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The card counter – È solo un gioco

The Card Counter è l’ultima pellicola di Paul Schrader, noto soprattutto per essere sceneggiatore di uno dei capisaldi della filmografia di Martin Scorsese, ovvero Taxi Driver (1976). Il film è stato presentato al Festival di Venezia 2021, poi è uscito nelle sale italiane lo scorso settembre.

Purtroppo una pellicola che ha avuto poca risonanza, soprattutto nelle premiazioni internazionali, dove è stato ingiustamente ignorato: a parte la prestigiosa candidatura al Leone D’oro a Venezia, il nulla. Un vero peccato, per una pellicola di alto valore artistico e con un Oscar Isaac davvero sorprendente.

Il film ha incassato davvero pochissimo (appena 5 milioni a livello internazionale), e in parte la colpa potrebbe anche essere della campagna marketing.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla The Card Counter

William Tell, interpretato da Oscar Isaac, che abbiamo visto recentemente in Dune (2021) e attualmente in Moon Knight, è un giocatore d’azzardo, che si guadagna da vivere giocando a carte nei casinò. Pur non interessato a guadagnare più del necessario, viene coinvolto in un circuito di partite di alto livello da La Linda, cacciatrice di talenti che decide di finanziarlo.

Dietro alla sua scelta in realtà si celeranno importanti questioni del suo tenebroso passato, riguardanti anche il giovane Cirk, interpretato da Tye Sheridan, noto soprattutto per essere stato protagonista di Ready player one (2018).

Vi lascio il trailer, ma, prima di vederlo, vi consiglio di proseguire con la lettura.

Trailer ingannevoli (di nuovo)

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

In generale, vi sconsiglio di guardare il trailer, perché è davvero ingannevole. Non come quello di Dune, ma ci andiamo vicino. La campagna marketing è stato il motivo per cui non ho recuperato il film al tempo: dà un’idea del tutto sbagliata della pellicola, oltre a spoilerare la maggior parte delle scene clou. Visto così sembra la storia di un giocatore d’azzardo con un passato oscuro, in un filmetto di seconda categoria di Canale Cinque.

Invece, oltre al fatto che il poker è fondamentalmente solo la cornice delle storia, il film è profondo, riflessivo, piuttosto enigmatico nel suo andamento fino alle battute finali. Tuttavia, The card counter è anche un film poco spendibile per il grande pubblico, soprattutto nel mercato italiano. Per questo si è scelto di presentarlo per quello che non è (e non sarà né la prima né l’ultima volta che succede, purtroppo). Oltre a questo, il titolo, che ha un significato specifico all’interno della pellicola, è totalmente stravolto nella traduzione: Il collezionista di carte non ha nessun significato, perché il protagonista conta le carte a poker, non le colleziona.

Per questo, lasciate che vi spieghi io se è un film che fa per voi, senza dovervi far raggirare dal suddetto trailer.

The card counter fa per me?

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Anzitutto, ed è quasi ovvio, se vi è piaciuto Taxi Driver, è probabile che vi piaccia anche The card counter. Infatti lo scheletro narrativo è simile, così come le dinamiche. In generale, come anticipato, aspettatevi un film molto riflessivo, il cui andamento è di difficile prevedibilità, oltre che con un Oscar Isaac in forma smagliante.

Se vi intrigano i film con trame davvero imprevedibili, con colpi di scena intelligenti e anche scene di violenza piuttosto forti, è il film che fa per voi. Se invece preferite stare lontani da contenuti troppo spinti sul lato della violenza, fisica e psicologica, e che non sono immediati nel messaggio, scegliete altro.

L’imprevedibilità

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Se c’è una cosa che davvero apprezzo in un film è quando non riesco a prevederne l’andamento, arrivando quasi ad esserne confusa sulle prime. Per me è stato il caso de Il potere del cane, e per The card counter fino agli ultimissimi momenti non avevo veramente idea della piega del film.

In particolare sono rimasta scioccata sia per la scena in Bill minaccia Cirk, sia per quando il ragazzo gli manda la foto della casa della madre, e subito Bill capisce che sta ingannando.

Inoltre, a mio parere, la pellicola si presta a più interpretazioni.

La mia interpretazione

Willem Dafoe in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Secondo la mia visione, Bill era un soldato messo in una situazione in cui è riuscito a perdere se stesso, lasciandosi tentare da una violenza disumana proprio dal Maggior Gordo.

Tuttavia proprio la sua punizione l’ha portato a ricostruire la propria persona, adottando uno stile di vita ordinato e preciso al limite dell’ossessione, come si vede bene già anche solo nelle scene della prigione.

E, non a caso, vediamo sempre un personaggio riflessivo e calcolatore, che non si lascia mai prendere dalla rabbia, tranne in due momenti: quando minaccia Cirk e quando uccide Gordo. Ma, anche in quel caso, si tratta di momenti di passaggio, piccoli scatti d’ira per poi tornare alla posa iniziale.

Ricostruire il presente

Tye Sheridan in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Penso che la conoscenza di Cirk sia stata un trigger per il protagonista, che per tutta la pellicola sembra voler mettere in pratica lui stesso il piano del ragazzo. Invece il suo progetto è quello di salvare Cirk, come lui non è riuscito a salvare se stesso

Un piano obbiettivamente complesso, degno di una mente così complessa. Infatti, proprio per evitare di ricadere in nuovi problemi, Bill si guadagna da vivere giocando a carte, ma rimanendo, come lui stesso dice, sotto al radar. L’unico motivo per cui sceglie di puntare più in alto è quello di aiutare Cirk, guadagnando dei soldi che altrimenti non significherebbero nulla per lui.

