The Thing (1982) è una delle opere più note della filmografia di John Carpenter, nonché il secondo capitolo della sua proficua collaborazione con Kurt Russell dopo 1997: Fuga da New York (1981).
A fronte di un budget stimato di quindici milioni di dollari – circa 55 oggi – non ebbe un grande riscontro al botteghino – appena 19 milioni negli Stati Uniti – anche per la grande concorrenza di film come E.T. usciti nello stesso periodo.
Di cosa parla The Thing?
Un gruppo ricercatori statunitensi assiste attonito alla caccia di un elicottero contro un cane apparentemente indifeso. Ma l’orrore è dietro l’angolo…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Thing?
Assolutamente sì.
The Thing è un classico della filmografia di Carpenter, una delle migliori prove come regista, oltre ad essere un incredibile prodotto nella resa visiva, con un reparto di effettistica che ha fatto la storia del cinema per la sua creatività ed iconicità.
Inoltre, come il precedente Alien (1979), The Thing fu un altro ottimo esempio di come fantascienza e orrore potessero portare ad un connubio vincente se messe nelle mani del giusto autore, con una tensione palpabile ad ogni scena…
Un’ombra
L’orrore di The Thing viene da lontano.
I protagonisti e lo spettatore si trovano ugualmente attoniti davanti alla tentata uccisione di quel cane così apparentemente innocuo, e così davanti all’aggressività ingiustificata del norvegese – la cui incomprensibilità della lingua porterà alla sua stessa morte.
Questa dissonanza fra l’amabilità dell’animale e la violenza che gli viene rivolta è un primo indizio della vera natura di questa figura, che si muove liberamente nella base per fin troppo tempo, in particolare nella scena in cui entra nella stanza di Clark, di cui si vede solo l’ombra…
E quando infine viene rinchiuso, assistiamo alla prima esplosione di violenza, in cui tutta la crudezza e l’orrore del mostro vengono rivelati in un essere con un aspetto indefinito, composto da carne viva che si plasma in un puzzle incomprensibile…
Al sicuro?
La progressiva scoperta della vera natura del nemico si accompagna ad un’apparente sicurezza.
I personaggi si trovano davanti ad un orrore che si è già formato, ad una tragedia che si è già svolta, e che rappresenta uno dei migliori esempi di fantascienza negativa del periodo, insieme al già citato Alien – di cui condivide anche alcune dinamiche del primo atto.
Ma l’annientamento apparente della creatura e lo studio della stessa offrono un breve momento di pace e sicurezza…
…prima dell’inizio del vero orrore: scoprire che la creatura è molto più viva di quanto sembri, pronta ad attaccare, e la portata del pericolo per l’umanità stessa è la miccia per un’esplosione di violenza che percorrerà tutto il resto della pellicola.
Gatto e topo
Da questo momento in poi è una caccia al gatto e al topo.
La tensione è scandita da un’inquietudine più sotterranea, per cui il pericolo è sempre dietro l’angolo, per cui quel volto amico può essere solo una maschera che cela una realtà mostruosa, pronta a rivelarsi in qualsiasi momento, e senza preavviso…
Infatti, tutti i momenti in cui i personaggi cercano di gestire lucidamente la situazione non sono che i prologhi di scoppi di violenza incontrollabile: così l’esame del sangue che svela il traditore, così il tentativo di rianimare Norris, il cui petto si apre in una bocca mostruosa…
E, in ultimo, la soluzione è solo una.
Una sola strada
Nel finale, sia il nemico che i protagonisti possono solo uscire di scena.
Il mostro si rende conto che la lotta non può avere né vincitori né vinti, che non è possibile salvarsi davanti ad un gruppo di antagonisti così scatenati e che non si fermano davanti a nulla, e che non gli permetteranno mai di uscire vivo da questa situazione…
…ed infatti gli stessi capiscono che salvarsi è diventato di fatto impossibile, e che l’unica via è immolarsi per il salvataggio degli altri, dell’umanità tutta, quindi di utilizzare tutte le armi a disposizione, anche le più distruttive, per mettere fine alla terribile minaccia.
Di particolare eleganza il finale, in cui gli unici due superstiti si spartiscono una bottiglia di alcol, ormai del tutto provati dalla battaglia, ridendo con un’ironia amara che maschera l’angosciosa consapevolezza di star morendo senza aver la certezza della vittoria.
Perché The Thing
The Thing rappresenta una tendenza piuttosto ingegnosa della fantascienza e dell’horror del periodo:
Non dare un nome agli antagonisti.
Nello specifico la creatura di Carpenter si incasella fra l’alieno senza nome di Alien e l’iconico villain di Stephen King, It: come il diabolico pagliaccio è chiamato semplicemente con un pronome neutro, così il mostro di The Thing è chiamato appunto thing, cosa…
In tutti e tre i casi infatti i protagonisti positivi sono degli eroi comuni – e per questo molto vicini allo spettatore – che si ritrovano a combattere contro qualcosa di indefinito ed indefinibile…
…e che, con questi non-nomi, raccontano l’immediatezza dell’identificazione del nemico: qualcosa a cui non sanno dare un nome.