Categorie
Avventura Azione Comico Drammatico Film Heist movie

The Old Man & the Gun – In fuga dalla noia

The Old Man & the Gun (2018) è un film scritto e diretto da David Lowery, autore indie che da qualche anno porta avanti una proficua collaborazione con la A24.

A fronte di un budget piuttosto sorprendente – addirittura 15 milioni di dollari – purtroppo è stato anche un flop commerciale: appena 17 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla The Old Man & the Gun?

Forrest Tucker è un rapinatore con una storia piuttosto particolare: in prigione praticamente per tutta la sua vita, è in fuga da due anni dopo una rocambolesca evasione. E il tutto alla veneranda età di 74 anni…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Old Man & the Gun?

Robert Redford in una scena di The Old Man & the Gun (2018) di David Lowery

Assolutamente sì.

Dopo A ghost story (2017) ero discretamente fiduciosa per questa pellicola, ma mai mi sarei aspettata che potesse piacermi così tanto. Ho apprezzato soprattutto il cambio di passo del regista, che ha abbandonato un taglio più marcatamente autoriale e concettuale, scegliendo invece di raccontare una storia più tridimensionale.

Il racconto di The Old Man & the Gun non solo è davvero ben gestito, con una messinscena pulita e puntuale, ma gode anche di un protagonista intrigante e di un taglio più leggero e godibile, nonostante non manchi di tematiche profonde e interessanti.

Insomma, fatevi un favore e guardatelo.

Il ladro gentiluomo

Robert Redford in una scena di The Old Man & the Gun (2018) di David Lowery

The day is still young.

La giornata è ancora lunga.

Mi ha piacevolmente colpito la sottile e gustosa ironia della pellicola: il protagonista è un ladro, ma anche un gentiluomo. Educato, gentile, mai violento, e con sempre un sorriso cordiale stampato in volto.

Fin da subito gli scambi con i manager delle banche e con le commesse raccontano tutta la sua piacevolezza e il divertimento che prova nel suo lavoro.

E infatti Forrest non ha alcun interesse né nei soldi né nel tempo passato in prigione: vuole solo e solamente vivere una vita spericolata, indipendentemente dalle conseguenze.

E infatti…

Il gusto del pericolo

Robert Redford in una scena di The Old Man & the Gun (2018) di David Lowery

Quando John Hunt parla con l’avvocato di Forrest, capisce la vera natura di questo criminale, con una frase in particolare:

It’s not about making a living. I’m just talking about living.

Non sto parlando di sopravvivere, ma di vivere.

E, proprio a sottolineare come per il protagonista sia solo un gioco, in entrambe le scene dell’insegnamento vediamo come sia lui stesso a provocarle, a scappare per farsi prendere, a non preoccuparsi se i soldi stanno volando via dalla macchina…

Allo stesso modo è lui stesso a volersi far catturare, mandando la banconota al detective, andandogli direttamente a parlare, al punto che Hunt, capendo le sue intenzioni, è quasi felice di non essere quello che mette fine al suo divertimento.

E non sarà certo neanche una donna a farlo…

Io ti salverò

Sissy Spacek in una scena di The Old Man & the Gun (2018) di David Lowery

Apparentemente Forrest sembra fare un passo indietro quando conosce Jewel.

La donna è evidentemente innamorata del suo fascino magnetico, ma, in diversi momenti, anche senza dire una parola, gli fa capire che non potrà vivere con lui se vorrà continuare con la sua carriera criminale.

E negli ultimi momenti del film sembra averlo davvero convinto – proprio quando Forrest sembrava già pronto alla sua prossima avventurosa evasione. Ma, quando esce di prigione, appare stanco, infelice, quasi annoiato.

E così, con il sorriso sulle labbra, si butta in una nuova avventura…

The old man and the gun

La bellezza del personaggio di Forrest è proprio nel suo voler essere protagonista di un infinito e spericolato gioco di ruolo.

Purtroppo, è un giocatore solitario: solo lui – e parzialmente il Detective Hunt – capisce veramente le regole della partita. E allora quando arrivano i poliziotti per arrestarlo alla fine, invece che consegnarsi, si mette in macchina e scappa.

Facciamo che eravate dei poliziotti e mi inseguivate?

Robert Redford in una scena di The Old Man & the Gun (2018) di David Lowery

Altro discorso per la pistola.

L’arma non ha mai un intento violento, è solo un oggetto di scena, un accessorio immancabile per ogni criminale che si rispetti. Insomma, come per i baffi e le cuffie, è solo uno dei tanti particolari del suo travestimento.

