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I Vitelloni – Costretti alla vita

I Vitelloni (1953) è uno dei film più noti della fase neorealista della filmografia di Fellini.

A fronte di un budget sconosciuto, la pellicola è stata un successo internazionale, riuscendo ad arrivare molto oltre i confini italiani, dove comunque incassò più di 28 mila euro.

Di cosa parla I Vitelloni?

La vicenda si incentra sulle vicende di un gruppo di bambini troppo cresciuti, incapaci di abbracciare la vita adulta…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere I Vitelloni?

Assolutamente sì.

Come era stato per il precedente Lo sceicco bianco (1952), anche in questo caso Fellini porta in scena un racconto dissacrante della società italiana, della fragilità del sogno piccolo borghese intrappolato in una serie di codici che non riesce a sostenere…

…ben rappresentato dai cinque protagonisti che si fanno largo in una vita dove vogliono essere capifamiglia, inguaribili dongiovanni, artisti incompresi…per ritrovarsi ad essere solo dei bambinoni (o Vitelloni, appunto) incapaci di diventare adulti e di prendersi anche solo la minima responsabilità sulle spalle.

Incidente

Riccardo Fellini e Leonora Ruffo in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

L’incipit è un perfetto spaccato della condizione iniziale dei protagonisti.

La simpatica occasione di incontro paesano ruota intorno all’incoronazione della reginetta di bellezza, ultimo momento del racconto di un sogno di giovinezza che sembra non avere mai fine, in cui i Vitelloni ne sono il degno contorno…

…ma che viene spezzato da un temporale improvviso e inarrestabile, quanto è inarrestabile l’incidente della gravidanza di Sandra, che, soffocata dal peso della responsabilità, sviene in mezzo alla folla rivelando così il peccato giovanile che la forzerà immediatamente alla vita adulta.

Franco Fabrizi e Franco Interlenghi in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

In questo senso Fausto è l’apoteosi dei Vitelloni, che sogna una vita al di fuori di ogni responsabilità, soprattutto quella di una donna fissa al suo fianco, che cerca di fuggire alla prima occasione, ma che viene subitamente riportato coi piedi per terra dall’arcigno patriarca.

Ed è solo l’inizio.

Fuga

Franco Fabrizi e Leonora Ruffo in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

I Vitelloni vivono in una continua fuga.

Fausto cerca ogni occasione per fuggire dalle responsabilità del suo matrimonio, non scegliendo una particolare alternativa allo stesso, ma semplicemente avventandosi su ogni donna gli sembri anche vagamente interessante, incapace di rimanere fedele alla dolce e innocente Sandra.

E per lui è ancora più straziante rimanere bloccato in un limbo costrittivo e soffocante, in cui è tecnicamente un adulto – in quanto sposato – ma deve sottostare ai controlli pressanti di una famiglia che non è neanche la sua e che lo trattiene come in un bozzolo, in attesa che possa sbocciare – o maturare.

Franco Fabrizi in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

E la sua immaturità non è solo nel suo continuo e testardo rifuggire la trappola matrimoniale, ma nel comportarsi senza aspettarsi nessuna conseguenza – che sia per le donne o per gli stupidi furti – finendo anzi continuamente punito e sconfitto.

E gli altri?

Ruolo

E se il sogno fosse troppo?

Nessuno dei Vitelloni è capace di affrontare davvero la vita adulta: persino il sognatore Leopoldo, che vede finalmente le sue notti di studio maturare i primi frutti nelle lodi e promesse entusiastiche del commediografo, con la promessa di evadere la realtà provinciale in cui è costretto…

…fugge spaventato davanti ad una realizzazione del sogno non così idealizzata come si immaginava, in cui la via per la gloria può essere lastricata di insidie e di attenzioni non richieste, come quelle ambigue che gli rivolge il drammaturgo sulla spiaggia.

Alberto Sordi in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

Ma quello più bloccato in un limbo paradossale è Alberto.

