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Heretic – Il compromesso in bilico

Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods è un thriller psicologico con protagonista Hugh Grant.

A fronte di un budget molto contenuto – 10 milioni di dollari – è stato nel complesso un ottimo successo commerciale: 57 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Heretic?

Sorella Paxton e Sorella Barnes sono due giovani missionarie mormone che vanno di casa in casa a portare la parola del Salvatore. Ma uno di questi incontri potrebbe essere più complesso del previsto…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Heretic?

Sophie Thatcher in una scena di Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods

In generale, sì.

Heretic è un buon film horror che non scade in molti trucchi che creano facilmente tensione e paura, ma piuttosto si impegna, tramite una regia attenta e puntuale, a costruire il senso di angoscia e di tensione, con un sottofondo riflessivo per nulla scontato, ma che anzi mi ha piuttosto sorpreso.

Inoltre, la pellicola è un altro tassello che si aggiunge all’ottima carriera attoriale di Hugh Grant, che negli ultimi anni – a partire da Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri (2023) – si è lasciato alle spalle le romcom che ne hanno definito la popolarità per diventare un superbo caratterista.

Insomma, dategli un’occasione.

Definizione

Sophie Thatcher in una scena di Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods

La definizione delle due protagoniste avviene splendidamente tramite immagini.

Già l’apertura, con la sentita discussione sui preservativi, si scontra con la supposta riservatezza della comunità mormona, e tratteggia una coppia che non aderisce banalmente al tipo di personaggio devoto e la cui fede verrà messa in dubbio, ma anzi anticipa un racconto ben più sfumato.

E l’apparentemente futile dinamica di bullismo nei confronti di Sorella Paxton è ancora più fondamentale.

Sophie Thatcher e Chloe East  in una scena di Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods

Infatti la stessa mette subito a confronto le diverse tendenze delle due protagoniste, più volte ribadite anche nelle scene successive: come Sorella Barnes è un’attenta osservatrice, che riesce a cogliere i sottesi delle situazioni con grande abilità, e a non reagire prima del tempo…

…al contrario Sorella Paxton è un animo più semplice, che si affaccia al mondo senza alcuna malizia, anzi con la sicurezza che la sua bontà venga corrisposta, poco prona a scontrarsi con gli altri, ma piuttosto proattiva nel mettersi in gioco quando le viene data l’occasione.

Una dualità fondamentale soprattutto per l’incontro con Reed.

Contrasto

Hugh Grant in una scena di Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods

La personalità di Reed è estremamente contrastante.

L’ottimo Hugh Grant riesce a portare in scena un personaggio capace di muoversi su diversi tagli narrativi, indossando una maschera comica che però non contrasta con la sua vera natura, e che non agisce mai con gratuita crudeltà, ma bensì seguendo dei principi che per lui appaiono fondamentali.

Ma fin da subito si notano le prime crepe nella sua apparenza, i primi indizi di tutta una serie di trucchi utilizzati per provare la sua tesi, che però solamente Sorella Barnes riesce effettivamente a notare, restando per tutto il tempo restia ad aprirsi a questo ambiguo personaggio.

Hugh Grant in una scena di Heretic (2024) di Scott Beck e Bryan Woods

Da questo punto di vista, proprio come la scrittura del personaggio è sempre coerente con se stessa, anche il film riesce a non tradirsi, a non ricadere in facili trovate per risvegliare l’attenzione del pubblico, come il torture porn o elementi esplicitamente magici che avrebbero minato la credibilità della pellicola.

Al contrario, per mantenere viva la tensione, la pellicola fa un ottimo uso della soggettiva e falsa soggettiva, che unisce lo sguardo del personaggio a quello dello spettatore, spingendolo ad essere talmente immerso nella scena da guardarsi letteralmente intorno all’interno della stanza…

…e costruendo così un ottimo climax tensivo legato alla scoperta della casa.

Eppure, Heretic non mi ha convinto fino in fondo.

Tesi

La tesi di Reed non è banale, anzi è molto ben pensata.

Eppure il film sembra non crederci fino in fondo.

Anche comprensibilmente, più che imporre un’idea, Heretic offre uno spunto di riflessione, mettendo ottimamente in scena la tesi di Reed tramite l’utilizzo dei giochi da tavolo, andando a svelare alcuni altarini delle religioni abramitiche già ampiamente discusse in altre sedi…

…ma contrapponendogli l’antitesi di Sorella Barnes, un personaggio non ciecamente innamorato della sua fede, ma che al contrario mette più volte in discussione, e che, proprio rispondendo al suo antagonista, dimostra di avere consapevolezza dell’argomento – e di saperlo sostenere.

Tuttavia avrei preferito che questa contrapposizione fosse portata fino in fondo, anche senza dover dar per forza ragione a una o all’altra parte, invece che arrivare ad un finale che non definirei smaccato, ma che comunque introduce l’elemento magico per contrastare la pesante concretezza del resto della pellicola…

…forse troppo timido nel volersi imporre fino in fondo con la stessa, giungendo ad un compromesso tematico che non mi ha convinto fino in fondo.

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2025 Avventura Film Grottesco Horror Mistero Nuove Uscite Film Oscar 2025

Nosferatu – Una bellezza già vista

Nosferatu (2024) di Robert Eggers è un remake dell’omonimo classico del cinema espressionista di Murnau.

A fronte di un budget comunque significativo – 50 milioni di dollari – ha aperto in maniera piuttosto promettente al box office statunitense: 21 milioni di dollari.

Candidature Oscar 2025 per Nosferatu (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior fotografia
Miglior scenografia
Migliori costumi
Migliori trucco e acconciatura

Di cosa parla Nosferatu?

Thomas Hutter vuole offrire una nuova vita alla sua neonata famiglia, e per questo accetta un incarico piuttosto particolare: visitare il misterioso conte Orlok in Transilvania.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Nosferatu?

Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In generale, sì.

Con Nosferatu Eggers dimostra nuovamente le sue incredibili capacità registiche, riuscendo a portare in scena atmosfere effettivamente inquietanti, incorniciate da un montaggio particolarmente indovinato, che regala un davvero indemoniato alla pellicola. 

