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Avventura Cinema per ragazzi Fantastico Fantasy Film I classici di Robin Williams

Jumanji – Le insidie della crescita

Jumanji (1995) di Joe Johnston è uno dei titoli più iconici della filmografia di Robin Williams e, più in generale, del cinema per ragazzi Anni Novanta.

A fronte di un budget abbastanza sostanzioso – 65 milioni di dollari – è stato un incredibile successo commerciale: più di 250 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Jumanji?

Alan Parrish è un ragazzino costantemente bullizzato che vorrebbe fuggire dalla propria vita. Ma quella che sembra una strada possibile forse è anche la meno desiderabile…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Jumanji?

In generale, sì.

Non mi voglio sbilanciare nel consigliarvi questa visione perché la piacevolezza della visione può dipendere molto da che tipo di rapporto avete con questo film: Jumanji è in tutto e per tutto un classico del cinema per ragazzi, e, come tale, da adulti potrebbe risultare meno coinvolgente.

Nondimeno, è possibile leggere nella storia un sottotesto non banale riguardo alla paura di diventare adulti, in cui i personaggi più cresciuti sono i veri protagonisti della scena, mentre i ragazzini fungono più da contorno, da aiutanti della storia.

Insomma, a voi la scelta.

Inizio

Adam Hann-Byrd in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

Jumanji deve gestire ben tre inizi.

L’antefatto della storia funziona a tratti: di per sé poteva essere uno spunto interessante per definire i contorni della minaccia in atto, in particolare introducendo l’inquietante tamburo che echeggia nei decenni fino ad arrivare al presente del protagonista, ma per certi versi risulta fin troppo abbozzato.

Il secondo attacco è l’inizio vero e proprio, che disegna il carattere e lo stato di partenza di Alan: un ragazzino continuamente preso di mira dai suoi compagni solamente per il nome che porta, che si trova involontariamente fra le mani una via d’uscita.

Adam Hann-Byrd in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

In questo frangente tocchiamo i primi elementi di debolezza della storia: come la fuga da parte di Alan è complessivamente credibile, meno lo sono le dinamiche che portano a coinvolgere anche Sarah nella partita, in uno snodo narrativo estremamente programmatico ai fini della storia, ma non molto pensato.

Soprattutto, si potrebbe rimanere leggermente spaesati davanti all’incontro fra i due, in quanto manca una costruzione significativa del loro rapporto, definito solamente da una breve battuta del protagonista e poco altro: per il resto, potrebbero essere due perfetti sconosciuti.

Ma la vera mancanza è successiva.

Pretesto

Bradley Pierce e Kirsten Dunst in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

Judy e Peter sono i protagonisti?

Se la relazione fra Alan e Sarah è carente in molti punti, la caratterizzazione dei due giovani protagonisti del terzo inizio è un baratro di scrittura, in cui sembra mancare proprio un pezzo fondamentale: l’essere fuori posto dei due personaggi, esplicitato dal loro essere immediatamente richiamati nella loro nuova scuola.

Bradley Pierce, Kirsten Dunst, Robin Williams e Bonnie Hunt in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

Insomma, il film vorrebbe riraccontare la storia di Alan sdoppiandola in due personaggi che si sentono altrettanto fuori posto, ma manca di scene significative in questo senso: avviene tutto fuori scena e la maggior parte della caratterizzazione avviene tramite le battute stesse dei personaggi.

In un certo senso, è come se il film fosse troppo affollato, con i personaggi adulti che soffocano totalmente la presenza dei più giovani, che riescono a smarcarsi dal ruolo di aiutanti incolori solamente grazie all’ottima prova attoriale di una giovanissima Kirsten Dunst.

Ma se fosse una mancanza voluta?

Crescere

Robin Williams in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

Forse non vi stupirà sapere che Jumanji presenta dei punti di contatto piuttosto sorprendenti con Peter Pan.

In un altro senso, Alan è un bambino che non vuole crescere, che non è capace di affrontare le insidie della vita – la pesantezza del suo nome – e, soprattutto, lo snodo fondamentale della sua vita, che lo porterebbe a seguire le orme della famiglia, reagendo in maniera piuttosto capricciosa e irragionevole.

