Categorie
2022 Avventura Azione Comico Commedia nera Drammatico Film Giallo Horror Humor Nero Scream - Il secondo rilancio Scream Saga Thriller

Scream 5 – Just another requel

Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett rappresenta il secondo e più recente rilancio della saga omonima, presa in mano da due giovani registi emergenti, dopo la triste dipartita di Wes Craven.

Una riproposizione del brand che, nonostante poche e contenute sbavature, riesce a riportare in scena un cult ormai nato quasi 30 anni fa e che è sempre riuscito a riproporsi e ad adattarsi ai nuovi tempi.

E con Scream 5 lo fa quasi con la stessa freschezza di Scream 4 (2011).

Tuttavia, in questo caso fu anche un successo commerciale: con un budget molto più contenuto del precedente (21 milioni contro 40 milioni di dollari) e con un incasso anch’esso contenuto, tuttavia portando complessivamente ad un film molto redditizio: 140 milioni dollari in tutto il mondo.

E infatti è già pronto il sequel, Scream 6 (2023).

Di cosa parla Scream 5?

Dopo 30 anni dall’inizio della scia di sangue di Woodsboro, la saga ricomincia nella stessa città, con questa volta due nuove protagoniste, Tara e Sam, perseguitate dal loro passato legato agli eventi del primo film…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream 5?

Jenna Ortega in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Per quanto mi riguarda, assolutamente sì.

Scream 5 è un fresco e piacevole rilancio della saga, riuscendo ad adeguarsi ai nuovi gusti, ma mantenendo gli schemi classici dell’horror slasher e della saga in generale. La grande novità della pellicola è che, a differenza degli altri film, dove di solito si instaurava un dialogo metanarrativo con il film stesso, in questo caso il dialogo è con lo spettatore.

Una bella scelta che riesce a rinnovare la colonna portante della saga.

Inoltre gli elementi degli scorsi film sono utilizzati con maggiore consapevolezza e capacità, in maniera pure superiore a Scream 4, che comunque io avevo apprezzato, ma che forse come punto debole aveva proprio il rimettere troppo in scena i vecchi personaggi.

Qui è tutto perfettamente equilibrato.

Un nuovo horror

Jenna Ortega in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Ask me about Hereditary! Ask me about It follows!

Chiedimi di Hereditary! Chiedimi di It follows!

Il primo passo che il film doveva fare era riuscire a rimettersi in contatto con il nuovo pubblico e il nuovo gusto in fatto di horror. Non essendo fan dell’horror mainstream contemporaneo e quindi conoscendone poco, avevo paura di rimanere spaesata.

E invece il film ha voluto sorprendermi.

Quando a Tara nella prima scena viene chiesto quale sia il suo film horror preferito, lei risponde molto candidamente Babadook (2014), elogiando anche la profondità del racconto e della trama. E così dopo continua citando altro horror autoriale come The Witch (2015), Hereditary (2018) e It follows (2014).

Così si racconta un panorama del cinema horror davvero mutato, dove i film autoriali non sono più così tanto di nicchia, ma riescono anzi ad incontrare il gusto di un pubblico più ampio, e in generale ad essere elogiati, come viene fatto anche nel film.

Una scelta davvero azzeccata.

Dialogare col pubblico

Jack Quaid in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Real Stab movies are meta slasher whodunits, full stop

Un vero film di Stab è uno slasher metanarrativo di stampo giallo, fine.

Come anticipato, la grande novità del film è il dialogo fra il film e il pubblico.

Il punto centrale del film è come gli stessi registi fossero consapevoli che ci sarebbero state molte critiche nei confronti della loro pellicola da parte dei nostalgici, che avrebbero voluto rivedere una riproposizione della trilogia originale.

E infatti questa è la tendenza generale di molte riproposizioni di cult (horror e non), fra cui l’esempio più evidente è sicuramente Halloween, che utilizza ancora schemi narrativi dei primi slasher, gli stessi che Scream derideva negli Anni Novanta.

E gli stessi killer infatti sono dei fan incalliti di Stab, che vogliono creare una storia vera da utilizzare per un sequel degno di questo nome.

Anche se in certi momenti risulta eccessivo da questo punto di vista, è davvero interessante includere nel film un discorso così vero e attuale, anticipando appunto le stesse critiche del film, anche a fronte dell’insuccesso di Scream 4, che era molto innovativo rispetto all’originale.

La regola del prevedibile

Ghostface in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Uno dei punti forti del primo Scream era la sua prevedibilità.

Davanti ad un pubblico abituato all’idea che il killer non è mai la persona più prevedibile, Scream scelse come uno dei killer proprio la persona più prevedibile. In Scream 5 praticamente dall’inizio sentiamo la soluzione del mistero dalla bocca di Dwight:

Never trust love interest

Mai fidarsi del proprio fidanzato

e infatti uno dei killer è Richie, il ragazzo di Sam, come fra l’altro le sottolinea proprio nel momento della sua rivelazione. Fra l’altro scelta eccellente castare un attore come Jack Quaid, conosciuto in questo periodo soprattutto per il suo remissivo personaggio di Hughie in The Boys.

E sempre Dwight aggiunge:

The first victim always has a friend group that the killer is a part of

La prima vittima ha sempre un gruppo di amici di cui il killer fa parte

E infatti l’altro killer è Amber, che sembra anche il personaggio che, paradossalmente, più si preoccupa della salute di Tara.

Inserire l’originale con il nuovo

Melissa Barrera in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Come detto, Scream 5 riesce in maniera pure migliore di Scream 4 ad aggiornare effettivamente le protagoniste del film, che sono davvero al centro della scena e della storia.

Mi è piaciuta particolarmente Tara: Jenna Ortega, non comunque alla sua prima esperienza e pronta ad esplodere con la prossima serie tv Wednesday, è riuscita a portare in scena in maniera davvero convincente tutto il dolore fisico e reale del suo personaggio.

Mi ha leggermente meno convinto il personaggio di Sam, che viaggia pericolosamente sul filo del trash: il fatto che veda il padre Billy Loomis che la incita a fare quello che fa nel finale, dove sfoga la sua furia omicida, è un elemento che potrebbe facilmente sfuggire di mano, sopratutto in un sequel.

Ben organico invece l’inserimento di Sidney e Gale, che sono solo delle spalle dei protagonisti che riescono ad arricchire il racconto e ad aiutare i personaggi a risolvere il mistero con la loro esperienza passata, ma senza mai rubare la scena alle protagoniste.

Ed era ora di passare la fiaccola.

Una nuova regia

Marley Shelton in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

La regia di Scream 5 mi ha piacevolmente sorpreso.

Uno degli elementi più piacevoli della saga è sempre stata la regia molto ispirata e con non pochi guizzi, fin da Scream (1996). E uno degli elementi più importanti da gestire sono sempre state le morti e la violenza, riuscendo sempre a renderle spettacolari e quasi artistiche.

Altrettanto bene riesce questa coppia di autori a portare una regia interessante e con non pochi momenti di rara eleganza. Anzitutto, l’uso del sangue, che ho trovato veramente magistrale, andando non poche volte a creare quasi dei quadri grotteschi e drammaticamente splendidi da osservare.

Ma la sequenza che mi ha davvero colpito è stata quella riguardante la morte di Judy e del figlio Wes. La genialità nasce quando al telefono Ghostface dice alla donna

Ever seen the movie Psycho?

Hai mai visto Psycho?

e poi si stacca con un’inquadratura eloquente sulla doccia che si sta facendo Wes, che è una delle inquadrature iconiche della famosa scena della doccia di Psycho (1960), appunto. Fra l’altro, come viene anche raccontato in Scream 4, il capolavoro di Hitchcock è considerato fra i capostipiti del genere slasher.

E si prosegue con una lunghissima sequenza in cui la camera gioca continuamente con lo spettatore, con Wes che apre e chiude infiniti sportelli dietro ai quali ci aspetteremmo di vedere il killer che sappiamo essere in casa.

Puoi essere più metanarrativo di così?

