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Rings of power – Un piacevole prologo?

Rings of power è una serie tv Prime Video, racconto prequel de Il Signore degli Anelli.

La produzione seriale più costosa mai realizzata finora, con un budget di quasi 60 milioni di dollari a puntata: per fare un confronto, una puntata di House of the dragon costa circa 20 milioni ad episodio.

La narrazione è basata sui libri della trilogia classica ed una serie di appendici, scatenando le ire di molti puristi tolkieniani per la mancata fedeltà massima all’opera. Personalmente, non facendo parte di nessuno schieramento e considerandomi più una casual fan de Il Signore degli Anelli, ho potuto giudicare la serie a mente fredda.

E mi trovo in una posizione di mezzo.

Di cosa parla Rings of power?

La storia segue le vicende di diversi personaggi, generalmente tutte collegate all’avventura dell’elfa Galadriel, impegnata nella sua missione di vita di ritrovare Sauron e sconfiggerlo definitivamente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Rings of power?

Un orco in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Dipende.

In generale se siete dei tolkieniani duri e puri, e volete vedere una riproposizione dell’opera di riferimento, lasciate stare: non hanno i diritti per trasporre il materiale effettivo, è inutile accanirsi.

Se invece, come me, siete più dei casual fan della saga cinematografica, potrebbe essere un prodotto per i vostri gusti. Ma dipende anche da che tipo di serie state cercando: se vi piacciono le serie fantasy classiche (high-fantasy), con racconti corali, tantissimi personaggi e ritmi molto compassati, è assolutamente la serie per voi.

Se invece vi piace un fantasy più dark, con ritmi più incalzanti e che si basa più su intrighi politici che sull’elemento fantastico, avete sbagliato prodotto: è ora di cominciare House of the Dragon.

La gestione della storia

Markella Kavenagh nei panni della
pelopiede Nori in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto non abbia personalmente apprezzato la gestione della trama, che ho trovato per i miei gusti troppo dispersiva, nel complesso può essere considerata un buon esempio di un prologo molto prolisso. La parte più attiva della vicenda è di fatto quella di Galadriel, ma in generale anche quella è solo la prima tappa di una storia ben più ampia.

Indubbiamente, la serie è stata un incontro di storie dal sapore molto diverso, così da riuscire a soddisfare i più diversi palati. E per me è stato decisamente rassicurante che, anche nella maniera più aspettata, tutte le storie si sono ritrovate collegate ad una più ampia linea narrativa.

Ad eccezione dei guizzi delle ultime puntate, la gestione della trama presenta ritmi davvero lenti e compassati, per nulla nelle mie corde. Tuttavia, è anche giusto che esista questo tipo di fantasy in linea con le tematiche e i ritmi tolkieniani.

Non possiamo tutti essere fan dei ritmi sfrenati di House of the dragons, insomma.

Galadriel è un personaggio problematico?

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Lasciando da parte le polemiche riguardanti la fedeltà del personaggio all’opera originale, il problema principale di Galadriel è la sua poca amabilità. E questo può essere una cosa positiva e negativa allo stesso tempo.

Negativa perché la sua caratterizzazione sembra scivolare in una tendenza piuttosto diffusa del panorama televisivo e cinematografico di non riuscire a raccontare personaggi femminili forti senza renderli al contempo anche sgradevoli. L’esempio principe è, ovviamente, Captain Marvel, personaggio proprio appiattito su questo concetto.

Tuttavia questo aspetto è anche positivo perché anche se la sua caratterizzazione non è particolarmente ampia, ma del tutto funzionale e organica al suo personaggio. Anzitutto perché è un’elfa, razza che, fuori e dentro le opere di Tolkien, è sempre caratterizzata da una certa alterigia.

In secondo luogo, è una donna testarda e tenace, che risulta in parte sgradevole agli stessi altri personaggi. Tuttavia, se non avesse questo carattere, non avrebbe mai convinto Númenor a salvare in parte le Southlands, non avrebbe scoperto Sauron e soprattutto avrebbe permesso allo stesso di impossessarsi degli Anelli del Potere.

La questione di Sauron

Sauron in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto riguarda il personaggio di Sauron, gli autori hanno tentato un bell’azzardo, visto che in parte doveva inventare di sana pianta. Ovviamente consapevoli che sarebbe diventata la pietra dello scandalo, hanno giocato tantissimo su questo personaggio, disseminando indizi e false piste.

E io ho abboccato praticamente a tutto.

E va bene così.

Da un certo punto di vista ero molto convinta della scelta di rivelare che lo Straniero fosse Sauron, ma è anche vero che così si sarebbe entrati in un cortocircuito troppo complicato da gestire. D’altra parte, scegliere un attore con la faccia così pulita e amabile per questo ruolo e con un plot twist così potente, è stato molto azzeccato.

