Glass onion – A Knives Out Mystery (2022) di Rian Johnson è il sequel di quel piccolo successo che fu al tempo Knives out (2019). Un riscontro di pubblico tale, per una produzione comunque non particolarmente impegnativa, da far acquisire i diritti a Netflix e ordinare due sequel.
Un prodotto che mi ha colpito così tanto tanto da vederlo due volte di fila senza annoiarmi neanche un minuto.
Tuttavia, vanno fatte delle giuste premesse.
Candidature Oscar 2023 per Glass onion (2022)
(in nero i premi vinti)
Migliore sceneggiatura non originale
Di cosa parla Glass onion?
Il detective Blanc viene coinvolto in un nuovo mistero, con al centro un eccentrico miliardario, che però non è ancora morto…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Glass onion?
Per me, assolutamente sì.
Tuttavia, ci sono diverse mani da mettere avanti.
Anzitutto, ovviamente, se non vi è piaciuto Knives out, non guardate il sequel: non aspettatevi niente di diverso. Oltre a questo, Glass onion gioca ancora di più in maniera sperimentale con il genere whodunit, sostanzialmente snaturandolo. Per questo, se invece cercate le classiche dinamiche del genere, non è il film che fa per voi.
Invece se, come me, non siete particolarmente appassionati dei racconti di genere giallo, sopratutto nelle sue dinamiche che, pur indubbiamente vincenti, risultano ridondanti alla lunga per i non appassionati, potrebbe piacervi. E anche molto.
L’importante è partire con il giusto mindset.
Mantenere la ricetta…
Glass onion gode di una grande furbizia di scrittura.
Rian Johnson si è trovato davanti all’impresa di dover portare un sequel ad un film autoconclusivo, non snaturando l’opera originale e creando un prodotto che fosse altrettanto avvincente per il pubblico che aveva apprezzato il primo film.
E così ha scelto di utilizzare uno scheletro narrativo piuttosto simile, ma esplorandolo in direzioni diverse e cambiando radicalmente la caratterizzazione di alcuni personaggi, che pure hanno un ruolo molto simile rispetto al primo capitolo.
Ed è stata una strada vincente, con risultati inaspettati.
…per uscire dal genere
Sopratutto alla seconda visione, mi sono resa conto di quanto la pellicola esca dai canoni del giallo whodunit.
Infatti, se il primo film complessivamente si poteva considerare un giallo classico, che poteva però infastidire gli appassionati per la profonda ironia e la mancanza di volontà di rimanere nel seminato, in questo caso possiamo felicemente parlare di un’uscita dal genere di riferimento.
Non ci sono colpi di scena che rivelano il vero colpevole, tutti gli indizi sono mostrati allo spettatore, e, nonostante in qualche misura sembri seguire le strade più classiche, sul finale rivela tutto il contrario.
In particolare tramite il gioco metanarrativo della glass onion.
Glass onion: un gioco metanarrativo
Come per il primo Knives out, Glass onion è un film assolutamente democratico.
Infatti tutti gli indizi necessari per risolvere il mistero sono già in scena, e sono tanto più evidenti tanto più si entra nella logica metanarrativa della glass onion.
La pellicola gioca ampiamente con lo spettatore e con le sue aspettative: io stessa per tutta la durata mi aspettavo un grande colpo di scena finale che rivelasse chissà quali misteri. E invece, per ammissione dello stesso Blanc, il mistero è tanto semplice quanto stupido.
E infatti la questione si risolve su più livelli, per cui sia il mistero che Miles sono come una cipolla di vetro: apparentemente complessa e stratificata, in realtà evidente e sotto gli occhi di tutti. Lo stesso miliardario basa la sua identità su una serie di stratificazioni ingannevoli e fragili, mentre la sua vera natura è palese e insignificante.
Il simbolismo di Mona Lisa
Dal versante totalmente opposto, troviamo il personaggio di Helen, che viene più volte associato alla figura di Monna Lisa.