Ghostface in una scena di Scream 5 (2022) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Stop fucking up my ending

Basta rovinare il mio finale

Nonostante non sia l’elemento principale, la metanarrativa e la consapevolezza dei protagonisti degli schemi del film stesso che stanno vivendo è presente, e pure fatta bene.

L’unica sbavatura che mi sento di segnalare è che tutto questo elemento avrebbe dovuto essere nelle mani di Mindy, la quale da un certo punto in poi prende le redini di questo discorso come erede spirituale di Randy.

E infatti è la stessa che diventa la protagonista della scena più metanarrativa del film: Mindy che grida a Randy in Stab di girarsi che ha il killer alle spalle, mentre lo stesso grida la medesima cosa a Jamie Lee Curtis in Halloween, mentre Mindy stessa ha alle spalle il killer.

Ed è la stessa che anche racconta la questione dei requel, ovvero di remakesequel che effettivamente abbondano in questo periodo e che, in un certo senso è pure Scream 5. E quando siamo alle porte del terzo atto, ovvero quello della rivelazione, Mindy istruisce Amber di cosa non fare per non essere uccisa dal killer, con anche diversi finti colpi di scena sull’identità del killer.

Con la stessa Amber che annuncia l’inizio dell’ultimo atto del film:

Welcome to act three

Benvenuti nel terzo atto
Categorie
Avventura Cinema per ragazzi Comico Commedia Commedia nera Film Giallo Horror Satira Sociale Scream - Il primo rilancio Scream Saga

Scream 4 – Now streaming

Scream 4 (2011) è il quarto capitolo della saga omonima, arrivato a più di dieci anni di distanza da Scream 3, che chiude la trilogia originale.

L’ultimo film del compianto Wes Craven, che ci ha lasciato in eredità un prodotto che non solo era al passo coi tempi, ma che anticipava alcune dinamiche della società stessa.

Questo film ebbe un budget abbastanza sostanzioso (40 milioni), ma non ebbe il grande riscontro che ci si aspettava, con solo 97 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo.

Di cosa parla Scream 4?

A dieci anni dalle vicende di Scream 3, si torna a Woodsboro, con un cast di protagonisti rinnovato, che rappresentano la nuova generazione. Fra queste anche la cugina di Sidney, Jill, che dovrà cercare di riappacificarsi con la famosa parente, mentre la scia di omicidi sembra di nuovo prendere piede…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream 4?

Ghostface in una scena di Scream 4 (2011) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Per quanto mi riguarda, Scream 4 è il miglior film della saga, secondo solamente al primo capitolo.

Riesce con grande freschezza a riportare in scena le dinamiche tipiche fin dal primo film, riuscendo ad aggiornarle al nuovo decennio, con anche delle grandi novità che rompono gli schemi classici.

Un film dove l’elemento horror diventa quasi comico a suo modo, mettendosi in linea con l’horror più violento che andava di moda in quel periodo, ovvero quello della saga di Saw, che al tempo ancora furoreggiava (e che infatti è pure citata nel film). Ma senza mai scadere nel torture porn.

Insomma, da recuperare assolutamente.

Questo inizio ha troppi livelli

Lucy Hale in una scena di Scream 4 (2011) di Wes Craven

You gotta have an opening sequence that blows the door off

La sequenza iniziale deve essere qualcosa di incredibile

L’inizio di Scream 4 credo che sia una delle cose più geniali mai concepite nel cinema horror.

Si comincia con un inizio che sembra l’effettivo inizio del film, in cui fra l’altro la pellicola si mette in linea con tutte le novità sia del genere, sia della società di dieci anni dopo: Facebook, i cellulari, le nuove saghe di successo come Saw.

Ed è la classica sequenza iniziale in cui le due ragazze in casa da sole sono le prime vittime di Ghostface (o di qualsiasi altro killer in uno slasher).

Tuttavia, il film ci catapulta in un altro inizio, che sembra ancora quello vero, con una coppia di ragazze che stava vedendo Stab 6, andando poi a screditarne la validità, perché banale e ripetitivo. Ma una delle due difende la saga per essere diversa dal solito che esce, e a sorpresa accoltella l’amica perché parla troppo.

E questo è l’inizio di Stab 7.

E poi si arriva all’effetto inizio del film che è di fatto quello che sembrava l’inizio all’inizio, in un meraviglioso cortocircuito mentale che ho semplicemente adorato.

Essere drammaticamente attuali

Ghostface in una scena di Scream 4 (2011) di Wes Craven

The killer should be filming the murders

Il killer dovrebbe filmare i suoi omicidi

La grande novità di questa pellicola è l’idea che il killer ora sia sostanzialmente un vlogger, quando questa era ancora una realtà emergente nella nascente cultura di internet e dei social.

Oltre ad essere un elemento di grande freschezza, che raggiunge un interessante apice nel finale, è una questione drammaticamente attuale anche oggi: senza andare a scavare troppo nel torbido, sappiate solo che, in tempi recenti, dei terroristi hanno fatto cose simili.

Ma più in generale, quello che al tempo sembrava una cosa strana o comunque molto nuova, è diventata quasi la quotidianità nel nostro tempo, anche prendendo strade diverse, con vlogger che spopolano su TikTok.

In questo senso, da capogiro lo scambio fra Sidney e Robbie:

– You film your entire high school experience and what, post it on the net?
– Everybody’ll doing it someday, Sid.

Registri la tua intera vita del liceo e poi che fai, lo posti su internet? – Tutti lo faranno in futuro, Sid.

Vecchi moventi, nuovi moventi

Emma Roberts in una scena di Scream 4 (2011) di Wes Craven

You have your 15 minutes, now I want mine!

Hai avuto il tuo momento di gloria, ora è il mio turno!

La genialità del finale sta nel fatto di riprendere un movente simile del primo Scream, ma al contempo riuscendo a renderlo molto più attuale per il suo tempo. Nel primo film la vera radice del movente era la vendetta personale, in questo caso è l’invidia e il desiderio di essere al centro della scena.

Un sentimento tanto più comprensibile oggi, quando la popolarità sembra sempre dietro l’angolo e a portata di mano, tanto è semplice prendere in mano un cellulare e diventare, anche solo per poco tempo, famosi sui social.

In questo caso eravamo ancora all’inizio di questa ubriacatura di popolarità, ma non di meno questo sentimento esisteva.

Come infatti dice la stessa Jill:

We all live in public now, we’re all on the internet

Siamo tutti esposti oggi, siamo tutti su internet

Saper funzionare, 10 anni dopo

Una scena di Stab in una scena di Scream 4 (2011) di Wes Craven

You forgot the first rule of remakes, Jill. Don’t fuck with the original.

Hai dimenticato la regola più importante dei remake, Jill. Non puoi fottere l’originale

Un elemento che mi ha sempre dato da pensare di Scream è il personaggio di Sidney e in generale la volontà di creare una storia tutta in continuità, con il rischio di fare gli stessi errori della saga di Saw, che è andata inutilmente ad incartarsi. E, anche per questo, avevo paura di trovarmi davanti ad una trama ripetitiva.

Ovviamente, non potevo più sbagliarmi.

Sidney è un personaggio che funziona sempre, proprio perché è un personaggio femminile che funziona e che non ricade nella dinamica da Mary Sue. È una giovane donna con tante fragilità, ma che sa sempre rimettersi in piedi, affermare la sua posizione e lottare senza mai arrendersi contro Ghostface.

E in una maniera sempre credibile.

La violenza comica

The kills gotta be way more extreme

Le uccisioni devono essere molto più estreme

Le morti nel film sono tanto estreme da diventare quasi comiche per la loro originalità: abbiamo i poliziotti uccisi con un coltello piantato nel cervello, una ragazza con le budella fuori, tantissimo sangue, fino ad arrivare alla mia preferita:

La madre di Jill uccisa alle spalle col coltello che passa attraverso la buca delle lettere.