Rimane però un po’ di amaro in bocca nel constatare la quantità di temi e di riflessioni – già esplorate da Eggers altrove – che potevano essere meglio approfondite, cercando magari di dare maggiore originalità all’opera, che per il resto rimane un piacevole omaggio al classico di partenza.

Paura

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In un genere ormai oltre che saturo come l’horror, riuscire a spaventare non è semplice.

In questo senso, Nosferatu di Eggers è vincente nel caricare le atmosfere in scena, soprattutto nel primo atto, di un senso di puro terrore, basato su un abile uso del vedo-non-vedo, in cui le fattezze del Conte Orlok emergono fumose dall’oscurità della sua magione…

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

…e diventano sempre più agghiaccianti grazie agli altri elementi che animano la scena – i riti pagani di purificazione, i particolari gotici del castello, la carrozza fantasma… – riuscendo a far immergere lo spettatore nella corsa cieca e disperata del nostro ingenuo protagonista.

Ma non è finita qui.

Controllo

Nicholas Hoult e Lily Rose-Depp in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il perno centrale della narrazione di Nosferatu è la mancanza di controllo.

I protagonisti sembrano del tutto succubi ad una trama già intessuta molto tempo prima, a cui è impossibile sfuggire, come ben racconta il montaggio frenetico in cui le vicende si svolgono secondo la volontà del conte – e senza possibilità di replica alcuna.

In questo senso, altri due elementi contribuiscono al fascino della pellicola.

Nicholas Hoult in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

Il primo, è il senso di claustrofobia: proprio per la mancanza di controllo, Thomas Hutter sembra inevitabilmente imprigionato nell’ombra di Orlok, e vani sono tutti i suoi tentativi di ucciderlo e di fuggire, fino alla scelta disperata di buttarsi nell’oceano. 

A questo si aggiunge l’interessante paragone fra il vampiro e la peste, ben rappresentata dalla sfrenata corsa dei topi che scendono dalla nave e che si intrufolano in ogni angolo della città, portando con loro una malattia invisibile ed irrefrenabile.

Ma, davanti a queste scelte piuttosto convincenti, rimane per me un’amarezza di fondo.

Occasione

Come altri registi nascenti in ambito horror, fin da The Witch Eggers si è distinto nel portare un quid in più all’interno del genere.

Purtroppo, questo non è il caso di Nosferatu.

Proprio come il suo protagonista, anche Eggers sembra intrappolato all’interno dell’eredità di Murnau e del suo desiderio di omaggiarlo, senza riuscire così a portare una propria originale rilettura del film di partenza, limitandosi a confezionare un ottimo horror di atmosfere.

Lily Rose-Depp e Emma Corrin in una scena di Nosferatu (2024) di Robert Eggers

In questo senso, gli spunti si sprecano: il personaggio di Ellen da solo offriva il fianco a diverse riflessioni sulla liberazione sessuale, sulla considerazione degradante delle capacità mentali delle donne – nella appena citata isteria – che poteva dare un significato ben più interessante a tutte le scene di possessione.

Per questo per me Nosferatu è una buonissima prova registica di Eggers, ma che per brillare davvero come regista dovrebbe affidarsi ad una sua storia originale – o, almeno, ad una storia originalmente riproposta – senza vivere nell’ombra di nessun altro autore, per quanto importante.

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Gremlins 2 – Il punto di non ritorno

Gremlins 2 (1990) di Joe Dante, noto anche come Gremlins 2 – La nuova stirpe, è il sequel dell’omonimo cult degli Anni Ottanta.

A fronte di un budget piuttosto ambizioso – 50 milioni di dollari – fu un disastro commerciale, non riuscendo né a coprire i costi di produzione, né ad avvicinarsi all’incasso del primo.

Di cosa parla Gremlins 2?

Pochi anni dopo il primo film, Billy lavora per un’intraprendente multinazionale che, per vie traverse, viene in possesso di Gizmo. E la minaccia dei Gremlins è ancora più pressante…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Gremlins 2?

Assolutamente sì.

Per quanto mi renda conto che questo secondo capitolo possa non essere nelle corde di tutti, al contempo è secondo me una visione irrinunciabile per godere di un Joe Dante in forma smagliante, che gioca con la sua creatura in maniera sempre più fantasiosa e improbabile.

Insomma, Gremlins 2 è stato, nel bene e nel male, un apripista per il più classico sequel Anni Novanta, che prende gli elementi del primo film e li esaspera all’inverosimile, in questo caso risultando però, nella sua follia, incredibilmente brillante.

Spaccato

Come per il primo film, anche in Gremlins 2 è presente l’elemento politico.

Di fatto la cornice della storia principale – ricordiamolo, dal taglio fantascientifico, quasi fantastico – è crudelmente reale, quasi satirica, ed inquadra perfettamente la grande corsa al capitale degli Stati Uniti degli Anni Ottanta e Novanta…

…in cui ogni dipendente, ogni ingranaggio deve sottostare precisamente allo schema aziendale, in cui ogni tipo di individualismo è immediatamente soppresso, ogni tentativo, anche il più innocuo, di non seguire il regolamento, è severamente punito.

E questo grottesco quadretto è chiuso proprio l’annuncio che segue il licenziamento del dipendente ribelle:

We have a career opportunity on level seven!

Opportunità di carriera al piano sette!

Casualità

Il film sa di dover ricreare il dramma del primo…

…ma deve essere quantomeno credibile.

In questo senso funziona bene la sequenza di eventi che conduce al rincontro fra Gizmo e Billy, e il motivo per cui il protagonista non può immediatamente portarlo con sé, mentre meno convincente è il modo in cui il mogwai finisce per bagnarsi.

Fra l’altro è piuttosto curioso come Gizmo venga relegato per gran parte del tempo fuori scena, limitato nel suo simpatico arco evolutivo sulle orme del suo eroe cinematografico – Rambo – venendo quasi subito messo ai margini dagli altri Gremlins e quasi dimenticato da Billy.

Infatti il vero protagonista della scena è la diversità.

Diversi

Joe Dante con Gremlins 2 vuole stupire lo spettatore – e sé stesso.

Per questo crea terreno fertile per sperimentazioni sempre più incredibili – il laboratorio – dove i suoi personaggi non sono semplicemente delle simpatiche varianti di Gizmo, ma bensì degli esperimenti mal riusciti via via sempre più assurdi.

