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Misterioso omicidio a Manhattan – Un matrimonio a pezzi

Misterioso omicidio a Manhattan (1993) è uno dei film più noti della filmografia di Woody Allen, in cui riprese il suo sodalizio con Diane Keaton.

Con un budget di circa 13 milioni di dollari – circa 28 oggi – fu un flop colossale, incassando anche meno delle spese di produzione stesse.

Di cosa parla Misterioso omicidio a Manhattan?

Larry e Carol sono una tranquilla coppia sposata di New York, che si trova coinvolta in un caso piuttosto misterioso…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Misterioso omicidio a Manhattan?

Woody Allen e Anjelica Huston in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Assolutamente sì.

Misterioso omicidio a Manhattan è sostanzialmente il seguito morale di Manhattan (1979) e Io e Annie (1977), oltre ad una sorta di riscrittura del classico di Hitchcock La finestra sul cortile (1954).

Con una regia piuttosto appassionata e sperimentale, Allen maschera dietro ad una trama mistery dal forte sapore comico un ripensamento sulla sua situazione relazionale…

…riuscendo al contempo ad essere avvincente ed imperdibile.

Un peculiare equilibrio

Woody Allen e Diane Keaton in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Fin dal suo primo atto, Misterioso omicidio a Manhattan porta in scena un peculiare equilibrio di tematiche apparente inconciliabili.

Viene mostrato anzitutto il difficile rapporto matrimoniale fra Carol e Larry, che sembra per molti versi proprio arrivato agli sgoccioli, per la differenza di interessi e tendenze dei due, e che verrà messo alla prova proprio dal caso in cui verranno coinvolti.

Woody Allen e Diane Keaton in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Dopo un siparietto comico apparentemente fine a sé stesso nella casa dei vicini, i due protagonisti fanno ritorno dall’opera parlando del più e del meno, mentre sulla porta a vetri del loro condominio si riflettono le sirene della polizia…

…e così il secondo elemento tematico si intrufola silenzioso in scena.

Quindi nei suoi primissimo momenti della pellicola Allen dimostra di saper ben bilanciare l’elemento mistery e il racconto del rapporto matrimoniale in crisi, forte anche del fantastico talento comico e dell’ottima presenza scenica di Diane Keaton.

Due strade diverse

Diane Keaton in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Il racconto della relazione dei protagonisti è fondamentale per comprendere l’effettivo tema di fondo del film.

Mentre Carol si fa immediatamente coinvolgere dal mistero, sicura che Mr. House abbia qualcosa da nascondere, andando persino ad infiltrarsi a casa sua, Larry la riprende costantemente, cercando di convincerla a lasciar perdere, e non credendo per nulla alle sue parole.

In questo modo indirettamente Allen racconta la sua crisi relazionale: proprio alla vigilia delle riprese del film, la relazione più che decennale con Mia Farrow – che infatti era presente nei precedenti Radio Days (1987) e Hannah e le sue sorelle (1986) – era giunta al termine.

E non è certamente un caso che la parte di Carol fosse inizialmente destinata alla sua ex-compagna…

L’ombra del tradimento

Woody Allen e Diane Keaton in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Come in gran parte della filmografia di Allen, anche in questa pellicola è presente il tema del tradimento.

Infatti, sia Carol che Larry intraprendono – anche se mai fino in fondo – delle relazioni con persone esterne al matrimonio, dimostrando chiaramente un certo interesse sentimentale e sessuale, anche se in modo diverso.

Se Carol trova il compagno di indagini in Ted, mentre Larry le è ancora ostile, il marito si lascia catturare dal fascino di Marcia, una donna magnetica e misteriosa, di cui infatti Carol è immediatamente gelosa.

Ma, sorprendentemente, il secondo atto è costruttivo.

Ricostruire

Woody Allen, Diane Keaton, Anjelica Huston e Alan Alda in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Con dinamiche molto simili al più volte citato Una finestra sul cortile, nel secondo atto finalmente Larry crede ai sospetti della moglie.