La stessa Jumanji può essere considerata un’occasione di fuga, una versione distorta dell’Isola che non c’è, un parco giochi costruito non sui sogni di un bambino, ma sui suoi incubi: tutte le insidie dell’Africa Nera, tratte dai racconti dei grandi esploratori…

Robin Williams in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

…o, in altro senso, una proiezione delle paure verso il futuro, verso una crescita incomprensibile.

Non a caso, proprio come Peter Pan è tormentato dalla sua maledizione – l’Oblio – così Alan è condannato all’Isolamento, riuscendo effettivamente a sfuggire dalle paure del suo presente, per essere catapultato in una realtà dove deve crescere ancora più in fretta, proprio quando non si sentiva ancora pronto per farlo.

E c’è un altro elemento che conferma questa teoria…

Paura

Un classico delle trasposizioni teatrali – e cinematografiche – di Peter Pan è far interpretare Capitan Uncino e Mr. Darling dallo stesso attore.

E, guarda a caso, in Jumanji Mr. Parrish e Van Pelt sono portati in scena dal medesimo interprete.

Ma c’è di più.

Il padre di Alan è il vettore di questa crescita improvvisa e imposta – andare in collegio – mentre il terribile generale che dà la caccia al protagonista semplicemente perché esiste ricalca le dinamiche di Uncino insegue Pan perché lo stesso rappresenta quello che non può più avere: la spensieratezza dell’infanzia.

Robin Williams in una scena di Jumanji (1995) di Joe Johnston

Ribaltando la situazione, Van Pelt è la rappresentazione di quello di cui Alan ha più paura – e che non vuole affrontare: l’età adulta, come ben racconta l’ultimo momento della sua avventura, in cui finalmente si scontra faccia a faccia col nemico e viene ricompensato con la fine dell’incubo.

Infatti questa scelta finale è la definitiva rappresentazione della maturazione del protagonista, che finalmente accetta non tanto di andare al collegio, ma piuttosto di affrontare la situazione come un adulto capace di ragionare, volendo riallacciare il rapporto col padre non più in maniera antagonistica, ma collaborativa…

…come ben racconta lo scambio finale fra i due:

(Mr. Parrish) Let’s talk over tomorrow. Man-to-man.
(Alan) How about, father to son?

(Signor Parrish) Parliamone domani, da uomo a uomo.
(Alan) E se ne parlassimo come padre e figlio?

Andando quindi a confermare definitivamente come Alan ha imparato la lezione, non volendosi infine sostituire al padre come adulto, ma bensì affidarsi a lui come ancora punto di riferimento per una maturazione più graduale e serena.

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Comico Commedia Dramma familiare Film I classici di Robin Williams

Mrs. Doubtfire – L’amore disgregato

Mrs Doubtfire (1993) di Chris Columbus, noto in Italia anche col sottotitolo imbarazzante di Mammo per sempre, è un classico della cinematografia di Robin Williams.

A fronte di un budget di 25 milioni di dollari, è stato un enorme successo commerciale: 219 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Mrs. Doubtfire?

Daniel è un padre stupendo, sempre presente con i figli, ma molto meno sopportabile come marito. E, una volta sottoposto al divorzio, dovrà prendere altre vie per stare vicino ai suoi amati…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Mrs. Doubtfire?

Robin Williams in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

Assolutamente sì.

Mrs. Doubtfire è una splendida commedia familiare che riesce a riflettere – come già per Chris Columbus in Mamma ho perso l’aereo (1990) – in maniera piuttosto fuori dagli schemi sui modelli di genere, evadendo l’idea stringente della famiglia unita come prerogativa della felicità della stessa.

Tuttavia, un trigger altert è dovuto: come tipico di altri prodotti dell’epoca, è un film apertamente discriminatorio nei confronti della comunità queer, particolarmente delle persone transgender e transessuali, come purtroppo ci si poteva aspettare considerando il tema di fondo.

Eccesso

Robin Williams con i suoi figli in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

Daniel è una forza irrefrenabile.

La prima scena inquadra da sola il personaggio, capace di regalare performance attoriali e vocali giocose e divertentissime, ma incapace di darsi un limite, di accettare le imposizioni esterne, persino a costo di perdere il lavoro.