Perché alla fine, appunto, le carte non erano altro che un gioco, un modo per sopravvivere che si adattasse alla sua mente geniale, senza voler andare oltre, anzi odiando la realtà dei casinò, come dice anche esplicitamente a La Linda.

Oscar Isaac: l’attore che non ci meritiamo

Oscar Isaac in una scena del film Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

Indipendentemente dal fatto che Oscar Isaac sia un attore incredibile, qui è riuscito ancora a sorprendermi: riesce a dipingere in volte delle espressioni al contempo annoiate e schifate davvero eloquenti, per rendere un personaggio freddo e calcolatore, che non si lascia turbare da nulla.

La voce ben modulata per ogni singola battuta, così ben dosata e con i tempi giusti: un fuoriclasse. Riesce ad essere tutto: calmo, schifato, indifferente, e, infine, rabbioso.

Per non parlare della calcolatissima recitazione corporea: se notate in molte scene, soprattutto quando gioca a carte, tiene una mano a metà del braccio, come se volesse trattenerlo, mentre l’altra mano è puntata aggressivamente in avanti, come sul punto di scattare, come un artiglio.

Dove sta la vergogna

Oscar Isaac in una scena del film The card counter, Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

La vergogna sta sulla testa di chi ha ignorato non solo questo film, ma soprattutto Oscar Isaac. La pellicola è stata infatti candidata al Festival del Cinema di Venezia, ma non altrove. Penso che come minimo probabilmente la miglior prova attoriale di Oscar Isaac in tempi recenti meritasse quantomeno una candidatura. Ma come minimo.

Anche la regia avrebbe potuto ricevere qualche riconoscimento: piuttosto originale in molte scene, sperimentando con piani sequenza, grandangoli e splendide dissolvenza incrociate.

Cosa tutto sommato non mi ha convinto di The card counter

Oscar Isaac in una scena del film Il collezionista di carte (2021) diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver di Martin Scorsese

In generale lo svolgimento della trama mi ha davvero appassionato, tanto che, come già detto, non mi aspettavo certe svolte. Tuttavia alla fine dei conti per certe cose lo scheletro narrativo l’ho trovato un po’ banale, forse mi sarei aspettata qualcosa di più profondo.

La profondità certamente non manca a questo film, che è leggibile su più livelli, in un insieme che ben si amalgama in una risultato di tutto rispetto. Tuttavia a fine visione mi è sembrato che gli mancasse quel quid per fare il passo definitivo nella giusta direzione.

Ma a dire così mi sembra di fargli inutilmente le pulci. Quindi mi accontento di aver visto un film di alto livello, diretto con grande passione e con un Oscar Isaac che non penso di aver mai visto così in parte. E parliamo di accontentarci…

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Encanto – L’happy ending a tutti i costi

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Encanto (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film d’animazione
Miglior colonna sonora originale
Migliore canzone originale

Encanto (2021) è l’ultima pellicola Disney Pictures uscita lo scorso novembre, nonché il 60esimo classico della casa di produzione statunitense. Nonostante ad oggi sia diventato un piccolo cult online, soprattutto per la canzone We don’t talk about Bruno, è stato un discreto flop commerciale: 251 dollari di box office contro un budget di 120. Quindi forse sono riusciti a rientrare nei costi di produzione, ma, con la massiccia campagna marketing che è stata fatta, non è neanche detto. Comunque per la Disney non un buon risultato.

Il film è stato una sorprendete riscoperta quando è uscito in streaming a Natale, creando un trend tutt’ora vivo, soprattutto su TikTok. E dopo spiegheremo come questo è di fatto un precedente pericoloso.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Encanto

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

La storia di Encanto ruota intorno a Mirabel, parte della famiglia Madrigal, il punto di riferimento per una piccola comunità immaginaria della Colombia. Tutta la famiglia di sangue è caratterizzata per possedere poteri eccezionali, che mette al servizio del bene comune. Tutti tranne Mirabel. La protagonista sarà anche l’unica a rendersi conto di come la magia stia sparendo e a cercare di risolvere il mistero e ricostruire la solidità della famiglia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Encanto

Encanto, nonostante le problematiche che esporremo nella parte spoiler, è un film molto valido, dal grande potere intrattenitivo e con delle canzoni che ti entrano veramente ne cuore. Non a caso è diventato famoso soprattutto per quest’ultime. La protagonista è una ventata di aria fresca per il genere: non è la solita protagonista femminile stereotipata (da cui la Disney sta cercando di distaccarsi da anni), ma è intraprendente, coraggiosa e con una bellezza non convenzionale, ma più realistica.

La storia nel complesso, nonostante il finale a mio parere poco convincente, riesce a trasportati in un mondo nuovo e davvero magico, e a farti esplorare bene o male tutti i personaggi della famiglia. Nel complesso, un film che ogni fan della Disney dovrebbe avere nel suo arsenale.

La questione degli Oscar 2022

Come ampiamente previsto, questo film ha vinto miglior film d’animazione agli Oscar 2022. Personalmente, nonostante il film sia complessivamente gradevole e ben fatto, penso che il premio dovesse essere vinto da I Mitchell contro le macchine (2021), prodotto Netflix di altissima qualità che vi consiglio caldamente di recuperare. O, al massimo, da Luca (2021), altro prodotto veramente valido della Pixar uscito la scorsa estate.

Tuttavia, il posizionamento dell’uscita rendeva assolutamente telefonata la vittoria di Encanto: solitamente i film che si vogliono far vincere agli Oscar vengono fatti uscire il più vicini possibile alla premiazione.

