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Scream 3 – Una rara conclusione

Scream 3 (2000) di Wes Craven è il terzo capitolo della saga omonima, che chiude quella che potremmo chiamare la trilogia originale, che venne poi ripresa nel 2011 con Scream 4 e poi ancora nel 2022 con Scream 5.

Il capitolo che, insieme al successivo, ebbe il maggiore budget della saga: ben 40 milioni, ben ricompensato da un incasso complessivo di 161 milioni di dollari.

Di cosa parla Scream 3?

Dopo gli avvenimenti del precedente film, Sidney vive in una vita appartata, nascosta da tutti, per paura di essere di nuovo presa di mira da Ghostface. Tuttavia l’incubo non è finito, con anche la scoperta del passato misterioso della madre…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

https://www.youtube.com/watch?v=tyABaaJCRRs&ab_channel=GhostfaceItalia

Vale la pena di vedere Scream 3?

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Per quanto mi riguarda, il terzo capitolo di Scream è anche più interessante del precedente, con una costruzione più mirata e pensata, che è riuscita ad evitare un importante scivolone nel trash, pur esplorando il topos piuttosto tipico di scoperta del passato oscuro dei personaggi, che invece ha una risoluzione semplice ma efficace.

Un film che gioca veramente tanto con lo spettatore e con le sue aspettative, creando un fantastico dialogo metanarrativo fra i personaggi in scena e il film stesso, con un buon esempio di chiusura di una trilogia con poche sbavature.

Insomma, se vi è piaciuto Scream finora, non ve lo potete perdere.

Dialogare con il film

Liev Schreiber in scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Il tratto metanarrativo di Scream 3 si arricchisce con un elemento nuovo: i personaggi che sembrano dialogare con i creatori stessi del film, tanto più quando sono i personaggi di Stab 3, con un cortocircuito mentale di grande eleganza e genialità.

Si comincia subito con la battuta di Cotton

Why can’t these guys write me a fucking decent part?

Perché non sono capaci di scrivermi una parte decente?

facendo riferimento narrativamente a Stab 3, ma in realtà metanarrativamente proprio al suo ruolo in Scream 2 quanto nel terzo capitolo: nel film precedente era alla stregua del comico-grottesco, mentre in questo capitolo è una delle prime vittime.

Jenny McCarthy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

Così Sarah, che nel film interpreta Candy, la classica vittima dei film horror di serie b, e che infatti dice:

I’m Candy, the chick the gets killed second

Sono Candy, la sgallettata che viene uccisa per seconda

e infatti è la seconda vittima. Così anche il Detective Kincaid, che fa riferimento a come i killer di solito diano la caccia ai poliziotti che indagano sui loro casi.

Usually one cop makes it

Di solito uno dei poliziotti sopravvive

dice quasi un po’ con speranza. E nel finale rischia non poco di non essere così fortunato.

Il pericolo del trash

Jamie Kennedy in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

The past will come back to bite you in the ass

Il passato si ritorcerà contro di te

Un grande pericolo che ho percepito, soprattutto nella sequenza della cassetta di Randy, era il rischio che volessero strafare, e quindi di ricadere nel trash più putrido. Secondo le sue stesse parole, il terzo film di una saga horror è raro che venga prodotto.

Ma, quando succede, è un film con i fuochi d’artificio.

In particolare l’elemento più pericoloso era l’idea di indagare il passato della madre di Sidney, che poteva scadere nelle più terrificanti dinamiche da soap opera. Invece si è scelto di raccontare una backstory abbastanza semplice e credibile, in cui semplicemente la madre era un’aspirante attrice divenuta vittima delle ben note dinamiche di sfruttamento sessuale di Hollywood.

Il topos del killer imbattibile

Ghostface in una scena di Scream 3 (2000) di Wes Craven

You’ve got a killer who’s gonna be superhuman

Il killer è come un super umano

È tremendamente attuale il racconto che Scream 3 fa del topos del killer imbattibile: basti solo pensare che la questione è diventata quasi un meme per il personaggio di Michael Myers nella nuova trilogia di Halloween, dove torna sempre in vita, nella maniera più ridicola e incredibile che potete immaginare.

E senza voler essere divertenti.

In questo caso effettivamente il killer sembra effettivamente imbattibile, ma c’è una giusta ragione: si è attrezzato con una tuta antiproiettile. Tuttavia, una volta scoperto, basta semplicemente sparargli alla testa per riuscire effettivamente a batterlo.

Anche se comunque, in maniera ovviamente comica, Ghostface torna in vita.

Il buon finale per Sidney

Anyone, including the main character, can die

Chiunque, compreso il personaggio principale, può morire

Per mettere un po’ di pepe alla narrazione, all’interno del film si nomina la possibilità che la protagonista, la scream queen, possa effettivamente rischiare la vita e perdere del tutto la plot-armor che la definisce.