Questo cambio di passo per il suo personaggio è una scelta estremamente funzionale, in quanto permette a Diane Keaton di brillare ancora di più al suo fianco come talento comico, grazie all’ottima chimica che lega i due interpreti anche nella vita reale.

Woody Allen, Diane Keaton, Anjelica Huston in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

La sezione centrale è infatti il momento che ho più preferito del film, in cui la regia sperimenta moltissimo con l’uso delle luci – e del buio – con una dinamica avvincente ma che comunque non si dimentica del lato più strettamente umoristico, risultando ancora più irresistibile.

Nello specifico particolarmente azzeccato il parallelismo della scena in cui Larry spinge la moglie ad andare ad incontrare Ted e Marcia per discutere il caso in piena notte, mentre all’inizio del film aveva respinto la medesima idea quando Carol gliela aveva proposta…

Il gioco delle coppie

Jerry Adler in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Dopo un rocambolesco tentativo di incastrare Mr. House tramite la sua stessa amante, il finale è scandito dal tema dei doppi.

Se infatti Hitchcock in Una finestra sul cortile per lo scontro dell’omicida col protagonista sperimentava con le soggettive e con i giochi di luce, nel finale di Misterioso omicidio a Manhattan Allen si imbarca in un’ambiziosa regia che ha come protagonista gli specchi.

E con una doppia funzione.

Se da una parte l’utilizzo degli specchi crea confusione sia nei personaggi che nello spettatore, per la difficoltà di distinguere la realtà dalla sua copia, allo stesso modo questo gioco di riflessi è simbolicamente rappresentativo del caso stesso, definito dalla presenza di doppi e di apparenze ingannevoli…

I due finali

Woody Allen e Diane Keaton in una scena di Misterioso omicidio a Manhattan (1993) di Woody Allen

Misterioso omicidio a Manhattan presenta due finali.

Il primo è lo scioglimento della vicenda e in particolare del mistero, in cui ne vengono spiegate le dinamiche, pur con una narrazione fin troppo elaborata e complessa per un film di questo tipo, che funzionerà invece meglio nella successiva commedia mistery Scoop (2006).

Per certi versi più interessante è l’epilogo legato alla relazione fra i protagonisti: a differenza di molte altre pellicole di Allen, in questo caso il tradimento non si compie e il finale non è amaro, ma anzi estremamente speranzoso e positivo.

Nel ricongiungimento dei protagonisti si può intravedere un Woody Allen forse ancora speranzoso di una possibile riappacificazione con Mia Farrow, e al contempo rincuorato dell’aver potuto lavorare in coppia con la sua compagna storica, che rimane ancora oggi un importante affetto della sua vita…

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Harry a pezzi – La decostruzione

Harry a pezzi (1997) è uno dei titoli più noti e apprezzati della filmografia di Woody Allen.

A fronte di un budget abbastanza sostanzioso per un film di Woody Allen – 20 milioni di dollari, circa 40 oggi – fu un pesante flop commerciale, incassando la metà delle spese di produzione.

Di cosa parla Harry a pezzi?

Harry è un rimontato scrittore di romanzi, che ha però la brutta abitudine di raccontare troppo di sé stesso e di chi gli sta intorno…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Harry a pezzi?

Woody Allen in una scena di Harry a pezzi (1997) di Woody Allen

Assolutamente sì.

Se in Radio Days (1987) Allen ripercorreva e riscriveva momenti fondamentali della sua infanzia, in Harry a pezzi decostruisce il suo presente come autore e uomo.

Ne risulta un racconto profondamente metanarrativo, in cui Allen sembra mettersi più di ogni altra sua opera totalmente a nudo, con le sue debolezze e le sue ossessioni.

Una riflessione di fine secolo che vale la pena di recuperare.

Partire dalla finzione…

Un’inquadratura insistente di pochi minuti ci mostra una donna che scende furiosamente da un taxi.

Ma subito la scena muta.

