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Piccole donne – Che chiasso!

Piccole donne (2019) di Greta Gerwig è un period drama tratto dal celebre romanzo omonimo.

Un prodotto che ebbe anche un buon riscontro di pubblico: a fronte di un budget di appena 40 milioni, ne incassò complessivamente 206 in tutto il mondo.

Di cosa parla Piccole donne?

Inghilterra, seconda metà dell’Ottocento. La vicenda ruota intorno alle quattro sorelle March, con caratteri molto diversi ma che incarnano i topos delle eroine romantiche tipiche di quel periodo.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Piccole donne?

Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh e Eliza Scanlen in una scena di Piccole donne (2019) di Greta Gerwig

Dipende.

Dal mio personale punto di vista, Piccole Donne non ha un grande valore artistico, ma potrebbe essere un film molto coinvolgente se siete pronti a farvi catturare da certi ganci emotivi – io, personalmente, mi sono lasciata agganciare.

Infatti si tratta di una storia molto emotiva, con una profonda esplorazione della psicologia dei personaggi, riuscendo, pur con qualche sbavatura, a riscrivere in chiave contemporanea la storia di Louisa May Alcott.

Luce

Saoirse Ronan in una scena di Piccole donne (2019) di Greta Gerwig

Greta Gerwig è perdutamente innamorata della sua protagonista.

L’ottima Saroise Ronan era stata la sua attrice feticcio già fin dai suoi esordi registici in Lady Bird (2017), e qui diventa la protagonista assoluta della scena, sempre premiata sia dalla scrittura piuttosto compiacente, sia dalla fotografica disegnata sul suo personaggio.

E per me è stato tanto più difficile – non ai livelli di The Whale (2022), ma poco ci manca – abbracciare questa visione, che mi è parsa a tratti quasi forzata nel voler raccontare una protagonista che si ribella alle convenzioni sociali.

E, per quanto il suo comportamento sia più volte problematizzato, non lo è mai fino in fondo: Jo prima si lega profondamente a Laurie, poi lo respinge e scappa per trovare fortuna altrove, per finire in un dovutissimo bagno di realtà.

Di fatto, pur con le sue ingenuità, Jo racconta il passaggio dalla spensierata infanzia alla durezza della vita adulta, in cui il successo non è scontato, in cui le altre persone non vivono in nostra funzione, ma anzi la posizione di predominanza si ottiene fra insuccessi e dolorosissime fatiche.

Ma la vera vittima è un’altra.

Seconda

Florence Pugh in una scena di Piccole donne (2019) di Greta Gerwig

Amy è l’eterna seconda…

…anche metanarrativamente parlando.

Come Saoirse Ronan è la grande protagonista della scena, al contrario Florence Pugh è costantemente penalizzata da trucco e costumi: dalla frangetta improbabile nella giovinezza ai vestiti stretti fino alla gola in età adulta, tutto sembra imbastito per imbruttirla.

E così anche i suoi capricci giovanili, nonostante siano decisamente meno gravi rispetto ai comportamenti di Jo, infestano costantemente il suo personaggio, che sia presente in scena o meno – ovviamente, tramite la durezza delle parole della sorella meritevole.

Florence Pugh e Thimothee Chalamet in una scena di Piccole donne (2019) di Greta Gerwig

E invece io personalmente mi sento più vicina alla mediocrità di Amy, che cerca di disegnarsi il suo spazio nell’ingombrante ombra della sorella maggiore, che si arrende davanti al suo non-genio, davanti al triste destino di una donna del suo tempo – ben più consapevole di discorsi analoghi della stessa Jo. 

Per questo esce vittoriosa infine ottenendo una piccola felicità personale, ricambiata dal suo amore segreto, costruendosi una vita familiare con una persona con cui potrebbe davvero avere una esistenza complessivamente serena, forse non dovendo del tutto abbandonare le sue passioni…

…che escono ovviamente dalla scena in favore della ben più meritevole Jo.

Ma non è l’unica femminilità possibile.

Accontentarsi

Saroise Ronan e Emma Watson in una scena di Piccole donne (2019) di Greta Gerwig

Nonostante il totale protagonismo di Jo, Piccole donne lascia spazio anche ad altre femminilità.

Meg è rappresentazione a suo modo di un’eroina romantica che abbraccia la nascente tendenza del matrimonio non più per motivi politici, ma per un sincero innamoramento, che la costringe ad abbandonare ogni prospettiva di ricchezza e di vita mondana a favore di una più frugale esistenza.

Infatti, nonostante le preoccupazioni di Jo siano nei confronti del matrimonio di per sé – proiezione dei suoi stessi timori – la vera angoscia di Meg riguarda il dover rimanere in un’amara povertà, di doversi privare delle bellezze di una vita più frivola e con meno preoccupazioni economiche.