Così vediamo il Gremlins a cui cresce la verdura addosso, quello che diventa un ragno, un femme fatale, un conduttore radiofonico, un pipistrello e via dicendo, tutti accomunati da una totale imprevedibilità e malvagità innata.

E, proprio perché in questo frangente il regista non ha più bisogno di far credere allo spettatore che i Gremlins nati da Gizmo siano uguali a lui, li distingue fin da subito con dei ghigni distorti e caratteristici al limite del grottesco.

Ed è proprio qui il punto di non ritorno.

Fine?

Gremlins 3 non può esistere.

Al di là dell’insuccesso economico che ha chiuso le porte ad un possibile continuo, Joe Dante è arrivato con Gremlins 2 a toccare degli apici creativi che lo pongono in una posizione di precario equilibrio fra il genio e il trash…

…e, con un terzo film, probabilmente sarebbe crollato in un insostenibile camp.

Perché, obbiettivamente, come si potrebbe superare in eleganza la scena metanarrativa in cui i Gremlins prendono possesso della pellicola bucando lo schermo, per poi essere rimessi al loro posto da niente poco di meno che Hulk Hogan…

…oltre alle diverse prese in giro che Joe Dante fa a sé stesso e al precedente film, accolto da entusiasmo ma anche feroci critiche da parte di genitori totalmente sconvolti dalla tremenda violenza in un film popolare anche fra i più piccoli?

Forse, per una volta, il flop commerciale è stato una fortuna…

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Dramma familiare Drammatico Film Fine? Horror Surreale

Inland Empire – Liberarsi dell’ego

Inland Empire (2006) è (finora) l’ultimo film della prospera ed enigmatica carriera di David Lynch.

A fronte di un budget piccolissimo – appena 3 milioni di dollari – è stato, come prevedibile, un importante insuccesso commerciale, riuscendo appena a coprire le spese di produzione.

Di cosa parla Inland Empire?

Nikki Grace sta per cominciare la produzione cinematografica che sempre sognava, ma che sembra fin troppo simile alla sua vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Inland Empire?

Laura Dern in una scena di Inland Empire (2006) di David Lynch

Assolutamente sì.

Inland Empire rappresenta un punto di arrivo fondamentale per la carriera di Lynch, del tutto estraneo – come la sua protagonista – ad ogni costrizione produttiva – e di trama – libero di poter girare il più complesso e incomprensibile film della sua produzione.

Ne consegue un’opera profondamente introspettiva, in cui è sostanzialmente inutile cercare un briciolo di trama, ma ben più importante è comprendere la linea tematica in scena, e solo da lì, provare ad ipotizzare un’interpretazione.

Domani

Grace Zabriskie in una scena di Inland Empire (2006) di David Lynch

La cornice narrativa di Inland Empire è inaspettata.

E quasi immediatamente si introduce uno dei temi preferiti di Lynch: il doppio, che scopriremo poco dopo incarnato dalla stessa protagonista, che comincia a sdoppiarsi fin dalla prima lettura del copione, quando una figura misteriosa – lei stessa dal futuro – si intrufola nel dietro le quinte.

Attendendo un po’ disillusa la notizia sulla sua prossima parte, Nikki viene stregata dalla sua misteriosa vicina, che apre una finestra verso il giorno successivo, in cui l’ottenimento del tanto agognato ruolo è solo l’inizio di un viaggio introspettivo molto ben più profondo e doloroso.

Laura Dern in una scena di Inland Empire (2006) di David Lynch

Protetta ancora dalla sua illusione, Nikki comincia ad approcciarsi alla parte con sincera curiosità, cominciando gradualmente a riconoscersi nella sua protagonista, le cui reali vicende vengono alternate alle disperazioni della stessa Sue.

Ed è qui che le figure delle prostitute diventano così essenziali.

Libera

Laura Dern in una scena di Inland Empire (2006) di David Lynch

La libertà interiore e, soprattutto, la libertà femminile non è cosa nuova per Lynch.

Il cineasta statunitense nel corso della sua carriera si è sempre più concentrato su enigmatiche figure femminili assoggettate sessualmente, ma che si riappropriavano della loro identità proprio tramite il sesso – specificatamente Dorothy in Velluto Blu (1986).

In questo caso la figura della prostituta, che potrebbe molto banalmente essere considerata come l’ultimo gradino della degradazione femminile, è in realtà più volte racconto di ribellione e di libertà, di utilizzo del proprio corpo per riappropriarsi del potere che le figure maschili le hanno tolto.

Insomma, queste donne così disinibite nella loro sessualità disordinata, sono in realtà il punto di arrivo per Nikki/Sue, intrappolata in diversi modi all’interno di relazioni che hanno come ultimo obbiettivo la degradazione e il controllo della sua figura.

Così, anche se Nikki non è fisicamente bloccata all’interno di una stanza come Sue, in realtà ritorna costantemente nella stessa, non riuscendo a comunicare con l’esterno ma rimanendo isolata dal mondo – specificatamente nella prima scena in cui si intrufola nel set dove l’altra sé stava facendo il provino.

E il controllo non è solo fisico, ma soprattutto mentale: l’elemento della maledizione, ridotto a termini più terreni, è simbolo del totale controllo psicologico del maschile sul femminile, che ha il suo apice drammatico con il suo essere infine pugnalata con un cacciavite per volontà del Fantasma…

…figura per sua natura evanescente, ma costantemente presente in scena. 

Indifferenza

Il vero nemico delle protagoniste è l’indifferenza.

Nonostante il turbamento di Nikki/Sue e la sua relazione violenta siano sotto gli occhi di tutti, nonostante ci siano tracce evidenti sul suo viso, le stesse vengono trattate con totale indifferenza, in particolare nelle diverse scene in cui la protagonista cerca di raccontare il suo dramma al suo silenzioso ascoltatore.

E ancora di più l’indifferenza è insostenibile quando infine Nikki dovrebbe uscire dal suo personaggio, ma è così sconvolta da non essere evidentemente più se stessa, ma viene lasciata da sola a sconfiggere il suo dramma, a sconfiggere il suo Fantasma.