Il precedente pericoloso

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Non è un buon momento per i film d’animazione e, più in generale, i film per famiglie: la pellicola d’animazione che ha incassato di più nel 2021 è stata Sing 2 (377 milioni contro 85 milioni di budget), portandosi a casa circa la metà degli incassi del primo capitolo della saga.

In generale, vuoi per la difficoltà di recarsi serenamente in sala, soprattutto con bambini piccoli, vuoi per la sempre maggiore offerta delle piattaforme streaming, il pubblico più giovane sta abbandonando la sala. E la Disney, consapevole di questo, ha rilasciato il film neanche un mese dopo la sua uscita in sala su Disney+, portando al successo che ha avuto.

Un pericolosissimo precedente: senza lo streaming, Encanto non avrebbe avuto successo. E non è un caso, quindi, che Red (2021), l’ultima pellicola Pixar, sia stata rilasciata in streaming direttamente. La terza pellicola Pixar di fila.

Perché le canzoni di Encanto sono già dei piccoli cult

Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Le motivazioni del successo delle canzoni di Encanto sono fondamentalmente due: Lin-Manuel Miranda e la loro funziona nella storia. Se il primo nome non vi dice niente, sappiate che bene o male questo personaggio fa già parte della nostra vita (e non ce ne siamo accorti). Diventato in poco tempo il golden boy di Hollywood, ha sceneggiato Hamilton (2020), tratto dal famosissimo musical che è stato un successo incredibile negli Stati Uniti, e ha diretto l’ottimo Tik, tik…boom! (2021). Oltre a questo, aveva una parte abbastanza importante ine Il ritorno di Mary Poppins (2018).

Miranda è un ottimo sceneggiatore di musical (e se avete visto Tik, tik…boom! sapete di cosa sto parlando) ed con Encanto è stato capace di portare aria fresca al genere animato. Infatti la particolarità delle canzoni di Encanto è appunto il loro ruolo nella storia: molto spesso nei classici Disney (e non solo) le canzoni sono poco memorabili anche perché hanno un ruolo veramente marginale nella storia, spesso solo momenti di riflessione dei personaggi. Il primo esempio davvero emblematico in questo senso è Frozen II (2019), di cui infatti alcuna canzone è rimasta nel cuore degli spettatori.

In Encanto, invece, la canzoni sono spesso anche mischiate anche ai dialoghi dei personaggi e hanno una funzione chiave nella trama: o la portano direttamente avanti (come nel caso di !Hola casita!, la canzone finale di Abuela), oppure sono funzionali a far capire profondamente i personaggi del film (come la canzone di Luisa). Oltre a questo, sono canzoni sempre diverse fra loro e molto orecchiabili. Io, personalmente, le ho adorate dalla prima all’ultima.

Toccare i tasti giusti

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, e Luisa, interpretata da Jessica Darrow, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Io, per la maggior parte del finale, ero in lacrime. E non la classica lacrimuccia, proprio un pianto vero. Perché per tutto il film, e soprattutto alla fine, Encanto è riuscito a toccare i tasti giusti. In particolare i problemi familiari che più o meno tutti abbiamo o abbiamo avuto nella vita, il rapporto coi nostri nonni e potenzialmente l’abbandono di una persona amata.

Sono delle situazioni in cui ci si può facilmente immedesimare, perché piuttosto comuni. Oltre a questo, più realisticamente parlando, la famiglia Madrigal e l’esperienza di Mirabel non sono altro che la storia di ragazzini prodigio, che sentono la pressione al successo da parte dei genitori. Un altro tema, non a caso, piuttosto comune.

Una protagonista diversa

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Come anticipato, uno dei grandi meriti di questa pellicola è di portare in scena una protagonista diversa dal solito: finalmente non una insopportabile e irrealistica Mary Sue, speciale fin dalla nascita, ingenua e senza nessuno spirito di intraprendenza. Mirabel è invece intraprendente, decisa, ha una gamma espressiva ampia e realistica, ha sentimenti positivi ma anche molto negativi e molto umani.

Ma, soprattutto, non è un personaggio positivo solo a parole: aiuto veramente la sua famiglia, aiuta Antonio nel suo viaggio con un sincero affetto e aiuto che il resto della famiglia non gli dà. E, incredibilmente, non è rancorosa contro la sua famiglia, composta per la maggior parte da adorabili stronzi.

Una rappresentazione davvero inclusiva

La famiglia Madrigal in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Encanto non solo ha reso protagonista della scena la comunità latina, in particolare colombiana, finora ben poco presente sui nostri schermi, ma è riuscito a farlo in maniera interessante e intelligente. I personaggi non sono per nulla stereotipati come spesso succede, sono tutti diversi fra loro di aspetto, con una splendida varietà di volti e di rappresentazione.

Oltre a questo, Encanto ha portato in scena una delle poche rappresentazioni di una donna muscolosa e possente, senza ridicolizzarla o renderla una macchietta, ma con un profondo dramma personale. Ed è splendido come molte persone, di solito scarsamente rappresentate, si siano ritrovate nel suo personaggio.

Il personaggio di Bruno e l’umorismo vincente

Bruno, interpretato da John Leguizamo, in una scena del film

Il personaggio di Bruno è la vera punta di diamante del film e non a caso è anche quello spesso più citato. Il film utilizza un trope che io personalmente adoro, ovvero introdurre un personaggio a parole e poi crearvi dell’attesa intorno. Oltre a questo, è un personaggio con cui facilmente empatizziamo e a cui è dedicante una delle scene che più mi spezzano il cuore di tutta la pellicola, ovvero quando Mirabel scopre che Bruno ha creato un allungamento del tavolo della sala da pranzo e ha disegnato sopra il suo piatto.

