni), ma è intraprendente, coraggiosa e con una bellezza non convenzionale, ma più realistica.

La storia nel complesso, nonostante il finale a mio parere poco convincente, riesce a trasportati in un mondo nuovo e davvero magico, e a farti esplorare bene o male tutti i personaggi della famiglia. Nel complesso, un film che ogni fan della Disney dovrebbe avere nel suo arsenale.

La questione degli Oscar 2022

Come ampiamente previsto, questo film ha vinto miglior film d’animazione agli Oscar 2022. Personalmente, nonostante il film sia complessivamente gradevole e ben fatto, penso che il premio dovesse essere vinto da I Mitchell contro le macchine (2021), prodotto Netflix di altissima qualità che vi consiglio caldamente di recuperare. O, al massimo, da Luca (2021), altro prodotto veramente valido della Pixar uscito la scorsa estate.

Tuttavia, il posizionamento dell’uscita rendeva assolutamente telefonata la vittoria di Encanto: solitamente i film che si vogliono far vincere agli Oscar vengono fatti uscire il più vicini possibile alla premiazione.

Il precedente pericoloso

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Non è un buon momento per i film d’animazione e, più in generale, i film per famiglie: la pellicola d’animazione che ha incassato di più nel 2021 è stata Sing 2 (377 milioni contro 85 milioni di budget), portandosi a casa circa la metà degli incassi del primo capitolo della saga.

In generale, vuoi per la difficoltà di recarsi serenamente in sala, soprattutto con bambini piccoli, vuoi per la sempre maggiore offerta delle piattaforme streaming, il pubblico più giovane sta abbandonando la sala. E la Disney, consapevole di questo, ha rilasciato il film neanche un mese dopo la sua uscita in sala su Disney+, portando al successo che ha avuto.

Un pericolosissimo precedente: senza lo streaming, Encanto non avrebbe avuto successo. E non è un caso, quindi, che Red (2021), l’ultima pellicola Pixar, sia stata rilasciata in streaming direttamente. La terza pellicola Pixar di fila.

Perché le canzoni di Encanto sono già dei piccoli cult

Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Le motivazioni del successo delle canzoni di Encanto sono fondamentalmente due: Lin-Manuel Miranda e la loro funziona nella storia. Se il primo nome non vi dice niente, sappiate che bene o male questo personaggio fa già parte della nostra vita (e non ce ne siamo accorti). Diventato in poco tempo il golden boy di Hollywood, ha sceneggiato Hamilton (2020), tratto dal famosissimo musical che è stato un successo incredibile negli Stati Uniti, e ha diretto l’ottimo Tik, tik…boom! (2021). Oltre a questo, aveva una parte abbastanza importante ine Il ritorno di Mary Poppins (2018).

Miranda è un ottimo sceneggiatore di musical (e se avete visto Tik, tik…boom! sapete di cosa sto parlando) ed con Encanto è stato capace di portare aria fresca al genere animato. Infatti la particolarità delle canzoni di Encanto è appunto il loro ruolo nella storia: molto spesso nei classici Disney (e non solo) le canzoni sono poco memorabili anche perché hanno un ruolo veramente marginale nella storia, spesso solo momenti di riflessione dei personaggi. Il primo esempio davvero emblematico in questo senso è Frozen II (2019), di cui infatti alcuna canzone è rimasta nel cuore degli spettatori.

In Encanto, invece, la canzoni sono spesso anche mischiate anche ai dialoghi dei personaggi e hanno una funzione chiave nella trama: o la portano direttamente avanti (come nel caso di !Hola casita!, la canzone finale di Abuela), oppure sono funzionali a far capire profondamente i personaggi del film (come la canzone di Luisa). Oltre a questo, sono canzoni sempre diverse fra loro e molto orecchiabili. Io, personalmente, le ho adorate dalla prima all’ultima.

Toccare i tasti giusti

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, e Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Io, per la maggior parte del finale, ero in lacrime. E non la classica lacrimuccia, proprio un pianto vero. Perché per tutto il film, e soprattutto alla fine, Encanto è riuscito a toccare i tasti giusti. In particolare i problemi familiari che più o meno tutti abbiamo o abbiamo avuto nella vita, il rapporto coi nostri nonni e potenzialmente l’abbandono di una persona amata.