Fra tutti, è il protagonista che abbraccia di più il suo lato infantile, che ha il suo apice nella festa di Carnevale, in cui si traveste scioccamente da donna, ma che si manifesta anche nelle stupide scommesse di cavalli e nelle ubriacature deliranti che gli impediscono di assumere quel ruolo tanto ricercato.

Infatti Alberto vorrebbe essere il patriarca di una famiglia senza padre, vorrebbe proteggere la sorella, anzi decidere della sua vita, quando la stessa è ormai economicamente indipendente, e sceglie consapevolmente di evadere ogni norma sociale con il suo amante…

…e infine fuggendo da una realtà che ormai gli sta troppo stretta.

Ma il lieto fine è possibile?

Futuro

Come spesso nei film di Fellini, il finale de I Vitelloni è volutamente ambiguo e amaramente ironico.

Il punto di arrivo dovrebbe rappresentare finalmente la maturazione di Fausto, messo davanti alle conseguenze delle sue malefatte, rischiando di perdere la moglie che diventa finalmente il suo unico desiderio, tanto da scacciare la femme fatale su cui aveva messo avidamente gli occhi qualche mese prima.

Eppure, le parole di chiusura di questa scena sono estremamente eloquenti:

La storia di Fausto e Sandra finisce qui, per ora.

Così Fellini non prospetta un finale lieto in cui il sogno borghese si è ricomposto, ma piuttosto ci lascia con una chiusura provvisoria che non esclude che nel futuro Fausto possa ricadere nei medesimi comportamenti, né risolve di fatto nessuna delle vicende dei suoi protagonisti.

Franco Interlenghi in una scena di I Vitelloni (1953) di Federico Fellini

Nemmeno la fuga di Moraldo è risolutiva, anzi è significativa per confermare il limbo in cui i protagonisti sono intrappolati, immaginandoli come passeggeri del medesimo treno con una destinazione ancora incerta, e infine in bilico su una rotaia solitaria, fra due vite, senza appartenere a nessuna delle due…

…proprio come Gaetano nella chiusura della pellicola.

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Lo sceicco bianco – Un sogno chiamato cinema

Lo sceicco bianco (1952) è uno dei primi film della filmografia di Federico Fellini.

A fronte di un budget sconosciuto, ha avuto un riscontro economico molto piccolo – pur venendo riscoperto nel tempo.

Di cosa parla Lo sceicco bianco?

Wanda è una giovanissima donna fresca di matrimonio, in viaggio a Roma per volontà del marito. Ma il suo sogno dimora altrove…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Lo sceicco bianco?

Brunella Bovo in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

In generale, sì.

In Lo sceicco bianco si trovano già tutte le caratteristiche del primo Fellini: la classica commedia all’italiana ma molto più pungente, e fortemente contaminata dall’elemento magico e surreale che rende questa fase della filmografia del maestro italiano così identitaria.

Una pellicola che funziona ottimamente anche a livello di scrittura, scandendo la narrazione in tre atti perfetti, definiti da un climax ascendente – e discendente – genuinamente appassionante e coinvolgente.

Insomma, da riscoprire.

Controllo

Brunella Bovo e Leopoldo Trieste in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

Inizialmente, Ivan ha il totale controllo della scena.

L’uomo definisce meticolosamente ogni mossa della neonata famiglia, dall’ordine in cui scaricare le valige dal treno fino allo strettissimo programma di visita della città, il cui culmine sarà la benedizione del matrimonio dal Papa in persona.

Ma basta poco perché l’attenzione si sposti altrove.

Brunella Bovo e Leopoldo Trieste in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

Come la remissiva Wanda era fissa al braccio del suo nuovo marito, in un attimo è fuori dal suo controllo, salendo autonomamente in camera per cercare una non ancora precisata destinazione, col chiaro obbiettivo di evadere dalle anguste mura domestiche.

E, nonostante Ivan cerchi subito di riportare tutti all’ordine, già la moglie ha messo in atto il suo piano, orchestrando un apparentemente innocuo bagno caldo, che invece sarà proprio rappresentazione dello strabordare del caos che sta per abbattersi in scena.

