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She’s the man – Bloccati in un genere

She’s the man (2006) di Andy Fickman è un teen movie con protagonista Amanda Bynes, ispirato all’opera shakespeariana La dodicesima notte.

A fronte di un budget piuttosto contenuto – appena 20 milioni di dollari – non ha avuto un grande riscontro al botteghino: circa 57 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla She’s the man?

Viola è una bravissima giocatrice di calcio, limitata da un unico fattore: essere una femmina. E per questo cercherà vie alternative per riscattarsi…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere She’s the man?

Amanda Bynes e Channing Tatum in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Assolutamente sì.

She’s the man è uno di quei teen movie veramente da riscoprire, che riuscirono in tempi non sospetti ad aggiungere qualcosa di nuovo ad un genere che ha invece la tendenza a ripetersi, anticipando le tendenze future.

Infatti all’interno di una commedia molto leggera e spensierata, è inserita un’importante riflessione sui ruoli di genere, rimessi pesantemente in discussione, cercando il più possibile di evadere modelli e personaggi tipizzati che solitamente affollano questo tipo di film.

Insomma, da riscoprire.

Definizione

Amanda Bynes in una scena in spiaggia di She's the man (2006) di Andy Fickman

L’incipit di She’s The Man è fondamentale.

Fin da subito la protagonista è presentata come personaggio piuttosto peculiare, soprattutto in quel periodo: non la classica ragazza sfigata che deve trovare la sua identità, ma piuttosto un incontro fra diversi elementi che raramente si vedono integrati nella protagonista di un teen movie.

Amanda Bynes in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Ovvero, una ragazza piuttosto sicura di sé e già coinvolta in una relazione romantica – di cui tra l’altro sembra tenere le redini – e, al contempo, un maschiaccio, in quanto più orientata verso interessi stereotipicamente maschili.

Una presentazione fondamentale per arrivare al primo punto di rottura della pellicola: non solo l’eliminazione della squadra di calcio, ma l’umiliazione di non essere considerata al pari della squadra maschile – sminuendo per estensione la stessa protagonista…

…e portando di conseguenza al distacco dal sistema e da Justin, da cui si sente ugualmente tradita.

Seminato

Sulla carta, la protagonista ha una sola alternativa possibile.

Ovvero, la proposta dalla madre, che nasconde molto goffamente il suo sollievo per la cancellazione della squadra, sperando che la figlia arrivi finalmente ad abbracciare invece un modello femminile piuttosto classico, che la protagonista sembra rigettare in toto.

Amanda Bynes in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Invece, il destino sembra essere dalla parte di Viola, suggerendole una strada alternativa, perfettamente apparecchiata per essere percorsa: assorbire in tutto e per tutto il modello maschile e colmare il vuoto lasciato dal fratello – altro personaggio in fuga da un modello imposto.

E già da qui la pellicola comincia un discorso piuttosto interessante…

Modello

Amanda Bynes in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Il modello maschile è fin da subito messo in discussione.

Come spesso questi film raccontano stereotipi femminili piuttosto ridondanti, in questo caso invece la situazione si ribalta, portando in scena una visione piuttosto ingenua e stereotipata del mondo maschile, ridotto ad uno uno stock di dinamiche incredibilmente stereotipiche.

Infatti la protagonista, nel suo allentamento per diventare un maschio credibile, cerca di imitare una serie di comportamenti che lei considera rappresentativi del mondo maschile, ma che invece via a via si riveleranno solamente la superficie di un una cultura machista unicamente dannosa.

Amanda Bynes in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Ma sono dei modelli fragili.

Infatti, fin dalla sua prima entrata in scena nelle nuove vesti, la protagonista risulta fuori luogo e forzata – in maniera molto ironica, visto che i primi personaggi maschili che incontra corrispondono perfettamente, almeno dal punto di vista estetico, allo stereotipo del maschio alpha.

E invece queste figure hanno molto da raccontare…

Successo

Amanda Bynes e Laura Ramsey in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

La chiave del successo di Viola è cangiante.

Da una parte, la protagonista risulta attraente agli occhi di Olivia proprio perché non rispecchia realmente il modello maschile che vorrebbe incarnare, ovvero del maschio potente, dall’emotività inscalfibile e che non può e non deve mai ammettere le sue debolezze.

Al contrario Viola, che rappresenta invece le aspettative sociali del femminile, può permettersi di mostrarsi deboli e di discutere di determinati argomenti stereotipicamente propri del genere di appartenenza, risultando nella sua diversità decisamente interessante.

Amanda Bynes e Channing Tatum in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Al contrario per il mondo maschile Viola risulta inizialmente solo respingente, anzi estremamente fuori luogo proprio per i suoi comportamenti eccessivi e forzati, che la riducono ad una macchietta con cui nessuno vuole avere a che fare.

E quindi infine l’unico modo per avere l’attenzione del microcosmo maschile è di mettere in scena un assurdo teatrino in cui non solo le sue amiche si prestano per interpretare le sua vecchie fiamme, ma in cui la stessa Monique diventa l’elemento di conferma per il nuovo status di dongiovanni di Viola.

Ma è solo la condizione necessaria per realizzare il suo sogno.

Traguardo

She’s the man riesce ad evitare un errore molto comune in questo tipo di film.

Ovvero, la fastidiosa tendenza a semplificare eccessivamente il percorso di maturazione della protagonista, presupponendo in un certo senso che la stessa non debba fare un particolare sforzo per raggiungere il suo obbiettivo.

In questo caso invece, per quanto Viola sia indiscutibilmente talentuosa, si deve comunque scontrare con un una realtà – il calcio maschile – in cui inizialmente non risulta vincente, venendo così relegata alle riserve.

Così la via del miglioramento si articola in una dinamica piuttosto classica: lo scambio di favori fra due personaggi – molto popolare nell’ambito enemy to lovers – in cui Viola aiuta Duke a conquistare Olivia in cambio di un allenamento intensivo.

E su questo punto c’è da fare un discorso a parte…

Interiore

Amanda Bynes in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Il tema della bellezza interiore non è niente di nuovo per il genere.

Solitamente però viene articolato in una narrazione piuttosto banale di competizione fra due modelli di femminilità: la mean girl superficiale ed egoista, e la ragazza sfigata e intelligente – un esempio molto classico è lo scontro fra Taylor e Laney in She’s all that.

Invece all’interno di She’s the man vengono presentati più modelli femminili possibili, e nessun personaggio viene condannato solamente per appartenere ad uno o l’altro, ma piuttosto per la propria insista natura di villain.

Amanda Bynes e Channing Tatum in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

In questo senso, sia Monique e Olivia rappresentano due modelli di iperfemminilità

…ma solamente la prima è un personaggio negativo, proprio perché si dimostra fin dall’inizio superficiale e arrogante, prendendo fra l’altro parte al duo maleficio con Malcom, che cerca infine di umiliare e punire la protagonista per il proprio tornaconto personale.

Aspetto

Channing Tatum in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Viola non si innamora di Duke per il suo aspetto.

Solitamente in una dinamica in cui la protagonista emarginata si innamora di un ragazzo impossibile, l’attrazione in prima battuta è dovuta all’aspetto fisico, e solo in secondo luogo alla personalità effettivamente interessante dello stesso – come in Un compleanno da ricordare (1984).

Invece all’inizio Viola non è attratta da Duke, ma lo diventa nel corso della pellicola quando comincia a conoscerlo come persona, soprattutto al di là di quello stereotipo castrante che il ragazzo cerca in tutti i modi di evadere, mostrando invece il suo lato più fragile e sensibile.

Una fragilità che si può in questo senso direttamente ricollegare alla pesantezza delle aspettative sociali: come Duke sente di dover aderire ad un modello, così la sua difficoltà nell’accettarlo lo porta ad essere estremamente insicuro nell’approcciarsi alla sua ragazza dei suoi sogni.

Ma ci sono delle relazioni che semplicemente non sono fatte per esistere.

Equivoci

L’atto centrale mette in luce tutte le difficoltà relazionali.

Una classica commedia degli equivoci, che però intraprende anche nuove strade per raccontare e definire i personaggi, in particolare i due villain, Monique e Justin: entrambi dimostrano un atteggiamento possessivo e ossessivo, derivato dal loro non avere più il controllo su relazioni ormai finite.

Ed entrambi sono la miccia si risse scatenate per il medesimo motivo, che, per una volta, non sono esclusiva del maschile, ma coinvolgono nella scena immediatamente successiva anche il femminile, che si scontra nel bagno del country club.

Ma altrettanto immaturi sono anche i personaggi positivi.

Impossibilitati ad avere in breve tempo le relazioni dei loro sogni, i protagonisti ricorrono ad una serie di sotterfugi e illusioni autoindotte per ottenerli: così Viola cerca di spingere Duke lontano da Olivia e più verso sua sorella, mentre Olivia strumentalizza Duke per avere le attenzioni di Sebastian.

Ma la maturazione dei personaggi sta proprio nel comprendere i limiti di queste dinamiche – a cominciare dall’appuntamento fallimentare fra Olivia e Duke – scegliendo infine la via più diretta e semplice per mostrare il loro interesse nei confronti delle loro fiamme…

…anche se così si creano non poche incomprensioni che portano all’atto finale.

Rivelazione

L’atto finale è scatenato dall’arrivo di un elemento inaspettato.

Ovvero, il vero Sebastian che fa capolino in scena.

Così il momento dello scioglimento, solitamente dedicato al ballo scolastico, vede invece come protagonista la partita di calcio, in cui la commedia degli equivoci si scatena nella sua forma più pura, con Sebastian che prende involontariamente parte al match fondamentale per la sorella.

