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Le riflessioni del cinema semplice

Il baratro dei sequel

Il personaggio ha ancora molto da raccontare

Quando si parla di sequel, poche cose nel mondo mi inorridiscono come questo tipo di dichiarazioni. Solitamente vengono dalla bocca di produttori illusi o attori a fine carriera che hanno bisogno di lavorare.

I sequel sono croce e delizia del cinema: possono essere al contempo un’ottima notizia e un incubo che si avvera. E purtroppo sono talmente imprevedibili che non sai mai veramente cosa aspettarti…

I sequel non progettuali

Una scena di Hotel Terminator 2 1991), sequel di Terminator (1984)

Con sequel non progettuali intendo i seguiti che non erano stati inizialmente progettati. E questo può voler dire molte cose.

Sia positive e negative.

Non avere un vero progetto per un sequel significa anche non aver gettato i semi giusti nel primo film, e quindi non aver niente di concreto raccogliere per un seguito. E così si dà lo spazio a due wild card: inventare e forzare.

Gli strascichi

Una scena di Hotel Transylvania 2 (2015), sequel di Hotel Transylvania

Nella peggiore delle ipotesi, il sequel diventa uno strascico. E con strascico intendo quei film prodotti perché si sente la necessità (soprattutto economica) di creare una continuazione, magari ad un primo capitolo anche buono.

Ma rimane comunque uno strascico perché la storia non ha più niente da dire.

Un buon esempio di strascico è Hotel Transylvania 2 (2015): un primo capitolo molto piacevole e interessante, con un messaggio di fondo sulla diversità e lo stigma sociale. Tuttavia, questo tipo di tematica non si poteva raccontare per più di un prodotto, soprattutto dopo il finale del film.

E infatti il secondo film non è altro che una inutile continuazione che prende le solite strade già battute per fare solo un prodotto da cestone delle offerte.

E dà il via ad un altro fenomeno dei sequel.

Il peggiore.

La spremitura

Una scena di Cattivissimo me 2 (2015), sequel di Cattivissimo me

Direi che il nome è autoesplicativo.

Parlo di quei sequel che creano non solo trilogie, ma interi franchise con sequel dopo sequel dopo sequel…

Ed è sempre il caso di Hotel Transylvania, per cui ad oggi sono stati prodotti ben quattro film. Per non parlare della pletora di sequel, prequel e spin-off dedicati alla saga di Cattivissimo me, uno dei prodotti animati più redditizi degli ultimi anni.

Tuttavia c’è anche un altro tipo di spremitura, forse più comprensibile…

Quando la spremitura non snatura il film

Ci sono casi in cui un prodotto non era particolarmente sconvolgente nella sua qualità già per il primo capitolo, quindi una spremitura non va a snaturare gli intenti iniziali.

È in parte il caso dell’estenuante sequela di nuovi film dedicati alla saga di Saw, gli infiniti (e sempre redditizi) film di Fast & Furious, e gli interminabili sequel di Final Destination

Tutti questi prodotti hanno in qualche modo qualcosa in comune: un elemento forte e riproponibile potenzialmente all’infinito. E questo permette di andare avanti finché il pubblico risponde positivamente.

Ma c’è un tipo anche peggiore di sequel…

Il sequel fuori tempo massimo

Un elemento abbastanza peculiare degli ultimi tempi (e non solo) sono i sequel fuori tempo massimo che vengono annunciati a destra e a manca. Parlo di quei prodotti annunciati dopo tanti (troppi) anni, quando il culto di un prodotto si è effettivamente consolidato.

Gli esempi si sprecano: oltre ai già annunciati sequel di Constantine (2005), Quel pazzo venerdì (2003), Dirty Dancing (1987) e molti altri, recentemente abbiamo avuto esempi molto calzanti come Hocus Pocus 2 (2022), Top Gun Maverick (2022) e Disenchanted (2022), o prima ancora, Zoolander 2 (2018)

E in quei casi è un continuo terno al lotto, assolutamente imprevedibile: ci possono essere prodotti scadenti come il sequel di Zoolander, e prodotti tutto sommato ben pensati come Disenchanted. Dipende dall’idea che c’è dietro, quanto si presti il prodotto originale, quanto sia adattabile ai tempi che corrono…

Parliamo di buoni sequel

Una scena di Shrek 2 (2015), sequel di Shrek

Ma in questo grigiore, esistono anche buoni sequel?

Per fortuna questo mondo non è fatto solo di mediocrate, ma ci sono anche buoni esempi di sequel che quantomeno riescono a proseguire degnamente la storia originale. Da esempi più vincenti come Dragon Trainer 2 (2014) a quelli più scricchiolanti, ma accettabili, come A Quiet Place 2 (2020)

Ma i casi più eclatanti sono quelli in cui il sequel è un prodotto anche migliore dell’originale. E questo succede quando o il film viene messo in mani più capaci oppure l’autore riesce a migliorare sé stesso.

Per il primo caso si può indubbiamente parlare ancora una volta di Shrek 2 (2004), per il secondo del grande passo avanti di Terminator 2 (1991). Ma il caso indubbiamente più eclatante è la saga di Scream, che riesce in qualche modo a migliorarsi di film in film.

Quando un sequel funziona?

Per me un sequel funziona se ci sono due elementi: il materiale originale che si presta e un’idea vincente da utilizzare.

Sempre parlando di Shrek 2, anche se la storia sembrava di per sé conclusa già col primo film, il materiale originale, anche solo a livello di world building, aveva ancora tantissimo da raccontare. Inoltre, il film è pieno di idee assolutamente geniali per una riscrittura delle fiabe incredibilmente divertente e funzionante.

Allo stesso modo Scream 4 (2011) gode di un’ottima materia originale e di un taglio narrativo, che aveva anzi bisogno di più tempo per essere utilizzabile per nuovi sequel. Oltre a questo, la pellicola è quasi profetica nel racconta una società che neanche si era ancora effettivamente concretizzata al tempo della sua uscita.

Differenza fra sequel, remake e reboot

Soprattutto di questi ultimi tempi, siamo inondati da etichette e definizioni per le nuove produzioni di sequels, remake, reboot…

Facciamo chiarezza.

Sequel e prequel

Monsters University (2001), prequel di Monsters & Co (2013).

Partiamo dalle cose semplici: il sequel racconta una storia successiva al capitolo precedente, mentre il prequel racconta la storia precedente.

Per esempio, Shrek 2 (2004) è il sequel di Shrek (2001), mentre Monsters University (2013) è il prequel di Monsters & Co (2001).

Spin-off

Better Call Saul è una serie spin-off e prequel di Breaking Bad

Già qua è leggermente più complicato, anche perché è un tipo di prodotto che può andare ad intersecarsi con i due precedenti.

Uno spin-off è un prodotto che racconta una vicenda parallela a quella principale, o riguardante un personaggio secondario della storia.

Per esempio, Solo: A Star Wars Story (2018) è uno spin-off dedicato al personaggio di Han Solo, ma è anche un prequel, perché racconta una storia precedente a quella della trilogia originale. Così anche Better Call Saul è una serie spin-off e prequel di Breaking Bad.

Remake e reboot

La differenza fra remake e reboot è spesso difficile da comprendere perché non sono due termini tanto lontani fra loro.

Il remake è l’effettivo rifacimento di un prodotto originale in una veste diversa, per esempio cambiando cast e ambientazioni, mentre il reboot è una sorta di ripartenza della storia, ignorando i prodotti precedenti e proponendo uno sviluppo differente.

Un esempio di remake è Coda (2021), che è il rifacimento di La famiglia Bélier (2014), con una storia, uno sviluppo e delle dinamiche praticamente identiche, ma con un cast e un’ambientazione diversa.

Mentre un esempio di reboot è banalmente Spiderman – Homecoming (2015), che riprende le stesse vicende di Spiderman (2001) di Sam Raimi, ma raccontando uno sviluppo differente.

Ma qui arriva il dramma.

Il soft reboot e i requel

The Suicide Squad (2021) di James Gunn è un soft reboot di Suicide Squad (2016)

Il soft reboot e i requel sono due tipi di prodotti abbastanza confondibili, ma non sono assolutamente la stessa cosa.

Come infatti il soft reboot è uno sviluppo differente partendo dallo stesso punto di partenza, ma mantenendo intatti diversi elementi della storia originale, mentre il requel è una sorta di remake mascherato da sequel.

Per esempio The Suicide Squad (2021) di James Gunn è un soft reboot di Suicide Squad (2016), in quanto fa ripartire la storia dallo stesso punto, ma mantiene alcuni personaggi e attori del film precedente.

Invece l’esempio principe di requel è Scream 5 (2022), che fra l’altro conia in qualche modo il termine: è fondamentalmente un remake di Scream (1996), ma ne è anche un sequel.

Vedere per credere.

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Le riflessioni del cinema semplice

Perché i nuovi film ci sembrano tutti uguali?

Negli ultimi tempi quando andiamo al cinema abbiamo la fastidiosa sensazione che tutte le produzioni, soprattutto mainstream, siano una uguale all’altra.

Ma è veramente così?

La post-era del blockbuster

Anzitutto, bisogna considerare il periodo storico in cui ci troviamo: il fanservice sembra la nuova macchina fabbrica soldi e si cerca sempre di più di intercettare le generazioni che hanno vissuto i primi decenni del cosiddetto cinema dei blockbuster.

Infatti, il primo blockbuster, ergo produzione finalizzata ad attirare il pubblico più ampio possibile, con una vita oltre la sala attraverso il merchandising, è Star Wars Una nuova speranza (1977). Poco prima, il primo film evento fu Lo squalo (1975).

Due momenti non così lontani, che hanno portato nel tempo il cinema mainstream a rendersi conto che c’erano dei prodotti capaci di colpire così profondamente lo spettatore e di fargli spendere più soldi di quanto avesse.

E sarebbe stato da pazzi non spremere fino in fondo questa tendenza.

Il potere della nostalgia

E a questo punto entra in gioco la nostalgia.

La nostalgia è un’arma a doppio taglio: se da una parte può essere l’elemento che determina il successo di un film, dall’altra ne può determinarne la morte.

Come infatti ci ha ben raccontato il recente Scream 5 (2022), spesso i fan patiti di una saga e di un certo prodotto ne sono talmente innamorati che vogliono solo una riproposizione senza cambiamenti.

A discapito della ridondanza e della banalità.

Perché molto spesso succede che elementi che fanno innamorare il pubblico di un prodotto non fossero pensati con questa finalità, ma sono state delle scelte per così dire spontanee, che si sono rivelate solo dopo molto indovinate. E che, riproposte, soprattutto nelle mani sbagliate, spesso non hanno la stessa efficacia.

Ma non è l’unico problema.

Proporre il nuovo con l’usato sicuro

Oltre all’effetto nostalgia, alla base di fondamentalmente ogni investimento di marketing esiste un concetto fondamentale: proporre il nuovo tramite l’usato sicuro.

Una tecnica operata più o meno efficacemente per esempio tramite i poster dei film, dove si inserisce un elemento di richiamo per lo spettatore ad un prodotto che ha già fruito ed apprezzato. Eccone un esempio:

E così quando si stende una sceneggiatura, soprattutto se è per mere finalità di guadagno, si tende a puntare su strutture narrative già rivelatasi efficaci e personaggi facilmente riconoscibili. Motivo per cui, per esempio, molto dell’horror mainstream sembra sempre la stessa minestra.

Un film è un investimento

Queste scelte di cautela sono dovute ad una realtà molto semplice: per il cinema mainstream, il film è anzitutto un investimento economico.

E solo dopo può essere arte.

Infatti, quando si produce un film, si investe un certo budget avendo in mente un ritorno economico che faccia effettivamente guadagnare la casa di produzione. E se si considera che nelle spese si includono non solo i costi di produzione, ma anche di marketing, nonché il fatto che la metà degli incassi va alle sale, non è così semplice.

E una major può permettersi fino ad un certo punto di avere prodotti flop, ma deve essere sicura che nel bilancio finale dell’anno ci sia stato un ritorno economico quantomeno per essere in pari e investire in nuovi progetti.

Altrimenti si chiude.

E se utilizzare elementi già sicuramente consolidati porta a un ritorno sicuro, perché non sfruttarlo?

Perché i nuovi film ci sembrano tutti uguali?

Direi che la risposta si è già abbastanza formata da sola: tendenzialmente i film più sponsorizzati e che hanno più successo nel pubblico mainstream sono spesso anche quelli che hanno al loro interno l’elemento di nostalgia e dell’usato sicuro.

È il caso di Spiderman No Way Home (2021) e anche Jurassic Park Dominion (2022), due prodotti che hanno superato il miliardo di incasso.

Tuttavia, pensare che tutto il cinema odierno sia fatto con lo stampino è unicamente una percezione. Una percezione che però, come abbiamo visto, è anche giustificata. Ma bisogna guardare anche oltre.

Anzitutto, è bene considerare che ci siano tutt’oggi ottimi autori capaci di portare opere apprezzabili da un ampio pubblico, ma al contempo artisticamente ben pensate: solo per dirne due recenti, The Batman (2022) e Dune (2021).

Ma soprattutto bisogna guardare oltre e scoprire l’immensità delle produzioni che vengono fatte ogni anno, magari al di fuori delle produzioni più mainstream, con prodotti innovativi e incredibilmente interessanti.

È il caso del recente Triangle of Sadness (2022).

Quindi il mio consiglio è di non affossarsi sulla produzione più mainstream, che sono quasi cinquant’anni che va al risparmio e al riciclo, e scoprire quando ancora il cinema sia in grado di regalare.

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La Marvel ha raggiunto il suo Endgame?

Nell’era post-Endgame, una domanda che serpeggia in maniera sempre più insistente è: La Marvel ha raggiunto il suo Endgame?

Il paradosso storico ha voluto che, dopo aver raggiunto la vetta del suo successo con il suo film conclusivo, ovvero appunto Endgame, secondo più grande successo cinematografico della storia del cinema, proprio l’anno dopo è arrivato il Covid e ha sbaragliato le carte in tavola.

Ma c’erano delle carte in tavola?

Esisteva un post-Endgame?

Robert Downey Jr. in una scena di Endgame (2019) di Anthony Russo, Joe Russo

È una domanda legittima, dal momento che il progetto originale di Kevin Feige, capoccia della Marvel, era quello di arrivare ad Endgame e vedere tutti i suoi supereroi uniti.

Ma dopo?

Dopo è arrivata la pandemia, che paradossalmente ha favorito persino il lancio di Disney+, che sembrava veramente cadere a fagiolo. Ed è stato il momento anche della grande espansione del brand, che ha cominciato a sperimentare con le serie tv.

Ma è stato anche il momento in cui tutto ha cominciato a scricchiolare.

Il problema delle serie

Kang in una scena di la serie Loki di Disney+

Che vi siano piaciute o meno, è indubbio che la gestione delle serie e la loro organicità con l’universo cinematografico sia stata quantomeno zoppicante. Questo in particolare per la questione del multiverso, che è stato introdotto in almeno due modi diversi in due diversi prodotti (Loki e What if…?).

Ed è ancora più preoccupante scoprire che gli showrunner di queste due serie non avessero comunicato fra loro.

La Marvel non è di certo nuova a cambiamenti di rotta o retcon che dir si voglia, ma gli stessi erano anche facilmente assorbiti, complice prodotti generalmente molto amati e una certa diluizione nel tempo.

Ora invece, vuoi che stia succedendo tutto troppo insieme e troppo in fretta, vuoi che i prodotti seriali non sono siano convincenti per tutto il pubblico, questi errori sono sempre più evidenti.

L’esempio principe: Doctor Strange in the Multiverse of Madness

Wanda in una scena di Doctor strange in the multiverse of Madness

Il problema dell’organicità ha cominciato soprattutto a farsi sentire con il recente Doctor Strange in the multiverse of madness (2022): per quando ne possiate dire, in primo luogo il film non che fosse incomprensibile, ma decisamente non facilissimo da seguire se non si aveva visto Wandavision.