Un quadretto di quotidianità piuttosto comune – una grigliata all’aperto – si trasforma ben presto nello sfondo di una storia di passione e tradimento, con tinte quasi grottesche, che raggiungono il loro picco con l’apparente scoperta del misfatto…

…che in realtà si rivela solo l’occasione per proporre una raffica di battute piuttosto sagaci a sfondo sessuale – anche di difficile traduzione – che chiudono il cerchio di questa commedia dell’assurdo.

…e arrivare alla realtà

Ma la spiegazione della scena è forse anche più surreale.

Vengono riportati in scena i protagonisti, ma con una veste del tutto nuova, ma ben più terrena: la vicenda era molto meno divertente, anzi ben più drammatica, e il romanzo ne è stato solo il punto di arrivo.

In particolare, i contorni del dramma sono meglio definitivi più avanti nel film, in cui viene rivelata (e confermata) la totale incapacità del protagonista di rimanere fedele in una relazione…

…con una Lucy estasiata all’idea di essere scelta come la prossima compagna di Harry, ma che si trova invece a dover inghiottire un boccone amaro.

Rubare l’identità

Tobey McGuaire in una scena di Harry a pezzi (1997) di Woody Allen

Ma il cuore della vicenda è rivelato dai due episodi successivi.

Anzitutto, dal racconto del passato, quando ancora Allen era un ragazzino incastrato in un matrimonio senza futuro, ricercando la compagnia di qualunque donna tranne che la propria moglie.

Ma il momento fondamentale è l’incontro con la morte.

Essendosi lasciato convincere a intrattenersi con una prostituta e prendendo in prestito la casa di un suo amico, Harry si ritrova a confrontarsi con la prima identità rubata, di cui deve pagare tutte le conseguenze.

Allo stesso modo, l’apparente gag puramente comica dell’uomo fuori fuoco, verso il finale si rivela in realtà una rappresentazione visiva di come il protagonista si sente nei suoi numerosi attacchi di panico.

Giù la maschera!

Woody Allen in una scena di Harry a pezzi (1997) di Woody Allen

Durante la pellicola Harry ripercorre più volte momenti del suo passato, spesso traslandoli in scenette fittizie e molto idealizzate.

Si scopre così un personaggio intrappolato in un labirinto di relazioni – amorose e non – che sembrano trovare un senso solamente nella finzione, in cui personaggi ed eventi si mescolano, diventando per certi versi anche caricaturali.

I primi scricchiolii di questo castello di carte sono gli incontri con alcuni dei personaggi, delle maschere dietro cui Harry si è nascosto negli anni, che si rivelano ben più sagge e consapevoli della loro controparte reale.

Ed è solo il primo passo perché il protagonista decida definitivamente di abbandonare questi numerosi travestimenti, mettendosi in prima persona al centro della storia per raccontare una scena fantastica e reale insieme.

Impossibile scappare

Tobey McGuaire in una scena di Harry a pezzi (1997) di Woody Allen

Così l’incontro col diavolo e la discesa negli inferi non è altro che una rappresentazione della frustrazione di Harry nell’aver perso una delle sue amanti preferite nelle braccia di un uomo che considera tanto spregevole da rappresentarlo come il diavolo tentatore.

Ma questo apparente passo indietro, a fronte anche di una situazione molto reale da cui è impossibile sfuggire – il rapimento del figlio – si conclude solo apparentemente in un suo effettivo ripensamento del suo continuo rifugiarsi nella fantasia.

Nel finale troviamo la figura di Harry che si sovrappone più che mai a quella di Woody Allen, del tutto consapevole di utilizzare i suoi film – o romanzi che siano – per raccontare i suoi dubbi e le sue storie turbolente…

…ma, al contempo, altrettanto consapevole di non poterne fare assolutamente a meno.

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Radio Days – Le voci del passato

Radio Days (1987) è un film meno conosciuto della filmografia di Woody Allen, ma anche fra i più apprezzati della sua produzione.

Con un budget abbastanza contenuto – 16 milioni di dollari, circa 43 oggi – fu un flop commerciale, incassando meno delle spese di produzione.

Di cosa parla Radio Days?

Con questa pellicola Woody Allen ripercorre i ricordi della sua infanzia negli Anni Quaranta, gli anni d’oro della radio…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Radio Days?