E diventa tutto ancora più metanarrativo quando, nel finale, Forrest scappa in groppa ad un cavallo, con addosso una sciarpa che sembra tanto il costume di un cowboy, a raccontare anche il passato attoriale dell’interprete stesso…

Categorie
Antman Avventura Azione Cinecomic Commedia Fantascienza Film Heist movie MCU

Antman – Un eroe piccolo piccolo

Antman (2015) di Peyton Reed è la origin story dell’eroe omonimo, interpretato da Paul Rudd, in forma di heist movie. Uno dei prodotti minori della Marvel, solitamente meno considerato nel panorama complessivo dell’universo MCU.

E infatti si cercò di renderlo il più importante possibile da Civil war (2016) a Endgame (2019).

Ma i risultati commerciali parlarono da soli: nonostante rientrò ampiamente nel budget (519 milioni di dollari di incasso contro 150 milioni di spesa), fu uno degli incassi minori della produzione, confrontandoli anche con altre origin story come Doctor Strange (2016) o addirittura Captain Marvel (2019).

Di cosa parla Antman?

Scott Lang è appena uscito di prigione dopo aver violato i segreti di una grande multinazionale. Mentre fa fatica a conciliare lavoro e famiglia, viene coinvolto in una rapina piuttosto inusuale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Antman?

In generale, sì.

Anche per la sua semplicità, considero Antman uno dei prodotti della Marvel meglio riusciti, che veramente ha poche sbavature e una costruzione della trama assolutamente funzionale e funzionante.

Inoltre, ha il vantaggio di poter essere guardato anche come un film a sé stante, senza dover conoscere più di tanto del resto del mondo MCU: solamente per pochi elementi si ricollega alla trama complessiva della realtà cinematografica cui appartiene.

Inoltre, è un film davvero simpatico e piacevole.

Empatizzare con l’eroe

Un elemento di forza di Antman è come costruisce il protagonista.

Scott Lang viene inizialmente presentato come un personaggio negativo: un carcerato che si picchia con gli altri detenuti. Ma già da lì comincia l’ammorbidimento: a sorpresa si scopre che quel combattimento non aveva un sottofondo antagonistico, ma quasi giocoso.

Già da qui capiamo che il nostro eroe è una persona amabile e benvoluta da tutti.

Subito dopo scopriamo un altro elemento fondamentale della sua storia: è andato in prigione, ma ci è andato per motivi del tutto nobili, ovvero insidiare una multinazionale. Fondamentalmente un elemento di ammirazione: Scott è un uomo molto intelligente, ma che non si lascia schiacciare dagli oppressori un tema molto ben voluto sopratutto in ambito statunitense.

E l’inserimento della figlia è il colpo finale.

Una perfetta checklist

Altrettanto ben fatta è la costruzione della trama.

La storia del film segue una serie di step fondamentali e perfettamente funzionali. Dopo l’introduzione del protagonista, questo viene coinvolto nel piano della rapina e tutta la parte centrale si allena, mostrando i suoi miglioramenti e quanto sia fallibile e vicino allo spettatore.

Ma, prima dello scontro finale, il protagonista si scontra con una sorta di mini boss, ovvero Falcon. Con questa scena non solo si contestualizza il personaggio nel futuro Civil War (2016) prima e Infinity War (2018) e Endgame (2019) dopo, ma sopratutto si mostra come il suo allentamento abbia dato effettivamente dei frutti.

A questo punto lo spettatore si fida del protagonista e delle sue capacità.

E così si può arrivare al conflitto finale.

Una regia indovinata

A quasi dieci anni di distanza, ho trovato Antman ancora molto efficace sia dal punto di vista della regia che degli effetti speciali – anche più del più recente Wakanda Forever (2022).

La regia è chiara e coinvolgente anche nelle scene più dinamiche, quando l’eroe si muove in maniera fulminea negli spazi, tenendo alta la tensione e al contempo utilizzando una CGI (ancora) molto credibile.

Allo stesso modo, ho davvero apprezzato la sottile ironia di mostrare le vicende che avvengono nel microcosmo ingrandite, e come appaiono invece ridicole ad un occhio umano, sopratutto nella parte finale.

Un banale villain

Il villain di Antman è fra gli elementi più deboli della pellicola.