Ed è proprio una risposta ad un tipo di cinema e di violenta orrorifica inaugurata proprio da Saw, che fra l’altro non sono mai riuscita ad apprezzare. E infatti non potrei più essere d’accordo con quello che si dice all’inizio del film:

It’s not scary, it’s gross. I hate all that torture porn shit.

Non fa paura, è imbarazzante. Odio tutto quella merda di torture porn.

Il casting pazzesco di Scream 4

Una delle cose che più mi hanno sorpreso è quanto siano riusciti a castare praticamente tutti gli attori più famosi e popolari delle serie tv e film mainstream dall’inizio degli Anni 2000 fino circa a metà del decennio successivo.

Anzitutto Lucy Hale, che interpreta una delle due ragazze di Stab 6, e che era appena sbocciata come star per Pretty Little Liars. Poi Kristen Bell, la voce di Gossip Girl fino al 2011 e che interpreta una delle due ragazze in Stab 7.

Fra le protagoniste, Hayden Panettiere, che interpreta Kirby, che io ricordo soprattutto per Malcolm in the middle, ma che al tempo era molto conosciuta per la serie Heroes. E poi ovviamente Emma Roberts, che bivacchiava fra molti prodotti teen di secondo livello come Wild Child (2008).

Nota di merito anche alla presenza di Adam Brody, attore amatissimo al tempo per O.C. e che qui interpreta uno dei poliziotti, oltre a Rory Culkin, fratello del ben più famoso Macaulay Culkin, che qui interpreta Charlie, uno dei due Ghostface.

Categorie
Avventura Azione Commedia nera Drammatico Film Horror Humor Nero Scream Saga Scream Trilogia Originale Thriller

Scream 3 – Una rara conclusione

Scream 3 (2000) di Wes Craven è il terzo capitolo della saga omonima, che chiude quella che potremmo chiamare la trilogia originale, che venne poi ripresa nel 2011 con Scream 4 e poi ancora nel 2022 con Scream 5.

Il capitolo che, insieme al successivo, ebbe il maggiore budget della saga: ben 40 milioni, ben ricompensato da un incasso complessivo di 161 milioni di dollari.

Di cosa parla Scream 3?

Dopo gli avvenimenti del precedente film, Sidney vive in una vita appartata, nascosta da tutti, per paura di essere di nuovo presa di mira da Ghostface. Tuttavia l’incubo non è finito, con anche la scoperta del passato misterioso della madre…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

https://www.youtube.com/watch?v=tyABaaJCRRs&ab_channel=GhostfaceItalia

Vale la pena di vedere Scream 3?

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Per quanto mi riguarda, il terzo capitolo di Scream è anche più interessante del precedente, con una costruzione più mirata e pensata, che è riuscita ad evitare un importante scivolone nel trash, pur esplorando il topos piuttosto tipico di scoperta del passato oscuro dei personaggi, che invece ha una risoluzione semplice ma efficace.

Un film che gioca veramente tanto con lo spettatore e con le sue aspettative, creando un fantastico dialogo metanarrativo fra i personaggi in scena e il film stesso, con un buon esempio di chiusura di una trilogia con poche sbavature.

Insomma, se vi è piaciuto Scream finora, non ve lo potete perdere.

Dialogare con il film

Liev Schreiber in scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Il tratto metanarrativo di Scream 3 si arricchisce con un elemento nuovo: i personaggi che sembrano dialogare con i creatori stessi del film, tanto più quando sono i personaggi di Stab 3, con un cortocircuito mentale di grande eleganza e genialità.

Si comincia subito con la battuta di Cotton

Why can’t these guys write me a fucking decent part?

Perché non sono capaci di scrivermi una parte decente?

facendo riferimento narrativamente a Stab 3, ma in realtà metanarrativamente proprio al suo ruolo in Scream 2 quanto nel terzo capitolo: nel film precedente era alla stregua del comico-grottesco, mentre in questo capitolo è una delle prime vittime.

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Così Sarah, che nel film interpreta Candy, la classica vittima dei film horror di serie b, e che infatti dice:

I’m Candy, the chick the gets killed second

Sono Candy, la sgallettata che viene uccisa per seconda

e infatti è la seconda vittima. Così anche il Detective Kincaid, che fa riferimento a come i killer di solito diano la caccia ai poliziotti che indagano sui loro casi.

Usually one cop makes it

Di solito uno dei poliziotti sopravvive

dice quasi un po’ con speranza. E nel finale rischia non poco di non essere così fortunato.

Il pericolo del trash

Jamie Kennedy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

The past will come back to bite you in the ass

Il passato si ritorcerà contro di te

Un grande pericolo che ho percepito, soprattutto nella sequenza della cassetta di Randy, era il rischio che volessero strafare, e quindi di ricadere nel trash più putrido. Secondo le sue stesse parole, il terzo film di una saga horror è raro che venga prodotto.

Ma, quando succede, è un film con i fuochi d’artificio.

In particolare l’elemento più pericoloso era l’idea di indagare il passato della madre di Sidney, che poteva scadere nelle più terrificanti dinamiche da soap opera. Invece si è scelto di raccontare una backstory abbastanza semplice e credibile, in cui semplicemente la madre era un’aspirante attrice divenuta vittima delle ben note dinamiche di sfruttamento sessuale di Hollywood.

Il topos del killer imbattibile

Ghostface in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

You’ve got a killer who’s gonna be superhuman

Il killer è come un super umano

È tremendamente attuale il racconto che Scream 3 fa del topos del killer imbattibile: basti solo pensare che la questione è diventata quasi un meme per il personaggio di Michael Myers nella nuova trilogia di Halloween, dove torna sempre in vita, nella maniera più ridicola e incredibile che potete immaginare.

E senza voler essere divertenti.

In questo caso effettivamente il killer sembra effettivamente imbattibile, ma c’è una giusta ragione: si è attrezzato con una tuta antiproiettile. Tuttavia, una volta scoperto, basta semplicemente sparargli alla testa per riuscire effettivamente a batterlo.

Anche se comunque, in maniera ovviamente comica, Ghostface torna in vita.

Il buon finale per Sidney

Anyone, including the main character, can die

Chiunque, compreso il personaggio principale, può morire

Per mettere un po’ di pepe alla narrazione, all’interno del film si nomina la possibilità che la protagonista, la scream queen, possa effettivamente rischiare la vita e perdere del tutto la plot-armor che la definisce.

Ed infatti sembra che Sidney rischi più volte la vita, e, ad un certo punto, sembra davvero morta, ma utilizza lo stesso trucco del killer: si è protetta con la tuta antiproiettile ed effettivamente scompare dopo che è sembrato essere morta, cogliendo contropiede il killer stesso.

Una scelta che ho trovato veramente geniale.

Categorie
Avventura David Cronenberg Fantascienza Film Futuristico Horror Recult Satira Sociale Thriller

Videodrome – Un sogno complottista

Videodrome (1983) è un film di David Cronenberg, fra i più famosi della sua produzione. A soli due anni dal precedente Scanners (1981), il regista portava in scena un altro film destinato a diventare un piccolo cult di genere, per il suo incontro vincente fra lo sci-fi e il body-horror.

Una produzione con un budget sempre risicatissimo (intorno ai 5 milioni), che però, a differenza del precedente, fu un pesante flop commerciale: appena 2,4 milioni di dollari d’incasso.

E i motivi non sono difficili da capire.

Di cosa parla Videodrome?

Max è a capo di Channel 83, un canale di porno e soft-porn. La sua vita sembra procedere normalmente, andando alla ricerca di programmi ancora più spinti da proporre, fra cui il misterioso Videodrome…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Videodrome?

Una scena da Videodrome (1983) di David Cronenberg

In generale, sì.

È un film che indubbiamente non può mancare nel vostro bagaglio cinematografico, soprattutto se siete interessati alla cinematografia di Cronenberg.

Tuttavia, aspettatevi di trovarvi davanti ad un prodotto con un intreccio e dei significati ben più complessi di Scanners e molto meno immediatamente comprensibile, con tante scene enigmatiche e dal sapore surreale.