Mia Farrow in una scena di Radio Days (1987) di Woody Allen

In generale, sì.

Anche se magari non è l’opera più indimenticabile della filmografia di Woody Allen, nella sua produzione di fine secolo è quella che ho preferito.

Fra le varie pellicole che mischiano la comicità al dramma, Radio Days sceglie di puntare unicamente sul lato comico, anche quello più apertamente surreale della sua prima produzione, che in questo caso funziona particolarmente bene.

Tuttavia, non manca neanche un lato più malinconico e nostalgico…

La radio che unisce

Wallace Shawn in una scena di Radio Days (1987) di Woody Allen

Radio Days è una collezione di episodi e gag comiche, tutte unite da un unico elemento: la radio.

Woody Allen ci immerge in un passato piuttosto remoto – anche per il periodo in cui il film arrivò in sala – in cui i programmi radiofonici anticiparono quello che poi sarà il ruolo della TV: un momento di incontro e di identificazione.

Infatti, ogni membro della famiglia può trovare un riconoscimento in una delle tante proposte del palinsesto, che permettono di evadere dalla quotidianità e sognare oltre i limiti della realtà più terrena e drammatica…

Una risata ci seppellirà

Ma Radio Days non racconta solo situazioni comiche.

Molte delle storie in scena hanno dei sottofondi drammatici non indifferenti, che vengono però stemperati da una commedia che molto spesso gioca con l’assurdo, e che mi ha ricordato il precedente Prendi i soldi e scappa (1969).

Personalmente la mia scena preferita è quella dello zio Abe che si va a lamentare coi vicini comunisti, diventandolo a sua volta, ma anche la gag iniziale con i due ladri che partecipano al programma radiofonico è particolarmente gustosa.

In questo senso ho trovato l’utilizzo dell’umorismo non vincolato ad un solo personaggio come nel successivo Crimini e misfatti (1989), ma distribuito su più figure e momenti, la scelta più funzionale anche per la riuscita della comicità stessa.

La drammaticità di fondo

Dianne Wiest in una scena di Radio Days (1987) di Woody Allen

Come detto, non mancano i momenti più drammatici, anche se ben dosati.

La storia forse più triste è quella della zia Bea, che rincorre il sogno del matrimonio e della costruzione della famiglia, non riuscendo però a raggiungerlo per i molti appuntamenti sfortunati e per la sua incapacità di adattarsi.

E proprio dell’adattarsi parlano molti dei personaggi femminili in scena, che si trovano costretti all’interno di situazioni matrimoniali non sempre ottimali, per cui ammettono loro stesse di aver dovuto fare dei compromessi.

Mia Farrow e Wallace Shawn in una scena di Radio Days (1987) di Woody Allen

Ma il momento più drammatico, profondamente malinconico e che racchiude il significato più personale dell’opera, è la chiusura della pellicola: un momento di festa, particolarmente allegro e che guarda al futuro…

…ma al contempo un’occasione particolarmente mesta per riflettere sul tempo che avanza e sul valore del ricordo: se i personaggi in scena temono di essere dimenticati e quindi di scomparire, lo stesso narratore ammette che ogni anno le loro voci si fanno sempre più flebili e lontane…

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Crimini e misfatti – Il meta-dramma

Crimini e misfatti (1989) è una delle prime pellicole in cui Woody Allen, fra la commedia e il dramma, spazia in riflessioni esistenziali e metanarrative.

A fronte di un budget medio – 19 milioni di dollari, circa 46 oggi – fu un pesante flop al botteghino, con un incasso che fu quasi pari alle spese di produzione.

Di cosa parla Crimini e misfatti?

La pellicola segue due storie parallele e collegate in maniera piuttosto peculiare: da una parte Cliff Stern, un regista di documentari che vive di sogni, e dall’altra Judah Rosenthal, un dottore di successo ma con un oscuro segreto…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Crimini e misfatti?

In generale, sì.