Ma è anche un personaggio genuinamente divertente, soprattutto per le parti in cui interpreta i suoi alter-ego. Fra l’altro, ci sono diversi momenti in cui Bruno è presente in scena prima che appaia, in primo luogo nella scena della canzone a lui dedicata.

In generale l’umorismo del film è piuttosto vincente, con battute che riescono a farmi ridere anche ad una seconda visione, in particolare all’inizio quando Mirabel afferma che è speciale come tutti i membri della sua famiglia, uno dei bambini le dice Maybe your gift is being in denial (Magari il tuo talento è negare la realtà).

Perché il finale di Encanto non funziona

Abuela, interpretata da María Cecilia Botero, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale è in realtà triplice: la giustificazione assoluta del personaggio di Abuela Alma, la morale problematica e la mancanza di un finale vero.

Il problema di Abuela Alma

Nella conclusione Mirabel si mostra assolutamente comprensiva nei confronti della nonna, accettando il suo dolore e il suo trauma, e conseguentemente giustificando il suo comportamento terribile finora. Quella della nonna (e in parte anche degli altri membri della famiglia) era una pura violenza psicologica, infatti se non fossimo in un film Disney il potere di Mirabel sarebbe la depressione profonda.

La storia della nonna è indubbiamente bella e toccante, anche molto empowering a suo modo: una donna solo, con tre figli, che riesce a costruire una solida comunità. Tuttavia, appunto, il suo trauma non giustifica la violenza con cui opprime i suoi familiari, che portano appunto ad una distruzione dell’armonia familiare.

Nota a margine, fra l’altro, per l’ossessione ancora viva del co-regista del film, Byron Howard, per il tema della luce: se fate un confronto con Rapunzel (2010), di cui era sempre co-regista, noterete delle grande similitudini fra il fiore del film del 2010 e la candela di Encanto.

Il finale non finale

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film Encanto (2021) 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Il problema del finale di Encanto è proprio che non è un finale, ma una conferma della situazione precedente. C’erano diversi e vari problemi all’interno della famiglia, anzitutto quello già detto della nonna, ma anche la generale ansia e infelicità dei componenti della famiglia. Questo problema non è veramente risolto, perché è assolutamente poco credibile che basti una canzone per risolvere il trauma profondo di Mirabel, quello di Bruno e a risaldare i rapporti fra i personaggi.

Anche perché il problema di fondo resta: anche se la famiglia Madrigal si vuole forse più bene ora, sono comunque persone che devono essere al servizio della loro comunità, dare una certa immagine di sè, come viene ben mostrato nel film. Tutto questo non viene risolto.

Ma il problema più grande a mio parere è proprio Mirabel.

La morale distorta

Mirabel, interpreta da Stephanie Beatriz, in una scena del film 60° classico disney miglior film d'animazione oscar 2022

Nella conclusione scopriamo che il vero potere di Mirabel è quello di tenere unita la famiglia e, di conseguenza, l’intera comunità. Tuttavia, questo la rende totalmente un personaggio dipendente, che non potrà mai veramente staccarsi da questo contesto senza che possa succedere ancora una volta il disastro della fine del film.

Questo perché, come già detto, i problemi della famiglia non sono risolti. Quindi Mirabel, che è comunque un personaggio intraprendente e con voglia di fare, non potrà mai essere più che il collante della famiglia, senza avere un vero ruolo se non quello fondamentalmente ancellare.

Il finale perfetto sarebbe stato se Mirabel si fosse allontanata dalla famiglia, cercando la felicità e la possibilità di esprimersi altrove. E invece deve rimanere ancora ad un ambiente, che, in fin dei conti, è davvero soffocante.

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Drive my car – L’incomunicabile

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Drive my car (2021)

(in nero i premi vinti)

Miglior film internazionale
Miglior film
Miglior regista
Miglior sceneggiatura non originale

Sono poche le volte in cui posso dire di essere stata travolta da un film. Drive my car è una di quelle volte. E dico travolta e non intrattenuta per un motivo: non so ne spiegare il perché. Per tre ore (sì, tre ore) sono stata incollata ad uno schermo dove veniva raccontata una storia complessa ma vicina a me, con una delicatezza e una profondità che raramente ho trovato in altre pellicole.

Di cosa parla Drive my car

È difficile dire di cosa parla Drive my car senza rovinarvi la visione. È un film che va visto con la mente libera da ogni influenza esterna.

Tuttavia quello che vi posso raccontare è che il film ha un importante prologo che copre quasi la prima metà della sua durata (di cui non vi posso dire niente). Dopo, parla di un attore e regista teatrale che organizza uno spettacolo e che viene accompagnato, contro la sua volontà, in giro con un autista fornito dalla produzione. Questo è lo scheletro narrativo. Sotto a questo, c’è un mondo che potrete capire solo se vedrete la pellicola.

Vi lascio il trailer, se proprio volete vederlo, ma vi consiglio di guardare il film senza aggiungere altro.

Drive my car fa per me?

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

È molto difficile rispondere a questa domanda. Soprattutto perché non credo che questo film sia paragonabile ad alcunché da me conosciuto. Forse, e sottolineo forse, potrei paragonarlo, per come mi ha fatto sentire, a I’m Thinking of Ending Things (2020), anche senza tutta la parte surreale.