Laura Dern in una scena di Inland Empire (2006) di David Lynch

E così l’orribile deformazione a cui Nikki si trova davanti è solo l’ultimo atto di apparizione della vera natura del Fantasma – che solo lei sembra vedere – riuscendo infine ad annientarlo con la pistola dei conigli/polacchi – forse rappresentazione di un’interiorità battagliera che emerge a tratti nella protagonista.

Potendo così infine riabbracciare il suo sé, finalmente se ne libera, prospettando un futuro più luminoso per entrambe le donne, ormai libere dai loro persecutori, ben rappresentato dal lungo ballo finale delle prostitute, che rimarcano ancora una volta la loro felice libertà sessuale e mentale. 

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Eraserhead – Storia di un parassita

Eraserhead (1977), noto anche come Eraserhead – La mente che cancella, è il primo film di David Lynch.

A fronte di un budget veramente minuscolo – appena 100 mila dollari, circa 500 mila oggi – è stato un sorprendente successo commerciale: 7 milioni in tutto il mondo (circa 36 oggi).

Di cosa parla Eraserhead?

Lo vorrei sapere anche io.

Provate a vedere il trailer e forse ci capirete qualcosa:

Vale la pena di vedere Eraserhead?

Jack Nance in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

Assolutamente sì.

In questa prima, piccola opera, si capiva già l’immensa portata di Lynch, che, con un budget inesistente, riuscì a portare in scena un piccolo capolavoro del surreale, che offre poche chiavi di lettura allo spettatore, proprio con la volontà di aprirsi ad un ventaglio potenzialmente infinito di interpretazioni.

Personalmente l’esperienza di visione è stata simile a Il ragazzo e l’airone (2023): per due terzi del film brancolavo nel buio, poi ho colto quello che penso sia il bandolo della matassa e ho cominciato a scavare per elaborare una possibile interpretazione.

E per me non c’è niente di più stimolante.

Nascita

Jack Nance in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

Henry vuole rinascere.

All’inizio il protagonista è tripartito: da una parte vi è l’uno unito, malato e deformato, immerso in una scena che riflette il degrado della sua condizione, che guarda la sua proiezione: l’umano incorrotto e il germe della corruzione, da cui si è infine scisso.

Entrambi crollano in una paesaggio in cui possono apparentemente vivere due esistenze distinte: Henry uomo può tornare al suo squallido appartamento, ma avere ancora tutta una vita da scrivere, magari con la fascinosa vicina…

…mentre il germe rimane sullo sfondo, in agguato.

E non possono fare a meno di ricongiungersi.

Costrizione

Jack Nance e Charlotte Stewart in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

Tutto è corpo.

Henry scopre di essere stato invitato a cena da una donna che non vedeva da molto tempo, ma che lo aspetta ansioso per metterlo sotto processo davanti alla sua opprimente famiglia, che ormai ha preso fisicamente possesso della sua abitazione.

La casa è infatti come un corpo vivo, sensibile, in cui il taglio del pollo arrosto – rituale fondamentale nella famiglia media americana – diventa invece un tagliare, dissezionare e puntellare i fisici stessi degli ospiti.

Ed è solo l’antipasto per un corpo ancora più ingombrante.

Sogno

Jack Nance in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

Nonostante il bambino gli sia imposto, Henry fa di tutto per ignorarlo.

Ed è proprio così che lui stesso comincia ad assumere degli atteggiamenti infantili, nel suo distendersi gongolante sul letto, spiando attraverso il calorifero un piccolo teatro immaginario.

Un sogno che rappresenta una delle due facce del riscatto possibile: una donna ridente, che parla di paradiso e di beatitudine, mentre schiaccia compiaciuta quei germi che piovono sul palco come fiori dal pubblico…

Laurel Near in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

…e la donna avvenente e desiderabile, con cui infine Henry riesce ad intrattenersi, dimenticandosi totalmente del germe e unendosi a lei in questo brodo primordiale, pronto finalmente a rinascere.

Ma la rinascita incorrotta è veramente possibile?

Faccia

Il bambino in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

Henry è il germe.

Nonostante cerchi costantemente di ignorarlo, di affidarlo esclusivamente alle cure della sua moglie imposta, l’orrore in fasce continua a gemere incessantemente, tanto da spingere la stessa Mary ad abbandonare esasperata il tetto domestico.

Un’esasperazione che però non gli impedisce prima di inginocchiarsi ai piedi del letto e cercare di cullare disperatamente Henry, per poi invadere anche lo stesso giaciglio prendendo la forma dell’ingombrante embrione.

Infatti lo sgorbio è una presenza talmente infestante da infine far cadere la maschera, la testa di Henry, che si rivela un fragile involucro che neanche può più godersi la bellezza dello spettacolo onirico, e che viene deriso dal germe stesso quando tenta di riavvicinarsi all’avvenente vicina.

La sua testa anzi diventa matrice per una gomma da cancellare, che viene testata immediatamente e con successo, proprio a sottolineare la natura aleatoria del protagonista umano, e il suo disperato tentativo di ricominciare da capo. 

E proprio per questo non gli conviene andare troppo a fondo…

Interiora

Testa in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

La curiosità di Henry è fatale.

Davanti alla risata insistente dell’embrione, il protagonista sceglie infine di aprire quello strano essere che rappresenta al contempo rinascita e annullamento, seme e germe, per indagarne le interiore e scoprirne la vera natura.

Jack Nance in una scena di Eraserhead (1977) di David Lynch

E così inevitabilmente Henry si immerge nella realtà della sua condizione, ritorna su quel pianeta, su quel nucleo che racchiude la sua vera faccia, l’io unito e deformato non può più mantenere viva la sua proiezione.

E così la stessa si annulla, immersa in una luce calda e accogliente, dove la donna del sogno lo aspetta a braccia aperte per avvolgerlo nella sua beatitudine, come unica forma incorrotta a cui questo è permesso.

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2024 Avventura Azione Drammatico Fantascienza Film Grottesco Horror Humor Nero Oscar 2025

The Substance – Poca sostanza

The Substance (2024) di Coralie Fargeat è un film horror vincitore della Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes 2024.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – appena 17.5 milioni di dollari – è stato un ottimo successo commerciale: 76 milioni in tutto il mondo.