È giusto segnalare che all’interno della pellicola le scene più disturbarti non sono tanto quelle di sesso, ma quelle di tortura. Niente di troppo esplicito, ma comunque neanche digeribile da tutti.

Ma voi provateci.

E se avete dubbi sul finale, potete sempre tornare qui.

Perché Videodrome è stato un flop?

All’interno di una produzione di Cronenberg ancora con budget molto ridotti, è davvero curioso che questo film ebbe un riscontro così scarso, tanto da portarlo ad un flop.

Tuttavia, una volta visto il film, non è neanche tanto strano.

Oltre alle scene di violenza non facilmente digeribili, ci sono molte sequenze di body horror non poco disturbanti, e che sembrano tutto tranne che finte. E, come se tutto questo non bastasse, il finale è incredibilmente enigmatico.

Il tutto da un autore già conosciuto per far dei film molto sui generis, e quindi non per tutti i palati.

E, per questo, il passaparola negativo potrebbe davvero averlo affossato.

Il potere del trucco prostetico

Una scena da Videodrome (1983) di David Cronenberg

Il livello degli effetti speciali di questa pellicola, che, ricordiamo è stata prodotta con pochissimo, è devastante: in tutte le scene in cui sono utilizzati, soprattutto in quelli più surreali, non ho mai avuto un momento in cui non credevo a quello che vedevo in scena.

Sembra tutto così realistico e credibile, anche in scelte più impegnative come quelle in cui Max si apre il petto e diverse volte viene penetrato, da mani e da videocassette, momenti in cui ho sentito veramente tutto il dolore del personaggio.

Per non parlare degli effetti della mano-pistola.

Tuttavia, proprio riguardo a questo, l’unico momento in cui ho fatto fatica a sospendere l’incredulità è stato quando gli si forma effettivamente la mano-pistola, dove si vede abbastanza chiaramente che (come è ovvio) non è la sua vera mano e che poi nella scena successiva, è effettivamente la mano vera:

Una scena da Videodrome (1983) di David Cronenberg

L’inquadratura della mano che si trasforma

Una scena da Videodrome (1983) di David Cronenberg

L’inquadratura della mano trasformata

Un ottimo protagonista

Come ero rimasta perplessa dalla recitazione e in generale dal personaggio protagonista di Scanners, sono rimasta invece piacevolmente sorpresa da James Woods in questa pellicola.

Questo attore, oltre ad avere la faccia proprio da uomo comune assolutamente credibile, riesce a reggere perfettamente la scena in tutti i momenti diversi che deve affrontare il suo personaggio, con un’ottima capacità espressiva che mi ha davvero conquistato.

Cosa succede nel finale di Videodrome?

Il finale di Videodrome è assolutamente aperto alle interpretazioni.

Quella che preferisco è pensare che Nicki in realtà non sia mai esistita, ma sia sempre stata un’allucinazione di Max (almeno per la loro relazione), che racconta il suo lato più estremo, che il protagonista cerca di sfuggire.

Alla fine, Nicki diventa nient’altro che una sorta di sua voce della coscienza: Max si trova senza poter più fare niente, ricercato per omicidi che compiuto per ordine di altri. Quindi vuole definitivamente liberarsi della vecchia carne ed entrare in questo immaginario (?) televisivo che rappresenta la sua più estrema fantasia sessuale.

E lo confermerebbe il primo epilogo, poi tolto dalla versione finale, dove Max e Nicki si trovavano nel Videodrome.

Categorie
Avventura Drammatico Film Horror Humor Nero Scream Saga Scream Trilogia Originale

Scream 2 – I sequel fanno schifo?

Scream 2 (1997) di Wes Craven è il sequel dell’omonimo prodotto uscito l’anno precedente: a fronte del grande successo commerciale della prima pellicola, non poteva che esserci un secondo film.

Per il secondo film il budget fu in proporzione molto aumentato (da 15 a 24 milioni), con quantomeno una conferma del successo, nonostante l’incasso leggermente inferiore di 172 milioni di dollari (il primo ne aveva incassati 183).

Di cosa parla Scream 2?

Qualche anno dopo le vicende del primo film, Sidney è al collage e cerca di condurre una vita normale. Ovviamente questo non è possibile, perché l’incubo che ha vissuto sembra concretizzarsi nuovamente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream 2?

Assolutamente sì.

Per quanto possiate odiare i sequel, non fermatevi al primo film: Scream 2 è un prodotto con una grande dignità, che conferma la genialità della metanarrativa del primo film, arrivando a prendersi in giro in maniera decisamente brillante.

L’unico avvertimento, e che mi ha leggermente deluso, è il fatto che l’elemento metanarrativo è più forte, ma molto meno presente rispetto alla prima pellicola, risultando complessivamente un prodotto più dispersivo, complice anche la durata maggiore.

Comunque, vale assolutamente la pena di recuperarlo.

I sequel fanno schifo?

Stab 2? Who wanna do it? Sequels suck

Stab 2? Ma chi lo vuole. I sequel fanno schifo.

Il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio, come d’altronde l’argomento all’interno della pellicola. Un’intera sequenza è dedicata a questo tema, in cui si condanna esplicitamente i sequel degli horror, che hanno rovinato il genere

The entire horror genre was destroyed by sequels

L’intero genere horror è stato distrutto dai sequel

La forza di Scream 2 è la sua capacità di voler essere alternativo ai topos che definisco i sequel del genere, come spiega Randy:

The body count is always bigger […] The death scenes are always much more elaborate.

Il numero dei morti è sempre maggiore […] Le scene di morte sono più elaborate

Infatti, sicuramente possiamo dire che il conto delle morti è decisamente maggiore, e per certi versi anche giustificato: il killer in questo caso non aveva specificatamente in mente di uccidere Sidney, ma di costruire un caso e un grande scandalo. D’altronde, come spiega molto bene

It’s a classic case of life imitating art imitating life

È un classico caso della vita vera che imita l’arte che imita la vita vera

La genialità di Stab

Tutta la sequenza iniziale è, oltre che divertentissima, assolutamente geniale.

Anzitutto perché il titolo così stupido (come sottolineato dagli stessi personaggi) del film nel film, ironizza in realtà anche col titolo del franchise stesso.

Insomma, Stab è un titolo tanto più stupido di Scream?

Ma è un elemento intrinseco della narrazione, che vuole parodiare, senza mai cadere nel ridicolo, tutto il filone horror. E anche in questo caso ci riesce perfettamente, particolarmente nelle scene di Stab che sono le versioni cheap del primo film.

I personaggi afroamericani sono dei token?

Un elemento altrettanto interessante della prima sequenza del film è il discorso riguardo alla poca presenza di attori afroamericani all’interno del genere horror.

E in questo senso il film fa una scelta molto intelligente.

Oltre a dedicare una delle parti più importanti e significative della pellicola proprio a degli attori neri, la pellicola ha cercato di includerne il più possibile nel cast dove c’era spazio, azzoppato dal fatto di dover recuperare i personaggi del film precedente, che erano tutti inevitabilmente bianchi.

Tuttavia, lodevole il tentativo di includere personaggi secondari interpretati da attori afroamericani con significato e un ruolo preciso nella pellicola, non stereotipati e soprattutto non le prime vittime della situazione. Anzi, il cameraman si defila dalla situazione proprio per non diventare una vittima.

Si potrebbe discutere all’infinito se questi personaggi non fossero altro che dei token, ma per il tempo in cui è uscita la pellicola è stato un passo avanti interessante e lodevole.

Costruire un finale efficace

Serial killer are typically white males

I serial killer di solito sono uomini bianchi

Uno dei punti più alti del primo film era il finale, in cui si parlava ancora più metanarrativamente dei finali dei film horror. E in questo caso il film ha deciso di puntare ancora più in alto.

Anzitutto sono riusciti a portare sempre una coppia di killer con motivazioni diverse, ma che coprono tutte le necessità del film. Abbiamo da una parte un personaggio esageratissimo che racchiude al suo interno tutte le già citate necessità di raccontare un sequel.