Un entusiasmo che si conferma nella sequenza del compleanno del figlio, l’ultima goccia che fa definitivamente scoppiare il rapporto con Miranda, che si sente comprensibilmente scavalcata dalla figura del marito e che non riesce più a stare dietro alle sue continue follie.

E qui si apre un punto interessante.

Miranda (Sally Field) in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

Mrs. Doubtfire avrebbe potuto semplicemente fare un’inversione delle parti, in cui la madre era il genitore assente e fissato con la carriera, e invece il padre appariva come il parente presente e attivo nella vita dei figli, nonché l’unico verso il quale andavano le loro attenzioni.

E invece la situazione familiare è ben più sfumata, e racconta un matrimonio che semplicemente non funziona più, ma dei figli che manifestano un attaccamento emotivo ad entrambe le figure genitoriali – non a caso, la madre non vuole mai abbandonarli o lasciarli a se stessi.

Ma c’è di più.

Valore

Nonostante la situazione familiare sia cristallina per noi spettatori, non lo è per la società.

In una sottile critica ad un sistema economico che inquina persino qualcosa di inquantificabile come l’affetto familiare, Daniel viene giudicato un padre poco adatto per la sua situazione economica instabile – e subito da risolvere.

Robin Williams in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

E la scelta del protagonista non solo di accettare un lavoro abbastanza degradante per le sue capacità, ma di affiancarlo anche al lavoro domestico per la sua stessa famiglia, racconta perfettamente il suo imprescindibile bisogno di stare vicino ai suoi figli.

Ed è un valore della pellicola non spingere troppo sul lato della incapacità iniziale del personaggio maschile di non saper condurre l’economia domestica, utilizzandola solamente come spunto per qualche gag, ma risolvendola rapidamente con l’impegno del personaggio nel migliorarsi per il bene dei suoi figli.

Così i ruoli della storia non sono mai così netti.

Colpa

Robin Williams e Pierce Brosnan in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

Daniel non è esente dalle colpe.

Ed è importante che lui stesso le riconosca.

In un altro contesto – come l’indimenticabile Genitori in trappola (1998) – si potevano facilmente giustificare i dispetti del protagonista nei confronti del nuovo interesse romantico di Miranda, e si poteva rendere lo stesso un evidente insidiatore della famiglia.

Al contrario Stuart è fin da subito raccontato come un personaggio attento e amorevole, capace di cambiare il suo punto di vista sui bambini per amore di Miranda, e per questo non merita davvero di essere punito da Daniel – che infatti si discolpa salvandolo dal rischio di soffocamento da lui stesso provocato.

Robin Williams in una scena di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

In generale, la grande mascherata del protagonista è davvero maligna, in quanto mette la moglie in una posizione veramente complessa da accettare, tanto che la risoluzione felice del film non è immediata, ma anzi passa per un ulteriore scontro fra i due. 

E per questo il ritratto familiare che si compone alla fine è tanto più importante quanto durante tutto il film Daniel si è dimostrato un adulto attento alle esigenze dei suoi figli, e per questo viene infine ricompensato con un programma televisivo tutto suo e un felice compromesso per stare con i suoi bambini…

Robin Williams nella scena finale di Mrs. Doubtfire (1993) di Chris Columbus

…nonostante questo non preveda di ritornare con la moglie.

Il finale di Mrs. Doubtfire è infatti quasi avanguardistico nel raccontare come una famiglia possa trovare la propria felicità anche al di fuori di un matrimonio solido e di una presenza costante di entrambi i genitori, aprendo le porte a più tipi di nuclei familiari che, oggi come ieri, non sono sempre considerati adatti.

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Avventura Azione Cinema per ragazzi Commedia Dramma familiare Drammatico Fantastico Film I classici di Robin Williams Il rinnegato Steven Spielberg

Hook – Ti ricordi, Peter?

Hook (1991), in Italia conosciuto anche con il sottotitolo Capitan Uncino, è uno dei film per ragazzi più iconici non solo della filmografia di Steven Spielberg, ma in generale di tutta la produzione cinematografica degli Anni Novanta.

Nonostante il buon riscontro commerciale – circa 300 milioni di dollari a fronte di 70 milioni di budget – incassò ben al di sotto delle aspettative, e lo stesso Spielberg si dimostrò insoddisfatto del risultato.

E i motivi non sono difficili da immaginare…

Di cosa parla Hook?