Candidature Oscar 2025 per The Substance (2024)

(in nero le vittorie)

Miglior film
Migliore regista
Miglior attrice protagonista per Demi Moore
Migliore sceneggiatura originale
Miglior sonoro
Miglior trucco e acconciatura

Di cosa parla The Substance?

Elisabeth Sparkle è una ex-star del cinema ormai caduta nel dimenticatoio. Ma forse un’altra occasione per ricominciare è possibile…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Substance?

Demi Moore in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

Dipende.

Nel complesso The Substance è un buon film horror con un cast veramente azzeccato e in splendida forma, che riesce altrettanto bene ad essere un film denuncia della fragilità dello star system, grazie anche ad un ottimo uso del body horror.

Tuttavia sul finale la pellicola vanifica in parte gli sforzi fatti fino a quel momento e l’aspettativa creata nello spettatore, con diversi inciampi di scrittura e con una struttura tematica che finisce per diventare ridondante e estremamente prevedibile.

Però, andandoci con le giuste aspettative, può essere una visione piacevolissima.

Declino

Demi Moore in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

Elizabeth è arrivata al capolinea.

Già il prologo racconta perfettamente il declino della sua carriera: la sfolgorante stella sulla Walk of Fame è prima oggetto di grande interesse dal pubblico, che però col tempo diventa progressivamente sempre più indifferente, calpestandola, insozzandola e rovinandola.

Allo stesso modo il racconto visivo del corridoio che dovrebbe mostrare la sua sfolgorante carriera televisiva si trasforma invece in una passerella della vergogna, del progressivo spegnersi della bellezza della protagonista, ultimo residuo di un’epoca ormai tramontata.

L’apice di questo drammatico climax è ovviamente l’involontario incontro con Harvey, personaggio raccontato dalla regia subito come repellente e chiassoso, elemento confermato anche dalla scena immediatamente successiva, in cui divora in maniera davvero disgustosa un piatto di crostacei…

…mentre liquida con indifferenza la protagonista, perché non ha più quel quid che le serve per essere interessante.

Ma non è finita qui.

Bozzolo

Elizabeth rinasce come da un bozzolo.

Particolarmente brillante il racconto del kit di The Substance, che non lascia nessun dubbio sul funzionamento della sostanza riuscendo così a costruire una solida mitologia, che tornerà molto utile nel prosieguo della pellicola.

E con la nascita del clone assistiamo alla prima prova di un body horror come non lo vedevamo da tanto tempo, indubbiamente debitore di classici del genere come La mosca (1986) e The Thing (1982), ma riuscendo ad essere assolutamente al passo con i tempi.

Demi Moore in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

In questa fase particolarmente importante è stata la scelta di un cast così capace di mostrarsi nudo in scena con tutte le sue imperfezioni, creando un contrasto molto angosciante fra il corpo non più desiderabile di Elizabeth e la frizzante bellezza giovanile di Sue.

E allora è il momento di riprendersi il proprio posto.

Inizio

Margaret Qualley in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

Elizabeth può cominciare da capo…

…un’altra vita infelice.

La protagonista infatti sembra del tutto incapace di accettare l’idea di allontanarsi da un mondo così ingiusto e rapace, pronto a nutrirsi fino all’osso delle star del momento, per poi liberarsene senza vergogna quando non fanno più notizia…

…ricominciando la propria scalata dallo stesso punto di trent’anni prima: un corridoio vuoto e pieno di promesse, in cui viene posta la prima pietra di un folgorante successo di pubblico, dopo che la carriera della vecchia sé è stati rimossa e dimenticata nel giro di un pomeriggio.

Demi Moore in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

Ed è proprio davanti a questa sfolgorante occasione che Sue comincia sempre di più ad odiare la sua matrice, disprezzandola per essere così imperfetta, inadatta, non riuscendo più a vederci se stessa, ma solo un ingombrante ricordo da lasciarsi alle spalle.

E proprio in questa ottica Elizabeth comincia a divorarsi da sola, a succhiare tutto il possibile dalla sua matrice e prendendone sempre più il posto – con una parabola non dissimile dallo stesso comportamento che lo star system ha avuto nei suoi confronti.

E, proprio nell’ultimo atto, The Substance fallisce.

Corpo

Demi Moore in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

Al centro di The Substance vi è il corpo.

Un corpo continuamente mostrato nella sua perfezione e imperfezione, nella sua bellezza e bruttezza, un corpo pronto a tradirci, a farci sfigurare, a farci desiderare da un mondo che pretende una perfezione eterna, pena una rovina repentina e irreprensibile.

E proprio del suo corpo, continuamente messo alla berlina, Elizabeth ha un disgusto sempre più crescente, tanto che le basta pochissimo per decidere di non farsi più vedere fuori casa in questo aspetto vergognoso, così lontano invece dalla sua nuova versione.

E proprio Sue è lo spettro che la perseguita, che odia per la sua avventatezza, ma di cui non può fare a meno…

…concetti chiarissimi, limpidi e spiegati senza bisogno di parola alcuna, che, per motivi incomprensibili, devono essere invece esplicitati proprio nel momento in cui Elizabeth accetta finalmente l’idea di liberarsi di quella odiosa copia…

…andando a vanificare un’ottima costruzione simbolica che funzionava benissimo da sola.

Ridondante

In questo senso, meglio funziona la sequenza successiva alla morte di Elizabeth, in cui Sue sceglie finalmente di liberarsi dal peso del suo passato per brillare finalmente come la star di un tempo

…finendo invece per essere perseguitata da un corpo che le si rivolta contro.

E purtroppo nel finale Coralie Fargeat sembra incapace di portare in scena qualcosa di effettivamente nuovo e interessante, di evadere o di arricchire il canovaccio classico e prevedibile su cui si è basata, puntando invece tutto su un body horror indubbiamente d’effetto…

Margaret Qualley in una scena di The Substance (2024) di Coralie Fargeat

…ma che sembra, infine, l’unico elemento di effettivo interesse di The Substance, a fronte di uno scioglimento veramente banale in ogni sua parte, dalla caccia a Frankenstein in chiave splatter fino al totale decomporsi del corpo di Elisabeth sopra la sua amata stella, per essere dimenticata il giorno dopo.

Ovvero, lo stesso identico concetto espresso all’inizio.

