Metropolis (2001) di Rintarō è un lungometraggio animato nipponico, ispirato al classico della cinematografia omonimo del 1927.
Come la maggior parte dei prodotti di questo tipo, ebbe un costo sostanzioso (¥1.5 miliardi) e un incasso misero (¥ 100 in Giappone e 4 milioni di dollari in tutto il mondo).
Di cosa parla Metropolis?
Il giovane Kenichi e lo zio Shunsaku Ban sono sulle tracce in uno scienziato criminale, che sembra coinvolto in uno strano progetto che ha come mandante il misterioso Duke Red…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Metropolis?
Assolutamente sì.
Oltre a racchiudere al suo interno concetti di grande interesse e profondità, Metropolis riesce anche ad essere una pellicola piacevolissima, con una costruzione intrigante e una regia piena di fascino.
Si viene infatti facilmente coinvolti in dinamiche anche piuttosto semplici, ma in una costruzione della storia e della mitologia davvero avvincenti.
Un recupero obbligato.
Vivere di contrasti
Metropolis è una pellicola che vive di contrasti.
Lo stile di animazione è piuttosto peculiare, e sembra molto più tipico di prodotti rivolti ad un pubblico infantile – per certi versi mi hanno ricordato i disegni del classico per ragazzi Tintin.
Tuttavia, la regia e l’animazione sono in questo senso davvero sorprendenti, riuscendo a mettere in contrasto la delicatezza dei disegni dei protagonisti con la crudezza dei temi trattati.
Non mancano infatti diverse scene di morte e violenza, anche piuttosto esplicite – fra tutte la morte di Pero, con la testa spappolata per terra. E così, più in generale, la trattazione dei robot, uccisi continuamente senza pietà e trattati alla stregua di schiavi.
Un contrasto piuttosto peculiare, che non mi aspettavo.
Una regia sorprendente
La regia è stato l’elemento forse più sorprendente della pellicola.
Una messinscena piuttosto variegata, che gioca molto sui già detti contrasti, con un uso magistrale delle luci e della costruzione della tensione. Particolarmente avvincente sono le scene di duello, con piccoli tocchi registici che riescono a tenere per tutto il tempo col fiato sospeso.
Una regia inoltre che lascia profondamente respirare il mondo trattato, vivendo di tantissimi particolari e scene piene di vita.
Raccontare il mondo
Quando si vuole raccontare un mondo nuovo, soprattutto se complesso e intricato, si possono percorrere diverse strade.
Metropolis sceglie una strategia simile a quella de La compagnia dell’Anello (2001): inserire piccole ma significative didascalie all’interno dei dialoghi stessi dei personaggi, che permettono allo spettatore di muoversi con facilità all’interno del mondo raccontato.
E, anche di più, costruendo molto bene la mitologia e i misteri del film, svelandoli a poco a poco allo spettatore quanto ai protagonisti stessi, che si vedono fin da subito interrogare sulle questioni principali della storia, rimanendo all’oscuro per la maggior parte della pellicola.
Il mito della Torre di Babele
Il mito della Torre di Babele è più volte citato all’interno della pellicola.
Una costruzione che si perde nella leggenda, ma che in generale – metaforicamente parlando – racconta la superbia umana nel voler sfidare i suoi limiti e gli dei in particolare.
In Metropolis questa metafora è riletta intrecciandosi col tema sempreverde della fantascienza moderna: la macchina che si rivolta – e supera – il suo creatore, in maniera anche simile a Ghost in the shell (1995).
Così il Duca Red vuole superare i limiti umani mettendo a capo della sua creazione un superumano, capace di controllare ogni arma e ogni elemento, così da poter distruggere ogni cosa, per – secondo la sua folle idea – ricreare e migliorare.
Il confronto con Metropolis (1927)
Nonostante Metropolis sia un film a sé stante, non mancano ovviamente i riferimenti all’opera originale di Fritz Lang.
Oltre alla costruzione della città simile – sempre distinta in tre livelli – in entrambe le pellicole si cita il mito di Babele, ed in entrambe un’enorme torre domina la città.
Altrettanto simile è la scena della rivolta e in generale la rappresentazione della classe più umile e dei robot trattati come schiavi: sicuramente l’ispirazione è la famosissima scena degli operai che vanno al lavoro, muovendosi quasi come automi.
In ultimo, una citazione visiva: la scena del risveglio di Tima avviene con le stesse dinamiche del risveglio della Maria-robot nel film del 1927: