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Alps – Un lugubre role play

Alps (2011) è uno dei primi film di Yorgos Lanthimos, che tornò con una nuova provocazione che fece innamorare Venezia, guadagnandosi il Premio Osella per la migliore sceneggiatura.

A fronte di un budget sconosciuto, ma sicuramente molto basso, incassò 233 mila dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Alps?

Un gruppetto di individui con professioni e interessi diversi, si riunisce in una sorta di associazione segreta con un obbiettivo comune: sostituire i morti.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Alps?

Angeliki Papoulia in una scena di Alps (2011) di Yorgos Lanthimos

Assolutamente sì.

Nonostante abbia delle dinamiche e delle tematiche comuni, Alps si differenza dal precedente Dogtooth (2009) per una provocazione che personalmente mi ha tenute più sulle spine – soprattutto perché, non conoscendo la trama, ci ho messo di più a capirne i contorni.

E questo è anche il tipo di Lanthimos che apprezzo di più: film più piccoli, più prima maniera, più ingenuamente provocatori che già facevano impazzire i festival, quando il regista greco era ben lontano dal farsi un nome ad Hollywood.

Nostalgia canaglia.

Alps

Johnny Vekrīs e Arīs Servetalīs in una scena di Alps (2011) di Yorgos Lanthimos

Il titolo è già di per sé eloquente.

Come spiega Monte Bianco, questo particolare nome per il gruppo ne definisce la sua natura di segretezza – è impossibile capire cosa rappresenti – ma al contempo cerca di elevare i suoi membri ad un livello superiore rispetto alle persone di cui vanno a prendere il posto.

Secondo questa logica infatti i defunti e le loro dinamiche relazionali sono del tutto sostituibili, nonostante i protagonisti siano in realtà capaci di portare in vita solo dei ridicoli teatrini, che dimostrano invece l’esatto contrario: nessuna messinscena potrà mai compensare il vuoto di una persona morta.

E in questo si trova il cardine del loro dramma.

Vuoto

Angeliki Papoulia in una scena di Alps (2011) di Yorgos Lanthimos

Per quanto i protagonisti si vogliano raccontare come degli scaltri avvoltoi e dei sublimi macchinatori, in realtà sono vittime di loro stessi.

Infatti il loro agire è dettato da un vuoto che questi personaggi sentono all’interno della loro esistenza, che li porta ad assumere il ruolo di riempitivi nelle vite degli altri, pur in maniera estremamente grottesca e profondamente disperata, soprattutto per Monte Rosa.

L’infermiera è infatti il personaggio più tragico, che soffre un effettivo vuoto nella sua vita che non riesce a colmare: la scomparsa della madre, una sorta di convitato di pietra a cui non si riesce a sostituire, nonostante fino alla fine ci provi in ogni maniera…

Invidia

Ariane Labed in una scena di Alps (2011) di Yorgos Lanthimos

I protagonisti sono meschini.

Non è scontato porre al centro della scena dei personaggi che non sembrano meritare o ricercare alcun tipo di redenzione, ma che anzi rimangono saldamente ancorati alla loro meschinità, pure peggiorano progressivamente, arrivando a tradire i loro stessi compagni di gioco.

Insomma, più che un gruppo quello di Alps è una gara senza esclusione di colpi, il cui unico obbiettivo è ottenere il soddisfacimento personale, anche se il suo ottenimento deriva dalla stessa persona che all’inizio del film ci minacciava di farsi a pezzi…

…e che probabilmente l’avrebbe fatto.

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Dogtooth – La prigionia intellettiva

Dogtooth (2009) è una delle prime opere di Yorgos Lanthimos, quando ancora produceva unicamente film in madrepatria.

A fronte di un budget veramente ridicolo – 250 mila dollari – fu nel complesso un grande successo commerciale, forte anche di diversi premi in festival internazionali: 1,4 milioni di dollari.

Di cosa parla Dogtooth?

Tre fratelli già piuttosto adulti sono tenuti in isolamento dal resto del mondo per volontà del padre, vivendo solamente nel loro piccolo mondo casalingo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Dogtooth?

Angeliki Papoulia, Mary Tson e Hristos Passalis in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

Assolutamente sì.

Nonostante sia un film a tratti veramente disturbante, piuttosto grottesco e profondamente violento, per quanto mi riguarda Dogtooth è una visione veramente rilassante: uno slice of life piuttosto anomalo, che calibra molto bene i suoi toni e i suoi contrasti.

Si passa così da piccole, assurde quotidianità di questa strana famiglia, per poi esplodere improvvisamente in picchi di brutalità, che però sono talmente ben integrati nel tessuto narrativo da non risultare mai fuori luogo.

Insomma, da riscoprire.

Linguaggio

Angeliki Papoulia in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

La vera prigionia dei protagonisti di Dogtooth è intellettuale.

E parte dal linguaggio.

La prima scena infatti ci mostra come il terzetto sia sottomesso ad una sorta di tradizione orale del padre, programmaticamente manipolata per rendere il più alienante possibile la condizione dei figli, impossibilitati a comunicare anche nelle forme più basilari.

Mary Tson in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

Così la mancanza di stimoli intellettivi li limita anche nei loro interessi e nelle loro passioni, del tutto confinati all’ambito dei giochi infantili giusto per passare il tempo, ai futili baratti di oggetti senza valore e alle più brutali competizioni, che spesso sfociano anche nella violenza.

Ed infatti proprio la violenza è il cardine del sistema educativo.

Educazione

Angeliki Papoulia, Mary Tson e Hristos Passalis in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

L’educazione del padre è violenta e fortemente competitiva.

L’uomo incastra i suoi figli in un rigido sistema di premi e punizioni di sua stessa invenzione, in cui sono spinti a scontrarsi l’uno contro l’altro per decidere chi è il migliore dei tre, chi ha collezionato più sticker, chi che ha conquistato più aeroplani…

Ed è genuinamente grottesco quanto questi bambinoni siano interessati a premi che nel mondo reale definirebbero semplicemente il loro tempo libero, e che si riducono spesso ad attività rispettive eppure estremamente eccitanti, come la visione di un video che sanno ormai a memoria.

Angeliki Papoulia in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

Ma le punizioni sono anche peggiori.

I tre fratelli conoscono solamente il linguaggio della violenza, così si rapportano fra di loro e così subiscono le conseguenze delle loro azioni, che sia essere schiaffeggiati e rinchiusi in camera, o addirittura essere selvaggiamente picchiati con una videocassetta.

Ma l’educazione passa anche per il sesso.

Sesso

Angeliki Papoulia, Mary Tson in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

La presunta educazione sessuale è prerogativa unica del figlio maschio

Ed è anche l’unico effettivo rischio che il patriarca si concede, lasciandolo alle cure di una donna estranea che porta il primo elemento caotico e fuori controllo nella famiglia, e che si ingigantisce sempre di più nel corso della pellicola.

Angeliki Papoulia e Anna Kalaitzidou in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

Nonostante infatti il sesso sia un’esclusiva del fratello, in realtà è la sorella maggiore quella che lo esplora principalmente, scoprendosi sempre più interessata al dare che al ricevere, anche senza avere niente in cambio.

E infine diventa per forza di cose un tutto in famiglia, con la figlia maggiore costretta a prendere le parti di Christina, anche se le stesse infine passeranno quasi naturalmente alla figlia minore, che si ricongiunge sessualmente col fratello nel finale del film.

Ideale

Il padre ha creato un mondo ideale?

Avendo solo una visione rigida e unilaterale della società in cui vive, l’uomo non ha cresciuto i figli perché fossero migliori di lui, del tutto vergini dalle brutture del mondo esterno, ma piuttosto plasmandoli a propria immagine e somiglianza.

I fratelli sono infatti degli individui vuoti, del tutto incapaci di rapportarsi fra di loro e con l’ambiente, se non tramite un utilizzo sconsiderato della violenza, vivendo nel sogno di una maturazione impossibile legata alla caduta del dogtooth, il canino.

Angeliki Papoulia in una scena di Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos

E proprio questa limitatezza di pensiero si vede nel finale.

La sorella maggiore non fa altro che rispettare i rigidi dettami del padre per rendersi pronta per il mondo esterno, forzando quel passaggio con quella stessa violenza con cui è stata cresciuta, per poi andarsi a nascondere nell’unico mezzo permesso per uscire dalle mura domestiche.

E così il film si chiude con una ripresa muta sulla macchina, che porterebbe a chiedersi se effettivamente la donna si è liberata, ma che ci lascia invece con l’amara consapevolezza che in ogni caso il suo personaggio sarà incapace di sfuggire veramente alla pesante eredità che il padre le ha messo sulle spalle…