Generalmente parlando, vi devono piacere i film molto riflessivi e fatti più di dialogo che di azioni, metafore potenti e da sviscerare. Se vi piacciono questo tipo di film, vi innamorerete. E per reggere questa pellicola, c’è davvero bisogno di innamorarsi.

Riflessioni Oscar 2022

Hidetoshi Nishijima e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Come ampiamente previsto, Drive my car ha vinto Miglior Film Internazionale. Mi mancano ancora le altre pellicole candidate e solitamente non darei un giudizio netto. Ma credo che pochi, avendo visto la pellicola, possano dirmi che meritava di vincere altro se non questo. Anzi, a mio parere doveva vincere anche qualcosa di più.

La storia alla fine

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Il mio passato è passato senza eventi

Fra tutto, forse quello che mi ha più colpito è stato il fatto che all’inizio io avevo inquadrato la storia in un certo modo, anche abbastanza superficiale se vogliamo, e la rivelazione finale è stata uno schiaffo.

Inizialmente pensavo infatti che Yūsuke, il protagonista, non fosse capace di affrontare il tradimento della moglie, e che non ne sapesse nulla prima. Allo stesso modo pensavo che Oto si fosse suicidata.

Invece la realtà è molto peggiore e il racconto di Kōiji lascia a mio parere anche spazio a più interpretazioni. Io personalmente credo che la vera storia di Oto e Yūsuke fosse quella di un rapporto definitivamente incrinato dalla morte della figlia, in cui era nata una profonda incomunicabilità fra i due.

Un matrimonio spezzato

Reika Kirishima e Hidetoshi Nishijima e  in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Penso che Oto non sapesse che Yūsuke era a conoscenza dei suoi tradimenti, se così vogliamo chiamarli, e che questo non fosse che un modo per lei di comunicare i suoi veri sentimenti, così come Yūsuke comunicava i suoi attraverso il teatro.

La storia dell’adolescente era in realtà la storia di Oto, che cercava di attirare l’attenzione del marito attraverso le relazioni con altri uomini, con indizi che lei lasciava perché lui la scoprisse. La conclusione della storia non era che un modo in cui Oto si sentiva nei confronti del marito, che, per quanto ne sapeva, non si accorgeva appunto di quello che stava succedendo.

In questo senso piuttosto emblematico è il simbolismo della telecamera, collegato strettamente a quello dell’abbraccio: nell’ultima scena di sesso insieme a Yūsuke, quando questo la mette nella posizione in cui l’aveva trovata nel momento del tradimento, Oto si rende finalmente conto che il marito sapeva della sua relazione con Kōiji. E infatti a quel punto guarda in macchina, come nella sua storia guardava nella telecamera. E, intanto, lo abbraccia.

Il simbolismo dell’abbraccio prosegue più volte nella pellicola e viene suggellato dall’abbraccio finale fra Yūsuke e Lee in scena, in cui finalmente l’uomo accetta di andare avanti con la sua vita. Un momento fra l’altro dolcissimo, senza che un suono sia emesso.

La metafora del petromizonte

Reika Kirishima e Hidetoshi Nishijima e  in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Il dialogo durante la scena di sesso di Yūsuke è Oto è fondamentale: finalmente Oto ha il coraggio di rivelare a Yūsuke i suoi veri sentimenti. Lei afferma di sentirsi come un petromizonte, ovvero quel pesce che si attacca ad una roccia o ad un altro pesce e lascia che tutto intorno a lui scorra.

Così è successo anche al loro matrimonio e, per estensione alla vita stessa di Yūsuke, che ha lasciato che gli eventi andassero avanti senza riuscire ad intervenire.

Il significato dell’automobile

Hidetoshi Nishijima in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Premetto che questo film l’ho sentito anche profondamente vicino perché anche io ho un rapporto con la mia auto simile a Yūsuke. Un momento intimo in cui stare con me stessa.

La macchina di per sé, che tra l’altro è rosso accesso e spicca nella scena, è la metafora stessa della vita di Yūsuke, del suo io interiore. Un’estensione del teatro, unico luogo dove può veramente esprimersi.

E infatti si trova in difficoltà quando deve cedere il controllo dell’auto prima alla moglie, e poi a Misaki. Tuttavia, il loro rapporto si sviluppa proprio in funzione della macchina stessa.

Drive my car

Hidetoshi Nishijima e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Per una volta la traduzione del titolo originale è corretta: significa effettivamente Drive my car, ovvero Guida la mia macchina. Un imperativo, ma più che altro un invito.

E infatti nel film Yūsuke lascia che Misaki si introduca sempre di più nella sua macchina, e quindi nella sua intimità. Prima lascia che la aspetti in macchina, poi che la porti dove vuole, che fumi dentro la vettura e infine il loro rapporto si allontana dalla macchina stessa, concludendosi in quel sentito abbraccio nella neve. Emblematica in questo senso l’inquadratura finale della scena della visita la casa natale di Misaki: la macchina da presa si sofferma proprio sulla macchina, ormai vuota. In quel momento finalmente Yūsuke ha deciso di proseguire con la sua vita.

E infatti infine vediamo Misaki nel nostro presente, che guida la macchina di Yūsuke, ovvero quella parte della sua vita da cui è finalmente riuscito a distaccarsi.

Il personaggio di Misaki

Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Misaki sembra, per la maggior parte del film, un personaggio poco importante, quasi uno spettatore silenzioso di tutta la vicenda. In realtà Misaki è la figura chiave che porterà Yūsuke a risolvere la sua vita.