Oltre a questo, gli autori dietro la pellicola ammisero candidamente di non aver visto la serie.

E infatti questo ben si nota dal fatto che c’è una discrepanza nel fatto che Wanda sembra un personaggio molto più appiattito nel film, che pare del tutto ignorare quanto c’era stato prima per tutta la serie, che rappresentava proprio il momento dell’accettazione del lutto da parte della protagonista.

Ubriachi di fanservice

Spiderman in Spiderman No Way Home (2021) di Jon Watts

Un altro grande problema, che col tempo comincerà probabilmente a sfuggire di mano alla Marvel, è il fanservice selvaggio.

Tutto cominciò con Spiderman No-Way Home (2021), uno dei più grandi fenomeni cinematografici della storia del cinema, che fu orchestrato (in realtà in maniera molto maldestra) dalla Sony, la detentrice dei diritti del personaggio.

E così vennero inseriti abbastanza forzatamente gli ormai famosi tre Spiderman, all’interno di un film non del tutto da buttare, ma comunque abbastanza zoppicante per molti versi.

Da lì sembra che il pubblico si sia ormai abituato a questo livello e che questo si aspetta effettivamente, arrivando a portare una marea di teorie anche per il successivo Doctor Strange in the multiverse of madness, appunto. E anche in quello è stato incluso diverso fanservice non del tutto indovinato.

C’è vita oltre al wow-effect?

Se di fanservice non si vive, il wow-effect può sempre fare comodo: parlo di quel tipo di scelte, molto spesso fatte anche senza una particolare logica o pensiero effettivo dietro, che, se ben inserite, riescono a far dimenticare al pubblico tutto il resto della qualità del prodotto.

Lo era in No Way Home, ma lo era anche per il recente She-Hulk: serie che, per quanto vi possa piacere, è obiettivamente un prodotto molto mediocre e di nessuno spessore, che ha proprio conquistato una buona fetta di pubblico grazie al wow-effect del finale, che, piaccia o meno, è effettivamente di grande impatto.

E non tutto il pubblico è disposto a farsi certe domande di coerenza e significato effettivo se ne rimane così profondamente colpito.

Non sapersi rinnovare

In ultimo, un altro problema non da poco quando si crea un universo cinematografico così iconico come quello MCU è riuscire a rinnovare i propri personaggi.

Con Endgame abbiamo avuto due importanti addii: Iron Man e Captain America, i personaggi più popolari e amati dal pubblico per oltre un decennio. Tanto più che Iron Man (2008) fu il primo apprezzatissimo film che inaugurò questo universo cinematografico.

E da lì in poi la Marvel ha cercato continuamente di proporre nuovi personaggi, a volte riuscendoci (Shang-chi), a volte fallendo miseramente (gli Eterni).

Per il momento la Marvel non ha dei personaggi così forti da proporre sullo schermo. E ne ha terribilmente bisogno. Così si rumoreggia in maniera sempre più insistente sul ritorno dei due personaggi più amati: Steve Rogers in Captain America – New World Order (2024) e Tony Stark probabilmente in Armor Wars e Avengers: Secret wars (2025).

E dover riciclare l’usato non è mai un buon segno.

La Marvel ha raggiunto il suo endgame?

Per quanto mi riguarda, la Marvel ha ancora qualche cartuccia da sparare.

Tuttavia questo non significa che sia messa bene: fra i recenti rinvii, la bulimia di contenuti sempre più pressante e il fanservice o wow-effect, ci sono tutti i presupposti per cui, nel giro di non tantissimo tempo, l’MCU cominci a stufare.

D’altronde, come tutte le mode, anche quella dei supereroi finirà.

Non significa che la Marvel chiuderà i battenti da un giorno all’altro, ma che i suoi film cominceranno, da un certo punto in poi, a venire sempre meno considerati, e probabilmente anche a diradarsi.

Che sia fra cinque anni o fra dieci, prima o poi ci troveremo davanti ad un flop al botteghino.

E allora lì sapremo.