Sono delle situazioni in cui ci si può facilmente immedesimare, perché piuttosto comuni. Oltre a questo, più realisticamente parlando, la famiglia Madrigal e l’esperienza di Mirabel non sono altro che la storia di ragazzini prodigio, che sentono la pressione al successo da parte dei genitori. Un altro tema, non a caso, piuttosto comune.

Una protagonista diversa

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Come anticipato, uno dei grandi meriti di questa pellicola è di portare in scena una protagonista diversa dal solito: finalmente non una insopportabile e irrealistica Mary Sue, speciale fin dalla nascita, ingenua e senza nessuno spirito di intraprendenza. Mirabel è invece intraprendente, decisa, ha una gamma espressiva ampia e realistica, ha sentimenti positivi ma anche molto negativi e molto umani.

Ma, soprattutto, non è un personaggio positivo solo a parole: aiuto veramente la sua famiglia, aiuta Antonio nel suo viaggio con un sincero affetto e aiuto che il resto della famiglia non gli dà. E, incredibilmente, non è rancorosa contro la sua famiglia, composta per la maggior parte da adorabili stronzi.

Una rappresentazione davvero inclusiva

La famiglia Madrigal in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Encanto non solo ha reso protagonista della scena la comunità latina, in particolare colombiana, finora ben poco presente sui nostri schermi, ma è riuscito a farlo in maniera interessante e intelligente. I personaggi non sono per nulla stereotipati come spesso succede, sono tutti diversi fra loro di aspetto, con una splendida varietà di volti e di rappresentazione.

Oltre a questo, Encanto ha portato in scena una delle poche rappresentazioni di una donna muscolosa e possente, senza ridicolizzarla o renderla una macchietta, ma con un profondo dramma personale. Ed è splendido come molte persone, di solito scarsamente rappresentate, si siano ritrovate nel suo personaggio.

Il personaggio di Bruno e l’umorismo vincente

Bruno, interpretato da John Leguizamo, in una scena del film

Il personaggio di Bruno è la vera punta di diamante del film e non a caso è anche quello spesso più citato. Il film utilizza un trope che io personalmente adoro, ovvero introdurre un personaggio a parole e poi crearvi dell’attesa intorno. Oltre a questo, è un personaggio con cui facilmente empatizziamo e a cui è dedicante una delle scene che più mi spezzano il cuore di tutta la pellicola, ovvero quando Mirabel scopre che Bruno ha creato un allungamento del tavolo della sala da pranzo e ha disegnato sopra il suo piatto.

Ma è anche un personaggio genuinamente divertente, soprattutto per le parti in cui interpreta i suoi alter-ego. Fra l’altro, ci sono diversi momenti in cui Bruno è presente in scena prima che appaia, in primo luogo nella scena della canzone a lui dedicata.

In generale l’umorismo del film è piuttosto vincente, con battute che riescono a farmi ridere anche ad una seconda visione, in particolare all’inizio quando Mirabel afferma che è speciale come tutti i membri della sua famiglia, uno dei bambini le dice Maybe your gift is being in denial (Magari il tuo talento è negare la realtà).

Perché il finale di Encanto non funziona

Abuela, interpretata da María Cecilia Botero, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale è in realtà triplice: la giustificazione assoluta del personaggio di Abuela Alma, la morale problematica e la mancanza di un finale vero.

Il problema di Abuela Alma

Nella conclusione Mirabel si mostra assolutamente comprensiva nei confronti della nonna, accettando il suo dolore e il suo trauma, e conseguentemente giustificando il suo comportamento terribile finora. Quella della nonna (e in parte anche degli altri membri della famiglia) era una pura violenza psicologica, infatti se non fossimo in un film Disney il potere di Mirabel sarebbe la depressione profonda.

La storia della nonna è indubbiamente bella e toccante, anche molto empowering a suo modo: una donna solo, con tre figli, che riesce a costruire una solida comunità. Tuttavia, appunto, il suo trauma non giustifica la violenza con cui opprime i suoi familiari, che portano appunto ad una distruzione dell’armonia familiare.