Un equivoco nell’equivoco che porta infine alle diverse rivelazioni, in cui i fratelli Hastings mostrano tutta la loro sfrontatezza nell’esibire l’unico elemento che sembra convincere effettivamente il pubblico del loro genere si appartenenza: i tratti sessuali primari e secondari.

Amanda Bynes e Channing Tatum in una scena di She's the man (2006) di Andy Fickman

Ma questo non basta per sciogliere tutti i nodi.

Le vere sfide per Viola sono ancora tutte da giocare: prima la vittoria morale nei confronti di Justin – e di tutto quello che rappresenta – non lasciandosi intimidire dalle parole di umiliazione con cui il suo ex-ragazzo cerca di farle sbagliare il gol decisivo.

E, infine, l’effettiva conquista di Duke, che accetta la lezione fondamentale del film: andare oltre le apparenze e ossessioni per avvicinarsi a persone che ci desiderano realmente per quello che siamo, e non per quello che rappresentiamo.

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Freaky Friday – Dall’altra parte

Freaky Friday (2003) di Mark Waters, anche noto come Quel pazzo venerdì, è un teen movie cult con protagoniste Lindsay Lohan e Jamie Lee Curtis.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – circa 30 milioni di dollari – è stato un ottimo successo commerciale, con 160 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Freaky Friday?

Un’adolescente rockettara e una madre in carriera possono capirsi? Sì, ma solo se si scambiano di posto…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Freaky Friday?

Lindsay Lohan e Jamie Lee Curtis in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

In generale, sì.

Freaky Friday è un teen movie veramente molto classico, che racconta lo spostamento dell’attenzione del genere dalla figura paterna – positiva a quella materna – negativa, e, più in generale, un importante conflitto fra due generazioni che sembrano non riuscire a comunicare.

Una pellicola sostanzialmente comica, che è retta sulle spalle dalla inaspettata (?) verve comica di entrambe le attrici protagoniste, capaci di portare in scena personaggi così paradossali senza mai cadere nel ridicolo, anzi mostrandone anche i lati più drammatici.

Insomma, dategli una possibilità.

Conoscenza

Lindsay Lohan in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Freaky Friday è perfettamente diviso nei tre atti canonici.

Nel primo atto lo spettatore ha l’importante ruolo di osservare quei due personaggi così agli antipodi, vedendo quei lati a cui anche di cui le due sembrano totalmente ciechi: anzitutto Anna, l’effettiva vittima di diversi personaggi che gli sono inspiegabilmente ostili.

Un fratello dispettoso – ma i cui dispetti sembrano del tutto invisibili alla madre – una ex-migliore amica diventata inspiegabilmente vendicativa, e un professore bullo che la punisce nonostante sia inequivocabilmente la migliore della classe.

Lindsay Lohan e Jamie Lee Curtis in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Una situazione ancora più insostenibile dal momento che la madre, Tess, sembra del tutto cieca davanti a questa situazione, pensando che la figlia sia solamente una drama queen che pensa che tutto il mondo sia contro di lei.

E, molto ironicamente, la stessa Anna pensa che la madre abbia una vita perfetta, quando noi assistiamo come la stessa in realtà debba sopportare non poiché pressioni, non ultima la responsabilità di avere sulle spalle la fragile salute dei suoi pazienti.

E, arrivati al momento di massimo conflitto e incomprensione, avviene il miracolo.

Realizzazione

Lindsay Lohan e Jamie Lee Curtis in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Il secondo atto è il momento della realizzazione.

Trovandosi nel corpo dell’altra, entrambe hanno l’occasione per vedere la realtà da un nuovo punto di vista: Tess ritorna per un giorno ad essere un’adolescente, pensa di avere tutta la situazione sotto controllo, di poter ricucire il rapporto con Ashley e di superare brillantemente il test…

…ma invece, inaspettatamente, capisce e risolve l’antipatia del professore contro la figlia, dovuta ad una infantile vendetta con vent’anni di ritardo, e diventa vittima della perfidia della vecchia amica di Anna, che la fa finire ingiustamente in punizione.

Lindsay Lohan in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Anche più interessante è l’esperienza di Anna.

La giovane protagonista vive inizialmente un’ingenua euforia nel poter fare quello che vuole, facendo strisciare più volte la carta della madre per rivoluzionarle totalmente il look, immersa in un sogno di ribellione e indipendenza che farebbe impazzire qualsiasi adolescente…

…ma che infine, proprio come la madre, vive in brusco risveglio quando scopre la pesantezza delle responsabilità della vita adulta, talmente snervanti da portarla prima ad una crisi di pianto e all’inaspettato desiderio di tornare alla sua vita precedente. 

Ma l’esaurimento nervoso non basta a risolvere la situazione…

Conciliazione

Lindsay Lohan in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Il terzo atto è il momento della conciliazione.

Una volta compresi i limiti della vita dell’altra, le due protagoniste intraprendono involontariamente un percorso di riavvicinamento, pur all’interno di un campo minato di relazioni indesiderate che, semplicemente, non dovrebbero esistere.

Proprio in questo contesto Tess arriva veramente a comprendere l’importanza della passione di Anna, che prima considerava così poco importante – la band – trovandosi proprio in una posizione analoga alla figlia quando deve presentare il suo libro.

Lindsay Lohan in una scena di Freaky Friday (2003) di Mark Waters

Un momento di altruismo che porta ad un momento di altrettanta bontà da parte di Anna, che passa dall’essere l’elemento di disturbo all’interno del futuro matrimonio della madre, alla sua principale promotrice e salvatrice.

Una buona narrazione che permette di perdonare un finale molto debole e fin troppo dipendente dalle gag conclusive.

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Not another teen movie – La parodia definitiva

Not another teen movie (2001) di Joel Gallen, noto anche come Non è un’altra stupida commedia americana, è un film parodia del genere teen movie Anni Ottanta – Novanta.

A fronte di un budget di appena 15 milioni di dollari, è stato un ottimo successo commerciale: 66 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Not another teen movie?

Mescolando le trame di She’s all that (1999) e 10 cose che odio di te (1999), con un pizzico di Varsity Blues (1999) e Cruel Intentions (1999), è la solita storia di una scommessa per conquistare una ragazza…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Not another teen movie?

Chyler Leigh in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Sì, ma…

È molto difficile consigliare questo film a chi non sia estremamente addentro al genere: come parodia funziona solo se si conoscono i film di partenza – e i titoli citati e parodiati sono davvero moltissimi.

Ma, se volete intraprendere questo viaggio, vi consiglio di dare prima un’occhiata, oltre ai titoli prima citati, a Pretty in Pink (1986), Breakfast Club (1985), Mai stata baciata (1999) e Bring it on (2000).

A quel punto, sarete (forse) pronti.

Pubblico

Chyler Leigh in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

L’incipit di Not another teen movie può essere letto in più modi.

Ad un livello più superficiale è un grandissimo schiaffo nei confronti di un genere cinematografico che per anni aveva messo al centro delle sue storie e demonizzato la sessualità femminile, accostando due elementi apparentemente inconciliabili:

una ragazza sfigata e innamorata dei classici della commedia romantica, e un’intesa masturbazione.

Chyler Leigh in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Ma, se volessimo andare ad un livello più profondo, il fatto che appena Janey cominci a darsi piacere da sola irrompa non solo la sua famiglia, ma anche l’intera comunità che assiste al suo piuttosto spettacolare orgasmo è piuttosto eloquente.

Come se la sessualità di una donna, soprattutto così giovane, fosse in qualche modo affare di tutti – e così l’essere scoperta deve essere il più possibile vergognoso e fuori luogo.

Ma è solo l’inizio.

Passerella

Mia Kirshner e Chris Evans in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Il primo atto è una grande passerella di personaggi – e citazioni.

Assolutamente irresistibile l’entrata di Jake, che ripercorre passo passo il percorso del suo alter ego in She’s all that, ma con due importanti differenze: l’esasperazione dell’ammirare del suo ritratto appeso in corridoio – con uno scatto che lo immortala mentre lo osserva…

…e un racconto molto più esplicito di quanto il personaggio sia al centro di moltissime attenzioni sessuali – anche non apprezzate – che raggiungono l’apice del esasperazione con l’arrivo di Catherine, una ripresa quasi 1:1 della focosa protagonista di Cruel Intentions.

Mia Kirshner in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Infatti il suo personaggio vive di una presenza scenica esplosiva e di una serie di battute che indicano una conoscenza quasi maniacale del prodotto di partenza: come nel cult del ’99 si ripeteva ossessivamente you’ve been dumped (sei stato mollato) …

…Catherine fa una serie di battute su come lei faccia un dump (volgarmente, grossa cagata) sui suoi partner, a cui concede di metterglielo dove vogliono – facendo riferimento al particolare più succoso per cui Sebastian accettava la scommessa con la sorellastra nella pellicola originale.

E poi c’è Priscilla.

Incontro

Priscilla è un incontro fra passato e futuro.

Al tempo non era altro che la ripresa della velenosa Taylor di She’s all that, che sceglie, come il suo alter ego, di lasciare Jake per uno strambo compagno – che in questo caso non c’entra davvero niente con l’originale, ma è una parodia di American Beauty (1999).

Inoltre, è anche la protagonista della sottotrama delle cheerleader, che racconta l’assurdità del film cult del genere, Bring it on (2000), basato proprio sull’idea di una routine rubata dalle avversarie. 

Ma in realtà il suo personaggio è in tutto e per tutto Regina George di Mean girls (2004), che tre anni dopo rappresenterà veramente l’apoteosi della cattiva ragazza – al confronto Priscilla appare molto più incolore e, come tutti i personaggi di questo film, bloccata nel suo ruolo.

E se si parla di ruoli…

Token

Il racconto di Malik, il Black Token Guy, è devastante.