Infatti sia il suo personaggio che la misteriosa donna di Leonardo condividono una personalità e uno sguardo tanto più enigmatico e intrigante, e così anche per la sorella gemella: difficili da leggere e da comprendere. E ben più sottili e interessanti di quanto appaia all’esterno.
E infatti il dipinto di Mona Lisa è una sorta di simbolo di quello che Miles vorrebbe essere, e dell’immagine che cerca di costruirsi per diventare altrettanto intrigante e enigmatico. Ma, appunto, come la stessa glass onion rivela, non è nulla di tutto questo.
Un finale migliore
In prima battuta il finale mi aveva deluso.
Poi, ho capito di essere caduta nella mia stessa trappola: considerare questa pellicola per quello che non era, e aspettarmi delle dinamiche che non sono nella sua natura. E infatti, come molti altri come me, mi aspettavo un grande colpo di scena finale o una rivalsa più classica in cui il villain veniva incastrato.
E invece non è così, ma è meglio così.
Infatti, se ci si ragiona un attimo, Helen non avrebbe avuto nessun vantaggio ad incastrare Miles a livello legale: con le sue connessioni e con l’omertà diffusa, il miliardario se la sarebbe comunque cavata. Invece, riuscire a distruggere il suo impero dalle fondamenta, rivelarne tutta la sua fragilità, è la mossa perfetta per mettere davvero in scena una vendetta vincente.
Ancora attuali
Anche più della scorsa pellicola, Glass onion riesce ad essere incredibilmente attuale.
Già l’idea di ambientarlo nel 2020 era intrigante, ma lo è stata tanto più in quanto non ci si è fossilizzati su questo elemento, che poteva già apparire datato. Al contrario, si dedica ampio spazio al discorso della cosiddetta woke culture e in generale degli scandali nati su internet.
Per fortuna il discorso non è banalizzato per nulla, anzi si mostra, senza raccontarlo esplicitamente, di come personaggi stupidi e fondamentalmente negativi giustifichino il loro comportamento sbagliato con quello che noi chiameremmo il politicamente corretto.
Un argomento tanto attuale, quanto raccontato in maniera interessante e quasi grottesca.
La delicatezza
Il cameo di Hugh Grant merita un discorso a parte.
L’attore appare all’improvviso nella seconda parte della pellicola, e ci rivela un elemento del tutto inaspettato, ma raccontato con una tale delicatezza che non ho potuto smettere di pensarci. Nonostante Blanc non sia una macchietta né uno stereotipo – anzi non lo diresti mai – è in una relazione con un uomo.
Molti dovrebbero prendere spunto da come è stato introdotto questo elemento nella pellicola, senza feticizzarlo, senza drammatizzarlo, ma rendendolo un elemento assolutamente organico nella trama.
Tanto più che la rappresentazione di coppie omosessuali di uomini adulti più avanti con gli anni è quasi totalmente assente nel cinema contemporaneo…
Sherlock sei tu?
Con la preziosa collaborazione di Irene
All’interno della pellicola, non mancano i riferimenti a Sherlock Holmes.
Anzitutto nella scena del bagno in cui Blanc sta giocando ad Among us con i suoi colleghi, fa un discorso che riprende molto le mosse di Sherlock: come il famoso detective, il protagonista afferma di aver bisogno di casi interessanti per combattere la noia.
Questo elemento è presente sia nell’opera originale, sia nelle trasposizioni: nel romanzo per combattere la noia fa utilizzo di eroina, nella serie tv Sherlock utilizza i cerotti di nicotina.
Così anche nella stessa scena, nella vasca da bagno regna il disordine più totale: così al 221B Baker Street, nei romanzi come nei prodotti derivati, l’ambiente è dominato dal caos.
Più in generale, il personaggio di Blanc sembra un interessante incontro fra le versioni televisive e cinematografiche Poirot quanto di Sherlock.
Per le modalità dello svelamento del mistero e sopratutto la rivelazione del finto omicidio di Miles ricorda in particolare lo Sherlock di Benedict Cumberbatch nella serie omonima, che desidera svelare immediatamente le sue deduzioni, quasi per vanità…