Nota a margine, fra l’altro, per l’ossessione ancora viva del co-regista del film, Byron Howard, per il tema della luce: se fate un confronto con Rapunzel (2010), di cui era sempre co-regista, noterete delle grande similitudini fra il fiore del film del 2010 e la candela di Encanto.

Il finale non finale

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale di Encanto è proprio che non è un finale, ma una conferma della situazione precedente. C’erano diversi e vari problemi all’interno della famiglia, anzitutto quello già detto della nonna, ma anche la generale ansia e infelicità dei componenti della famiglia. Questo problema non è veramente risolto, perché è assolutamente poco credibile che basti una canzone per risolvere il trauma profondo di Mirabel, quello di Bruno e a risaldare i rapporti fra i personaggi.

Anche perché il problema di fondo resta: anche se la famiglia Madrigal si vuole forse più bene ora, sono comunque persone che devono essere al servizio della loro comunità, dare una certa immagine di sè, come viene ben mostrato nel film. Tutto questo non viene risolto.

Ma il problema più grande a mio parere è proprio Mirabel.

La morale distorta

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Nella conclusione scopriamo che il vero potere di Mirabel è quello di tenere unita la famiglia e, di conseguenza, l’intera comunità. Tuttavia, questo la rende totalmente un personaggio dipendente, che non potrà mai veramente staccarsi da questo contesto senza che possa succedere ancora una volta il disastro della fine del film.

Questo perché, come già detto, i problemi della famiglia non sono risolti. Quindi Mirabel, che è comunque un personaggio intraprendente e con voglia di fare, non potrà mai essere più che il collante della famiglia, senza avere un vero ruolo se non quello fondamentalmente ancellare.

Il finale perfetto sarebbe stato se Mirabel si fosse allontanata dalla famiglia, cercando la felicità e la possibilità di esprimersi altrove. E invece deve rimanere ancora ad un ambiente, che, in fin dei conti, è davvero soffocante.

Categorie
2021 Drammatico Film Oscar 2022

Drive my car – L’incomunicabile

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Drive my car (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film internazionale
Miglior film
Miglior regista
Miglior sceneggiatura non originale

Sono poche le volte in cui posso dire di essere stata travolta da un film. Drive my car è una di quelle volte. E dico travolta e non intrattenuta per un motivo: non so ne spiegare il perché. Per tre ore (sì, tre ore) sono stata incollata ad uno schermo dove veniva raccontata una storia complessa ma vicina a me, con una delicatezza e una profondità che raramente ho trovato in altre pellicole.

Di cosa parla Drive my car

È difficile dire di cosa parla Drive my car senza rovinarvi la visione. È un film che va visto con la mente libera da ogni influenza esterna.

Tuttavia quello che vi posso raccontare è che il film ha un importante prologo che copre quasi la prima metà della sua durata (di cui non vi posso dire niente). Dopo, parla di un attore e regista teatrale che organizza uno spettacolo e che viene accompagnato, contro la sua volontà, in giro con un autista fornito dalla produzione. Questo è lo scheletro narrativo. Sotto a questo, c’è un mondo che potrete capire solo se vedrete la pellicola.

Vi lascio il trailer, se proprio volete vederlo, ma vi consiglio di guardare il film senza aggiungere altro.

Drive my car fa per me?

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

È molto difficile rispondere a questa domanda. Soprattutto perché non credo che questo film sia paragonabile ad alcunché da me conosciuto. Forse, e sottolineo forse, potrei paragonarlo, per come mi ha fatto sentire, a I’m Thinking of Ending Things (2020), anche senza tutta la parte surreale.

Generalmente parlando, vi devono piacere i film molto riflessivi e fatti più di dialogo che di azioni, metafore potenti e da sviscerare. Se vi piacciono questo tipo di film, vi innamorerete. E per reggere questa pellicola, c’è davvero bisogno di innamorarsi.

Riflessioni Oscar 2022

Hidetoshi Nishijima e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Come ampiamente previsto, Drive my car ha vinto Miglior Film Internazionale. Mi mancano ancora le altre pellicole candidate e solitamente non darei un giudizio netto. Ma credo che pochi, avendo visto la pellicola, possano dirmi che meritava di vincere altro se non questo. Anzi, a mio parere doveva vincere anche qualcosa di più.