Per prepararsi a comprendere veramente la scena e l’amara ironia di fondo conviene dare un’occhiata alla scena parodiata di She’s all that: per quanto i personaggi coinvolti siano tre, in realtà Preston – il token guy, appunto –rimane costantemente sullo sfondo, intervenendo solo di tanto in tanto nella conversazione.

Non a caso, in Not another teen movie il personaggio rivendica il suo ruolo di pura presenza scenica, annunciando che si esprimerà solamente con una serie di battute stock – e facendo esattamente questo per tutti il resto della pellicola…

…bloccato nel ruolo di pallida guida morale del protagonista da usare all’occorrenza. 

Ma la parodia razzista non si ferma qui.

Ricalcando le sembianze del protagonista di The Karate Kid, in realtà Bruce, il wannabe asiatico, è una parodia nella parodia dei finti rapper neri, uno dei gruppetti in 10 cose che odio di te, che vengono qui rappresentati mentre si lamentano del suo essere un tale poser.

E vale la pena di aprire una parentesi sul gruppo degli sfigati.

Pressure

La storia di Mitch e del suo sgangherato gruppo di amici è parodia di tante cose diverse…

…ma principalmente è la ripresa di Kevin di American Pie (1999) e di Preston in Can’t hardly wait (1999), e del concetto che li accomuna: la devastante peer pressure di dover a tutti costi far parte della corsa del sesso.

Un concetto più volte messo in discussione dai suoi stessi compagni, che criticano l’incomprensibile urgenza del personaggio, nient’altro che un ragazzino che ha appena raggiunto l’adolescenza e che ha ancora tutta la vita davanti.

La loro storia in particolare si articola nell’incidente del bagno – uno dei momenti che meno apprezzo del film, e che funsero da apripista per una tendenza che personalmente detesto della commedia statunitense – in una simpatica citazione a The Breakfast Club

…ma soprattutto nel ribaltare la trama di Can’t Hardly Wait, raccontando come sia sostanzialmente assurdo che una ragazza si innamori del protagonista solamente leggendo una sua lettera – nonostante la punch line conclusiva racconti comunque il successo del progetto.

Ma le assurdità sono appena cominciate.

Squalificante

Janey è una parodia incredibile e continua.

Il suo personaggio racconta tutta l’inconsistenza di questo tipo di personaggio – la ragazza ribelle e alternativa – che popolava il genere nel decennio precedente, con protagoniste costruite a tavolino e spesso veramente incolori – nello specifico, Kat in 10 cose che odio di te.

In particolare ho amato il fatto che si prenda in giro un elemento veramente assurdo di She’s all that – e non solo: l’idea che una ragazzina sia già un genio artistico incompreso, riducendo la sua arte a degli incredibili disegni stilizzati.

Chyler Leigh in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Ma ancora più assurdo è il perché Janey diventi l’oggetto della scommessa: esattamente come il personaggio di She’s all that, la protagonista in questo caso è di per sé una ragazza molto carina, che semplicemente è considerata irrimediabilmente brutta perché porta i capelli legati e gli occhiali.

E proprio questi due elementi la fanno emergere dalla passerella improbabile delle altre ragazze – dalla chitarrista albina alle gemelle siamesi – che rende la scena veramente irresistibile nel suo raccontare una delle assurdità più gettonate del genere in questo periodo.

E come conquistare questa ragazza impossibile? 

Conquista

Chyler Leigh e Chris Evans in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

La parte del corteggiamento di Laney è forse la mia preferita.

Seguendo pedissequamente le indicazioni di Catherine, si va prima a parodiare il momento in cui eroicamente Zack salva il fratello della sua amata dai bulli in She’s all that – con una resa, per quanto ironica, anche più credibile…

…per arrivare alla mia scena preferita in assoluto: la dedica di una canzone a Laney, che non solo è una parodia geniale della medesima scena di 10 cose che odio di te, ma è anche una zampata non indifferente ad un problema delle scuole americane ancora oggi.

Mia Kirshner in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Dopo l’ultimo tentativo con il banana split – utilizzato in maniera molto più simpatica rispetto alla scena piuttosto improbabile di Varsity Blues – si arriva al classico momento del makeover, ridotto ai minimi termini per raccontare la palese assurdità di questa dinamica.

La sezione dedicata al party è forse la meno graffiante: non si fa che sottolineare ancora l’inconsistenza dello stereotipo che Laney rappresenta – specificatamente facendo riferimento a 10 cose che odio di te – e si ammorbidisce di molto la dinamica di She’s all that sul tema del bullismo.

Ma è arrivato il momento di parlare della sottotrama del football…

Credibile

La parodia di Varsity Blues merita un discorso a parte.

Il film sportivo del ’99 era già assurdo di suo: una drammaticissima storia di doping figlia di una cultura texana estremamente machista, che offriva però il fianco per momenti al limite del grottesco proprio per il suo prendersi estremamente sul serio.

Per questo motivo a Not another teen movie basta mescolare semplicemente le carte in tavola e aggiungere qualche elemento di ironia, portando in scena una sorta di what if in cui la presa di posizione del protagonista non ha un finale particolarmente felice…

Chris Evans in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

…e, al contempo, riscrivendo il personaggio del coach, già abbastanza assurdo in originale, qui veramente al limite del surreale, soprattutto nel suo trattare il povero Reggie Ray, con il conto sul tabellone delle botte che gli rimangono prima di lasciarci la pelle.

Ma in generale la rappresentazione degli adulti è una meraviglia.

Ribaltamento

Randy Quaid in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Not another teen movie gioca moltissimo nel ribaltamento delle figure paterne.

Infatti, fra gli Anni Ottanta e Novanta, erano possibili solo due modelli narrativi: il genitore presente e saggio, di cui spesso la protagonista doveva prendersi cura – il padre delle protagoniste di She’s all that e di Pretty in Pink – e invece la figura paterna opprimente e assillante – il padre del protagonista in She’s all that e in parte anche in 10 cose che odio di te.

Ed entrambe le parodie sono splendide.

Randy Quaid e Chris Evans in una scena di Not another teen movie (2001) di Joeal Gallen

Da una parte troviamo l’esasperazione del primo modello nel padre di Laney, ubriacone assente nella vita della figlia e dispensatore di consigli non proprio utili, erede della generazione devastata dalla Guerra in Vietnam e di fatto, più dannoso che utile.

Ma ancora più esasperato è il padre di Jake, che ci tiene così tanto che il figlio segua le sue orme da comportarsi come se l’avesse già fatto, con i manifesti molto eloquenti di Princeton e addirittura un fotomontaggio piuttosto amatoriale della laurea del figlio.

Realtà

La sezione conclusiva è quella che porta più con i piedi per terra il genere.

Il momento di passaggio assomiglia molto a Tonight, Tonight di West Side Story, in cui i personaggi raccontano le loro intenzioni per la sera che sta per arrivare – anche se sono molto meno romantici di quelli del musical del ’57…

…per poi arrivare al prom vero e proprio, che parodizza l’iconico momento danzante di She’s all that e ne segue sostanzialmente i passi per anche i momenti successivi, con l’aggiunta della gara fra Ricky e Jake, che ricalcano due modelli narrativi quasi abusati.

Particolarmente spassoso è l’inseguimento, a cui ovviamente Jake va tutto liscio, mentre Ricky, splendida parodia di Duckie in Pretty in Pink, sembra come voler evadere il suo ruolo da migliore amico ossessionato che infine deve accettare il nuovo compagno della protagonista…

…e per questo viene punito.

Ma il punto più alto del film è indubbiamente il finale, con la splendida partecipazione di Molly Ringwald, l’apoteosi della protagonista dei teen movie Anni Ottanta, che toglie valore ai discorsi di riconquista di Jake, copiati da altri film di successo.

E, se proprio Jake le ricorda quanto siano fin troppo idealizzati i finali di questi film, sembra però impossibile evitarli…

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She’s all that – La vendetta…dovuta?

She’s all that (1999) di Robert Iscove, noto anche come Kiss me, è un classico del genere teen movie Anni Novanta.

A fronte di un budget piccolino – 10 milioni di dollari – è stato un enorme successo commerciale: 103 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla She’s all that?

Zach e Laney sembrano due adolescenti totalmente agli antipodi: il ragazzo più popolare della scuola e la sfigata che vive rinchiusa nella classe d’arte. Eppure qualcosa li permetterà di ritrovarsi…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere She’s all that?

Rachael Leigh Cook e Freddie Prinze Jr. in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

In generale, sì.

Ammetto che mi aspettavo decisamente peggio da questo classico della commedia adolescenziale, che in effetti è in tutto e per tutto uno spaccato degli Anni Novanta, con al centro un topos narrativo che ha fatto veramente scuola nel genere…

…ma che nondimeno risulta per nulla banale nella sua esecuzione, anzi riesce meglio nel suo lato più riflessivo, pur risultando un po’ debole negli snodi narrativi fondamentali e nel racconto di alcuni personaggi chiave.

Ma, nel complesso, vale una visione.

Scommessa

Jodi Lyn O'Keefe e Freddie Prinze Jr. in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Tutto nacque con una scommessa…

Fin da subito She’s all that mostra il suo lato più ingenuamente crudele: il protagonista maschile, Zach, viene scaricato da Taylor, riducendolo a mero accessorio della sua vita ormai passato di moda, utile solamente per avere un compagno per il ballo scolastico.

E la scelta così superficiale delle relazioni si manifesta in senso più ampio nella considerazione che fin da subito Zach dimostra verso genere femminile, basato unicamente sul mero lato estetico, che definisce tutta l’importanza di un individuo.

Freddie Prinze Jr. in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Così nasce questa crudele scommessa in cui il protagonista si fa coinvolgere senza troppe remore, pur dimostrandosi piuttosto restio a dover fare un sostanziale miracolo nei confronti di una ragazza così apparentemente irrecuperabile come Laney.