Peter Banning è un avvocato aziendale, del tutto assorbito dal suo lavoro e incapace di passare del tempo con i suoi figli. Ma il passato sta venendo a bussare alla porta…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Hook?

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Assolutamente sì.

L’insuccesso commerciale di questa pellicola è spiegabile proprio per il tono del film, che si allontana quasi immediatamente dal target infantile, inserendo alcuni elementi non solo poco adatti ad un pubblico di bambini – come la violenza e la morte – ma temi proprio non pensati per loro.

Infatti, Hook è una rilettura intelligente e consapevole della fiaba di Peter Pan, ma il cui protagonista rappresenta non un bambino troppo cresciuto, ma un adulto, un padre che deve riscoprire la meraviglia dell’infanzia e la bellezza del calore familiare.

Insomma, da adulti probabilmente lo apprezzerete di più.

Oblio

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Nell’incipit di Hook Peter è immerso nell’oblio.

Una caratteristica del protagonista che denota una profonda conoscenza dell’opera letteraria – l’oblio rappresenta l’altro lato dell’infanzia perpetua della sua controparte letteraria – e che permette di mettere in scena un primo atto per molti tratti agrodolce.

Il lato più drammatico è l’incapacità di Peter di rimanere bambino, arrivando fino a disprezzare proprio il concetto di infanzia, in particolare adirandosi davanti ai comportamenti infantili del figlio maggiore, mostrandosi interessato – anzi ossessionato – unicamente alla sua noiosa vita adulta.

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Un gustoso paradosso che spesso sfocia anche nella comicità.

Particolarmente spassoso in questo senso il terrore del protagonista all’idea di salire su un aereo – il quale, ad un livello più profondo, racconta la totale perdita di spensieratezza che caratterizzava il vecchio Peter – e che gli permetteva di volare.

Al contempo, il protagonista è circondato dai suoi simboli identitari: oltre alla costante dimenticanza dei nomi dei personaggi che lo circondano, la sua ombra rivelatoria è sempre in agguato, la moglie prende il nome dalla nonna – Moira – col primo apice drammatico nella realizzazione di Wendy:

So Peter you became a pirate!

Peter, sei diventato un pirata!

Rivelazione

La rivelazione di Peter avviene in due parti.

Anzitutto tramite Wendy, che rappresenta una riscrittura piuttosto arguta del personaggio, togliendole il peso di quella maternità piuttosto costrittiva che la caratterizzava nel romanzo, e trasferendolo all’interno di tema più generale e meno opprimente – l’accoglienza degli orfani.

Il suo personaggio è un elemento chiave per un primo riavvicinamento di Peter alla verità sulla sua natura, prima sottilmente nelle diverse punzecchiature, poi più esplicitamente, mostrando direttamente al protagonista quello che è stato.

Ma ancora più fondamentale è l’intervento di Trilli.

Anche nel romanzo la fatina è sempre stata una compagna essenziale nella storia di Peter Pan, nonostante i numerosi contrasti fra i due, ed è emblematico che sia lei stessa a riportarlo nell’Isola che non c’è…

…andando così a risolvere un problema di fondo che altrimenti avrebbe rovinato la narrazione: ricordarsi come si vola è un passaggio fondamentale dell’arco evolutivo del protagonista, e come tale può arrivare solo nell’atto finale.

Annullamento

Dustin Hoffman in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

L’Uncino di Dustin Hoffman è un personaggio profondamente drammatico.

Nonostante non si tocchino i toni più tragici del personaggio di Jason Isaacs in Peter Pan (2003), anzi si cerchi in più momenti di ammorbidire la sua figura, il Capitano presenta una personalità malinconica, a tratti persino autodistruttiva.

Infatti, sotto alla patina di umorismo che il film propone, intravediamo un adulto disilluso e avvilito, che si rifugia nell’assurdo desiderio di vendetta nei confronti di Peter Pan – che rappresenta quello non è e che non può essere – nonostante lo stesso non ne abbia più interesse.

Per questo è tanto più interessante quando inconsapevolmente cerca di rubare a Peter il suo sogno.

Tramite una dinamica anche piuttosto tipica, con un tono ancora fortemente agrodolce, Uncino cerca di mettere Jack contro il padre, proprio andare a fare leva sulle mancanze del protagonista come genitore, cercando in qualche modo di prenderne il posto.