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Animazione Avventura Fantastico Fantasy Film Horror

Coraline – Dall’altra parte

Coraline (2009) di Henry Selick, noto anche col titolo piuttosto ingannevole di Coraline e la porta magica, è un classico dell’animazione in stop-motion.

A fronte di un budget medio per un film d’animazione – 60 milioni di dollari – e una produzione lunga tre anni, non è stato un grande successo commerciale alla sua uscita: 125 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Coraline?

Coraline è una ragazzina che si è appena trasferita in un noioso sobborgo e cerca di riempire le giornate. Ma c’è qualcuno che ha proprio qualcosa di perfetto per lei…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Coraline?

Coraline in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

Assolutamente sì.

Per quanto la pellicola cerchi di ammorbidire moltissimo i toni del romanzo di Gaiman, una favola horror che al tempo mi terrorizzò profondamente, proprio per il suo ribaltare le aspettative nel raccontare un mondo incantato che in realtà nasconde un orrore agghiacciante.

Inoltre, rimane un ottimo esempio di tecnica passo uno, per uno studio di animazione – Laika Entertainment – che oltre a questa pellicola non ha mai avuto purtroppo molta fortuna, anche per i costi e i tempi produttivi piuttosto impegnativi.

Ma anche per questo è da riscoprire.

Noia

La bambola di Coraline in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

Coraline vive la più grande maledizione per una ragazzina.

La noia.

La casa stessa sembra infatti un’estensione della grigia personalità dei suoi genitori, totalmente concentrati sul proprio lavoro da non poterle concedere alcuna attenzione, nemmeno riuscire a mettere in tavola un pasto allettante.

Ovviamente questa è la visione dagli occhi ingenui e di fatto capricciosi della protagonista, che in questo prima fase ha una visione molto limitata del mondo e delle sue sfumature: l’unica cosa giusta per lei sarebbe essere al centro del mondo.

E questo l’Altra Madre lo sa molto bene…

Esca

Coraline coi finti genitori in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

La porta è l’esca perfetta.

Dopo essere rimasta delusa davanti ad un muro di mattoni noioso come tutto il resto, Coraline viene attirata nella notte a riscoprire invece una realtà che è esattamente come lei vorrebbe fosse: un passaggio verso un luogo da scoprire, con meraviglie ad ogni angolo…

…create appositamente secondo i suoi desideri.

Coraline attraversa la porta in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

E la sua ingenuità iniziale è proprio non rendersi conto di quanto tutto sia troppo perfetto, di quanto quegli inquietanti occhi bottone raccontino una realtà artefatta, una facciata creata ad arte per attirarla nella trappola.

In questa prima notte infatti l’attrattiva è un pasto talmente godurioso e soverchiante che Coraline neanche riesce a finire quello che ha nel piatto che lo stesso le viene subito sostituto con una pietanza ancora più appetitosa…

Coraline nel giardino in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

…in un mondo dove lei è al centro di tutto, dove il giardino è un’esplosione di colori meravigliosi e creature che sembra uscite da una fiaba, non ultimo il dolcissimo papà che ha modellato la natura per corrispondere all’unico, vero oggetto del desiderio.

Coraline stessa.

Equilibrio

Coraline è consapevole di dover equilibrare il parallelismo fra i due mondi.

Per questo non carica immediatamente la scena di tutti i personaggi, ma divide la scoperta del mondo magico in due tranche: la prima focalizzata unicamente sui genitori e su Coraline, e la seconda sui personaggi secondari totalmente riscritti.

In linea generale, i mediocri teatranti in pensione del mondo reale diventano invece degli irresistibili portatori di meraviglie nell’altro mondo, in cui Coraline diventa spettatrice di spettacoli da sogno.

Ma davanti al massimo punto emotivo, in cui Coraline finalmente accarezza la possibilità di vivere in questo mondo dei sogni per sempre, finalmente la Madre si rivela per quella che è: una riscrittura moderna della strega di Hansel e Gretel.

E proprio da qui il controllo sembra scivolare dalle dita di Coraline, che si trova non più ospite, ma prigioniera di un mondo che comincia a crollare su se stesso, svelando la sua totale illusione proprio nella limitatezza dei suoi confini.

Per questo l’ultimo atto è così fondamentale.

Fuga

l'Altra madre in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

Sconfiggere l’Altra Madre è un passaggio fondamentale per la maturazione di Coraline.

E, per questo, deve essere orchestrato al meglio.

Infatti, per riuscire a far immergere adeguatamente lo spettatore nell’ultimo atto, è necessario definirne chiaramente le  coordinate: Coraline non può entrare o uscire a suo piacimento dall’Altro Mondo, ma secondo la volontà dell’Altra Madre…

…che però non controlla totalmente la porta stessa, da cui in prima battuta Coraline scappa, per poi tornare sui suoi passi quando scopre che i genitori sono stati rapiti dalla Madre, il ricatto estremo per avere nuovamente la sua attenzione.

E così il pericolosissimo gioco con la Madre è in realtà il momento di passaggio in cui finalmente Coraline smette di essere una bambina egoista che pensa solo a se stessa, e sceglie invece di mettersi in gioco per salvare la propria famiglia e gli altri sfortunati bambini.

Ed è un climax splendido.

Frantumato

Il viaggio di Coraline nel finale è una riscoperta dell‘Altro Mondo mentre crolla su se stesso.

La magia sbiadisce poco a poco per lasciare spazio a dei meri fantocci incapaci di avere una propria volontà, che o sono grottesche vittime della volontà della Madre, o estensione della sua personalità…

E qui troviamo una messinscena piuttosto caricata dal punto di vista orrorifico, particolarmente funzionante nella riproposizione di Bobinsky, il cui corpo è letteralmente composto dai diabolici topolini…

Coraline e Wybie  in una scena di Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick

…fino alla destrutturazione totale dell’Altro Mondo, che si riduce a mere linee nere su uno pagina bianca, che compongono la ragnatela della Madre nella sua forma primaria, quella del ragno.

E così il sogno diventa incubo, e finalmente Coraline comprende la limitatezza della sua visione, accettando invece una famiglia che non può esaudire subito i suoi desideri, ma può veramente amarla senza pretendere altro da lei.