Quello che succede dopo, però, mi ha stupito.

Dietro le quinte

Rachael Leigh Cook in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Era per me assolutamente prevedibile che il film avrebbe cercato di riscrivere Zach in senso positivo, così da renderlo infine un compagno accettabile per lo scontatissimo esito romantico del finale della storia.

E invece She’s all that gioca d’anticipo.

Bastano poche scene per scoprire come in realtà il protagonista sia molto più di quella maledetta scommessa, nient’altro che l’ultima manifestazione di una peer pressure devastante proveniente ora dal padre, ora dai suoi compagni di scuola – particolarmente Dean.

Rachael Leigh Cook in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Per questo l’inizio della relazione con Laney non è con la scommessa, ma bensì con lo spettacolo teatrale, in cui Zach viene un po’ maldestramente coinvolto, ma in cui dimostra la sua insospettabile verve interpretativa, e, di conseguenza, di essere meglio di quanto sembra.

Ma il secondo atto è quello decisivo.

Aprirsi

Rachael Leigh Cook in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Il problema di Laney non è il suo essere brutta, ma piuttosto il suo arrendersi alla vita.

Del tutto convinta del suo destino di ragazza sfigata e isolata da tutti, vivendo rinchiusa ora nel contesto familiare – di cui prende totalmente le redini, andando a colmare il vuoto della madre defunta – ora nell’aula di arte, dove il suo unico modo per avere successo sembra la morte artistica.

Rachael Leigh Cook e Freddie Prinze Jr. in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Invece, proprio con la giornata in spiaggia, la protagonista scopre conto di poter essere molto più incisiva di quanto potesse credere: se sulle prime le ragazze sembrano intenzionate solo a prendere il sole, è proprio la scelta di Laney di giocare invece coi ragazzi a svoltare la giornata.

La stessa incisività si vede anche durante la festa di Taylor, che la bullizza e la fa scappare in lacrime, ma non prima che la protagonista le risponda a tono, sottolineando la cattiveria della regina del ballo ancora non spodestata.

In conclusione, è ora di aprire una parentesi dovuta.

Vendetta

Un elemento chiave di She’s all that è la vendetta.

Il film, forse neanche consapevolmente, ci insegna che l’unico modo per rispondere al bullismo è con altrettanta, se non maggiore, cattiveria: così Laney ha la sua rivalsa sulle umiliazioni di Misty, pitturandole la faccia come quella di un pagliaccio e umiliando davanti a tutti…

…e, soprattutto, così Zach si dimostra come salvatore degli ultimi non solo proteggendo il fratello di Laney dai bulli, ma sottoponendoli alla loro stessa medicina, in una scena rivoltante che anticipa ben più altre vette che vedremo nel cinema popolare negli anni successivi.

Rachael Leigh Cook e Jodi Lyn O'Keefe in una scena di She's all that (1999) di Robert Iscove

Di mio preferisco decisamente altri tipi di narrazioni che, per quanto più consapevolmente cattive nel mostrare certi temi, si concludono in ogni caso con visioni più positive, volte a spezzare questa catena del distruggersi a vicenda – specificamente, Mean girls (2004) e Heathers (1989).

Così anche il fatto che con tanta leggerezza Laney renda sostanzialmente sordo Dean per evitare uno stupro mi lascia qualche dubbio…

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Clueless – Il risveglio

Clueless (1995) di Amy Heckerling, noto anche come Ragazze di Beverly Hills, è un cult del genere teen movie.

A fronte di un budget piccolino – 12 milioni di dollari – fu un grande successo commerciale: 88 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Clueless?

Cher è una ragazza ricca e popolare, ma che usa la sua influenza per aiutare gli altri. Ma la sua ingenuità sarà la sua rovina…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Clueless?

Assolutamente sì.

Clueless rappresenta davvero una perla del genere, anticipando fortemente i tempi con una narrazione dell’adolescenza femminile più collaborativa che vendicativa – come invece si vede in molte occasioni… – e un racconto della sessualità piuttosto dirompente.

Oltretutto, a differenza di film più difficilmente digeribili – per quanto magnifici – come Heathers (1989), è anche un prodotto piacevolissimo da guardare, che comunque non si risparmia in una serie di battute piuttosto sottili e non sempre a portata di adolescente…

Ingenuità

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Cher è totalmente ignara della sua condizione.

Intraprendendo fin da subito un intenso dialogo con lo spettatore – ottimo metodo, se ben pensato, per potenziare la narrazione, che sarà poi ripreso anche il Mean girls (2004) – ci racconta già moltissimo del suo personaggio – e della sua totale ingenuità.

Pur godendo di un armadio gigantesco, addirittura di un sistema di matching per gli outfit – una delle scene più iconiche, riprese, fra gli altri, in Barbie (2023) – Cher non è la classica adolescente ricca e viziata come ci si potrebbe aspettare.

Fin dalla prima scena viene infatti svelata la sua – seppur ingenua – buona volontà nell’aiutare gli altri, soprattutto il padre, così immerso nella sua turbolenta professione da non essere capace di prendersi cura di sé stesso.

Ma non è finita qui.

Bivio

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Clueless si trova in più momenti davanti ad una serie di bivi.

Cher è un personaggio che fin da subito si distingue dagli altri personaggi femminili dal punto di vista relazionale: genuinamente disgustata dai ragazzi della sua generazione, racconta fra il divertito e l’apprensivo la relazione fra la sua migliore amica, Dionne, e Murray.

E se questo poteva essere un buon momento per far partire la classica divisione fra ragazze buone e cattive…

Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

…e invece Clueless stupisce: non vi è mai un giudizio negativo nei confronti della libertà sessuale delle protagoniste, se non quello che talvolta i personaggi mettono su sé stessi – come quando Donnie dice, quasi con sprezzo, di essere tecnicamente ancora vergine.

E anche la stessa posizione di verginità della protagonista è piuttosto aleatoria…

Buone azioni

Alicia Silverstone in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Anche durante la classe di dibattito, Cher dimostra la sua deliziosa ingenuità.

La sua posizione sull’immigrazione è una piccola zampata nei confronti della totale cecità della borghesia statunitense nei confronti dei problemi reali del paese, ma anche un ulteriore momento per sottolineare la sostanziale bontà della protagonista.

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Infatti, come Cher potrebbe utilizzare la sua posizione per vendicarsi dei brutti voti di Mr. Hall, invece sceglie di prendere il meglio di quanto ha imparato da suo padre e di ammorbidire il carattere burbero del professore, facendolo innamorare.

Così, anche se un motivo assolutamente egoistico, Cher riesce a far ritrovare due persone molto sole.

Ed è solo l’inizio.

Makeover!

Brittany Murphy in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Fatta la prima buona azione, Cher non ne può più fare a meno.

Dopo uno sguardo piuttosto ironico sul panorama adolescenziale di Beverly Hills e le sue ragazze ricche, viziate e piene di botulino, viene introdotta la preda perfetta, la totale outsider che la protagonista può prendere sotto la sua ala per una nuova buona azione.

Qui Clueless raccoglie particolarmente l’eredità del romanzo da cui si ispiraEmma di Jane Austen – con un arguto parallelismo fra la società iper-classista della Regency e il panorama sociale non meno spinoso dell’alta società californiana.

Per questo, Tai è la via del risveglio.

Brittany Murphy, Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Cher cerca fin da subito di catturare la sua nuova amica nel complesso sistema della scuola, partendo dal più classico momento di passaggio – il makeover – che viene però totalmente stravolto, riducendolo – al pari di tutte le indicazioni di Cher – in una mania senza significato.

Ed infatti è piuttosto interessante che fin da subito Tai tende a sottrarsi ai tentativi di Cher di incasellarla, prima di tutto negando la sua verginità – elemento estremamente raro in un personaggio di questo tipo – e interessandosi ad un ragazzo che Cher considera inadeguato.

Ma l’alternativa non è migliore…

Voltafaccia

Brittany Murphy e Alicia Silverstone
 in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Il piano di Cher è un disastro.

Proprio come una matchmaker d’altri tempi, la protagonista trova subito il candidato perfetto che Tai può usare come accessorio per riuscire ad imporsi definitivamente con la sua rinnovata immagine e posizione.

E se i tentativi nel complesso sembrano portare nella direzione giusta, con un Elton che si dimostra interessato ad avvicinarsi alla ragazza, infine scoppiano come bolle di sapone quando il personaggio rivela tutta la sua arroganza e classismo, cercando di saltare addosso a Cher.

E così, la caccia ha di nuovo inizio…

…aprendo la sezione che io personalmente considero più geniale della pellicola.

Seduzione

Alicia Silverstone in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Per quanto ingenua, Cher è molto più furba di quanto potrebbe apparire.

Appena posati gli occhi su Christian, prende subito le redini della seduzione, con tutta l’intenzione di dimostrarsi interessante agli occhi di questo fascinoso ragazzo, in una scena che mima sottilmente l’atto sessuale, come ben rivela la battuta di Mr. Hall:

It’s time for your oral!

È ora del tuo orale.

Tutta la dinamica successiva continua a calcare su questo fine racconto erotico, in cui Cher si rende sempre di più desiderabile e desiderata, in particolare portando l’attenzione sulla sua bocca sempre impegnata:

And anything you can do to draw attention to your mouth is good.

E qualsiasi cosa che attiri l’attenzione sulla tua bocca è una buona idea.

Ma la realizzazione infine che Christian non potrai mai essere il suo fidanzato – con una rivelazione molto figlia di tempi, ma perlomeno non offensiva nei toni – è il primo passo per la graduale presa di consapevolezza di Cher di non aver mai avuto il controllo sulla situazione…

…e di aver guardato sempre dalla parte sbagliata.