Dall’altra abbiamo un killer ancora con motivazioni molto terrene come nella prima pellicola, fra l’altro andando a portare una serial killer donna, cosa che, per ammissione dello stesso film, è molto raro.

E, nonostante sia stata una sequenza estremamente e volutamente violenta, la scelta dei protagonisti che sparano gli ultimi colpi di pistola (dovuti e precauzionali) sui loro corpi, con tanto di Mickey che riprende improvvisamente vita come da buon cliché di un qualsiasi horror.

Categorie
Avventura Azione David Cronenberg Fantascienza Film Horror

Scanners – Basta poco

Scanners (1981) è uno dei più importanti film di David Cronenberg, che rappresenta l’esempio tipico della sua filmografia, con un incontro l’horror e lo sci-fi classico.

Un film fatto con poco, praticamente nulla, ma che da quel poco riesce a trarre un prodotto validissimo.

Il budget si aggira infatti intorno ai 3,5 milioni di dollari (circa 11 milioni oggi), e ne incassò 14,2 milioni. Un buon successo tutto sommato, che portò infatti alla creazione di un franchise a dieci anni di distanza, senza però il coinvolgimento di Cronenberg.

E ci sono ottime ragioni sul perché non avrebbero dovuto farlo.

Di cosa parla Scanners?

Nel 1981, nella società esistono diverse persone con capacità telepatiche, potenzialmente mortali. Il gruppo ha un capo Darryl Revok, che vuole distruggere la società che l’ha creato e contro cui si oppone Cameron Vale, un uomo inconsapevole dei suoi poteri e delle sue origini…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Scanners?

Michael Ironside in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

In generale, sì.

Forse non il miglior prodotto del regista, ma quello in cui è riuscito tanto di più a lavorare con quello che aveva, mostrando una regia molto indovinata, effetti speciali tutto sommato di ottima fattura e una storia complessivamente molto intrigante.

Aiuta anche una durata molto contenuta, che lo rende un prodotto facilmente digeribile, nonostante appaia decisamente più interessante nella prima parte, mentre sul finale diventa leggermente più lento e meno interessante.

Comunque un piccolo cult di Cronenberg da recuperare.

Il potere della regia…

Stephen Lack in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

Come detto, Scanners è un prodotto un low-budget, paragonabile ai più recenti The Lighthouse (2021) e X – A sexy horror story (2022), che ci dimostrano proprio come anche con pochissimo si possono fare prodotti di alta qualità. In questo caso basta del trucco prostetico e degli effetti da discount, che a volte sembrano quasi ridicoli, per portare in scena sequenze di grande effetto.

Particolarmente iconica è la scena dello scontro finale, in cui i due scanners hanno le vene che si gonfiano e scoppiano, si strappano pezzi di carne, con degli effetti visivi evidentemente di un’altra epoca, ma che sono comunque davvero d’impatto.

Tuttavia, l’altro caposaldo del film dovrebbero essere gli attori…

…e il problema degli attori

Michael Ironside in una scena di Scanners (1981) di David Cronemberg

Nonostante il casting sia molto indovinato (l’eroe e l’antagonista hanno una fisionomia facciale perfetta per i loro ruoli), purtroppo l’unico attore che riesce veramente a sostenere la parte senza sembrare sciatto o ridicolo è Michael Ironside, che interpreta Darryl Revok.

Il suo personaggio è perfetto nel suo essere intrigante e profondamente malvagio.

Non si può dire lo stesso dell’attore protagonista, Stephen Lack, che interpreta Cameron: soprattutto sul finale, ha una recitazione veramente apatica, che non riesce trasmettere l’importanza delle rivelazioni e di quello che sta succedendo in scena. Il tutto aggravato dalla recitazione dell’attrice di Kim, che fra tutti è la peggiore.

E nel momento in cui tutta la credibilità della scena è rimessa nelle mani degli attori, la mancanza di credibilità degli stessi guasta certe scene.

Un eroe positivo?

In prima battuta Cameron sembrerebbe un eroe positivo, del tutto ignaro delle sue capacità, e che il Dottor Ruth sembra voler maneggiare a suo vantaggio. In realtà fin da subito, e poi per tutto il resto del film, si vedono delle ombre non indifferenti sul suo personaggio.

Anzitutto, perché utilizza con convinzione e con pochi scrupoli i suoi poteri, senza farsi veramente problemi. Anzi, a tratti sembra veramente ubriaco di tutto il potere che possiede, riuscendo alla fine a distruggere il nemico, potendo poi annunciare entusiasta, quando si è impossessato del suo corpo

We’ve won

Abbiamo vinto

Perchè i sequel di Scanners non hanno senso

Come anticipato, dal 1991 vennero prodotti due sequel, distribuiti direttamente in videocassetta, e poi due spin-off.

Non ho avuto il (dis)piacere di vedere questi prodotti, ma non ne sento neanche il bisogno, in quanto non sono opera di Cronenberg. E, soprattutto, perché l’idea stessa dei sequel di per sé non ha alcun senso.

Il film già di per sé è basato su un topos narrativo piuttosto semplice e tipico, che acquista valore perché nelle mani di un grande regista, che è stato appunto capace di tirare fuori un buon prodotto con poco. Ma allo stesso tempo il film scricchiola in alcuni punti, e basta davvero poco perché la storia stessa appaia ridicola.

Oltre a questo, il finale perde tutto il suo significato con l’idea di un sequel.

Categorie
Avventura Cinema per ragazzi Commedia nera Cult rivisti oggi Drammatico Film Horror Humor Nero Scream Saga Scream Trilogia Originale Thriller

Scream – E così nasce l’anti-horror

Scream (1996) di Wes Craven è il primo capitolo della saga anti-horror omonima, un cult ancora oggi. E un cult non a caso: nel momento della saturazione del genere horror, Craven decise di portare qualcosa di profondamente diverso.

Una pellicola che non avevo mai recuperato negli anni, ma che ho avuto il piacere di ricoprire, in attesa anche del nuovo capitolo in uscita il prossimo anno, Scream 6 (2023).

Un film fatto con poco (appena 15 milioni), ma che fu immediatamente un successo commerciale, incassando 183 milioni di dollari, il maggior incasso del 1996.

Di cosa parla Scream?

È passato quasi un anno dalla morte della madre di Sidney, che non riesce a superare la sua scomparsa, i cui dettagli sono ancora fumosi. Un serial killer comincia a minacciare la sua vita e la comunità, con degli strani collegamenti con l’omicidio della madre…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream?

Drew Barrymore in una scena di Scream (1996) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Nonostante sia un film di quasi trent’anni fa, Scream è ancora assolutamente godibile. Ovviamente non vi dovete aspettare un horror autoriale alla Nope (2022), ma un prodotto che si inserisce efficacemente nel filone dell’horror commerciale, pur deridendolo.

In particolare, ve lo consiglio se siete particolarmente appassionati all’horror slasher degli Anni Settanta – Ottanta, che la pellicola cita continuamente.

E nella maniera più metanarrativa che possiate immaginare.

Giocare con la metanarratività

Più si prosegue nella narrazione, più le citazioni e i riferimenti agli horror cult si moltiplicano, andando a dialogare direttamente con il film stesso. Il momento più alto è quando Bill dice a Sidney

It’s all…one great big movie

È tutto un grande incredibile film

E da lì è tutto in discesa.

Si sprecano poi i parallelismi con Halloween (1978), in particolare in due momenti: quando, davanti alla scena in cui la protagonista si sta spogliando, il montaggio alternato ci mostra Sidney che fa lo stesso nell’altra stanza. E poi quando Randy urla alla protagonista del film

Jamie, look behind you!

Jamie, dietro di te!

e ha lui stesso il killer alle spalle che lo sta per uccidere. Infine, altrettanto memorabile quando sempre Randy, mentre stanno guardando Bill a terra apparentemente morto, ricorda:

This is the moment when the supposed dead killer come back to life

Questo è il momento in cui il killer che dovrebbe essere morto torna in vita

e infatti Bill torna in vita e Sidney gli spara, chiosando

Not in my movie.