Tuttavia, niente di sorprendente: come aveva già visto per Black Panther (2018) e riflettendo sulla prevedibilità, è molto tipico delle pellicole supereroistiche – e dell’MCU in particolare – mettere in scena antagonisti molto banali e ridondanti, che tendenzialmente non devono oscurare la figura dell’eroe.

In questo caso il villain non è neanche uno dei peggiori, ma pensandoci a posteriori appare quasi ridicolo sia nell’aspetto che nella caratterizzazione: il volto ricorda la durezza del giovane Luthor in Smallville (2001 – 2011) e riprende gli atteggiamenti da cattivo spietato di tanti suoi simili in prodotti analoghi.

E diventa quasi esilarante quando mette in scena un certo tipo di mentalità guerrafondaia tipica di certi ambienti statunitensi…

L’insipidezza di Wasp

Sulla figura di Hope bisogna spendere due parole in più.

Un problema della Marvel per tanto tempo sono stati i personaggi femminili messi in scena: molto spesso stereotipi su gambe – ve la ricordate Black Widow agli inizi? – fino a ricadere nella figura della Mary Sue con Captain Marvel. Insomma, tendenzialmente i personaggi femminili sono secondari, insipidi e spesso persino insopportabili.

Non arriverei a dire che Hope sia una delle peggiori, tuttavia è davvero un pessimo personaggio femminile: non ha veramente niente di interessante da raccontare, è del tutto definitiva nel rapporto col padre ed è talmente fastidiosa che non si capisce cosa Scott ci veda in lei – a parte la bellezza, ovviamente.

Per fortuna che questa tendenza si sta risolvendo in tempi recenti, con personaggi come Ms. Marvel, She Hulk e Kate Bishop in Hawkeye – a prescindere dalla qualità dei prodotti.

Dove si colloca Antman?

Per quanto sia un film abbastanza indipendente, Antman ben si contestualizza nell’MCU per elementi interni alla pellicola.

Il personaggio viene introdotto in questo film, per poi essere ampiamente coinvolto nel film successivo – e maxi evento – Civil War (2016), a cui si collega direttamente, ed è una delle tre origin story – insieme a Spiderman Homecoming (2017), Doctor Strange (2016) – che introduce personaggi poi protagonisti della fine della saga del Multiverso.

È l’ultimo film della Fase 2 e si ambienta poco prima di Civil War, quindi fra il 2015 e il 2016.

Categorie
Avventura Azione Comico Commedia Film Heist movie Il primo primo Allen Le mie radici Mockumentary Woody Allen

Prendi i soldi e scappa – L’arte del paradosso

Prendi i soldi e scappa (1969) è una delle prime pellicole di Woody Allen, in un periodo in cui sperimentava ampiamente con il surreale e con quel tipo di comicità che è diventata la sua firma.

L’ho scelto come prima tappa per la mia (ri)scoperta di questo regista perché è stato forse il primo film che ho visto della sua cinematografia e fra i primi film che mi hanno fatto innamorare del cinema.

Una pellicola prodotta veramente con niente: appena 1.53 milioni di dollari (circa 12 milioni oggi), con un incasso di 2,9.

Di cosa parla Prendi i soldi e scappa?

Nella forma del mockumentary, il film racconta la storia di Virgil, timido ragazzo cresciuto nella criminalità e il degrado e che non è mai riuscito a trovare il suo posto nel mondo. Per colpa di una serie di improbabili situazioni, diventerà uno dei criminali più ricercati degli Stati Uniti.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Prendi i soldi e scappa?

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Assolutamente sì.

Prendi i soldi e scappa è un film abbastanza particolare, proprio per i suoi due elementi portanti: la forma del finto documentario e la comicità assolutamente surreale, che gioca in maniera intelligente con lo slapstick.

In generale è un film che vi consiglierei di guardare un po’ a prescindere, anche per vedere le prime mosse che Allen muoveva all’inizio della sua produzione. Tuttavia, se questi elementi di cui sopra non sono nelle vostre corde, potrebbe non essere così godibile.

Il mockumentary before it was cool

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Prima Allen il cinema aveva sperimentato con il genere mockumentary, a partire dal classico della cinematografia, Quarto potere (1941). La particolarità di Prendi i soldi e scappa è utilizzare questo taglio narrativo in maniera comica.

E l’effetto comico nasce anzitutto dalla voce della voce fuori campo che racconta la maggior parte degli avvenimenti, con il classico tono del documentario più agèe, rimanendo del tutto seria ed imponente anche quando racconta qualcosa di evidentemente comico.