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90s A classic horror experience Avventura Dramma familiare Dramma romantico Drammatico Fantastico Film Horror

Il sesto senso – Precipizio

Il sesto senso (1999) è stato non solo il punto di svolta per la carriera M. Night Shyamalan, ma anche per il genere tutto.

A fronte di un budget abbastanza importante – fra i 40 e i 55 milioni – è stato un enorme successo commerciale: 672 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Il sesto senso?

Cole è un bambino molto timido e vittima di un continuo e crudele bullismo. Eppure, non è neanche quello il suo problema più grande…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Il sesto senso?

Haley Joel Osment in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

Assolutamente sì.

Al tempo de Il sesto senso Shyamalan si trovava senza saperlo su un precipizio: un film veramente ottimo che lo lanciò come autore di punta del genere, ma che nel tempo si rivelò invece l’antipasto prima di crearsi una nomea non proprio felice, portando ad una serie di prodotti molto meno indovinati.

Anche in questo caso non mancano gli elementi che lo hanno reso più o meno felicemente celebre, che però, pur con qualche semplificazione sul finale assolutamente perdonabile, risultano incredibilmente funzionali a creare un horror indimenticabile.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Rimorso

Bruce Willis in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

Come si scoprirà solo nel finale, Malcom è tormentato da un profondo rimorso.

Raccontato come professionista che ha votato tutta la sua vita ad aiutare i suoi pazienti, anche a discapito della felicità del suo matrimonio, proprio nel momento in cui potrebbe finalmente vivere i frutti dei suoi sforzi, finisce invece vittima degli stessi.

E forse in questo contesto la sua angoscia più importante non è tanto il doloroso colpo in pancia per mano di uno dei suoi ex pazienti, ma piuttosto la consapevolezza di non aver aiutato un bambino che si era totalmente affidato a lui, facendo diventare un adulto inquieto.

E se quello sparo sembra solo una piccola macchina su un curriculum immacolato…

Finzione

Haley Joel Osment in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

Cole è vittima di una finzione di sua stessa fattura.

Essendo già di per sé un ragazzino molto timido ed insicuro, il peso del suo segreto lo spinge ancora di più a cercare di fingersi un bambino normale, anche per proteggere la madre, già abbastanza addolorata dalla perdita della genitrice e dall’abbandono del marito.

Haley Joel Osment in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

E proprio in questo contesto si inseriscono gli ingenui teatrini in cui, in cambio di denaro, il protagonista finge di avere alle spalle delle solide amicizie, e non di essere solo la vittima preferita del bullismo dei suoi compagni di classe.

E infatti, il vero orrore non è tanto il  vedere i fantasmi…

Adulto

Haley Joel Osment e Bruce Willis in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

Cole deve crescere troppo in fretta.

Una grande eleganza della messinscena è di non abusare delle più classiche tecniche del jump scare o simili, spesso utilizzate per nascondere una scrittura poco pensata e incapace di riuscire effettivamente a spaventare lo spettatore.

Invece il senso di angoscia della pellicola è causato proprio dai problemi che questi fantasmi portano avanti, spesso questioni fin troppo impegnative persino per un adulto – suicidio, violenza domestica, abusi – figuriamoci per un bambino di appena nove anni.

Haley Joel Osment e Toni Collette in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

E tanto basta per creare un orrore piuttosto raffinato, che riesce forse un po’ semplicisticamente a dissiparsi quando, grazie a Malcom, il protagonista finalmente affronta questi spettri e le loro richieste, in modo che possano morire in pace.

E proprio su questa china arriviamo allo scioglimento.

Dialogo

Haley Joel Osment e Bruce Willis in una scena de Il sesto senso (1999) di M. Night Shyamalan

Entrambi i protagonisti devono riuscire a comunicare.

Malcom crede di vivere in un matrimonio ormai finito, in cui Anna gli è ormai indifferente, anzi si è già impegnata con altri uomini, che il marito cerca di scalzare senza mai intervenire direttamente, senza mai riuscire ad affrontare la questione faccia a faccia.

Ma la presa di consapevolezza della sua vera condizione, che rappresenta anche l’ottimo colpo di scena finale, chiude finalmente questo capitolo della sua vita, in cui è riuscito a salvare un altro bambino potenzialmente problematico e, per consiglio dello stesso, il suo stesso matrimonio.

Allo stesso modo, Cole vive nel costante timore di rivelare il suo sesto senso alla madre, per paura di non essere creduto o, ancora peggio, di ferirla irrimediabilmente e spezzare il loro importante quanto fragile rapporto.

Ma è proprio rendendo possibile il dialogo che Lynn non riesce ad avere con la madre defunta che Cole riallaccia i rapporti con la genitrice, che finalmente riesce ad accettare la perdita di un affetto tanto importante, e a ricostruire il rapporto con un figlio che credeva di poter più capire.

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Avventura Film Horror Thriller Tri West

MaXXXine – Dobbiamo continuare?

MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine diretta da Ti West con protagonista Mia Goth, qui anche nel ruolo di produttrice.

A fronte di un budget simile ai precedenti – 1 milione di dollari – è stato un ottimo successo commerciale: 22 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla MaXXXine?

Dici anni dopo X, Maxine è effettivamente una star di Hollywood, ma non come avrebbe desiderato…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere MaXXXine?

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Dipende.

MaXXXine è con ogni probabilità un sequel creato unicamente per via dell’ottimo sodalizio artistico fra il regista e la sua attrice protagonista e, più in generale, del grande successo di pubblico che i film precedenti avevano goduto.

E, proprio per questo, è un film senza particolare mordente, che manca quasi del tutto della struttura tematica caratteristica dei precedenti capitoli, non volendo essere niente di più che la conclusione della storia di Maxine.

Ma, nel complesso, può essere apprezzabile

Gabbia

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Maxine si è intrappolata da sola.

Rimanendo del tutto sorda agli avvertimenti dieci anni prima di Pearl, la protagonista si è gettata inconsapevolmente nel mondo del cinema per adulti, finendo per esserne definita e, apparentemente, precludendosi ogni possibile strada per il vero successo.

E la sua persona ne risulta talmente svalutata che, persino davanti ad un provino effettivamente meritevole come quello che si vede all’inizio del film, l’unico interesse della produzione è valutare la grandezza del suo seno.