Non nel mio film.

Ci sono anche momenti più gustosamente umoristici, come quando il preside parla con il bidello, che si chiama Fred ed è vestito come Freddy Krueger della saga di horror Nightmare.

Uscire dagli schemi

Matthew Lillard e Skeet Ulrich in una scena di Scream (1996) di Wes Craven

Scream riesce ad essere diverso dal canone non solo a parole, ma anche nei fatti. Anzitutto, portando una violenza al limite dello splatter e del grottesco, che non appare finta, con anche una certa ironia che sdrammatizza molte scene di tensione.

Fra tutte, piuttosto indovinata la scena prima della morte di Tatum, in cui lei crede che il killer sia uno scherzo e gli chiede se vuole che sia la sua vittima. E anche, più in piccolo, quando Sidney è chiusa in macchina e il killer le sventola davanti alla faccia le chiavi che stava cercando per scappare.

Ma soprattutto è originale la scelta di mettere una coppia di killer e soprattutto di non appiattire gli stessi sull’immagine di personaggi pazzi e con un passato tormentato, assegnandogli invece motivazioni più semplici e terrene.

Ma il colpo di genio è stato fare in modo che il sospettato numero uno fosse effettivamente il colpevole, e non un modo per confondere lo spettatore. Spettatore, fra l’altro, ormai abituato a questo tipo di dinamica e che non si sarebbe lasciato facilmente ingannare.

Una regia non scontata

Tutt’oggi l’horror commerciale – sempre con splendide eccezioni – è caratterizzato da produzioni da discount, per cui di solito si mettono alla regia dei semplici mestieranti che portano una messinscena molto mediocre, con spesso anche una sceneggiatura molto scontata.

Al contrario Wes Craven riesce a plasmare la messa in scena con una regia dinamica e interessante, con anche tocchi registici piuttosto peculiari, come il particolare sul riflesso del killer negli occhi del Preside prima di morire.

E in generale è una regia che gioca molto di inquadrature improvvise e con insistenti primi piani stretti.

Categorie
Alex Garland Avventura Drammatico Film Horror Humor Nero Nuove Uscite Film Racconto di formazione Satira Sociale

Men – Il maschile fragile

Men (2022) è l’ultima pellicola di Alex Garland, cineasta noto per pellicole come Ex Machina (2015) e Annientamento (2018).

Ovviamente ha avuto un incasso molto limitato: appena 11 milioni in tutto il mondo, davanti ad un budget finora sconosciuto, ma che dovrebbe aggirarsi fra i 5-10 milioni di dollari.

Di cosa parla Men?

Harper è una giovane donna che, dopo essersi separata tragicamente dal marito, decide di concedersi una meritata vacanza in una piccola tenuta di campagna. La sua vita e la sua permanenza vengono però minacciati dalla presenza opprimente di diversi uomini…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Men?

Rory Kinnear in una scena di Men (2022) di Alex Garland

Men è un film molto complesso, che presenta diversi livelli di lettura e che in un certo modo si perde nell’elemento onirico e fantastico, non sempre spiegabile. Quindi non aspettatevi di trovarvi davanti ad un horror classico e facilmente comprensibile, ma piuttosto ad un prodotto molto più vicino alla cripticità di un The Lighthouse, per esempio.

In generale comunque è un film che vale assolutamente la pena di vedere, per godersi un prodotto che racconta la figura dell’uomo e del suo rapporto con la donna in maniera interessante e inusuale. Tuttavia è giusto sapere che è anche una pellicola con una violenza e un orrore molto fisico e esplicito, che potrebbe essere non digeribile per alcuni.

Ma, se questo elemento non è per voi un problema, correte a guardarlo.

Un uomo, mille uomini

Rory Kinnear e Jessie Buckley in una scena di Men (2022) di Alex Garland

Un aspetto peculiare di Men, di cui non ci si accorge immediatamente, è che tutti gli uomini in scena, ad eccezione dell’ex-marito James, sono interpretati dallo stesso attore, ovvero l’ottimo Rory Kinnear.

Questa scelta offre molteplici chiavi di lettura, a partire dal fatto che molti personaggi appaiono fasulli: in particolare il prete, con una parrucca visibilmente finta, il padrone di casa Jeffrey, con i suoi dentoni bianchissimi, e il ragazzino, con il viso che è un evidente deep fake.

La chiave di lettura più immediata è che questa esperienza permette ad Harper di raggiungere la consapevolezza che tutti questi uomini sono in realtà fatti della stessa pasta (tanto che si partoriscono l’un l’altro).

E che, di conseguenza, rappresentano anche la figura opprimente del marito di cui cerca di liberarsi.

La mascolinità minacciosa…

Per la maggior parte della storia il maschile appare minaccioso, aggressivo e per certi versi anche incomprensibile.

Partiamo dall’aggressione più velata di Jeffrey, che parla in maniera fastidiosa a Harper in quanto donna non sposata, e così anche il poliziotto, che banalizza il pericolo che la donna sente di correre per l’uomo nudo che la perseguita.

Il maschile poi diventa via via più violento fisicamente e soprattutto sessualmente.

la casa, che rappresenta evidentemente il corpo di Harper (anche solo per le pareti rosse che sembrano le sue interiora), viene continuamente penetrata dal maschile: non a caso, quando Harper parla dell’uomo che ha cercato di entrarle in casa, usi due volte la parola penetrare.

Il simbolismo del film porta ad una traslitterazione dalla mano al pene.

Molta attenzione infatti su queste mani maschili che cercano di afferrare il corpo di Harper e penetrare dentro la casa attraverso la buca delle lettere, ma che diventano appunto un fallo quando il ragazzino mima l’atto sessuale sull’uccello con la maschera di donna.

…e il maschile debole

Jessie Buckley in una scena di Men (2022) di Alex Garland

Ma il maschile diventa debole quando di fatto Harper lo castra: nel momento massimo dell’aggressione, ovvero quando il prete cerca di violentarla, lei invece lo penetra con il coltello e lo uccide.

E così anche quando la mano cerca di penetrare dentro alla casa e la donna gliela taglia a metà, momento in cui la regia enfatizza la superiorità di Harper rispetto al personaggio maschile con inquadratura dal basso verso l’alto.

Infatti, quando rientra infine in casa, Harper non cerca più di chiudere la porta: non ha più paura, ma vede invece una mascolinità ormai fragile, debole, che cerca di avvicinarsi a lei, ma non più in maniera minacciosa.

Quello è il momento di consapevolezza della radice del maschile violento, ovvero la sua ricerca, a partire dalle parole del marito, dell’affetto e dell’attenzione del femminile (e non solo).

L’uomo solo

Rory Kinnear in una scena di Men (2022) di Alex Garland

Il film può avere un’ulteriore chiave di lettura proprio dal personaggio del marito.

Infatti, James è distrutto dall’idea di perdere la moglie e, di conseguenza, il suo amore.

Tuttavia è di fatto incapace di affrontare il problema in maniera sana, ma solo violenta e minacciosa: minacciando di suicidarsi, cercando di riappropriarsi della donna e anche cercando di sottometterla fisicamente.

E questo racconta un effettivo problema sociale dell’uomo che è socialmente incapace di raccontare le sue emozioni in quanto istruito a nascondere, pena l’essere paragonato al femminile debole. Al contrario il maschile viene anche educato alla violenza, e solo con quella riesce ad esprimerla.

Per questo alla fine Harper capisce che la fragilità del marito e la sua ricerca di amore è un problema intrinseco, di cui lei di fatto non ha colpa e che non poteva veramente risolvere.

E infatti alla fine appare sollevata e finalmente libera da questo peso.

Il regista di Men odia gli uomini?

Può sembrare una domanda molto stupida, ma non lo è per niente.

Questo è il classico film estremamente divisivo in cui il target della critica potrebbe sentirsi attaccato. Per questo è giusto puntualizzare che il film non è tanto banale da voler dire che tutti gli uomini sono dei molestatori e degli stupratori.