Insomma il suo personaggio è tormentato dall’idea di lasciarsi tentare da un mondo più attraente, per quanto più insidioso, dove un giorno sei la favorita dell’ape regina di turno – il suo pet, il suo animaletto da compagnia – in un altro sei vittima di pettegolezzi che rappresentano il fulcro della sua esistenza.

Per questo per me è tanto più soddisfacente vedere la maturazione di Meg, che capisce quanto può essere più felice in una vita anche più modesta, ma con a fianco una persona che davvero può fare la sua felicità, anche se nella ristrettezza inevitabile dei mezzi.

Ma manca un fondamentale pezzo a questo puzzle.

Tragedia

L’ultima faccia della storia è Beth.

Personaggio apparentemente di contorno, apparentemente solo il nucleo tragico della vicenda, è in realtà il perno fondamentale della vicenda intorno a cui ruota tutto il passaggio fra passato e presente, nella continua angoscia per la malattia che potrebbe strapparla dal mondo ancora così giovane e innocente.

In questo senso Beth è in tutto e per tutto un’eroina tragica che, nonostante la sua bontà, non può pensare al suo futuro, ma solo ad un limitato presente, in cui viene premiata proprio per la sua innocente bontà e curiosità verso una passione che è anche indice della sua innata capacità musicale.

E così, per quanto lacrimevole, il momento sia della salvezza che della morte è anche il punto di arrivo di una ricongiunzione di un nucleo familiare che si rimette in discussione in tutte le sue parti e che infine si ritrova felicemente nella medesima eredità dell’arcigna zia March…

…dove ognuno sembra aver trovato il suo posto.

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Gremlins – La commedia dei cattivi sentimenti

Gremlins (1984) è uno dei maggiori cult del cinema per ragazzi Anni Ottanta, per la direzione di Joe Dante e la fantastica sceneggiatura di Chris Columbus.

A fronte di un budget molto ridotto – appena 11 milioni di dollari, circa 32 oggi – fu un enorme successo commerciale, con 213 milioni di incasso (circa 621 oggi).

Di cosa parla Gremlins?

Lo stravagante inventore Rand visita una piccola bottega delle stranezze a Chinatown, dove trova un animaletto molto particolare, un mogwai

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Gremlins?

Gizmo in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

Assolutamente sì.

Gremlins è un horror per ragazzi di grande valore, che gode di una scrittura veramente ottima e puntuale, che introduce gradualmente gli eventi con un raro equilibrio fra l’orrore e il grottesco, riuscendo al contempo ad ammorbidire i toni per renderlo adatto al target.

Oltre a questo, il character design dei gremlins è incredibile e così anche la loro messinscena, che riesce a farli passare non come dei meri pupazzoni, ma come delle creature vive ed incredibilmente espressive.

Insomma, non ve lo potete perdere.

La minaccia sotterranea

Gizmo in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

Per quanto il primo atto sembri raccontare una storia piacevole ed accogliente, diversi elementi in scena mostrano tutt’altro.

I personaggi sono totalmente immersi in questo sogno del nuovo animaletto domestico – il cui character design ricorda l’unione fra un coniglio, un orsetto e un pipistrello – che sembra totalmente innocuo, una piacevole aggiunta al quadro familiare.

Questa sensazione di apparente tranquillità rende i personaggi umani del tutto sbadati e poco attenti alla cura dello stesso, agendo più volte in maniera molto ingenua, tanto da essere loro stessi i fautori dell’incubo che verrà.

Gizmo in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

Ma ci sono diversi indizi di quello che sta per succedere.

L’elemento più palese è l’inserimento di diverse scene del classico della fantascienza L’invasione degli ultracorpi (1956), che parla proprio di un’invasione segreta di alieni che si moltiplicano e si sostituiscono gli umani.

Ma l’indizio più sottile, ma assolutamente perfetto, è il siparietto comico in cui Rand sta testando la sua nuova invenzione: inizialmente le carte escono ordinatamente e sono controllate…ma poi la situazione gli sfugge di mano, e cominciano a moltiplicarsi fin troppo velocemente…

…proprio quando il figlio sta per venirgli a raccontare dei gremlins che si stanno riproducendo.

Introdurre il mostro

La maestria di Gremlins è anche il saper raccontare coi giusti tempi il villain della storia.

Anzitutto, i nuovi arrivati si dimostrano fin da subito ben diversi dal loro genitore – Gizmo – molto più irruenti e dispettosi – come dimostra, fra gli altri, il brutto scherzo nei confronti del cane, Barney.