Per quanto sia nel complesso una visione piacevole e anche genuinamente divertente, Crimini e misfatti rappresenta un tentativo a mio parare ancora acerbo di accostare all’interno della stessa pellicola una profonda tematica esistenziale alla tipica comicità di Woody Allen.

Ne risulta una riflessione esistenziale, metanarrativa, che anticipa il più riuscito Match point (2005) e che tenta ancora una volta di mischiare il dramma con la commedia – una sperimentazione che avrà il suo picco in Melinda e Melinda (2004) – in con un prodotto non del tutto riuscito.

Il dramma invisibile

Martin Landau in una scena di Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen

In un clima festoso e apparentemente confortante, un angoscioso flashback ci svela l’oscuro segreto del protagonista.

Parte così un inseguimento alla scheggia impazzita, a quella donna così isterica e incontrollabile che potrebbe non solo distruggere la vita matrimoniale di Judah – omen, nomen – ma anche la sua credibilità sociale.

Con questa vicenda dai risvolti quasi thriller, Crimini e misfatti racconta anzitutto un dramma esistenziale legato ad un personaggio di successo e con una vita apparentemente desiderabile, in realtà con diversi scheletri nell’armadio.

Ma il peggio deve ancora arrivare.

La ricercata colpevolezza

Martin Landau e Jerry Orbach in una scena di Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen

L’uccisione della donna appare quasi inevitabile.

Ma è la stessa a far intraprendere al protagonista un’angosciosa riflessione sulla colpa e sulla punizione, andando anche a ripercorrere l’educazione religiosa che l’aveva convinto che ad un crimine seguisse sempre un giusto castigo.

Proprio per questa convinzione Judah – in una dinamica che per certi versi mi ha ricordato Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) – sembra quasi che voglia farsi scoprire, rischiando più volta di rovinare un piano dall’ideazione praticamente perfetta.

Cinema e religione

Woody Allen in una scena di Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen

La storia di Cliff viaggia parallela a quella di Judah.

Il collegamento più immediato è la totale simmetria fra i due drammi: come Judah tempo prima, anche il personaggio di Allen si trova invischiato in una storia amorosa e adultera che sembrerebbe risolutiva del suo insoddisfacente matrimonio.

Se questa tematica di per sé non è niente di nuovo per la produzione di questo regista, il collegamento più interessante è quello metanarrativo.

Per quanto i due personaggi non si conoscano fino alla fine, in realtà Cliff vede la storia di Judah grazie ai diversi titoli che visiona con la nipote durante la pellicola – in ordine, Il signore e la signora Smith (1941), Il fuorilegge (1942), Happy Go Lucky (1943) e L’ultimo gangster (1937).

Woody Allen e Martin Landau in una scena di Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen

Per questo l’incontro finale è fondamentale.

In un’amara riflessione, Judah racconta a Cliff il suo dramma personale nell’essere colpevole, ma non punito, andando quindi a vanificare tutte le sicurezze morali che avevano definito la sua vita fino a quel punto.

E, proprio davanti alla replica di Cliff, che cerca di ricondurre la storia a degli stilemi narrativi fittizi e cinematografici, l’altro gli ricorda che la realtà – purtroppo – funziona diversamente, e non è possibile avere sempre un finale positivo, o anche solo soddisfacente.

In questo modo, anche se indirettamente, il personaggio di Woody Allen si rende conto che le sue convinzioni per cui Halley non avrebbe mai premiato il borioso e insopportabile Lester, in realtà si sono rivelate illusorie e derivanti proprio dai film che tanto amava, distrutte davanti alla più amara realtà che ha dovuto sopportare.

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Hannah e le sue sorelle – Una famiglia a pezzi

Hannah e le sue sorelle (1986) è una delle commedie più conosciute della produzione di Woody Allen, godendo fra l’altro di un cast piuttosto nutrito di star – o future tali – fra cui Carrie Fisher, Michael Caine e Diane West.

Fu anche uno dei più grandi successi economici della produzione di Woody Allen: con un budget di circa 6,4 milioni di dollari – circa 18 milioni ad oggi – incassò ben 40 milioni – circa 110 milioni ad oggi.