Fra le scelte più esilaranti, le mie preferite sono sicuramente i genitori di Virgil, che viene raccontato con estrema serietà che si coprono il viso per la vergogna del figlio, e quando si riferisce il commento speranzoso del protagonista riguardo alla sua condanna a 800 anni galera:

At the trial, he tells his lawyer confidently that with good behavior, he can cut the sentence in half.

Al processo, ha detto al suo avvocato in confidenza che, grazie alla buona condotta, può dimezza la sua pena.

Esilarante.

L’arte del paradosso

Woody Allen in una scena di Prendi i soldi e scappa (1969) di Woody Allen

Come detto, la colonna portante del film è la comicità paradossale: oltre all’utilizzo comico del documentario, Allen si dimostrò fin da subito capace di ridere di sé stesso. Il regista, spesso protagonista delle sue pellicole, ha infatti un aspetto ormai iconico e innocuo, che nel contesto del film appare davvero ai limiti del paradosso.

Ovviamente la narrazione è estremizzata, raccontando Virgil proprio come un idiota, che diventa uno dei criminali più ricercati degli Stati Uniti nonostante abbia partecipato a crimini uno più improbabile dell’altro.

Tematica su cui Allena tornerà, seppur in maniera diversa, in altre pellicole successive dal taglio anche più drammatico, come Criminali da strapazzo (2000)

La comicità mai scadente

La comicità della pellicola è a tratti fantozziana, ma, a differenza di questa, non scade mai nello slapstick puro e, di fatto, prevedibile. Al contrario lavora sempre sull’effetto sorpresa, sia nei momenti comici più elaborati, sia in quelli di comicità più semplice.

Ad esempio, all’inizio è esilarante l’assurdità della situazione per cui Virgil suona nella banda cittadina, ma non può di fatto farlo perché per suonare il violoncello ha bisogno di stare seduto.

O ancora il climax comico dell’arresto alla fine, quando l’amico che sta rapinando gli prende gentilmente la pistola di mano e gli dice di essere un poliziotto.

Un tipo di comicità più semplice, ma mai scadente, è quella per esempio della scena in cui in prigione il protagonista cerca di piegare la camicia col macchinario apposito, ma questa gli si rivolta contro.

Insomma, una comicità che non sbaglia un colpo.

Categorie
Avventura Azione Biopic Commedia Drammatico Film Heist movie i miei film preferiti True Crime

American Animals – L’insoddisfazione rapace

American Animals (2018) di Bart Layton è un heist movie di rara bellezza, capace di sperimentare con il formato del documentario in maniera assolutamente originale e sperimentale. È difficile spiegare questo film a chi non l’ha mai visto: basti sapere che non è ispirato ad una storia vera, ma, come il film stesso spiega fin dall’inizio, è effettivamente una storia vera.

Le notizie sul budget non sono sicure, ma dovrebbe aggirarsi intorno ai 3 milioni di dollari, con un incasso di 4 milioni in tutto il mondo: un incasso piuttosto misero, per un film di grande valore.

Di cosa parla American Animals?

Spencer e Warren sono due studenti universitari annoiati dalla vita, totalmente insoddisfatti del percorso che sembra già stato scelto per loro. Per questo decidono di intraprendere una apparentemente semplicissima rapina…

Vi metto qua il trailer, ma personalmente vi sconsiglio di guardarlo: un caso da manuale di come banalizzare drammaticamente un prodotto, cercando di collegarlo ad un film di maggior successo.

Infatti nella pellicola si cita brevemente Le iene (1992) di Quentin Tarantino, e il trailer italiano gira tutto intorno a questo, quando di fatto è una citazione che, se decontestualizzata come in questo caso, mostra un taglio narrativo che il film di fatto non possiede.

Perché guardare American Animals?

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Come anticipato, American Animals è un prodotto incredibilmente sperimentale. All’interno del film ci sono le interviste dei protagonisti reali della rapina raccontata, che interagiscono anche direttamente con gli attori in scena. Quindi la storia raccontata è totalmente genuina e corrispondente agli eventi reali.

Non dovete però immaginarvi un mockumentary: il documentario è reale e ottimamente integrato all’interno della pellicola, ma non finge di essere quello che non è. Ma, per capire di cosa sto parlando, dovete guardarlo voi stessi.

È un film che mi sentirei di consigliare abbastanza a tutti: se siete appassionati di heist movie, sopratutto quelli più interessanti e di concetto come Logan’s Lucky (2017), non potete veramente perdetevelo.