Insomma, è ora di parlare di Josh.

Realtà

Alicia Silverstone e Paul Rudd in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Josh è la chiave di volta per la maturazione della protagonista.

Sulle prime il loro rapporto sembra il classico enemy to lovers, ma è una dinamica abbandonata non appena il personaggio ha modo di mostrare il suo vero carattere: non uno sfaccendato collegiale, ma un ragazzo timido e insicuro, che cerca rifugio in un’altra famiglia…

…e che, come Cher, ha a cuore gli altri: particolarmente dolce e significativo il momento in cui, alla festa con Christian, la protagonista si rende conto che Tai si senta escluso, ma si rassicura quando vede l’intervento di Josh, che la fa meno sentire fuori posto.

E proprio la realizzazione di essere innamorata del suo ex-fratello, apparentemente improvvisa, invece mette un punto molto interessante al personaggio: non la classica protagonista che cerca il vero amore, ma piuttosto una ragazza che sa cosa è meglio per sé, e che vuole accanto una persona che senta vicina.

Allo stesso modo, Clueless getta una nuova luce su tutti i personaggi – e stereotipi che li accompagnano, svelando una realtà molto più complessa e variegata da quella che viene solitamente raccontata in prodotti similari.

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Heathers – Tagliare la testa all’hydra

Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia, è un teen movie intriso di profondo cinismo e humour nerissimo.

A fronte di un budget piccolissimo – appena 3 milioni di dollari – è stato un terribile flop al botteghino (almeno negli Stati Uniti): 1 milione di dollari di incasso in totale.

Di cosa parla Heathers?

Veronica fa parte del gruppo delle bulle della scuola, le Heathers, che però non sopporta. Ma il modo in cui le metterà fuori gioco non sarà quello che vi aspettate…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Heathers?

Kim Walker e Winona Ryder in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Assolutamente sì.

Heathers è sostanzialmente un Mean Girls (2006) molto più violento e anarchico: una satira di costume piuttosto rivelatoria di un’adolescenza molto meno innocente di quanto si è abituati a pensare, solo l’anticamera di un comportamento adulto altrettanto malvagio.

Un film che non si risparmia nelle zampate verso una società del tutto incapace di comprendere l’importanza della pubertà e delle sue insidie, con degli adulti capaci solo di puntare il dito ciecamente senza comprendere verso cosa lo stanno puntando.

Per questo, vi lascio le parole del regista:

Evil and bad behavior can happen at a much younger age than just when you’re becoming an adult.

Il male e i comportamenti malvagi possono accadere molto prima di diventare adulti.

Status

Winona Ryder in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Veronica è vittima.

Inizialmente al centro della scena, con il loro incalzare deliziosamente distruttivo, sono le tre Heathers, che attraversano il giardino della protagonista calpestando i fiori con grande noncuranza, per poi usare la testa di Veronica come ostacolo per le loro partite di croquet.

Così l’inquadratura della protagonista in questo status umiliante chiude perfettamente la scena, definendone la posizione – sottomessa, quasi uno strumento – e il tono della pellicola – un delizioso grottesco che ricorda molto il poco successivo La morte ti fa bella (1992).

Kim Walker e Winona Ryder in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Ma Veronica è anche (involontaria) carnefice.

La maliziosa dinamica della mensa, in cui Heather fa un giro di ricognizione del suo popolo, ha il suo apice nel crudele scherzo ai danni di Martha, di cui la protagonista diventa controvoglia l’esecutore.

Ma vi è un elemento di disturbo.

Osservatore

Christian Slater in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

JD è osservatore e giudice.

Durante tutta l’esecuzione dell’umiliazione dell’ignara Dunnstock, il ragazzo osserva con attenzione e un malizioso dispetto il comportamento di Veronica, capendo fin da subito i suoi veri sentimenti, pur non avendole mai parlato.

La caratterizzazione del personaggio si chiude in due momenti: quando la protagonista lo sottopone al sondaggio di Heather – che il ragazzo definisce ad alta voce come la domanda più stupida che gli sia mai stata fatta, mostrandosi così una voce fuori dal coro rispetto al resto dei personaggi…

Christian Slater in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

…e quando si rifiuta di diventare l’ennesima vittima dell’infantile bullismo di Kurt e Ram, rispondendo prima a tono in uno scambio piuttosto sagace…

They seem to have an open-door policy for assholes though, don’t they?

Sembra che ci sia la porta sempre aperta anche per gli stronzi, giusto?

…e poi portando in scena l’elemento che mette un punto definitivo al tono della pellicola: la pistola.

Che la ribellione abbia inizio.

Ribellione

Winona Ryder in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Essenziale in Heathers l’utilizzo del corpo.

Per quanto Heather sembri in cima alla catena alimentare, in realtà è lei stessa vittima del sistema, e dei veri predatori a cui si sottomette volontariamente in cambia di un presunto status sociale: i collegiali prima, e il duo Kurt & Ram dopo, con appuntamenti sessuali in cui il consenso non è contemplato.

Fra l’altro, con lo scambio che procede proprio il rape date di Veronica e Heather, si capisce che è una modalità piuttosto ricorrente…

Winona Ryder in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Ma Veronica ribalta la situazione.

Consapevole di non poter sfuggire all’essere l’oggetto passivo e violato delle fantasie sessuali di questi odiosi personaggi maschili, sceglie di fingersi invece interessata ad essere la preda – in maniera fra l’altro molto esplicita…

…ma si dimostra infine la cacciatrice della situazione, rendendosi esca, per poi mettere in trappola i due ragazzi, con anche l’esplicita dinamica della caccia a Kurt, che si conclude con l’abbattimento di due pilastri del microcosmo tossico della scuola.

Ma cosa vuole veramente Veronica?

Anarchia

Winona Ryder e Christian Slater in una scena di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Veronica vuole rovesciare il sistema dalle fondamenta.

In prima battute i suoi obiettivi e sono molto più piccoli, delle soddisfazioni immediate, delle piccole vendette per rivalersi su Heather – motivo per cui all’inizio non vuole che servirle una tazza con un disgustoso ma innocuo intruglio.

Ma in questa occasione JD gli mostra che un’altra via, più anarchica, più distruttiva, è possibile: mettere fisicamente e effettivamente Heather fuori gioco, e coprire il delitto tramite una lacrimosa lettera di suicidio che fughi ogni sospetto…

…e così scardinare dall’altra parte una dei capisaldi del sistema in atto: mettere in luce una presunta omosessualità fra Kurt e Ram – così da, in un certo senso, ucciderli due volte – e far morire con loro un sistema marcio e opprimente.

Ma non basta.

Hydra

Il sistema di Heathers è così radicalmente marcio che non basta tagliare qualche testa per scardinarlo.

Non a caso in breve tempo Veronica si rende conto che i suicidi messi in atto di fatto non servono, in quanto immediatamente assorbiti dal sistema: le tragiche morti sono ora rese strumento per condannare questa gioventù depravata…

…ora diventano l’occasione per riaffermarsi socialmente, sia proprio strumentalizzando il suicidio per mettersi in mostra, sia per prendere il posto della regina caduta e far ricominciare la catena alimentare in maniera assolutamente inalterata.

Winona Ryder nel finale di Heathers (1989) di Michael Lehmann, noto in Italia col titolo di Schegge di follia

Davanti all’impossibilità di cambiare il sistema, JD sceglie apertamente di distruggerlo dalle fondamenta, facendosi portavoce dell’angoscia sociale dei suoi compagni e facendo saltare in aria direttamente tutta la scuola…

…ma venendo poi fermato da Veronica, che sceglie inevitabilmente di prendere il ruolo di Heather, ma non per ribadire il sistema, ma per mutarlo dall’interno, cambiandone per sempre le regole, scegliendo di abbracciare valori più umani e costruttivi.

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Un compleanno da ricordare – Il desiderio edulcorato

Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes, noto anche come Sixteen candles, è un piccolo cult del genere teen movie, con protagonista la star del genere negli Anni Ottanta: Molly Ringwald, futura protagonista anche in The Breakfast club (1985) e in Pretty in Pink (1986).

A fronte di un budget piccolino – appena 6,5 milioni di dollari, circa 19 milioni oggi – fu un buon successo commerciale: 23 milioni di dollari in tutto il mondo, circa 65 oggi.

Di cosa parla Un compleanno da ricordare?

Sam è una ragazzina che ha appena compiuto sedici anni, ma a cui niente sembra essere cambiato. E invece sarà un compleanno pieno di sorprese…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Un compleanno da ricordare?

Molly Ringwald (Sam) e Michael Schoeffling (Jake) nel finale di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Assolutamente sì.

Mi sbilancio così tanto nel consigliarvi questa pellicola perché è un tuffo quasi alienante in una visione del mondo così ingenuamente stringente, con una classificazione dei personaggi – particolarmente quelli femminili – fra buoni e cattivi – e senza possibilità di replica.

Oltre a questo, Un compleanno da ricordare, nonostante voglia raccontarsi come una commedia romantica, è in realtà uno dei pochi teen movie che parla in maniera veramente poco edulcorata dell’esplosivo desiderio sessuale adolescenziale.

Insomma, vale la pena di riscoprirlo.

Desiderio

Molly Ringwald (Sam) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Per quanto il film cerchi di edulcorarlo, il desiderio della protagonista è chiarissimo.

All’inizio la sua sembra la più innocua fantasia di cambiamento, di crescita, di vedere davvero un mutamento così fondamentale, che ormai dovrebbe essere avvenuto, ma che invece sembra invisibile a tutti gli altri – tanto che nessuno sembra essersi ricordato del suo compleanno.

Poi, emergere il vero desiderio.