E allora la ricerca ha inizio.

Ricerca

Brunella Bovo in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

La ricerca di Wanda è appassionata quanto sofferta.

La giovane donna riesce in realtà abbastanza facilmente ad intrufolarsi all’interno dell’ufficio del tanto sognato Sceicco Bianco, in cui finalmente mette in mostra la sua ardente passione per questo mitico personaggio – per ora ancora fuori di scena.

Ed è così che veniamo facilmente coinvolti all’interno della sua struggente ricerca, che sembra continuamente rimandata dall’arrivo in scena di altri pittoreschi personaggi che rappresenteranno lo sfondo fondamentale della vicenda…

…il cui grande protagonista è ancora drammaticamente assente.

Ma proprio perché la sua entrata in scena è fondamentale.

Sogno

Alberto Sordi in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

Nel suo atto centrale, Lo Sceicco Bianco si articola su due piani.

Il sogno e la realtà.

Dopo essere stata trascinata fuori da Roma – e quindi definitivamente fuori dal controllo del marito – Wanda può finalmente vedere il sogno concretizzarsi davanti ai suoi occhi, con lo Sceicco Bianco che appare in scena come una visione, dondolandosi su un’altalena che sembra appesa in cielo.

E tutta la dinamica successiva è definita da un abile inganno dell’attore, che alimenta i desideri della protagonista inventandosi persino una tragica fiaba ad hoc sul suo matrimonio fallito pur di portare a termine il suo spietato corteggiamento.

Brunella Bovo in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

Ma il contorno racconta qualcos’altro.

Come in altri contesti, Fellini utilizza abilmente l’ambientazione cinematografica per raccontarne la realtà molto meno idilliaca, di interpreti che hanno una presenza quasi mitica agli occhi degli spettatori, ma che nella realtà non sono altro che un gruppo di buzziconi capricciosi e viziati.

Brunella Bovo e Alberto Sordi in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

E, anche se Wanda riesce a vedere Fernando solamente con gli occhi del sogno, è lampante quanto lo stesso sia una prima donna, con la sua totale insofferenza per le regole e il suo continuo bisticcio con il regista che si alternano alle pose statuarie.

Ma, infine, la realtà torna a bussare alla porta.

Realtà

Il passaggio al terzo atto è magistrale.

Come Ivan è costantemente incalzato dalla sua famiglia per dare prova del suo nuovo status, con dei primi piani piuttosto stringenti e claustrofobici sui volti dei personaggi che hanno come unico desiderio di vedere coi loro occhi l’importante conquista del protagonista…

…il coronamento della sua angoscia è ben rappresentato dallo spettacolo a teatro, che da momento di unione familiare si trasforma nello svelamento della realtà, con il celebre scambio fra Zerlina e Don Giovanni, che, sullo sfondo della telefonata, racconta l’innegabile tradimento in atto.

Brunella Bovo in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

E la sua crescente angoscia si accompagna con la fine dell’illusione, che va di pari passo con il dileguarsi di Fernando, che, all’arrivo della moglie, nonostante i disordinati tentativi di Wanda di tenere in piedi il sogno d’amore, si riappropria delle vesti borghesi e si congeda dalla scena.

A questo punto Wanda intraprende una parabola di annientamento, che la porta prima ad annullare il matrimonio, e poi a cercare di terminare la sua stessa esistenza – in una dinamica volutamente parossistica – per poi ricongiungersi col marito in un luogo vuoto dove può riprendere a sua volta le vesti borghesi.

Brunella Bovo in una scena di Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

Ed è tanto più pungente che Fellini, nella sua parodia dissacrante della famiglia borghese, scelga come punto di arrivo di Wanda non una presa di consapevolezza e una conseguente accettazione del proprio ruolo sociale, ma bensì la tenga imprigionata all’interno di un sogno mai finito, solo con un protagonista diverso:

Il mio Sceicco Bianco sei tu.

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Coming soon…

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