La storia alla fine

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Il mio passato è passato senza eventi

Fra tutto, forse quello che mi ha più colpito è stato il fatto che all’inizio io avevo inquadrato la storia in un certo modo, anche abbastanza superficiale se vogliamo, e la rivelazione finale è stata uno schiaffo.

Inizialmente pensavo infatti che Yūsuke, il protagonista, non fosse capace di affrontare il tradimento della moglie, e che non ne sapesse nulla prima. Allo stesso modo pensavo che Oto si fosse suicidata.

Invece la realtà è molto peggiore e il racconto di Kōiji lascia a mio parere anche spazio a più interpretazioni. Io personalmente credo che la vera storia di Oto e Yūsuke fosse quella di un rapporto definitivamente incrinato dalla morte della figlia, in cui era nata una profonda incomunicabilità fra i due.

Un matrimonio spezzato

Reika Kirishima e Hidetoshi Nishijima e  in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Penso che Oto non sapesse che Yūsuke era a conoscenza dei suoi tradimenti, se così vogliamo chiamarli, e che questo non fosse che un modo per lei di comunicare i suoi veri sentimenti, così come Yūsuke comunicava i suoi attraverso il teatro.

La storia dell’adolescente era in realtà la storia di Oto, che cercava di attirare l’attenzione del marito attraverso le relazioni con altri uomini, con indizi che lei lasciava perché lui la scoprisse. La conclusione della storia non era che un modo in cui Oto si sentiva nei confronti del marito, che, per quanto ne sapeva, non si accorgeva appunto di quello che stava succedendo.

In questo senso piuttosto emblematico è il simbolismo della telecamera, collegato strettamente a quello dell’abbraccio: nell’ultima scena di sesso insieme a Yūsuke, quando questo la mette nella posizione in cui l’aveva trovata nel momento del tradimento, Oto si rende finalmente conto che il marito sapeva della sua relazione con Kōiji. E infatti a quel punto guarda in macchina, come nella sua storia guardava nella telecamera. E, intanto, lo abbraccia.

Il simbolismo dell’abbraccio prosegue più volte nella pellicola e viene suggellato dall’abbraccio finale fra Yūsuke e Lee in scena, in cui finalmente l’uomo accetta di andare avanti con la sua vita. Un momento fra l’altro dolcissimo, senza che un suono sia emesso.

La metafora del petromizonte

Reika Kirishima e Hidetoshi Nishijima e  in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Il dialogo durante la scena di sesso di Yūsuke è Oto è fondamentale: finalmente Oto ha il coraggio di rivelare a Yūsuke i suoi veri sentimenti. Lei afferma di sentirsi come un petromizonte, ovvero quel pesce che si attacca ad una roccia o ad un altro pesce e lascia che tutto intorno a lui scorra.

Così è successo anche al loro matrimonio e, per estensione alla vita stessa di Yūsuke, che ha lasciato che gli eventi andassero avanti senza riuscire ad intervenire.

Il significato dell’automobile

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Premetto che questo film l’ho sentito anche profondamente vicino perché anche io ho un rapporto con la mia auto simile a Yūsuke. Un momento intimo in cui stare con me stessa.

La macchina di per sé, che tra l’altro è rosso accesso e spicca nella scena, è la metafora stessa della vita di Yūsuke, del suo io interiore. Un’estensione del teatro, unico luogo dove può veramente esprimersi.

E infatti si trova in difficoltà quando deve cedere il controllo dell’auto prima alla moglie, e poi a Misaki. Tuttavia, il loro rapporto si sviluppa proprio in funzione della macchina stessa.

Drive my car

Hidetoshi Nishijima e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Per una volta la traduzione del titolo originale è corretta: significa effettivamente Drive my car, ovvero Guida la mia macchina. Un imperativo, ma più che altro un invito.

E infatti nel film Yūsuke lascia che Misaki si introduca sempre di più nella sua macchina, e quindi nella sua intimità. Prima lascia che la aspetti in macchina, poi che la porti dove vuole, che fumi dentro la vettura e infine il loro rapporto si allontana dalla macchina stessa, concludendosi in quel sentito abbraccio nella neve. Emblematica in questo senso l’inquadratura finale della scena della visita la casa natale di Misaki: la macchina da presa si sofferma proprio sulla macchina, ormai vuota. In quel momento finalmente Yūsuke ha deciso di proseguire con la sua vita.