Molly Ringwald (Sam) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Tramite un piccolo questionario anonimo, ci immergiamo in tutti i dubbi più tipici della scoperta sessuale: la volontà di avere un rapporto, ma la paura di non riuscirci, di non sapere addirittura se qualcosa è già successo, nonostante l’oggetto del desiderio sia lampante.

E lo stesso ha dei risvolti quantomeno dubbi…

Interesse

Michael Schoeffling (Jake) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Fin da subito Jake è il protagonista di una dinamica leggermente inquietante, ma che ben inquadra la forse involontaria ambiguità del personaggio: come Sam lo guarda piena di desiderio, lo stesso sembra ricambiare l’interesse, impossessandosi avidamente delle sue risposte rivelatorie al questionario.

Ma, forse anche complice la scarsa interpretazione di Michael Schoeffling, appare poco chiara la nascita del suo desiderio verso Sam: se da una parte appare ormai stufo del suo attuale rapporto, vuoto e inconsistente su una ragazza che, come vedremo, neanche rispetta…

Michael Schoeffling (Jake) e Haviland Morris (Caroline) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

…dall’altra, è davvero poco trasparente il motivo per cui Sam le interessi così tanto: anche se afferma di voler cercare altro oltre al semplice rapporto sessuale, davvero basta che la protagonista dimostri un minimo di interesse nei suoi confronti per farlo innamorare?

Oppure…

Vergine

Molly Ringwald (Sam) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Un compleanno da ricordare appare per certi versi un goffo manuale della castità.

Infatti la positività della protagonista non è spiegabile al di fuori della sua verginità: volendosi rivolgere ad un pubblico molto giovane, il film racconta un’adolescente piuttosto tipica, con le sue insicurezze e il suo facile indispettirsi quando non ha tutte le attenzioni per sé.

Molly Ringwald (Sam) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Al contrario, non tanto la sua illibatezza, ma il suo desiderio di conservarsi per una persona in particolare la rendono evidentemente migliore di tutti gli altri personaggi femminili: Caroline, la tanto disprezzata ragazza di Jake, e Ginny, la sconsiderata sorella della protagonista.

Due donne con una sessualità fin troppo libera e che, per questo, devono essere punite.

E come vengono punite…

Punizione

Blanche Baker (Ginny) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Ginny e Caroline sono due personaggi sostanzialmente sovrapponibili.

Ginny è anzitutto colpevole di distogliere l’importante attenzione della famiglia di Sam dal compleanno della protagonista, per focalizzarsi invece su un’occasione che non determinata il coronamento di un sogno d’amore, ma solamente la conferma dell‘incosciente condotta del suo personaggio.

Infatti in non poche scene appare chiaro come la scelta del compagno non derivi da un effettivo interesse nei suoi confronti, ma piuttosto da un desiderio di riposizionamento sociale: non più come donna che salta da un letto all’altro, ma come una moglie da rispettare – anche se di un uomo insulso…

Haviland Morris (Caroline) e Anthony Michael Hall (Ted) in una scena di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Ed è inquietante quanto interessante come un momento in cui avrebbe dovuto essere estremamente presente, Ginny è invece totalmente in balia degli eventi proprio come Caroline, una donna di così poco conto da poter essere – a parole e nei fatti – violata più volte.

Il suo personaggio è infatti in assoluto il più bistrattato: preso sulle spalle come un sacco della spazzatura e portato in macchina di uno sconosciuto che non fa di fatto niente per evitare di essere colpevole di uno stupro – di cui, anzi, si compiace.

Perché, in verità, il personaggio maschile attivo sessualmente è sempre premiato.

Premio

Gedde Watanabe (Dong) nella scena del ballo di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

Oltre alla protagonista, due sono i personaggi che ricercano attivamente il sesso.

Da una parte lo strambo Dong, rappresentazione ingenuamente razzista di un apparente geek incapace di relazionarsi con le ragazze, ma che invece viene coinvolto nel party di Caroline, in cui può rivelare la sua sessualità veramente esplosiva, diventando il comic relief della storia.

In particolare a lui si devono i momenti più esplicitamente sessuali della pellicola: dal rapporto vestito con la sua nuova fiamma, fino al lento del ballo, in cui Dong si appoggia letteralmente sul seno della ragazza e dà adito ad una sfilza di battute a sfondo erotico anche piuttosto intraprendenti visto il tipo di target.

La scena delle mutande di Sam di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

L’altro geek premiato è Ted.

Il suo personaggio comincia una rincorsa impossibile verso Sam, in una maniera che lo definirebbe immediatamente come fuori dalla corsa del sesso, tanto sono viscidi e improvvisati i suoi tentativi di rimorchio, di rivalsa sociale – per cui è disposto a spendere fin troppo.

E, invece, assumendo il ruolo di aiutante della protagonista e di promotore della coppia, Ted non solo riesce ad ottenere la prova della sua vittoria sessuale, ma addirittura ad avere il suo primo rapporto con una ragazza apparentemente ancora più inavvicinabile di Sam.

E lo stupro è presto perdonato…

Sacro

Il finale di Un compleanno da ricordare (1984) di John Hughes

La dinamica del finale è pregna di un simbolismo veramente rivelatorio.

Sam viene rivestita di abiti incredibilmente verginali e idilliaci, tanto da prendere in qualche modo il posto della sorella come sposa – anche per il fraintendimento dello stesso Dong – e quindi venir ricondotta ad uno status sociale totalmente accettabile, anzi desiderabile.

Di fatto, proprio per quanto detto sopra, Sam viene premiata con una sorta di unione sacra con Jake, un dolce bacio scambiato al lume di candela che chiude la pellicola – apparentemente non lasciando trasparire altro dal loro rapporto.

Anche se…

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Pretty in Pink – Una pallida origine

Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch, in Italia noto anche come Bella in rosa, è un classico del genere teen movie Anni Ottanta.

A fronte di un budget piccolissimo – appena 9 milioni di dollari, circa 25 oggi – è stato un ottimo successo commerciale: 40 milioni di dollari in tutto il mondo (circa 114 oggi).

Di cosa parla Pretty in Pink?

Con un’estrazione sociale bassissima e l’emarginazione sociale continua nel suo liceo per ricchi, Andie si trova coinvolta in un innamoramento pericoloso…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Pretty in Pink?

Molly Ringwald (Andie), Jon Cryer (Duckie) e Andrew McCarthy (Blane) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

In generale, sì.

Pretty in Pink è un classico davvero in senso stretto: all’interno della pellicola ritroverete dinamiche piuttosto tipiche del genere, ma molto più all’acqua di rose, molto più con i piedi per terra, con pochi picchi drammatici davvero significativi.

Una visione che ci riporta agli albori del teen movie quando, positivamente o meno, queste pellicole erano molto più con i piedi per terra, e molto meno smaccati rispetto ai – forse – più godibili prodotti dei decenni successivi.

Però, dategli un’occasione.

Status

Molly Ringwald (Andie) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

Andie vive in uno status quo da cui sembra impossibile evadere.

La protagonista è amaramente consapevole della sua disprezzabile estrazione sociale, del suo aspetto e abbigliamento stravagante – dovuto anche all’impossibilità di comprarsi abiti di prima mano – e al non avere un appuntamento per il ballo scolastico…

…ma, anche ampiamente spalleggiata da Duckie, mostra anche una certa superiorità nel non essere come quei ragazzi ricchi e viziati, che ora la punzecchiano per avere un appuntamento, ora la bullizzano apertamente.

Molly Ringwald (Andie) e Andrew McCarthy (Blane) nella scena del loro primo incontro di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

Eppure, un’alternativa è possibile.

Il primo approccio con Blane deriva proprio dalla situazione sociale della protagonista: nonostante sia evidentemente interessata a questo nuovo ragazzo, Andie si pone fin da subito sulla difensiva, lanciandosi in qualche battuta classista molto goffa.

Ma questo non ferma Blane, che comincia un dolcissimo corteggiamento della protagonista, rispettando i suoi spazi e avvicinandosi a lei con delicatezza e nei giusti tempi, mostrandosi totalmente ignaro della aspra contesa sociale in atto.

Intrusione

Molly Ringwald (Andie) e Jon Cryer (Duckie) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

Con il loro primo appuntamento, è come se Blane e Andie volessero mettere alla prova i loro rispettivi spazi sociali.

Già tutta l’attesa di Blane racconta la profonda insicurezza della protagonista, continuamente intimorita dall’idea di essere solo un interesse passeggero, di essere in realtà una vergogna per questo fin troppo dolce ragazzo.

Ma l’effettivo arrivo di Blane è il trigger emotivo inevitabile di Duckie: in questa fase il suo personaggio è insopportabilmente chiassoso, incapace di comunicare serenamente il suo disappunto per la nuova relazione, tanto da tirare ridicolmente in mezzo la stessa Iona.

Molly Ringwald (Andie) e Andrew McCarthy (Blane) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

E non è neanche la situazione peggiore.

L’intrusione nel party di Jeff è ingenua quanto disastrosa: non ancora consapevole del disprezzo del suo amico nei confronti della sua nuova fiamma, Blane introduce la protagonista in un panorama che le sta fin da subito stretto.

Così, il loro spazio intimo è da ricercare altrove: la conclusione del secondo atto è rappresentata dal picco drammatico e romantico della neonata coppia, con la confessione dolorosa quanto fondamentale di Andie, che infine porta al primo bacio.

Incubazione

Molly Ringwald (Andie) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

Nell’atto finale, tutto si ribalta.

Al trionfo romantico della coppia si alterna invece al climax per l’inevitabile allontanamento, alimentato dai dubbi da entrambe le parti: le pressioni sociali di Blane da parte di Jeff e la concretizzazione delle paure di Andie dall’altra.