Un’idea che si traduce nell’iconica e meravigliosa sequenza della partita di baseball – uno dei momenti di più intelligente attualizzazione dell’opera letteraria – e nelle divertentissime lezioni con cui il villain avvelena la mente del ragazzino.

Dustin Hoffman in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Ancora più interessante il fatto che il suo personaggio non si affezioni mai veramente a Jack, dimostrando ancora più profondamente la sua incapacità di amare, la quale gli impedisce di trovare un riscatto – l’essere padre – nella sua realtà adulta.

Un totale annullamento che porta – a quanto pare più volte – Uncino a decidere di farla finita, non trovando più nessuna soddisfazione nella sua condizione attuale, ma ricercando nella morte, l’unica avventura a cui può ancora ambire.

Riscoperta

Il secondo atto di Hook è geniale.

Particolarmente intelligente anzitutto reimmaginare il covo dei Bimbi Sperduti, trasformandolo in niente di più che un quartiere periferico di New York, e riuscendo così a rappresentare la multiculturalità già propria del periodo di uscita del film.

Così si alternano momenti profondamente commoventi – come quando uno dei bimbi sperduti riconosce Peter – e sequenze più comiche, in particolare quando si cerca di far volare il protagonista, con delle dinamiche tipiche dei film per ragazzi del periodo.

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Ma il primo momento di rivelazione è ancora più significativo.

La maggior parte dell’opera di Peter Pan si basa sulla finzione giocosa che scandisce i rapporti fra il protagonista e i Bimbi Sperduti, particolarmente per la cena immaginaria, che nel film è il primo momento in cui Peter riesce effettivamente a capire il potere dell’immaginazione.

Ma l’epifania è rappresentata dall’effettiva riscoperta del suo passato, in particolare della figura di Wendy, e del motivo che gli aveva fatto infine abbandonare l’Isola che non c’è, ovvero una felicità ignota, ma incredibilmente appagante: la paternità.

Ma è una rivelazione rischiosa…

Insidia

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Il ricordo del passato è il primo passo per un ulteriore oblio.

La condizione di totale spensieratezza di Peter Pan nell’opera letteraria rappresentava proprio il perdersi totalmente nei sogni d’infanzia, dimenticandosi di tutto il resto: così in Hook Peter Pan rischia di dimenticarsi della sua stessa famiglia.

Ancora fondamentale, quando struggente, è l’intervento di Trilli, che rappresenta l’altro lato della scoperta felice di Peter: come il protagonista prende il posto della Wendy letteraria – che riscopre il valore di una condizione che aveva finora disprezzato…

…allo stesso modo la fata prende il posto del Peter letterario, sentendosi esclusa dalla nuova vita del suo compagno di avventure, nonostante nella stessa sperava forse di trovare la maturità sentimentale che gli avrebbe permesso di condividere una vita insieme.

Una maturità che la stessa Trilli trova, anche solo per un momento, diventando abbastanza grande per poter contenere nel suo corpo un sentimento così importantele fatine sono troppo piccole per contenere più di un sentimento alla volta – ma inutilmente…

Equilibrio

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Nonostante lo straripante entusiasmo del protagonista, il suo punto di arrivo è all’insegna dell’equilibrio.

Nell’ultimo atto Peter non ha alcun altro interesse se non ricomporre la sua famiglia, mostrandosi del tutto indifferente davanti alle richieste di Uncino, che vorrebbe invece trovare sfogo per la sua personale ossessione.

Robin Williams in una scena di Hook (1991) di Steven Spielberg

Così, mentre Peter è già sulla via di casa e gli volta le spalle, Uncino lo trascina in un duello che inevitabilmente perde, rivelandosi come nient’altro che un vecchio ridicolo, che non riesce a trovare nessuna piacevolezza nella sua vita – e mai la troverà.

Infine, nel suo ritorno a casa, il protagonista mantiene la sua ritrovata felicità e eccitazione, ma senza cadere nel totale oblio che viveva in giovane età, ma trovando una buona via di mezzo.

Ovvero, essere un adulto, ma anche un padre affettuoso, non dimenticandosi della creatività e dell’immaginazione che teneva in vita il suo personaggio.