E per questo il punto di svolta è così rivelatorio.

Infatti, quando Billy offre ai gremlins le cosce di pollo, questi ci banchettano felicemente, mentre Gizmo, come se fosse consapevole della situazione, le rifiuta…

Billy in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

La trasformazione dei gremlins è, fra l’altro, una bellissima citazione al suddetto L’invasione degli ultracorpi, ma anche ad Alien (1979): oltre ai gusci molto simili alle uova dello xenomorfo, anche il comportamento degli umani è simile.

Infatti, come nel cult di Ridley Scott, i personaggi umani sono anche fin troppo entusiasti di questa nuova situazione – particolarmente il professor Hanson – fino ad arrivare all’inquietante sottofondo della proiezione scientifica, che apre le porte alla trasformazione…

Così, come nei migliori film del genere, il mostro è tenuto fuori dalla scena per molto tempo, ma la sua presenza è costante: dall’assassinio del professore fino all’improvviso attacco ai danni di Billy.

Infine, la rivelazione effettiva avviene nella cucina, in cui la madre del protagonista, quasi come una novella Ripley, è la prima ad affrontare e riuscire in parte a sconfiggere questi orribili mostri.

E anche qui il film riesce a stupire.

Un film per bambini?

Ciuffo Bianco in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

L’atto centrale, quanto quello conclusivo, godono di una rara maestria di scrittura.

In questo caso si mostra ancora più evidentemente la doppia natura del film, che riesce a mantenersi adatto per il target, pur mettendo in scena una violenza veramente sorprendente, a partire dai modi in cui la madre di Billy elimina i mostriciattoli…

Più volti al lato comico sono invece i vari siparietti degli scherzi dei gremlins e il loro comportamento incredibilmente caotico: dall’assalto al bar con Kate, in cui sbevazzano e fumano – e persino la importunano! – fino alla mia scena preferita: il coro di Natale.

Ciuffo Bianco in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

I gremlins si rivelano insomma per quello che sono: mostriciattoli dispettosi, financo particolarmente spietati – tanto da distruggere una casa – ma, al contempo, anche la perfetta evoluzione di Gizmo.

Infatti, i suoi figli ne riprendono i caratteri, ma li mutano in maniera mostruosa: dalle orecchie da coniglio a quelle di un pipistrello, dai tratti dolci del viso e gli occhioni liquidi agli occhi rossi ed ai lineamenti serpentini…

Una deformazione particolarmente sottolineata quando gli stessi vengono messi a confronto con i nani durante la visione di Biancaneve e i sette nani (1937), di cui i gremlins imitano perfino le canzoni…

Ciuffo Bianco in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

E questa dicotomia fra l’essere dei futuri giocattoli per bambini al riprendere le fattezze dei più famosi villain dei classici della fantascienza li accompagna fino alla fine, soprattutto nella sequenza del negozio per bambini…

Così anche nel finale: se la morte di Ciuffo Bianco richiama involontariamente l’iconica scena di Terminator (1984), la chiusura del film cerca di ammorbidire i toni, raccontandosi come la conclusione di una favola di Natale, ma con troppi elementi horror per davvero poterla considerare tale…

E a questo proposito…

Un Natale diverso

Gizmo in una scena di Gremlins (1984) di Joe Dante

Un aspetto che davvero sorprende di Gremlins è quanto poco sia associabile ad un film di Natale.

Nonostante il clima festivo sia presente fin dall’inizio, è disturbato da moltissimi elementi che raccontano un Natale davvero diverso, quasi malinconico: dalla cattiveria gratuita della Signora Deagle alla triste storia della morte del padre di Kate.

Una scelta che può sembrare banale, ma che in realtà è un modo intelligente per equilibrare i toni della pellicola, senza voler mostrare una disparità troppo grande fra l’orrore dei gremlins e l’atmosfera delle feste.

Peculiare in particolare la mancanza di una ricongiunzione finale dei personaggi, ma che non stupisce se si pensa al film di cui Chris Columbus si occuperà una decina di anni dopo: Mamma ho perso l’aereo (1990), per molti versi l’apoteosi della commedia dei cattivi sentimenti.

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Klaus – Un Natale diverso

Klaus (2019) di Sergio Pablos è un lungometraggio animato di produzione Netflix.

Un prodotto che non ebbe (purtroppo) l’eco che meritava, venendo candidato agli Oscar come Miglior Lungometraggio Animato, ma perdendo ancora una volta contro lo strapotere della Disney.

Un prodotto molto particolare, con una tecnica originalissima che mischia il 3D con il 2D in maniera superba.

Di cosa parla Klaus?