Infatti Misaki ha vissuto una vita sicuramente più dura di Yūsuke, ma accumunata dalla sua incapacità di intervenire e da una menzogna portata avanti per anni. Come lei trova in Yūsuke il padre che non ha mai avuto ma di cui porta il cognome, così l’uomo trova nella ragazza la figlia che non ha mai potuto crescere, come conferma lo stesso anno di nascita delle due.

Interessante come inizialmente Misaki è ridotta (e si riduce) ad un ruolo profondamente servile. Sempre lasciata da parte, sempre a lasciarsi da parte. Piuttosto emblematico quando, durante la cena a casa di Gong, Yusuke e il suo ospite parlino di lei in terza persona, nonostante sia al loro stesso tavolo. E alla fine lei si allontana, per abbassarsi al di sotto di loro, al livello del cane.

Corpi e espressioni

Yoo-rim Park e Tôko Miura in una scena del film Drive my car (2021) di Ryusuke Hamaguchi, vincitore oscar miglior film internazionale

Una chiave di lettura importante per comprendere il film è notare il modo in cui i corpi si muovono in scena e come i personaggi si esprimono. Infatti per quasi tutta la pellicola, al di fuori delle scene teatrali, i personaggi non si toccano mai e mantengono un’espressione seria e distaccata.

Le uniche eccezioni sono il momento molto sentito di prova fra Lee e Janice, nonché quello appunto finale fra Yūsuke e Lee. Per le espressioni, gli unici momenti in cui vediamo Yūsuke veramente esprimersi, è alla cena con Gong e quando deve confessarsi con Misaki alla fine, in cui scoppia in un pianto disperato e confessa i suoi veri sentimenti per la moglie. E, ovviamente, nella splendida scena finale, in cui finalmente accetta la perdita della moglie.

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Spencer – La favola della principessa triste

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2022 per Spencer (2021)

(in nero le vittorie)

Migliore attrice protagonista a Kristen Stewart

Spencer è l’ultima opera di Pablo Larraín, cineasta cileno che si era già fatto notare nel cinema occidentale per Jackie (2016). In questo caso la pellicola racconta di Diana, la Principessa Triste.

Una pellicola che mi ha convinto appieno, con un comparto tecnico di primo livello e un taglio narrativo che mi ha sorpreso.

Poi c’è Kristen Stewart.

E quello è tutto un altro discorso.

Di cosa parla Spencer

Per chi seguisse The Crown, la storia prende temporalmente le mosse dal finale della quarta stagione, ovvero la famosa cena di Natale del 1991. Spencer ci porta in medias res, quando i rapporti fra Diana e Carlo sono già tesi, anche per via della relazione, ormai nota a tutti, fra il primogenito di Elisabetta e Camilla.

La narrazione si svolge nei tre giorni passati da Lady Diana durante le vacanze invernali nella tenuta della regina a Sandringham, con la famiglia reale al completo.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché Spencer funziona

Il film non ha alcuna pretesa di realismo in senso stretto, quindi non aspettatevi qualcosa come The Crown appunto (anche se anche la serie stessa inventa a sua volta). Il taglio della pellicola è molto intimo e favolistico, con elementi pseudo-magici, anche se ben contestualizzati.

La narrazione ruota praticamente tutta attorno alla figura di Diana e al suo dramma personale, tanto che non arriva a parlare con altri personaggi della famiglia prima di quasi metà del film. Durante la maggior parte del tempo viene accentuata la sofferenza della sua solitudine, del suo essere lasciata da parte, con grandi inquadrature profondamente vuote.

Un casting azzeccato

Stella Gonet nei panni della Regina Elisabetta in una scena del film di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

In particolare la sua diversità viene raccontata dai colori: nella maggior parte dei casi Diana indossa colori brillanti e carichi, che emergono dal grigiume delle tinte desaturate degli altri personaggi in scena.

Differentemente da The Crown, tuttavia, i membri della famiglia reale non sono rappresentati come persone deprecabili, ma semplicemente come freddi e distanti, ingabbiati in un rigido protocollo a cui Diana non riesce ad adeguarsi. Le scelte di casting in questo senso sono azzeccatissime: attori che già di per sé hanno dei volti taglienti e aristocratici, in particolare la Regina Elisabetta e il Principe Carlo.

Nota di merito anche a Timothy Spall, ottimo caratterista noto al grande pubblico per aver interpretato il personaggio di Codaliscia, il tirapiedi di Voldemort, nella saga di Harry Potter. In questo caso interpreta il maggiordomo Alistar Gregory, agli occhi di Diana estensione della rigidità delle regole della famiglia reale.

Poi c’è Kristen Stewart.

Il mio problema con Kristen Stewart

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Partiamo dal presupposto che mi sono approcciata a questa pellicola con la stessa tranquillità del suocero di Giacomo in Tre uomini e una gamba (1997), quando lo aspetta all’entrata della casa col fucile in mano.

Io sono personalmente piuttosto scettica nei riguardi delle capacità recitative di Kristen Stewart. Dopo Twilight, a differenza di Robert Pattinson, non è mai riuscita a decollare. Ha preso pure parte a pellicole di importanti autori, come Café society (2016), dimenticabilissima pellicola di Woody Allen dove ha dato una dimenticabilissima interpretazione. Ma, a differenza di Gal Gadot, che nonostante tutte si impegna, ma almeno non viene esaltata, Kristen Stewart ha pure una schiera di sostenitori che rivendicano la sua capacità recitativa contro ogni evidenza.