Di cosa parla Hannah e le sue sorelle?

La storia ruota intorno alle turbolente vite sentimentali di Hannah e delle sue due sorelle, April e Lee, che si intersecano in maniera piuttosto inaspettata…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Hannah e le sue sorelle?

Mia Farrow in una scena di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen

In generale, sì.

Hannah e le sue sorelle si va ad incasellare in quel tipo di commedia della produzione di Woody Allen non particolarmente originale nelle tematiche, ma piacevole da fruire, nonché elegante e curata nella messinscena.

I suoi grandi punti di forza sono il cast di grandi attori – quell’anno, fra l’altro, ampiamente premiati agli Oscar – e l’irresistibile ironia di Woody Allen stesso, che, come tipico delle sue commedie, è il punto focale della comicità della pellicola.

Insomma, nel complesso ve la consiglio.

L’inizio di un amore

Mia Farrow e Michael Caine in una scena di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen

L’incipit di Hannah e le sue sorelle racconta uno dei temi preferiti di Allen: un amore impossibile.

La voce fuori campo dell’ancora sconosciuto Elliot ci accompagna alla scoperta di Lee e dei suoi sentimenti segreti quanto problematici – niente di meno che per la giovane sorella della moglie.

Tutto sembra essere apparecchiato per lo svolgersi di uno struggente dramma romantico a lieto fine: entrambi sono ingabbiati in relazioni a loro dire insoddisfacenti, e sembrano invece ritrovarsi negli interessi intellettuali comuni.

Michael Caine in una scena di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen

Ma questa non è una qualunque commedia romantica.

Come aveva già sperimentato sia in Io e Annie (1977) e Manhattan (1979), Allen sceglie un taglio più amaramente realistico: per quanto Elliot si racconti di essere perdutamente innamorato di Lee e di volerla salvare da Frederick, in realtà è divorato dall’angosciante prospettiva di ferire Hannah.

E la troppa attesa preclude per sempre i rapporti.

Alla fine, Lee salva sé stessa: si lascia alle spalle la problematica relazione con Frederick – che era più un padre che un compagno – ed evita di affiancarsi nuovamente ad un uomo così distante da lei per età e per affinità.

Il ritaglio comico

Woody Allen in una scena di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen

La storia dei Mickey è quella che ho più apprezzato della pellicola.

Con questo personaggio Woody Allen riesce a mantenere la comicità surreale tipica soprattutto della sua prima produzione: un incurabile ipocondriaco, tormentato da un’ansia costante e quasi grottesca.

Tramite un inaspettato crescendo drammatico, sembra veramente che i più tragici sogni del protagonista si siano avverati, e che la morte sia veramente venuta a bussargli alla porta, tanto da immaginarsi l’infausto annuncio del dottore.

Ma ancora più inaspettata – e, per questo, irresistibile – è la crisi esistenziale che lo assale, portandolo a riflettere sulla sua vita e il suo matrimonio finito, ricercando una fede in cui rifugiarsi, con un’ironia che già aveva sperimentato in Prendi i soldi e scappa (1969).

E poi c’è Holly.

Il lato debole

Mia Farrow, Barbara Hershey e Dianne Wiest in una scena di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen

Holly, è a mio parere, la storia più debole del terzetto.

La debolezza risiede nella difficoltà che ho trovato nell’empatizzare con il personaggio: una bisbetica insoddisfatta che insegue amori impossibili e sogni irrealizzabili, ma sembrando più un peso per le sue sorelle che altro.

Ho trovato altresì piuttosto antipatica la sua scelta di umiliare la sorella con una sceneggiatura che svelasse la fallacia del suo matrimonio, idea per fortuna messa da parte e che conduce il personaggio ad un – a mio parere – davvero improbabile lieto fine.

Proprio per il tipo di commedie con finali piuttosto amari tipici della produzione di Allen, ho trovato quasi fuori luogo come Holly e Mickey si ritrovano, arrivando nel giro di poco tempo anche a sposarsi, a fronte di un primo appuntamento divertente quanto rivelatorio della loro incompatibilità.