Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson è l’ultimo capitolo della trilogia prequel de Il Signore degli Anelli.
E anche, a sorpresa, il capitolo più debole.
Incassò bene, ma perdendo qualche centinaio di milioni lungo la strada: a fronte di un budget di circa 300 milioni di dollari, incassò 956 milioni di dollari in tutto il mondo.
E se consideriamo che il primo capitolo aveva incassato 1,1 miliardi…
Di cosa parla La battaglia delle cinque armate?
Ora che Smaug è stato risvegliato, Laketown teme per la sua salvezza. Ma non è l’unico nemico all’orizzonte…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di guardare La battaglia delle cinque armate?
Come dire, a questo punto sì.
Nel senso che vale la pena, arrivati a questo punto, concludere la trilogia e vederne il finale. E questo nonostante sia un finale veramente debole, che gioca tanto sul fanservice, in maniera che sul momento mi ha anche colpito.
Tuttavia, ripensandoci, non mi ha lasciato un buon sapore in bocca.
Tuttavia, è stato complessivamente un film abbastanza deludente, molto pasticciato per certi versi, e che mi ha abbastanza nauseato per l’uso poco attento della CGI…
Maledetta CGI, ha rovinato la CGI
Quando ci troviamo davanti ad un prodotto ambientato in un contesto fantastico è assolutamente normale, sopratutto per le grosse produzioni, che gli ambienti siano totalmente in digitale.
Ma non tutte le CGI sono uguali.
Per esempio, per quanto per me non sia invecchiata perfettamente, il reparto tecnico di Avatar (2009) è ancora oggi molto credibile e, per la maggior parte, invecchiato molto bene alla prova del tempo. Invece la CGI di La battaglia delle cinque armate è talmente un disastro da essere quasi nauseante.
Già l’avevo notato per lo scorso film, ma in questo caso Laketown in fiamme è un vero incubo.
E non è neanche tutto il problema.
Al di là degli orchi con una character design poco convincente, i troll che si vedono in alcune scene sono davvero tremendi, da ogni punto di vista.
E sembra veramente la pietra tombale della carriera di Jackson, dal momento che è andato contro la stessa innovazione che aveva portato, basata molto principalmente sugli effetti speciali materiali che quelli digitali.
Ma per questa trilogia, e soprattutto questo capitolo, si è totalmente ubriacato di questa tecnica.
Il dramma di Thorin
Forse l’unica parte che mi ha veramente convinto di questa pellicola è stata la storyline di Thorin.
Nonostante una messinscena a volte leggermente delirante, ho trovato sia il suo dramma, sia l’interpretazione di Richard Armitage, davvero coinvolgente. La follia di Thorin è il culmine del suo rapporto con Bilbo, l’unico personaggio che riesce effettivamente a salvarlo.
Tuttavia, per quanto sia un elemento trattato in maniera molto interessante, è altrettanto dimenticato per la seconda parte del film, quando la storia del personaggio diventa molto più lineare e prevedibile.
E non è neanche l’unico elemento di chi ci si dimentica…
Liberarsi dei propri personaggi
Mi ha lasciato alquanto contraddetta la gestione delle morti dei personaggi.
Solitamente in un film, quando si uccidono dei personaggi abbastanza importanti – e soprattutto quando si vuole fare una buona scrittura – si lascia lo spazio per elaborare il lutto e dare in generale importanza alla tragedia avvenuta.
In La battaglia delle cinque armate, per quanto Thorin goda complessivamente di un momento abbastanza toccante, lo stesso non si può dire del resto dei suoi compagni, che sembrano morire come mosche, senza che agli sceneggiatori interessasse così tanto…
…oppure sono stati incapaci di raccontarcelo.
E ho trovato particolarmente grave che ci sia una scena come quella di Gandalf e Bilbo sulle macerie, che non trasmette un briciolo della tragicità che dovrebbe (o vorrebbe).
Ma la parte veramente grave arriva prima.
L’epopea dei cinque minuti
Per il precedente film ero rimasta, a sorpresa, abbastanza soddisfatta dal personaggio di Tauriel, meno disastroso di quanto mi ricordassi.
Poi è arrivata la fine de La battaglia delle cinque armate.
Non so se è stata più assurda la morte di Kíli, causata sopratutto dalla stupidità di Tauriel, o il confronto che la stessa ha con Thranduil alla fine della battaglia. È così evidente come volessero raccontare un’importante storia d’amore finita tragicamente.
Ma si sono dimenticati che la stessa si regge su basi debolissime, soprattutto proprio per una grave mancanza di spazio nel montaggio finale.
Si chiude un cerchio ne La battaglia delle cinque armate
La struttura narrativa di questo prodotto eredita un problema fondamentale dello scorso film: il cliffhanger finalizzato all’hype.
Probabilmente, visti i risultati al botteghino, è stata una mossa indovinata per mantenere gli incassi del precedente, che già erano calati rispetto al primo. Tuttavia, ho inevitabilmente sentito come l’inizio di questa pellicola non fosse altro che un epilogo del precedente.
E, fondamentalmente, il film avrebbe potuto cominciare mezz’ora più tardi.
Oltre a questo, personalmente mi ha deluso molto la poca varietà della trama, che è fondamentalmente focalizzata intorno ad un unico punto, a differenza dei precedenti.
L’unica scelta che mi ha relativamente convinto è il finale che non è altro che un inizio, perché riprende una delle scene iniziali proprio La compagnia dell’Anello. Tuttavia, vista la fretta e la poca cura, questa conclusione mi è sembrata molto improvvisata e mi ha lasciato un senso di vuoto.
Come se non ci fosse stato un effettivo finale…