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Generalmente parlando, tutta la pellicola racconta Maxine come un personaggio senza futuro, definito da un passato che cerca in tutti i modi di allontanare da sé, scegliendo di rimanere consapevolmente sola, unicamente focalizzata sul raggiungimento del proprio obbiettivo…

…e nient’altro.

Minaccia

Maxine è costantemente minacciata…

…ma riesce a fuggire inconsapevolmente il pericolo.

La storia del Night Stalker rimane infatti sostanzialmente sullo sfondo, con la protagonista che ascolta solo distrattamente le notizie alla TV, incosciente riguardo alla minaccia in agguato, di cui ancora non sa di essere il principale obbiettivo.

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Infatti, il suo evitare la scena mondana e il pericolo che la stessa cela, non è dettato dalla prudenza, ma piuttosto da uno stacanovismo piuttosto peculiare in cui Maxine sente di dover dare il massimo per raggiungere il successo.

E così davanti a lei sfilano le future vittime del padre, che vengono giustiziate una ad una, diventando inconsapevoli esche per Maxine stessa, che invece rimane fuggevole e inafferrabile…

Solidarietà

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Uno dei timidi tentativi del film di approfondire la sua protagonista si rivela non del tutto riuscito.

Ti West vorrebbe riscrivere positivamente Maxine, facendola partire da uno stato di totale egocentrismo – in cui il suo unico interesse è il raggiungimento del sogno – e facendole abbracciare invece un senso di giustizia e solidarietà umana sul finale.

Mia Goth in una scena di MaXXXine (2024) è il terzo capitolo della saga di Maxine

Un’amara presa di consapevolezza della verità delle parole di Pearl, e una presa di coscienza dell’angoscioso presente, molto più complesso di quanto aveva immaginato, che la porta infine ad affrontare i fantasmi del suo passato, anzi ad arricchirsi tramite gli stessi.

E anche qui…

Sogno

Maxine realizza il suo sogno?

MaXXXine vorrebbe in qualche maniera ricalcare il finale di Pearl, ma riportandolo molto più con i piedi per terra: la protagonista si rende conto del regalo che le sta facendo il padre, rendendola una figura drammatica e orrorifica dentro e fuori dal grande schermo.

E allora la sua mente viaggia verso un futuro luminoso, in cui viene incondizionatamente celebrata, tanto da arrivare alla produzione di un film biografico sulla sua interessantissima vita, raggiungendo finalmente quello status di star tanto ricercato.

Ma nella realtà si torna nella penombra della roulotte, in cui Maxine ripete a se stessa di essere una star, ma questa volta consapevole della fumosità della sua recente popolarità, che le porterà solo un’attenzione passeggera, rimanendo sempre sul pericoloso precipizio dell’oblio.

Un tema estremamente attuale, ma decisamente meno pungente rispetto ai due capitoli precedenti…

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90s A classic horror experience Avventura Film Horror

The Blair Witch Project – Un film nel tempo

The Blair Witch Project (1999) di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez è un cult dell’horror, considerato uno spartiacque per il genere.

A fronte di un budget minuscolo – 60 mila dollari, circa 113 mila oggi – è stato un successo commerciale senza precedenti: 248 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla The Blair Witch Project?

Un gruppo di cinque ragazzi si avventura nella foresta di Blair e scompare senza lasciare traccia. Tre anni dopo, assistiamo alla registrazione che ci rivela un’oscura verità…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Blair Witch Project?

Dipende.

Per quanto mi riguarda è difficile giudicare questo prodotto al di fuori del contesto in cui uscì: molto del suo fascino servirà dalla campagna marketing che fece credere al pubblico che si trattasse di una storia e la poca conoscenza della tecnica foundfootage al grande pubblico.

Tuttavia, a tanti anni di distanza, dopo anche la rinascita del genere con Paranormal activity, potrebbe non fare lo stesso effetto, nonostante in senso generale sia un discreto film di intrattenimento.

Insomma, a voi la scelta.

Aspettativa

The Blair Witch Project si basa su due fattori.

L’aspettativa e la mancanza.

Una tecnica semplice quanto funzionale – già sperimentata, fra gli altri, in Non aprite quella porta (1974) è di creare un certo tipo di attesa nel pubblico, che conosce già la conclusione della storia, ma non i dettagli del suo svolgimento.

In questo modo, assistendo alla iniziale ingenuità dei personaggi, al loro progressivo immergersi in un orrore incomprensibile e sconosciuto, il film riesce a toccare le giuste corde per creare una tensione facilmente coinvolgente.

Ma non è tutto.

Mancanza

The Blair Witch Project è, forse neanche del tutto consapevolmente, un film molto furbo.

Potendo contare su budget minuscolo, non si può permettere di mettere in scena sostanzialmente nulla degli orrori che racconta, ma riesce comunque a tenere sulle spine lo spettatore grazie ad un astuto uso della mancanza.

Sostanzialmente, meno il film ci fa vedere, più noi vogliamo vedere, e ci intrappola sostanzialmente in questa sorta di circolo vizioso in cui non possiamo fare a meno di stare attaccati allo schermo proprio in attesa di una rivelazione visiva…

…che, paradossalmente, non arriverà mai davvero.

Credibilità

Per quanto sulla carta fosse un progetto vincente, vi è un aspetto su cui non poteva sbagliare.

La credibilità.

Per riuscire a soddisfare le aspettative di un pubblico che in parte credeva onestamente di star vedendo una storia vera, era necessario che le immagini mostrate fossero assolutamente credibili e, così, coinvolgenti.

E da questo punto di vista non posso che promuovere la pellicola.

L’utilizzo della camera a mano è ben pensato, riuscendo tutto sommato anche a rendere credibile il fatto che non venga mai spenta, e così anche la costruzione della tensione fra il gruppo che li porta a dividersi internamente fra isteria e orrore.

Plauso anche agli attori protagonisti, che sono veramente riusciti a risultare verosimili nel mostrare la loro alternanza si emozioni: dalla totale inconsapevolezza, alla confusione, alla terrificante claustrofobia, del sentirsi intrappolati contro ogni logica, braccati da un nemico incomprensibile…