Ed infatti sembra che Sidney rischi più volte la vita, e, ad un certo punto, sembra davvero morta, ma utilizza lo stesso trucco del killer: si è protetta con la tuta antiproiettile ed effettivamente scompare dopo che è sembrato essere morta, cogliendo contropiede il killer stesso.

Una scelta che ho trovato veramente geniale.

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Scream 2 – I sequel fanno schifo?

Scream 2 (1997) di Wes Craven è il sequel dell’omonimo prodotto uscito l’anno precedente: a fronte del grande successo commerciale della prima pellicola, non poteva che esserci un secondo film.

Per il secondo film il budget fu in proporzione molto aumentato (da 15 a 24 milioni), con quantomeno una conferma del successo, nonostante l’incasso leggermente inferiore di 172 milioni di dollari (il primo ne aveva incassati 183).

Di cosa parla Scream 2?

Qualche anno dopo le vicende del primo film, Sidney è al collage e cerca di condurre una vita normale. Ovviamente questo non è possibile, perché l’incubo che ha vissuto sembra concretizzarsi nuovamente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream 2?

Assolutamente sì.

Per quanto possiate odiare i sequel, non fermatevi al primo film: Scream 2 è un prodotto con una grande dignità, che conferma la genialità della metanarrativa del primo film, arrivando a prendersi in giro in maniera decisamente brillante.

L’unico avvertimento, e che mi ha leggermente deluso, è il fatto che l’elemento metanarrativo è più forte, ma molto meno presente rispetto alla prima pellicola, risultando complessivamente un prodotto più dispersivo, complice anche la durata maggiore.

Comunque, vale assolutamente la pena di recuperarlo.

I sequel fanno schifo?

Stab 2? Who wanna do it? Sequels suck

Stab 2? Ma chi lo vuole. I sequel fanno schifo.

Il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio, come d’altronde l’argomento all’interno della pellicola. Un’intera sequenza è dedicata a questo tema, in cui si condanna esplicitamente i sequel degli horror, che hanno rovinato il genere

The entire horror genre was destroyed by sequels

L’intero genere horror è stato distrutto dai sequel

La forza di Scream 2 è la sua capacità di voler essere alternativo ai topos che definisco i sequel del genere, come spiega Randy:

The body count is always bigger […] The death scenes are always much more elaborate.

Il numero dei morti è sempre maggiore […] Le scene di morte sono più elaborate

Infatti, sicuramente possiamo dire che il conto delle morti è decisamente maggiore, e per certi versi anche giustificato: il killer in questo caso non aveva specificatamente in mente di uccidere Sidney, ma di costruire un caso e un grande scandalo. D’altronde, come spiega molto bene

It’s a classic case of life imitating art imitating life

È un classico caso della vita vera che imita l’arte che imita la vita vera

La genialità di Stab

Tutta la sequenza iniziale è, oltre che divertentissima, assolutamente geniale.

Anzitutto perché il titolo così stupido (come sottolineato dagli stessi personaggi) del film nel film, ironizza in realtà anche col titolo del franchise stesso.

Insomma, Stab è un titolo tanto più stupido di Scream?

Ma è un elemento intrinseco della narrazione, che vuole parodiare, senza mai cadere nel ridicolo, tutto il filone horror. E anche in questo caso ci riesce perfettamente, particolarmente nelle scene di Stab che sono le versioni cheap del primo film.

I personaggi afroamericani sono dei token?

Un elemento altrettanto interessante della prima sequenza del film è il discorso riguardo alla poca presenza di attori afroamericani all’interno del genere horror.

E in questo senso il film fa una scelta molto intelligente.

Oltre a dedicare una delle parti più importanti e significative della pellicola proprio a degli attori neri, la pellicola ha cercato di includerne il più possibile nel cast dove c’era spazio, azzoppato dal fatto di dover recuperare i personaggi del film precedente, che erano tutti inevitabilmente bianchi.

Tuttavia, lodevole il tentativo di includere personaggi secondari interpretati da attori afroamericani con significato e un ruolo preciso nella pellicola, non stereotipati e soprattutto non le prime vittime della situazione. Anzi, il cameraman si defila dalla situazione proprio per non diventare una vittima.

Si potrebbe discutere all’infinito se questi personaggi non fossero altro che dei token, ma per il tempo in cui è uscita la pellicola è stato un passo avanti interessante e lodevole.

Costruire un finale efficace

Serial killer are typically white males

I serial killer di solito sono uomini bianchi

Uno dei punti più alti del primo film era il finale, in cui si parlava ancora più metanarrativamente dei finali dei film horror. E in questo caso il film ha deciso di puntare ancora più in alto.

Anzitutto sono riusciti a portare sempre una coppia di killer con motivazioni diverse, ma che coprono tutte le necessità del film. Abbiamo da una parte un personaggio esageratissimo che racchiude al suo interno tutte le già citate necessità di raccontare un sequel.

Dall’altra abbiamo un killer ancora con motivazioni molto terrene come nella prima pellicola, fra l’altro andando a portare una serial killer donna, cosa che, per ammissione dello stesso film, è molto raro.