E infatti infine vediamo Misaki nel nostro presente, che guida la macchina di Yūsuke, ovvero quella parte della sua vita da cui è finalmente riuscito a distaccarsi.

Il personaggio di Misaki

Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Misaki sembra, per la maggior parte del film, un personaggio poco importante, quasi uno spettatore silenzioso di tutta la vicenda. In realtà Misaki è la figura chiave che porterà Yūsuke a risolvere la sua vita.

Infatti Misaki ha vissuto una vita sicuramente più dura di Yūsuke, ma accumunata dalla sua incapacità di intervenire e da una menzogna portata avanti per anni. Come lei trova in Yūsuke il padre che non ha mai avuto ma di cui porta il cognome, così l’uomo trova nella ragazza la figlia che non ha mai potuto crescere, come conferma lo stesso anno di nascita delle due.

Interessante come inizialmente Misaki è ridotta (e si riduce) ad un ruolo profondamente servile. Sempre lasciata da parte, sempre a lasciarsi da parte. Piuttosto emblematico quando, durante la cena a casa di Gong, Yusuke e il suo ospite parlino di lei in terza persona, nonostante sia al loro stesso tavolo. E alla fine lei si allontana, per abbassarsi al di sotto di loro, al livello del cane.

Corpi e espressioni

Yoo-rim Park e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Una chiave di lettura importante per comprendere il film è notare il modo in cui i corpi si muovono in scena e come i personaggi si esprimono. Infatti per quasi tutta la pellicola, al di fuori delle scene teatrali, i personaggi non si toccano mai e mantengono un’espressione seria e distaccata.

Le uniche eccezioni sono il momento molto sentito di prova fra Lee e Janice, nonché quello appunto finale fra Yūsuke e Lee. Per le espressioni, gli unici momenti in cui vediamo Yūsuke veramente esprimersi, è alla cena con Gong e quando deve confessarsi con Misaki alla fine, in cui scoppia in un pianto disperato e confessa i suoi veri sentimenti per la moglie. E, ovviamente, nella splendida scena finale, in cui finalmente accetta la perdita della moglie.

Categorie
2021 Biopic Dramma storico Drammatico Film Nuove Uscite Film Oscar 2022

Spencer – La favola della principessa triste

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Spencer (2021)

(in nero le vittorie)

Migliore attrice protagonista a Kristen Stewart

Spencer è l’ultima opera di Pablo Larraín, cineasta cileno che si era già fatto notare nel cinema occidentale per Jackie (2016). In questo caso la pellicola racconta di Diana, la Principessa Triste.

Una pellicola che mi ha convinto appieno, con un comparto tecnico di primo livello e un taglio narrativo che mi ha sorpreso.

Poi c’è Kristen Stewart.

E quello è tutto un altro discorso.

Di cosa parla Spencer

Per chi seguisse The Crown, la storia prende temporalmente le mosse dal finale della quarta stagione, ovvero la famosa cena di Natale del 1991. Spencer ci porta in medias res, quando i rapporti fra Diana e Carlo sono già tesi, anche per via della relazione, ormai nota a tutti, fra il primogenito di Elisabetta e Camilla.

La narrazione si svolge nei tre giorni passati da Lady Diana durante le vacanze invernali nella tenuta della regina a Sandringham, con la famiglia reale al completo.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché Spencer funziona

Il film non ha alcuna pretesa di realismo in senso stretto, quindi non aspettatevi qualcosa come The Crown appunto (anche se anche la serie stessa inventa a sua volta). Il taglio della pellicola è molto intimo e favolistico, con elementi pseudo-magici, anche se ben contestualizzati.

La narrazione ruota praticamente tutta attorno alla figura di Diana e al suo dramma personale, tanto che non arriva a parlare con altri personaggi della famiglia prima di quasi metà del film. Durante la maggior parte del tempo viene accentuata la sofferenza della sua solitudine, del suo essere lasciata da parte, con grandi inquadrature profondamente vuote.

Un casting azzeccato

Stella Gonet nei panni della Regina Elisabetta in una scena del film di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

In particolare la sua diversità viene raccontata dai colori: nella maggior parte dei casi Diana indossa colori brillanti e carichi, che emergono dal grigiume delle tinte desaturate degli altri personaggi in scena.