Un momento particolare della pellicola, che offre alla protagonista lo spazio per rinascere, per superare la sua quasi totale passività al quadro sociale – sopratutto alle sue recenti evoluzioni – e invece ritornando attiva proprio nella scelta di partecipare al ballo pure senza accompagnatore…

…ma non è la sola.

In questo momento di passaggio, anche altri personaggi trovano la conclusione della loro storia: anzitutto il padre di Andie, fin dall’inizio sferzato dalla figlia per migliorare la sua condizione lavorativa, che ammette finalmente il motivo del suo immobilismo.

Ma sopratutto assistiamo al punto di arrivo di un personaggio che ha vissuto sostanzialmente sullo sfondo: Iona, personaggio in cerca di un’identità che, pur in maniera un po’ discutibile, trova il suo punto di arrivo in un ragazzo con la testa sulle spalle, con cui trova finalmente la sua felicità.

Confronto

Molly Ringwald (Andie) e Andrew McCarthy (Blane) in una scena di Pretty in Pink (1986) di Howard Deutch

Lo scioglimento della vicenda è da manuale.

La ricomposizione della coppia è possibile solo se ognuno dei due personaggi risolva la situazione che in primo luogo ha rovinato la relazione: e se per Andie è una risoluzione costruttiva, con Duckie che finalmente accetta il nuovo fidanzato come un personaggio rispettabile…

…e invece per Blane è una risoluzione distruttiva, che segna il distacco definitivo da Jeff e dalla sua cricca, comprendendo le vere ragioni del disprezzo del suo ex-amico verso la sua amata, e chiudendo la pellicola con il più classico bacio risolutore dei due personaggi.

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Back to the future – Il cambiamento positivo

Back to the future (1985) non solo è fra i titoli più apprezzati della filmografia di Robert Zemeckis, ma è soprattutto uno dei più grandi cult di fantascienza della storia del cinema.

Non a caso, al tempo divenne un fenomeno culturale: a fronte di budget medio – 19 milioni di dollari, circa 54 oggi – e incassò 383 milioni di dollari in tutto il mondo (circa un miliardo ad oggi).

Di cosa parla Back to the future?

Marty McFly è un adolescente che viene coinvolto in una particolarissima avventura con il suo amico, lo scienziato pazzo Doc Brown…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Back to the future?

Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Assolutamente sì.

Back to the future è un cult non per caso: un film con una storia semplice, ma orchestrata perfettamente in tutte le sue parti, con una scrittura e una regia ben calibrate per raccontare le differenze fra le diverse epoche storiche e gli inevitabili parallelismi.

Uno di quei film che, anche a decenni di distanza, lascia facilmente un buon sapore in bocca per il suo ottimo equilibrio fra il dramma e una piacevole comicità, oltre a due protagonisti assolutamente iconici.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Il primo inizio

A sorpresa, il dramma familiare in Back to the future è importante quanto il viaggio nel tempo.

L’incipit serve infatti ad inquadrare la famiglia di Marty e il suo carattere, con un utilizzo di rara intelligenza delle didascalie: tramite le parole dei personaggi e le dinamiche in scena, scopriamo anzitutto come il protagonista si senta un emarginato incompreso, dalla scuola e dai suoi parenti.

Così la sua famiglia rappresenta la classica situazione della middle class americana, con l’aggravante di uno zio galeotto e di un padre totalmente sottomesso al suo bullo storico, Biff, e per questo incapace di farsi veramente strada in una vita di successo.

Così ampio spazio è concesso anche alla madre di Marty, che appare fin da subito piuttosto bacchettona e puritana, tanto che il protagonista le nasconde consapevolmente il suo progetto della gita al lago con la fidanzata.

La fantascienza di sottofondo

Christopher Lloyd in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Il dramma familiare si alterna ottimamente con l’elemento fantascientifico.

Lo stesso è introdotto fin dall’inizio, con un Doc che però rimane fuori scena fino alla fine del primo atto, ma che conosciamo già perfettamente dal dialogo al telefono con Marty: un intraprendente scienziato, autore di invenzioni piuttosto bislacche, legato da un forte rapporto col protagonista.

Così quando entra in scena rappresenta in tutto e per tutto il modello di inventore pazzo, che però non cade mai nel ridicolo grazie alla recitazione appassionata e ormai iconica di Christopher Lloyd – che ritornerà a lavorare con Zemeckis anche in Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988).

Christopher Lloyd e Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Così tutti gli elementi del viaggio del tempo vengono raccontati con precisione e creando anche una piccola tensione iniziale, quando il mistero non è ancora svelato, in modo da far identificare il totalmente l’ignaro Marty con lo spettatore.

Infine, quando l’avventura sta ormai per partire, il protagonista sembra già star per uscire di scena, in maniera talmente credibile che allo spettatore verrebbe anche da chiedersi a cosa è servita tutta la sua introduzione…

…ma proprio per questo l’atto centrale funziona così bene.

Un atto consapevole

Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Tutti gli elementi della parte centrale sono gestiti con particolare consapevolezza.

Appena Marty arriva nel 1955, già ci risuonano nella mente le parole di Doc, in una frase che sul momento sembrava inutilmente nostalgica, ma che invece è fondamentale per l’identificazione dello spettatore: qui intorno prima era tutta campagna.

Allo stesso modo la reazione della famiglia che entra per la prima volta in contatto con il protagonista sembra puramente una gag, ma risulterà invece determinante successivamente, quando il protagonista dovrà convincere il padre ad invitare al ballo scolastico la sua futura moglie.

E, al contempo, la dinamica della scena racconta il sentimento di Marty per tutta la sua permanenza nel passato: lo straniamento.

Allo stesso modo, Back to the future convince particolarmente nel raccontare le incomprensioni di un ragazzo del 1985 in un contesto così anomalo.

A partire dal fatto che viene continuamente scambiato per un marinaio per il suo giubbotto smanicato – tipico della moda degli Anni Ottanta – fino ai vari riferimenti storici – l’elezione futura di Ronald Raegan e gli eventi intorno alla famiglia Kennedy – tutti elementi che contestualizzano perfettamente il panorama di riferimento.

Così, per avvicinare ancora di più il protagonista al padre, particolarmente brillante la scena del loro incontro, in cui si muovono allo stesso modo e si girano contemporaneamente verso Biff quando il bullo chiama il padre di Marty per cognome.

Il teen drama âge

Lea Thompson e Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

La parte centrale di Back to the future è dominata dal teen drama.

La pellicola riprende un topos abbastanza tipico, in cui un personaggio cerca di far smuovere un suo compagno un po’ nerd così che riesca a conquistare la ragazza di turno e a diventare più sicuro di sé.

In questo caso ovviamente la situazione è molto più interessante ed avvincente, in quanto non c’è in ballo solamente un rapporto amoroso, ma piuttosto la sopravvivenza stessa del protagonista, e, più in generale, la maturazione del padre.

Lea Thompson e Crispin Glover  in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Infatti, tutti i personaggi compiono un percorso di maturazione.

Anzitutto, il protagonista diventa ben più consapevole di sé stesso e delle proprie potenzialità, riuscendo a superare il suo limite dell’essere mingherlino, tramite l’intraprendenza e l’inventiva, e così tenendo testa ad un bullo minaccioso come Biff.

Ma la maturazione principale, sopratutto a posteriori, è quella del padre, che smette di essere un totale perdente che si fa mettere i piedi in testa, per diventare invece un uomo consapevole e di successo, che riesce a combattere contro le sue paure.

Lorraine McFly

Ma la storia più interessante è quella della madre.

Back to the future riesce ben ad inquadrare la situazione femminile negli Anni Cinquanta: Lorraine vive alternativamente nel sogno della crocerossina e della principessa da salvare, all’interno di un mondo maschile violento e ostile.

Non a caso, anche se non è detto esplicitamente, la madre di Marty è stata sostanzialmente salvata da un tentato stupro da parte di Biff, e così, anche durante il ballo, prima di essere ripresa da George, è un pacco che viene passato di mano in mano.

Tuttavia, anche il suo personaggio ha il suo margine di maturazione: se all’inizio del film la donna era aspramente bigotta, al contrario nella situazione finale scopriamo un personaggio che è riuscito a trarre il meglio dalla sua esperienza adolescenziale, mantenendo una mente aperta e sapendosi prendere cura di sé.

Una nuova occasione

Christopher Lloyd e Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Parallelamente alla parentesi adolescenziale, la trama fantascientifica è indubbiamente la più iconica.

Il rincontro con Doc pone al suo personaggio un dilemma morale fondamentale, che è in realtà tipico dei racconti del viaggio del tempo: l’importanza di non cambiare il passato, consapevoli dei risultati potenzialmente disastrosi che potrebbe portare al presente.

Per questo, nonostante i vari tentativi di Marty, lo scienziato si ribella all’idea di essere salvato dal protagonista.

Christopher Lloyd e Michael J. Fox in una scena di Back to the future (1985) di Robert Zemeckis

Invece, davanti ad un finale che rischiava di essere assai drammatico, Back to the future sceglie una via diversa.

Infatti, capiamo che il presente deve essere cambiato, perché ne va della sopravvivenza dei personaggi stessi, e, più in generale, della loro maturazione, compresa quella di Doc: l’uomo diventa meno rigido sulle dinamiche del viaggio del tempo e ne accetta le piacevoli conseguenze.

E, anche di più, il suo personaggio da questa esperienza riesce anche a migliorare la sua invenzione, rendendola meno dipendente da un materiale così difficilmente reperibile – il plutonio – e non più una semplice macchina, con tutti i limiti del caso, ma un mezzo che non ha bisogno di strade:

Roads? Where we’re going, we don’t need roads.