E, nonostante sia stata una sequenza estremamente e volutamente violenta, la scelta dei protagonisti che sparano gli ultimi colpi di pistola (dovuti e precauzionali) sui loro corpi, con tanto di Mickey che riprende improvvisamente vita come da buon cliché di un qualsiasi horror.

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Scream – E così nasce l’anti-horror

Scream (1996) di Wes Craven è il primo capitolo della saga anti-horror omonima, un cult ancora oggi. E un cult non a caso: nel momento della saturazione del genere horror, Craven decise di portare qualcosa di profondamente diverso.

Una pellicola che non avevo mai recuperato negli anni, ma che ho avuto il piacere di ricoprire, in attesa anche del nuovo capitolo in uscita il prossimo anno, Scream 6 (2023).

Un film fatto con poco (appena 15 milioni), ma che fu immediatamente un successo commerciale, incassando 183 milioni di dollari, il maggior incasso del 1996.

Di cosa parla Scream?

È passato quasi un anno dalla morte della madre di Sidney, che non riesce a superare la sua scomparsa, i cui dettagli sono ancora fumosi. Un serial killer comincia a minacciare la sua vita e la comunità, con degli strani collegamenti con l’omicidio della madre…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Scream?

Drew Barrymore in una scena di Scream (1996) di Wes Craven

Assolutamente sì.

Nonostante sia un film di quasi trent’anni fa, Scream è ancora assolutamente godibile. Ovviamente non vi dovete aspettare un horror autoriale alla Nope (2022), ma un prodotto che si inserisce efficacemente nel filone dell’horror commerciale, pur deridendolo.

In particolare, ve lo consiglio se siete particolarmente appassionati all’horror slasher degli Anni Settanta – Ottanta, che la pellicola cita continuamente.

E nella maniera più metanarrativa che possiate immaginare.

Giocare con la metanarratività

Più si prosegue nella narrazione, più le citazioni e i riferimenti agli horror cult si moltiplicano, andando a dialogare direttamente con il film stesso. Il momento più alto è quando Bill dice a Sidney

It’s all…one great big movie

È tutto un grande incredibile film

E da lì è tutto in discesa.

Si sprecano poi i parallelismi con Halloween (1978), in particolare in due momenti: quando, davanti alla scena in cui la protagonista si sta spogliando, il montaggio alternato ci mostra Sidney che fa lo stesso nell’altra stanza. E poi quando Randy urla alla protagonista del film

Jamie, look behind you!

Jamie, dietro di te!

e ha lui stesso il killer alle spalle che lo sta per uccidere. Infine, altrettanto memorabile quando sempre Randy, mentre stanno guardando Bill a terra apparentemente morto, ricorda:

This is the moment when the supposed dead killer come back to life

Questo è il momento in cui il killer che dovrebbe essere morto torna in vita

e infatti Bill torna in vita e Sidney gli spara, chiosando

Not in my movie.

Non nel mio film.

Ci sono anche momenti più gustosamente umoristici, come quando il preside parla con il bidello, che si chiama Fred ed è vestito come Freddy Krueger della saga di horror Nightmare.

Uscire dagli schemi

Matthew Lillard e Skeet Ulrich in una scena di Scream (1996) di Wes Craven

Scream riesce ad essere diverso dal canone non solo a parole, ma anche nei fatti. Anzitutto, portando una violenza al limite dello splatter e del grottesco, che non appare finta, con anche una certa ironia che sdrammatizza molte scene di tensione.

Fra tutte, piuttosto indovinata la scena prima della morte di Tatum, in cui lei crede che il killer sia uno scherzo e gli chiede se vuole che sia la sua vittima. E anche, più in piccolo, quando Sidney è chiusa in macchina e il killer le sventola davanti alla faccia le chiavi che stava cercando per scappare.

Ma soprattutto è originale la scelta di mettere una coppia di killer e soprattutto di non appiattire gli stessi sull’immagine di personaggi pazzi e con un passato tormentato, assegnandogli invece motivazioni più semplici e terrene.

Ma il colpo di genio è stato fare in modo che il sospettato numero uno fosse effettivamente il colpevole, e non un modo per confondere lo spettatore. Spettatore, fra l’altro, ormai abituato a questo tipo di dinamica e che non si sarebbe lasciato facilmente ingannare.

Una regia non scontata

Tutt’oggi l’horror commerciale – sempre con splendide eccezioni – è caratterizzato da produzioni da discount, per cui di solito si mettono alla regia dei semplici mestieranti che portano una messinscena molto mediocre, con spesso anche una sceneggiatura molto scontata.

Al contrario Wes Craven riesce a plasmare la messa in scena con una regia dinamica e interessante, con anche tocchi registici piuttosto peculiari, come il particolare sul riflesso del killer negli occhi del Preside prima di morire.

E in generale è una regia che gioca molto di inquadrature improvvise e con insistenti primi piani stretti.