Al contrario, vuole raccontare un problema sociale di grande importanza, ovvero quello dell’approccio anche involontariamente insano dell’uomo nei confronti della donna, in tutti i modi più disparati mostrati nel film.

Fra l’altro mettendo a fuoco un problema sociale altrettanto importante, ovvero la radice della violenza di questa mascolinità, senza andare a rendere semplicemente mostruoso il maschile.

Il simbolismo di Men

Il simbolismo di Men è piuttosto peculiare e si presta a diverse chiavi di lettura.

L’elemento centrale è rappresentato dallo strano bassorilievo della chiesa, che viene ripreso più volte durante il film: il volto dell’uomo nudo alla fine, in generale i vari urli di Harper, in particolare quando urla nella vasca da bagno sul finale.

Quella raffigurazione è il green man, simbolo antichissimo con vari significati, ma che di base rappresenta la rinascita. All’interno del film può essere proprio interpretata come la figura della mascolinità violenta e di come vede invece la femminilità passiva, in particolare sessualmente passiva.

E invece la femminilità si rivolta contro il maschile, diventando Harper stessa appunto il green man che urla.

Come lettura in più, il prete nella vasca da bagno sembra citare la vicenda di Agamennone e Clitemnestra, l’apoteosi della donna vendicativa. Lo conferma anche lo sfondo della scena: il bagno con la vasca da bagno, la stessa in cui Clitemnestra uccide il marito all’interno del mito.

Categorie
2022 Drammatico Fantascienza Film Giallo Horror L'ultimo orrore di Cronenberg Nuove Uscite Film Satira Sociale

Crimes of the future – (Ri)scoprire il corpo

Crimes of the future (2022) di David Cronenberg è l’ultima pellicola del maestro dell’orrore dopo quasi dieci anni di assenza dalla sala. Ed è stato anche il mio battesimo del fuoco per la sua cinematografia, che conosco molto marginalmente e che non ho mai veramente affrontato.

E, dopo la visione, non vedo l’ora di scoprirne di più.

La pellicola si è rivelata purtroppo un incredibile flop commerciale, anche se certamente non è stata pensata per un ritorno economico consistente: ha incassato appena 3.4 milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di una spesa di 35 milioni.

Di cosa parla Crimes of the future?

Cosa succederebbe se il corpo non potesse più provare dolore e l’uomo si evolvesse per essere sempre più affine ad un mondo di plastica e spazzatura?

Questo è il mondo in cui vivono Saul e Caprice, due artisti performativi che portano in scena spettacoli davvero peculiari: a Saul crescono organi anomali nel suo corpo, che vengono tatuati e poi estratti dalla sua partner durante lo spettacolo.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Crimes of the future?

Viggo Mortensen in una scena di Crimes of the future (2022) di David Cronemberg

Dipende.

Partiamo col dire che Crimes of the future non è un film per nulla semplice.

La trama non è di per sé centrale, ma è al contrario un veicolo per raccontare un mondo futuristico e desolante, spoglio e senza speranza. Un mondo concentrato unicamente sul corpo e sulle sue trasformazioni, senza più paura per l’orrore e per il grottesco.

Quindi, se non vi piace particolarmente il body horror e un tipo di orrore particolarmente materiale, è probabile che questo film non faccia per voi. Come prodotto lo posso in parte paragonare a Mad Max – Fury road (2015): un film incredibile, basato molto su un orrore spettacolare e corporeo, ma in cui la trama è di fatto secondaria.

Una società perduta?

Viggo Mortensen in una scena di Crimes of the future (2022) di David Cronemberg

Nel film vediamo un mondo spoglio, fatto di rottami, spazzatura e degrado.

E non sembra che la cosa interessi a nessuno.

L‘intero focus è sull’uomo, sulle sue trasformazioni, in una sorta di neo-umanesimo. L’evoluzione è talmente rapida che non è neanche possibile definirla e regolarla: continuamente nel film si parla di come certe cose siano concesse, altre non ancora, e sembra sempre di agire nelle zone d’ombra della legge.

La stessa tecnologia sembra vecchia e datata, e non sembra esserci altro desiderio di quello di curare il corpo, plasmarlo a proprio piacimento, non cercando per la bellezza, ma il grottesco, che diventa in qualche modo anche erotico.

Arrivando all’estremo con la cosiddetta chirurgia da tavolino, ovvero la chirurgia improvvisata, di strada.

La corporeità

La corporeità domina ogni elemento.

Perfino la tecnologia stessa sembra essere definita tramite la corporeità, non cercando delle linee eleganti e futuristiche, ma dei macchinari che sembrano delle creature fatte di pezzi di corpo, di ossa bianche e lucide.

Il desiderio di corporeità arriva fino a fare dei concorsi di bellezza per la bellezza interiore, di fatto quella degli organi interni, a creare degli spettacoli concentrati sull’estrazione dell’organo più artistico e addirittura il desiderio erotico di vedere un’autopsia dal vivo.

E un’autopsia sul corpo di un bambino.

Kristen Stewart: c’è sempre una prima volta

Kristen Stewart in una scena di Crimes of the future (2022) di David Cronemberg

Se avete letto la mia recensione di Spencer (2021) sapete cosa ne penso di Kristen Stewart, che qui interpreta la timida impiegata Timlin. E devo dire che è la prima volta, da quando ha cominciato a recitare, che l’ho vista veramente recitare in un ruolo.

Indubbiamente non è del tutto uscita dalla sua comfort zone della ragazza timida e impacciata, elemento che spesso accomuna i suoi personaggi, anche in prove attoriali assolutamente non pessime (ma neanche grandiose) come in Spencer, appunto.

Spero sia un primo passo nella giusta direzione.

Per ora, ha la mia attenzione.

Crimes of the future spiegazione finale

Personalmente ho trovato difficile comprendere il finale, che è definitivo praticamente dal dialogo fra Saul e il Detective Cope: non riuscendo a seguirlo, complice forse il doppiaggio poco indovinato, non sono riuscita (sul momento) a capire il resto.

Se siete anche voi nella mia situazione, siete nel posto giusto.

Nel finale il detective rivela a Cope che il Vice Department ha sostituito gli organi del bambino per evitare che si scoprisse questa realtà di evoluzione umana, che si adattava a questo ideale di nutrirsi della plastica e degli scarti industriali.

Viggo Mortensen in una scena di Crimes of the future (2022) di David Cronemberg

Per questo le due impiegate che dovrebbero apparentemente controllare il funzionamento dei macchinari, in realtà erano in combutta con la stessa polizia. E per questo hanno ucciso il dottore (che forse ci viene fatto intendere avere la stessa mutazione di Becker) e il padre del bambino ucciso.

Alla fine Saul decide di allontanarsi dalla polizia e del suo lavoro, cominciando a nutrirsi di plastica e capendo che questo è quello che il suo corpo vuole: l’ultima inquadratura mostra un Saul molto rilassato e, finalmente, felice.

Qual è il significato di Crimes of the future?

Partendo dal fatto che il film a mio parere è del tutto godibile senza dover dare alcuna interpretazione, il significato della pellicola è in realtà abbastanza intuitivo.

Cronenberg ci vuole raccontare di un futuro desolante, ma anche possibile: un futuro in cui le guerre climatiche e la distruzione delle risorse ha portato a una realtà degradante, dove l’uomo comincerà a non potersi (o non volersi) più nutrire dei prodotti naturali, ma piuttosto di quelli artificiali.

Viggo Mortensen in una scena di Crimes of the future (2022) di David Cronemberg

Un futuro in cui si adatterà semplicemente alla distruzione che lo circonderà, concentrandosi solo su sé stesso, in maniera quasi ossessiva.

La volontà di nutrirsi di rifiuti industriali sarebbe l’ultimo passo verso questa idea di essere un tutt’uno con l’orrore che lo circonda.