Strade? Dove andiamo non ci servono strade.
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Cinema per ragazzi Commedia Commedia nera Drammatico Film Mean Girls Teen Movie

Mean Girls – L’isteria collettiva

Mean Girls (2004) di Mark Waters è forse il più grande cult teen movie di tutti i tempi, uno spaccato crudele e realistico dell’adolescenza femminile.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 17 milioni – fu un enorme successo commerciale, incassando 130 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Mean girls?

Cady è una ragazza di 16 anni che ha vissuto tutta la sua vita in Africa e che non hai mai frequentato una scuola. E il primo impatto può essere traumatizzante…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Mean Girls?

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Assolutamente sì.

Mean Girls è un cult imprescindibile del genere teen movie, che ha segnato l’immaginario di un’intera generazione (e non solo), proprio per la sua capacità di portare in scena con un realismo quasi satirico l’esperienza adolescenziale.

Una pellicola che gode anche di un cast semplicemente perfetto: dalla star degli Anni Duemila Lindsay Lohan alla glaciale Rachel McAdams nel ruolo della sua vita, senza contare la splendida Tina Fey, che firma anche la sceneggiatura.

Insomma, non ve lo potete perdere.

Un mondo nuovo

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Cady è come se fosse una bambina.

Per questo è un guizzo di regia non indifferente la scelta di aprire il film con una soggettiva leggermente inclinata verso l’alto, così da far credere allo spettatore che la protagonista sia più bassa – e, di conseguenza, molto più giovane – dei suoi genitori.

Un’ironia piuttosto sagace, ma del tutto funzionale a raccontare lo status iniziale di Cady: una ragazza nel pieno della sua formazione, ma al contempo del tutto ignara delle dinamiche del liceo e dell’adolescenza in generale.

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

In particolare, la sua ingenuità è ben mostrata dal primo approccio con il mondo scolastico, in cui deve farsi largo a gomitate e in cui, appena cerca un contatto con una sua compagna, viene immediatamente scacciata, per poi trovarsi del tutto disorientata nel trovare il suo posto – in classe e in quel nuovo mondo.

Il racconto della prima giornata si chiude con una panoramica del clima opprimente del nuovo ambiente, in cui gli adulti hanno un atteggiamento aggressivo e che tende a schiacciarla in un complesso di regole da far girar la testa a chiunque non ci si sia mai imbattuto.

In questo senso ancora più emblematica è la lezione dell’educazione sessuale mascherata da incontro sulla salute, nient’altro che un terrorismo psicologico piuttosto patetico, che ricalca il senso di sfiducia degli adulti nei confronti degli adolescenti, anche in maniera totalmente contraddittoria ed ironica.

I due serpenti

Lindsay Lohan, Lizzy Caplan e Daniel Franzese in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Cady è tentata in due differenti direzioni.

Prima da Janet e Damian, due personaggi più ascrivibili al modello della protagonista inacidita dal comportamento dei ragazzi più popolari della scuola e dal loro immeritato successo, e che infatti hanno il compito di mostrare a Cady le giuste idee.

Un confronto piuttosto stringente, quasi opprimente, ma anche abbastanza tipico: in un momento di totale isolamento, per trovare dei nuovi amici – che si dichiarano subito come tali – è molto facile lasciarsi trasportare da idee che neanche ci piacciono…

La presentazione del terzetto delle Plastics è ormai iconica: il racconto dei loro caratteri si accompagna ad una messinscena piuttosto eloquente, nello specifico quella di Regina George, che viene portata in trionfo come Cristo in gloria, con a corollario la sequenza dedicata ai magnifici pettegolezzi che la circondano.

Rachel McAdams in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Ma Regina George non è un semplice villain da teen drama.

L’errore in cui questo tipo di film cadono sempre è cercare una sorta di redenzione per l’antagonista, magari anche in un ricongiungimento con la protagonista. Al contrario, l’iconico personaggio di Rachel McAdams è al limite del diabolico, e non ha momenti di effettivo riscatto.

Con quel suo sorriso glaciale e quella bellezza da Barbie, Regina si dimostra più e più volte una bulla crudele, che comanda a bacchetta le sue sottoposte e che ha il completo controllo sulle chiacchere che infestano la scuola, senza farsi problemi a rovinare anche totalmente la vita delle persone.

Particolarmente crudele nello specifico il pettegolezzo contro Janet, bollata come una pericolosa lesbica – in un mondo in cui essere queer definisce tutta la tua personalità – rendendola così un’emarginata e, soprattutto, un personaggio estremamente incattivito.

La vendetta sottile

Rachel McAdams, Lacey Chabert e Amanda Seyfried in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Il mondo di Mean Girls è fatto di apparenze e pettegolezzi.

Se in un primo momento Cady credeva nel buon cuore di Regina, la festa di Halloween è invece rivelatoria della vera natura del suo personaggio, che si rimette con Aaron solamente per ripicca nei confronti della nuova arrivata, solamente per pura cattiveria.

Così Cady, memore di un mondo più semplice e violento come quello animale, si deve arrendere all’idea che la vendetta non può avvenire per una distruzione fisica della persona di Regina, ma piuttosto tramite uno smantellamento sistematico della sua immagine.

Rachel McAdams e Linsday Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Ed è tanto più doloroso quando questa vendetta passa soprattutto attraverso un tipo di dispetto particolarmente crudele, ovvero il far aumentare sistematicamente di peso Regina per riuscire ad umiliarla in un mondo ossessionato dalla diet culture e dell’aspetto fisico.

Anzi da questa idea ne consegue l’unico effettivo momento di debolezza di Regina, in cui Cady dimostra effettivamente di sentirsi in colpa per il suo piano, ovvero quando piuttosto mestamente, l’ex reginetta di bellezza dice:

These sweatpants are all that fits me right now.

Questi pantaloni sono gli unici che mi entrano.

L’isteria collettiva

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

La scena della mensa è già di per sé estremamente emblematica.

Si racconta come tutti i personaggi siano inquadrati secondo delle specifiche caratteristiche e modelli da cui non possono scappare, con un lavoro particolarmente fine di caratterizzazione e diversificazione – ripreso in chiave minore dal successivo High School Musical (2006).

Ne consegue che ogni persona all’interno del liceo è inquadrata in una specifica casella, in uno specifico modello da seguire e da cui non può sfuggire, e, più in generale, che il mondo femminile è scandito da precise regole e aspettative a cui sottostare, anche indirettamente suggerite dalla controparte maschile.

Lacey Chabert e Amanda Seyfried in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

Così i vari personaggi di Mean Girls non si fanno problemi a riempirsi la bocca di insulti anche piuttosto pesanti verso le loro compagne – slut, whore… – a diventare artefici di pettegolezzi degradanti, pur in maniera sotterranea e meschina, anche per non tradire il modello che le costringe comunque ad essere piacenti e mai veramente dirette.

Ne consegue una sorta di isteria collettiva, che deriva anzitutto da un’insicurezza di fondo, che è propria di tutti i personaggi, persino di quelli più inscalfibili come Regina – che si lamenta delle sue spalle da uomo, del voler dimagrire… – e che sfocia in un bieco bullismo.

Consapevole di questa situazione, Regina rompe quell’apparenza: tramite la diffusione delle pagine del Burn Book, viene raccontata la vera natura di tutte le ragazze della scuola, ugualmente colpevoli e vittime di questo gioco perverso.

Un drammatico declino

Come detto, Cady è un’adolescente tutta da scrivere.

Per questo è così facile per lei farsi assorbire dal mondo del liceo, partendo prima come una totale outsider, per poi diventare non solo ossessionata da Regina George, ma trasformandosi proprio in una sua copia, tanto da imitarne atteggiamenti, frasi…

Di fatto la protagonista si convince indirettamente di poter conquistare Aaron solamente comportandosi come Regina, ovvero con una sottile malignità e alle spalle delle sue presunte amiche, cominciando progressivamente a svalutarsi e perdere un’identità propria.

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

In questo senso Cady ha diversi picchi drammatici.

Anzitutto, quando porta le Plastics ad escludere Regina perché non vestita adeguatamente, mostrando come la stessa possa diventare vittima del meccanismo che ha orchestrato, in uno anche dei suoi momenti più strazianti.

Subito dopo, prendendo il posto e sentendosi invincibile, in realtà con una sola festa riesce a tradire i suoi amici e a farsi definitivamente respingere dal suo ragazzo dei sogni, proprio per essere diventata così insipida e superficiale.

Ma anche peggiore è il momento in cui con i suoi maligni sotterfugi arriva quasi ad uccidere Regina George, proprio nel momento in cui è costretta a confrontarsi con lei dopo la terribile rivelazione di Janet, che acquisisce un’inedita popolarità.

Oltre l’adolescenza

Da questo momento Cady comincia la sua maturazione e definizione.

Tornata sui suoi passi per mettere a posto la sua vita, dà finalmente spazio a qualcosa che la definisca veramente come persona, ovvero la sua geniale mente matematica, che permette alla sua squadra di vincere il campionato.

In quella stessa occasione, davanti ad una ragazza che un attimo prima avrebbe definito come cessa – per non dire altro – la protagonista capisce la totale distruttività del pensiero che l’ha guidata fino a quel momento: parlare alle spalle degli altri per emergere come migliore.

Lindsay Lohan in una scena di Mean Girls (2004) di Mark Waters

La vera vittoria di Cady è infatti quella di riuscire a risultare effettivamente brillante nella gara, proprio guardando oltre l’ossessione per Aaron, e sfruttare il momento di vittoria come reginetta della scuola – il maggiore riconoscimento sociale – come invece un ripensamento sulla tossicità dell’ambiente scolastico.

In questo modo la protagonista accompagna anche gli altri personaggi verso un’idea diversa, che non comporti il parlarsi alle spalle e lo sminuirsi vicendevolmente, ma piuttosto il cercare di arricchirsi e sostenersi in una fase della propria vita già abbastanza difficoltosa.