Scomparire nel personaggio

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Per comprendere il livello della recitazione di Kristen Stewart in questa pellicola bisogna pensare dell’annosa questione degli attori che interpretano se stessi: i casi più celebri sono Will Smith e Dwayne Johnson. In molte pellicole dove sono coinvolti questi non devono fare lo sforzo di entrare nei personaggi, perché i personaggi sono loro.

Non voglio dire che Kristen Stewart faccia parte di questo gruppo (anche perché non ha il carisma necessario), ma risulta evidente il motivo per cui Pablo Larraín l’abbia scelta. Il regista cileno voleva appunto raccontare la storia della principessa triste. E chi meglio di Kristen Stewart, la cui espressione naturale del viso è un misto di disperazione e confusione?

Tuttavia appunto la capacità di un buon attore è quello di riuscire a scomparire dietro al personaggio che interpreta. I più talentuosi sono ovviamente capaci di destreggiarsi nei ruoli più diversi, come l’ottimo Joaquin Phoenix, capace di raccontare un ingenuo solitario in Her (2013) e uno squilibrato delirante in Joker (2019).

Do nuovo, questo non è il caso di Kristen Stewart.

In Spencer funziona?

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Nel complesso, mentirei se vi dicessi che Kristen Stewart in Spencer è stata pessima. Come spiegherò meglio nella parte spoiler, riesce ad essere complessivamente convincente nelle parti in cui deve essere genericamente triste, ma semplicemente perché questo non le richiede un grande sforzo interpretativo: quella è semplicemente la sua espressione normale.

Stesso potrei direi per la recitazione corporea, impacciata e rigida, che non è tanto diversa del suo normale portamento. Tuttavia quando deve cimentarsi in espressioni più complesse, quando deve piangere o essere in qualche modo spiritosa (per fortuna non succede spesso) non è per nulla convincente.

Io avrei preferito senza dubbio che fosse stata scelta un’altra attrice, possibilmente inglese (la differenza fra l’accento reale degli attori britannici e il suo affettato si sente) e che avesse una potenza espressiva ben più convincente.

Per me in definitiva Kristen Stewart non ha veramente nulla a che vedere con l’ottima Emma Corrin in The Crown, che riusciva perfettamente a modulare la sua recitazione per una perfetta Diana.

Spencer fa per me?

Se siete già fan di The Crown come me, molto probabilmente sì, anche se, come spiegato, la pellicola ha un taglio un po’ diverso. Non aspettatevi una pellicola scandalistica (come in parte immaginavo) che copra i principali momenti della seconda parte della vita di Diana e del suo rapporto con Carlo. Aspettatevi piuttosto una pellicola molto intima e profonda, con una messinscena ottima e una fotografia che lo fa sembrare un film veramente risalente agli anni in cui è ambientato.

Non un film perfetto, ma sicuramente da vedere.

Due parole in più con spoiler

Fin dall’inizio ci viene mostrata la freddezza della situazione contro la spensieratezza di Diana: da una parte rigidi militari che trasportano il cibo per famiglia reale, con pure regole severissime da seguire per i cuochi. E dall’altra parte opposta Diana, che si perde, che sogna la sua infanzia, che vuole ritornarci.

Tutto il film non è infatti altro che il racconto di come Lady D riesca a riappropriarsi della propria identità, quindi del suo cognome, che ha ovviamente perso con il matrimonio con Carlo. Non a caso, appunto, il film sia chiama Spencer e non Diana. Nel contesto storico, il film racconta la scelta di Diana divorziare da Carlo.

La solitudine

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

La solitudine di Diana è potente per tutta la pellicola: come detto, la vediamo conversare con un membro della famiglia reale solamente dopo 50 minuti di film. Per il resto del tempo è isolata, sola nella sua stanza, al massimo conversa coi domestici, che sono i suoi principali interlocutori.

La casa sembra una prigione: è opprimente, tutti i personaggi intorno a lei sono distanti e freddi, la rimproverano, la umiliano, la forzano. Lei è davvero ingenua, disperata e, molto spesso, delirante.

La malattia

Uno dei temi principali è la malattia di Diana: la vediamo in una sola scena mangiare effettivamente, il resto del tempo vomita o scappa dai pasti imposti dalla famiglia. O, peggio, si ingozza di nascosto. E Kristen Stewart ha proprio quel volto emaciato e magrolino che la rende molto credibile.

Eppure il tema del cibo è sempre presente: Diana è sempre richiamata ai pasti, le scene dei cuochi sono molte, e continuano costantemente a parlare del prossimo pasto da cucinare.

L’unica scena in cui mangia è veramente potente: Diana cerca di strapparsi quella collana, quasi una catena al collo, e ingioia sofferente la zuppa, che noi spettatori vediamo piena di perle, che sono come sassi di cui si ingozza.

L’unica scena che non mi è davvero piaciuta è il montaggio quando nella sua casa natale e sta per cadere dalle scale, una sorta di flusso di pensieri. Oltre a non esserne riuscita a coglierne la logica, avrebbe decisamente potuto durare di meno ed è essere molto più efficace.

Due parole in più su Kristen Stewart

Ci sono un paio di scene che mi hanno particolarmente colpito, e non positivamente. Anzitutto la scena iniziale alla tavola calda: Diana si comporta come se fosse una scolaretta impacciata, in maniera così caricata che ero in imbarazzo per lei.

Così riesce a fallire anche in una scena di sofferenza: quando parla col cuoco dei suoi sogni, sembra che cerchi di forzare l’espressione del viso, in maniera totalmente innaturale. Probabilmente complice anche il fatto che non riesce a parlare naturalmente con l’accento britannico.