Differentemente da The Crown, tuttavia, i membri della famiglia reale non sono rappresentati come persone deprecabili, ma semplicemente come freddi e distanti, ingabbiati in un rigido protocollo a cui Diana non riesce ad adeguarsi. Le scelte di casting in questo senso sono azzeccatissime: attori che già di per sé hanno dei volti taglienti e aristocratici, in particolare la Regina Elisabetta e il Principe Carlo.

Nota di merito anche a Timothy Spall, ottimo caratterista noto al grande pubblico per aver interpretato il personaggio di Codaliscia, il tirapiedi di Voldemort, nella saga di Harry Potter. In questo caso interpreta il maggiordomo Alistar Gregory, agli occhi di Diana estensione della rigidità delle regole della famiglia reale.

Poi c’è Kristen Stewart.

Il mio problema con Kristen Stewart

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Partiamo dal presupposto che mi sono approcciata a questa pellicola con la stessa tranquillità del suocero di Giacomo in Tre uomini e una gamba (1997), quando lo aspetta all’entrata della casa col fucile in mano.

Io sono personalmente piuttosto scettica nei riguardi delle capacità recitative di Kristen Stewart. Dopo Twilight, a differenza di Robert Pattinson, non è mai riuscita a decollare. Ha preso pure parte a pellicole di importanti autori, come Café society (2016), dimenticabilissima pellicola di Woody Allen dove ha dato una dimenticabilissima interpretazione. Ma, a differenza di Gal Gadot, che nonostante tutte si impegna, ma almeno non viene esaltata, Kristen Stewart ha pure una schiera di sostenitori che rivendicano la sua capacità recitativa contro ogni evidenza.

Scomparire nel personaggio

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Per comprendere il livello della recitazione di Kristen Stewart in questa pellicola bisogna pensare dell’annosa questione degli attori che interpretano se stessi: i casi più celebri sono Will Smith e Dwayne Johnson. In molte pellicole dove sono coinvolti questi non devono fare lo sforzo di entrare nei personaggi, perché i personaggi sono loro.

Non voglio dire che Kristen Stewart faccia parte di questo gruppo (anche perché non ha il carisma necessario), ma risulta evidente il motivo per cui Pablo Larraín l’abbia scelta. Il regista cileno voleva appunto raccontare la storia della principessa triste. E chi meglio di Kristen Stewart, la cui espressione naturale del viso è un misto di disperazione e confusione?

Tuttavia appunto la capacità di un buon attore è quello di riuscire a scomparire dietro al personaggio che interpreta. I più talentuosi sono ovviamente capaci di destreggiarsi nei ruoli più diversi, come l’ottimo Joaquin Phoenix, capace di raccontare un ingenuo solitario in Her (2013) e uno squilibrato delirante in Joker (2019).

Do nuovo, questo non è il caso di Kristen Stewart.

In Spencer funziona?

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Nel complesso, mentirei se vi dicessi che Kristen Stewart in Spencer è stata pessima. Come spiegherò meglio nella parte spoiler, riesce ad essere complessivamente convincente nelle parti in cui deve essere genericamente triste, ma semplicemente perché questo non le richiede un grande sforzo interpretativo: quella è semplicemente la sua espressione normale.

Stesso potrei direi per la recitazione corporea, impacciata e rigida, che non è tanto diversa del suo normale portamento. Tuttavia quando deve cimentarsi in espressioni più complesse, quando deve piangere o essere in qualche modo spiritosa (per fortuna non succede spesso) non è per nulla convincente.

Io avrei preferito senza dubbio che fosse stata scelta un’altra attrice, possibilmente inglese (la differenza fra l’accento reale degli attori britannici e il suo affettato si sente) e che avesse una potenza espressiva ben più convincente.

Per me in definitiva Kristen Stewart non ha veramente nulla a che vedere con l’ottima Emma Corrin in The Crown, che riusciva perfettamente a modulare la sua recitazione per una perfetta Diana.

Spencer fa per me?