Categorie
2022 Avventura Azione Commedia Fantascienza Film Horror Jordan Peele Satira Sociale Western

Nope – L’orrore di concetto

Nope (2022) è l’ultima pellicola di Jordan Peele, cineasta diventato famoso per Get out (2015) e poi per Us (2019).

Una pellicola dove il regista statunitense compie un ulteriore passo avanti nella sua produzione, portando un prodotto più complesso, maturo ed intrigante, che si spoglia del didascalismo che aveva un po’ guastato la sua seconda pellicola.

Purtroppo il film non sta incassando moltissimo, essendo già uscito da un mese in quasi tutto il mondo: davanti ad una produzione di 68 milioni, finora ne ha incassati solo 115.

Di cosa parla Nope?

OJ è un giovane addestratore di cavalli per produzioni cinematografiche, che si trova ad affrontare un misterioso nemico che infesta i cieli delle sue praterie…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Nope?

Steven Yeun in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

Assolutamente sì: dopo aver sperimentato con il genere horror, Peele si contamina con il genere sci-fi e western in maniera originale e assolutamente iconica.

Se siete già appassionati al cinema di Jordan Peele, non potete assolutamente perdervelo. Se avete paura di trovarvi davanti ad un horror davvero spaventoso e violento, non preoccupatevi: il film crea una tensione non da poco, con concetti non poco disturbanti, ma non mostra mai una violenza sanguinosa e spaventosa.

Un orrore più sottile, che ti entra sottopelle, ma che è di concetto e lasciato in parte all’immaginazione dello spettatore, più che veramente mostrato.

Uno dei migliori film di quest’anno finora, senza dubbio.

Cosa significa nope e altri piccoli concetti essenziali

Il senso del titolo purtroppo si perde del tutto nel doppiaggio, ma era inevitabile: nope è un modo più colloquiale di dire no, nel senso no, neanche per sogno: per citare UrbanDictionary, un no definitivo, che nega in qualunque modo quello di cui si sta parlando. Quindi, se lo vedete doppiato, ricordatevi che a volte, quando sentirete gli attori dire no, in originale dicono nope. Parola che ha un significato ben più ampio e preciso, appunto.

Sono state date non poche interpretazioni su questo titolo, ma Peele ha assicurato che voleva solo che fosse la reazione dello spettatore davanti alla pellicola.

Oltre a questo, per capire una battuta che altrimenti cadrebbe piatta, History Channel è un canale televisivo statunitense noto per trasmettere documentari pseudo scientifici e scandalistici, di fatto delle riconosciute bufale.

Infine, il nome del protagonista è OJ, omonimo di O.J. Simpson, che è stato al centro di uno dei più famosi casi di cronaca nera in ambito statunitense negli Anni Novanta.

Ora siete pronti per vedere il film. 

Raccontare il mostro

Per raccontare il mostro, Peele non poteva prendere come modello un caposaldo della cinematografia occidentale: Lo squalo (1972), pellicola che è citata continuamente.

Infatti, se si confronta la modalità di svelamento del nemico di Nope con il capolavoro di Spielberg, l’omaggio è evidente: prima mostrato in maniera sfuggevole, tanto che non si vede neanche la sua forma, poi come ombra, infine potentemente presente in scena.

Ed è incredibile come il mostro faccia paura appunto come concetto: vediamo uomini vivi all’interno del suo apparato digerente, li vediamo urlare, ma non capiamo perchè dovremmo aver paura. Ma, quando lo capiamo, è tremendamente disturbante.

A vedersi, il nemico non è un mostro pauroso, ma anzi molto enigmatico. Sembra al contempo limitato ad una bocca enorme ed a degli occhi che non possiamo vedere, ma poi appare molto più complesso e incomprensibile quando rivela tutta la sua natura sul finale.

Alzare lo sguardo

Daniel Kaluuya in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

La tecnica registica è veramente un tocco di classe: in non poche scene Peele riesce non solo farti seguire con lo sguardo la visione dei personaggi verso il mostro, ma ti porta veramente ad alzare gli occhi verso il margine dello schermo, quindi a diventare tu stesso un protagonista della scena.

Oltre a questo le scene sono incredibilmente travolgenti per questo uso dell’inquadratura che taglia di sbieco il soggetto, lasciandolo ai margini e insistendo sul cielo dove dovrebbe apparire il mostro. Come se il regista si dimenticasse di star girando un film volesse solo riuscire a catturare questa incredibile creatura.

Gordy: rafforzare un concetto

La storia secondaria e parallela è quella di Jupe, traumatizzato dalla visione in gioventù della strage della scimmia Gordy. Il collegamento con la trama principale è veramente debole ed è un aspetto che a mente fredda potrebbe pure essere considerato un difetto.

Ma la scena di Gordy serve a rafforzare un concetto, ad irrobustire la sensazione di inquietudine e di pericolo della vicenda. L’animale del film è quello che l’uomo cerca di domare, ma che in realtà è un predatore, una bestia incontrollabile, che semplicemente non puoi addomesticare.

Come la creatura protagonista del film, Gordy non ha un aspetto inquietante e minaccioso, anzi era un personaggio simpatico portato all’interno di una sit-com televisiva di successo. E questa tecnica è amplificata anche dal personaggio di Haley, la ragazza che partecipava allo show insieme a Jupe, e che rivediamo fra il pubblico durante il suo spettacolo. Una figura muta e inquietante, che porta le terribili conseguenze dell’attacco.

Di nuovo, un personaggio che non aggiunge niente alla trama, ma che arricchisce la scena dell’attacco.

La non-lettura

Daniel Kaluuya in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

Ho sentito molte interpretazioni date a questa pellicola: riferimenti al mondo delle maestranze del cinema, al ruolo degli attori neri nel cinema, al COVID… Per me la bellezza di questa pellicola è la mancanza di una spiegazione chiara e l’apertura a molteplici interpretazioni.

Non avendo letto immediatamente alcun significato ulteriore, preferisco non trovarne alcuno, ma considerarlo semplicemente un ottimo film horror che gioca con generi diversi e che definisce un definitivo passo avanti per la cinematografia di questo regista.

La fantascienza credibile

Steven Yeun in una scena di Nope (2022) nuovo film di Jordan Peele in uscita l'11 Agosto 2022

In questa pellicola Peele non solo è riuscito a sperimentare con generi diversi, ma a portare una fantascienza che per certi versi mi ha ricordato Arrival (2016): una fantascienza credibile. In particolare si smarca dall’immaginario collettivo, alimentato da diversi film sci-fi e catastrofici dagli Anni Settanta in poi: l’idea che gli extraterrestri, se ci invadessero, sarebbero esseri molto più intelligenti di noi, capaci di dominarci.

Invece l’alieno, se così vogliamo considerarlo, di Nope è niente di più che una bestia, un animale primitivo che caccia l’uomo e che l’uomo deve cacciare per sopravvivere. Un concetto che è stato rafforzato da una scena apparentemente inutile, ma che è pregna di significato: quando i ragazzini cercano di terrorizzare OJ travestendosi da alieni.

In quel momento lo spettatore viene ricondotto su binari consueti, pensando che quelli che vede sono la minaccia del film. Invece quelle figure non sono altro che uno scherzo, un gioco con lo spettatore e con le sue aspettative. Il nemico del film, infatti, è tutta un’altra cosa.

Chi è il mostro?

Nel film non viene spiegata per nulla l’origine della creatura, ma la pellicola sembra suggerire che sia in circolazione dagli Anni Cinquanta e che per tanto tempo sia stato confuso con un disco volante. In realtà, a meno che non si voglia pensare che sia stato particolarmente attivo in quella zona perché Jupe gli offriva in pasto i cavalli per il suo spettacolo, non sembra molto credibile.

Tuttavia qui si apre la strada alle interpretazioni e all’immaginazione dello spettatore. E la scelta di lasciare questo spazio al pubblico è stata una delle più indovinate, evitando di andare ad incagliarsi in spiegazioni non del tutto soddisfacenti come in Us, appunto.

Un grande passo avanti, appunto.