Ma la cosa peggiore è la scena della notte di Natale con i due figli. Provate a fare questo esperimento: fate partire quella scena e ascoltatela senza guardare. Poi guardatela normalmente: sembra che siano due attrici diverse. Per quanto riesca a modulare adeguatamente la voce, la sua espressività risulta rigida e per nulla eloquente. Quasi come si fosse ridoppiata.

Sul resto mi sono già espressa, ma in conclusione posso affermare con grande sicurezza non gli andava riconosciuto alcunché.

La questione degli Oscar 2022

Kristen Stewart in una scena del film Spencer (2021) di Pablo Larraín, con Kristen Stewart candidata come miglior attrice protagonista agli oscar 2022

Come anticipato, Kristen Stewart non doveva essere premiata per nulla, neanche con una candidatura. È stata vagamente meglio del solito, ma presenta una recitazione veramente altalenante. Comunque infine non ha vinto, ma il premio è andato alla ben più meritevole Jessica Chastain per Gli occhi di Tammy Faye (2021).

Questo film poteva essere invece candidato a Miglior colonna sonora e anche Miglior fotografia. Un peccato, secondo me, che venga presentato con la sua parte più difettosa.

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Candidature Oscar 2022 per Licorice Pizza (2021)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Miglior regista
Miglior sceneggiatura originale

Licorice Pizza (2021) è l’ultimo film di Paul Thomas Anderson e anche probabilmente una delle pellicole più strane in cui mi sia imbattuta in tempi recenti. E infatti sono in dubbio sul fatto di averne colto il vero significato.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Licorice Pizza

La vicenda ruota intorno a Alana, una ragazza di 25 anni interpretata dalla cantante Alana Haim, e Gary, un quindicenne interpretato dal giovanissimo Cooper Hoffman. I due intraprendono una relazione travagliata, per l’evidente gap di età, invischiandosi in continui e strani progetti commerciali.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché Licorice Pizza è un film strano

Alana Haim in una scena del film Licorice Pizza (2021) di Paul Thomas Anderson in sala il 17 marzo

La trama di per sé non è complessa: stringi stringi, è esattamente quanto ho detto sopra. La stranezza sono le dinamiche fra i due personaggi: ci troviamo davanti ad un interesse romantico abbastanza disturbante, da cui Alana cerca continuamente di sottrarsi andando con uomini più grandi, che puntualmente si rivelano partner terribili.

Tuttavia Gary, nonostante la giovane età, non è da meno: è un personaggio possessivo e ossessionato dalla figura di Alana, anche a livello erotico, che non accetta il fatto che lei potrebbe non accettarlo nella sua vita. Per questo le fa continuamente pressioni emotive quando la vede con altri uomini.

Da parte sua Alana continua a buttarsi in relazioni sbagliate per i più svariati motivi. Ogni volta che un uomo sembra interessante o anche semplicemente entra nella sua vita, alla fine si rivela viscido e approfittatore. E per questo Alana torna periodicamente nelle braccia di Gary e nella sua ultima impresa finanziaria.

La definizione di relazione tossica, ma con un taglio romantico che mi ha spiazzata.

Gli adulti terribili

Bradley Cooper in una scena del film Licorice Pizza (2021) di Paul Thomas Anderson in sala il 17 marzo

La scena è popolata da diverse figure di adulti, che vengono soprattutto in contatto con Alana, e che cercano appunto sistematicamente di approfittarsene. Fra questi spicca Jack Holden, interpretato da Sean Penn, e Jon Peters, interpretato da Bradley Cooper, l’allora compagno di Barba Streisand. In particolare Bradley Cooper, pur nel poco minutaggio, l’ho trovato più in parte qui che in tutto The Nightmare Alley (2021).

Anche Alana è un adulto terribile: è animosa, umilia Gary quasi quanto Gary umilia lei e, come detto, si avvicina costantemente agli uomini sbagliati e alle relazioni più tossiche, rimanendone ogni volta delusa.

Un film brillante?

Skyler Gisondo in una scena del film Licorice Pizza (2021) di Paul Thomas Anderson in sala il 17 marzo

Dal punto di vista della regia e della scrittura, entrambi di Anderson, nulla da dire: una regia peculiare, una fotografia perfetta, dialoghi brillanti e ben scritti.

In particolare posso fare un plauso a questo film per aver messo al centro della scena e come oggetto del desiderio una ragazza dalla bellezza non convenzionale come Alana Haim. La quale fra l’altro, nonostante fosse il suo primo film, è stata davvero convincente.

Rimango comunque ancora spiazzata da questa pellicola, forse dovendola pacificamente accettare come un’opera con un taglio profondamente realistico, che rappresenta una storia bislacca e disturbante, ma, appunto, profondamente vera.

Licorice Pizza fa per me?

Cooper Hoffman in una scena del film Licorice Pizza (2021) di Paul Thomas Anderson in sala il 17 marzo

Una interessante domanda, a cui posso rispondere in negativo: probabilmente vi innamorerete di questo film per i motivi per cui io non me ne sono innamorata.

L’atmosfera nostalgica degli Stati Uniti degli Anni Settanta, quella della fine della Guerra del Vietnam e della crisi del gas del 1973: lo sfondo di tutta la vicenda e che ha fatto innamorare molti. Così gli USA del capitalismo rampante e distruttivo, che coinvolgeva anche i giovanissimi, di una realtà televisiva ormai tramontata, quasi ridicola vista oggi.

Tutto questo troverete in Licorice Pizza. Io l’ho trovato, ma non sono riuscita a farmi travolgere.