Perché i manoscritti sono così importanti in American Animals?

Ci tengo a spendere due parole riguardo all’importanza e alla preziosità dei manoscritti, perchè potrebbe apparire strana a chi non è del settore.

Anzitutto, certi manoscritti sono considerati effettivamente delle opere d’arte: i cosiddetti volumi illuminati sono impreziositi da miniature, di fatto piccoli dipinti di anche di grande valore, fatti per esempio con la foglia d’oro. Non a caso facevano (e fanno) parte delle collezioni di re e regine.

Inoltre, i manoscritti, anche senza essere belli, possono avere un valore storico incalcolabile: semplificando molto, più un volume si avvicina temporalmente ed a livello di fedeltà al testo originale dell’opera, più è prezioso. E, soprattutto nel caso dei testi a stampa, le prime edizioni hanno un valore altissimo fra studiosi, ma anche e soprattutto collezionisti.

E il mercato nero di questi manoscritti è più prolifico di quanto si possa pensare…

Raccontare una storia vera

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

L’incontro fra la forma del documentario e film in senso stretto è fondamentalmente perfetta: oltre ad una messa in scena della parte documentaristica che si vede essere passata nelle mani di un autore capace, il montaggio è magistrale.

La fluidità con cui si passa da una scena all’altra, con un montaggio dinamico e che riesce perfettamente a coniugare le parole delle persone reali della vicenda con gli attori in scena. E la macchina da che riesce veramente a cogliere l’essenza del loro racconto, lasciando che i protagonisti si raccontassero, per riportare visivamente le loro parole sullo schermo.

La scelta degli attori

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il casting degli attori è davvero ottimo: tutti gli interpreti sono scelti e diretti con grande cura, riuscendo oltre ad assomigliare moltissimo alle persone reali, ad essere le loro perfette controparti in scena.

In particolare è stato veramente interessante vedere in scena due attori di grande valore, ma che abbiamo cominciato a conoscere davvero solo recentemente. Anzitutto Evan Peters, che è noto principalmente al grande pubblico per il suo ruolo di Quicksilver negli ultimi due film degli X-Men e come Fietro (Fake Pietro, in riferimento al casting finto di Piero Maximoff) in Wandavision. In realtà ha fatto molto altro, anzitutto vincendo recentemente l’Emmy per l’acclamata serie Omicidio ad Easttown.

E come non parlare di Barry Keoghan, interprete con un volto e un’espressività tutta sua, che lavorato in film molto di nicchia come Il sacrificio del cervo sacro (2017) e che recentemente si è affacciato al grande pubblico con Eternals (2021). Ma probabilmente lo ricorderete soprattutto per il poco che l’abbiamo visto come Joker in The Batman (2022).

L’insoddisfazione rapace

Barry Keoghan in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

American Animals si propone anche di esplorare le motivazioni dietro ai protagonisti, che sembrano del tutto essere ricondotti ad una insofferenza e insoddisfazione rapace. La stessa insoddisfazione che sembra divorarli dentro, rinchiusi in una vita già definitiva senza aver fatto nulla di interessante.

Per certi versi mi ha ricordato Bling Ring (2013), anche se in questo caso la motivazione è molto più profonda. I protagonisti si immaginavano al centro di una vicenda avventurosa e avvincente, che gli cambierà la vita e che ricorderanno per sempre. E che sarà di fatto senza conseguenze.

Ma la realtà si rivela molto diversa.

Il punto di rottura

Evan Peters in una scena di American Animals (2018) di Bart Layton

Il punto di rottura gira tutto intorno alla figura della bibliotecaria.

La donna è infatti l’incognita del piano che nessuno, nemmeno Warren, vuole davvero affrontare. Nel suo racconto del piano la questione sembra molto semplice: la donna gli sviene semplicemente fra le braccia.

Ma quando invece deve molto maldestramente colpirla e legarla, quando la donna piange e addirittura si urina addosso, allora tutto crolla. Se notate prima di quel momento i personaggi sono abbastanza contenuti, anzi decisamente scherzosi nei loro rapporti.

Invece, da quel momento in poi la situazione precipita, e tutte le tensioni sotterranee esplodono, arrivando fino al punto in cui Chas li punta una pistola addosso, Eric fa a botte per un nonnulla, Warren ruba stupidamente da un supermercato e Spencer provoca un incidente.

Di fatto tutti i personaggi arrivano ad un punto di esplosione, in cui vogliono solo farsi prendere, farsi punire.