Se siete già fan di The Crown come me, molto probabilmente sì, anche se, come spiegato, la pellicola ha un taglio un po’ diverso. Non aspettatevi una pellicola scandalistica (come in parte immaginavo) che copra i principali momenti della seconda parte della vita di Diana e del suo rapporto con Carlo. Aspettatevi piuttosto una pellicola molto intima e profonda, con una messinscena ottima e una fotografia che lo fa sembrare un film veramente risalente agli anni in cui è ambientato.

Non un film perfetto, ma sicuramente da vedere.

Due parole in più con spoiler

Fin dall’inizio ci viene mostrata la freddezza della situazione contro la spensieratezza di Diana: da una parte rigidi militari che trasportano il cibo per famiglia reale, con pure regole severissime da seguire per i cuochi. E dall’altra parte opposta Diana, che si perde, che sogna la sua infanzia, che vuole ritornarci.

Tutto il film non è infatti altro che il racconto di come Lady D riesca a riappropriarsi della propria identità, quindi del suo cognome, che ha ovviamente perso con il matrimonio con Carlo. Non a caso, appunto, il film sia chiama Spencer e non Diana. Nel contesto storico, il film racconta la scelta di Diana divorziare da Carlo.

La solitudine

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

La solitudine di Diana è potente per tutta la pellicola: come detto, la vediamo conversare con un membro della famiglia reale solamente dopo 50 minuti di film. Per il resto del tempo è isolata, sola nella sua stanza, al massimo conversa coi domestici, che sono i suoi principali interlocutori.

La casa sembra una prigione: è opprimente, tutti i personaggi intorno a lei sono distanti e freddi, la rimproverano, la umiliano, la forzano. Lei è davvero ingenua, disperata e, molto spesso, delirante.

La malattia

Uno dei temi principali è la malattia di Diana: la vediamo in una sola scena mangiare effettivamente, il resto del tempo vomita o scappa dai pasti imposti dalla famiglia. O, peggio, si ingozza di nascosto. E Kristen Stewart ha proprio quel volto emaciato e magrolino che la rende molto credibile.

Eppure il tema del cibo è sempre presente: Diana è sempre richiamata ai pasti, le scene dei cuochi sono molte, e continuano costantemente a parlare del prossimo pasto da cucinare.

L’unica scena in cui mangia è veramente potente: Diana cerca di strapparsi quella collana, quasi una catena al collo, e ingioia sofferente la zuppa, che noi spettatori vediamo piena di perle, che sono come sassi di cui si ingozza.

L’unica scena che non mi è davvero piaciuta è il montaggio quando nella sua casa natale e sta per cadere dalle scale, una sorta di flusso di pensieri. Oltre a non esserne riuscita a coglierne la logica, avrebbe decisamente potuto durare di meno ed è essere molto più efficace.

Due parole in più su Kristen Stewart

Ci sono un paio di scene che mi hanno particolarmente colpito, e non positivamente. Anzitutto la scena iniziale alla tavola calda: Diana si comporta come se fosse una scolaretta impacciata, in maniera così caricata che ero in imbarazzo per lei.

Così riesce a fallire anche in una scena di sofferenza: quando parla col cuoco dei suoi sogni, sembra che cerchi di forzare l’espressione del viso, in maniera totalmente innaturale. Probabilmente complice anche il fatto che non riesce a parlare naturalmente con l’accento britannico.

Ma la cosa peggiore è la scena della notte di Natale con i due figli. Provate a fare questo esperimento: fate partire quella scena e ascoltatela senza guardare. Poi guardatela normalmente: sembra che siano due attrici diverse. Per quanto riesca a modulare adeguatamente la voce, la sua espressività risulta rigida e per nulla eloquente. Quasi come si fosse ridoppiata.

Sul resto mi sono già espressa, ma in conclusione posso affermare con grande sicurezza non gli andava riconosciuto alcunché.

La questione degli Oscar 2022

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Come anticipato, Kristen Stewart non doveva essere premiata per nulla, neanche con una candidatura. È stata vagamente meglio del solito, ma presenta una recitazione veramente altalenante. Comunque infine non ha vinto, ma il premio è andato alla ben più meritevole Jessica Chastain per Gli occhi di Tammy Faye (2021).

Questo film poteva essere invece candidato a Miglior colonna sonora e anche Miglior fotografia. Un peccato, secondo me, che venga presentato con la sua parte più difettosa.