Jesper è un ragazzo ricco e viziato, che il padre cerca inutilmente di far maturare. Il suo ultimo tentativo è di farlo diventare il postino di una piccola città dispersa in una minuscola isola…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Klaus?

Una scena di Klaus

Assolutamente sì.

Come detto, Klaus è una piccola perla dimenticata, la quale, oltre ad avere una costruzione narrativa incredibile, una storia meravigliosa, dei personaggi piacevolissimi, presenta anche una tecnica di animazione molto peculiare.

Insomma, non aspettatevi il solito film di Natale dei buoni sentimenti, né un racconto astruso e poco interessante dell’origine di Babbo Natale. Troverete anzi un racconto umano, avvincente e pieno di sorprese.

Insomma, se non l’avete visto, è ora di rimediare.

Il fascino dell’eroe negativo

Una scena di Klaus

L’eroe negativo è un topos molto in voga (anche troppo) nel cinema contemporaneo, ma che necessita di una certa costruzione che lo renda credibile e che lo faccia avvicinare allo spettatore.

E Klaus ci riesce benissimo.

Una scena di Klaus

Jesper parte da un apice negativo, come quasi un ragazzino viziato e capriccioso, che tendenzialmente lo spettatore mal sopporta, anzi quasi è felice che venga punito. Dopo però questo sentimento viene smorzato, sia per l’elemento comico grottesco, sia perché di fatto l’eroe diventa vittima degli eventi.

E in una situazione talmente eccessiva che non si riesce a non dispiacersi almeno in parte per lui, e a venir inevitabilmente coinvolti nella sua improbabile avventura.

E la sua risoluzione finale è in qualche misura prevedibile, ma per nulla banale.

Una costruzione perfetta

Una scena di Klaus

All’interno della improbabilità della vicenda, si crea una costruzione fondamentalmente perfetta che riesce a includere tutti gli elementi tipici della storia di Babbo Natale. E con una trama talmente perfettamente oliata e talmente costruita sui particolari che, anche dopo numerose visioni, non sarei capace di raccontare a memoria.

E infatti ogni volta riesco ad essere nuovamente sorpresa da come tutti gli elementi si incastrano perfettamente.

Fra l’altro, una narrazione quasi del tutto priva dell’elemento magico, anzi molto materiale e terrena, che gioca molto sulla negatività del personaggio, con elementi quasi grotteschi, come quando cerca di vendere le lettere ai bambini come fosse uno spacciatore…

Il Babbo Natale che non ti aspetti

Una scena di Klaus

Klaus viene presentato proprio come il contrario dell’immagine canonica di Babbo Natale: pauroso e lugubre, silenzioso e minaccioso.

Tuttavia tutta la sua evoluzione era già in nuce del personaggio: il suo essere silenzioso e impercettibile è un elemento che lo renderà così abile nell’entrare nelle case di notte, il suo essere circondato dalle renne per la sua futura slitta, essere un giocattolaio…

Ma, soprattutto, Klaus è segnato dal profondo lutto non solo della morte della sua compagna, ma dell’impossibilità di crearsi una famiglia. Ma Lydia in realtà è sempre con lui, fino alla fine, e gli permette di creare la famiglia che non hai mai avuto.

Quella dei bambini di tutto il mondo.

La splendida morale

Una scena di Klaus

Klaus propone diverse morali, ma quella più importante è racchiusa in una frase continuamente ribadita:

A true act of goodwill always sparks another.

Un atto di altruismo ne porta sempre un altro

Così, ampliando il discorso, mostra che anche l’ambiente più marcio e il cuore più indurito, con la giusta spinta, riuscirà a migliorarsi e a mostrare la sua parte migliore.

E questo miglioramento, nonostante non sia fatto con le migliori intenzioni, è capillare e coinvolge tutti i personaggi in scena in maniera lenta e ben costruita.

Cosa succede nel finale di Klaus?

Il finale lascia volutamente aperti molti interrogativi.

Spesso in film soprattutto per bambini si cerca di spiegare il concetto di Babbo Natale e tutto quello che lo circonda in maniera molto materiale e comprensibile per il pubblico infantile.

In Klaus l’elemento magico è una sorta di spintarella per i personaggi, ma in generale si mantiene un certo realismo nella vicenda. Sul finale invece lo stesso diventa preponderante, e lascia l’aura di mistero.

E si apre alle interpretazioni.

Per me nel finale Klaus viene richiamato da Lydia, in una sorta di regno ultraterreno, e continua il suo viaggio in una beatitudine eterna in cui può donare felicità ai suoi nuovi figli.

E, una volta l’anno, ritornare dal suo amico che gli ha permesso tutto questo…