Aspetto i tolkieniani che vengano qui a spiegarmi perché è stata la scelta più sbagliata e inorganica mai presa, perché non ho dubbi che lo sia.

Ma, di nuovo, a me va bene così.

L’identità dello Straniero

Daniel Weyman nei panni dello Straniero una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Un importante mistero della serie era la vera identità dello Straniero. Per quanto la gestione della storyline dei Pelopiedi mi sia piaciuta a tratti, la sua conclusione è stata una delle mie preferite, perché getta le basi per una storyline che mi torna a far sognare il viaggio di Frodo e Sam.

E lasciatemi sognare.

Per il resto, come già detto, ho trovato molto credibile la rivelazione della sua identità. Per quanto ho visto molte persone arrovellarsi su diverse teorie, io credo che sia più scontato e digeribile per il pubblico di riferimento dire che si tratta o di Gandalf o di Saruman, indipendentemente da che questo sia coerente col canone o meno.

E, visto che Gandalf è uno dei personaggi più amati della saga (ed infatti è il mio preferito), ho idea che quella sia la direzione che prenderanno.

L’aspetto estetico

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel e Robert Aramayo nei panni di Elrond in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

L’aspetto estetico della serie è stato un po‘ il mio cruccio.

Non sempre, ma troppo spesso di sicuro, mi sono trovata a non credere a quello che vedevo in scena, nel senso che vedevo gli attori che recitavano in scena, e non i loro personaggi. Tanto più che anche quando questi dovrebbero essere più sporchi e naturali, come i Pelopiedi, li ho trovati invece molto finti.

Ma questo è un problema tutto mio, in quanto questa è l’estetica di Tolkien, tanto più pompata con un budget stellare. Perché sarebbe del tutto ingiusto dire che i costumi e gli oggetti di scena non siano stati al limite della perfezione, per quelli che erano gli intenti.

Andrò avanti a vedere Rings of power?

Per quanto abbia avuto un dubbio in certi momenti, soprattutto nella prima parte, questo finale mi ha davvero convinto a proseguire con la serie.

Con tutto che non mi ha entusiasmato, non mi sento ancora di gettare la spugna, perché come mi piace il Signore degli Anelli, spero che più nel lungo periodo anche Rings of power riesca effettivamente a convincermi.

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She-Hulk: Attorney at Law – L’offesa finale

She-Hulk è una serie tv MCU creata da Jessica Gao per Disney+. Una serie che si propone di abbracciare il genere comedy e legal, fallendo clamorosamente su entrambi i fronti. Ancora una volta ci troviamo davanti ad un prodotto Marvel sciatto, poco pensato, in questo caso ancora più aggravato dalla presenza di un male sociale: il sessismo interiorizzato e la sottile misandria socialmente accettabile.

Un prodotto vuoto e offensivo.

Ma di cui c’è moltissimo di cui parlare.

Di cosa parla She-Hulk?

Jennifer Walters è un’avvocata, nonché cugina di Bruce Banner, AKA Hulk. Per una serie di condizioni, una più improbabile dell’altra, anche lei acquisirà i poteri. Fra una perdita di identità e l’altra, cercherà di fare i conti con la sua nuova identità da supereroina.

Vi lascio il trailer, con cui vi farete esattamente un’idea del tipo di serie:

Vale la pena di vedere She-Hulk: Attorney at law?

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

No.

Non sono solita a non consigliare in toto le serie: persino per quella schifezza di Obi-Wan Kenobi ho provato a dare qualche motivazione sui motivi per cui potrebbe piacervi. In questo caso, a meno che i vostri gusti non siano rasoterra, difficilmente vi potrà piacere, non veramente.

Con questo intendo dire che se la tenete come sottofondo mentre rassettate casa, chiudete entrambi gli occhi, vi lasciate strappare una risata con battute da asilo nido, allora forse la potrete sopportare.

Ma, se mai avrete il coraggio di guardarla con convinzione, capirete l’immensità del nulla che questa serie tv rappresenta.

Cominciare male

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk e Mark Ruffalo nei panni di Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

Cominciamo dall’inizio, e cominciamo subito male.

La prima puntata sarebbe l’origin story del personaggio. E l’origin story più rapida della storia, oltre ad essere drammaticamente forzata. Totalmente a favore di camera, per un rapidissimo momento Bruce non ha i suoi poteri. Senza andare ad analizzare tutti i problemi di retcon di questa scelta, questo elemento è evidentemente fatto apposta e unicamente per creare la situazione di contaminazione del suo sangue con quello di Jennifer.

Perché sì, ovviamente se Bruce fosse stato Hulk non avrebbe potuto tagliarsi.

Da qui parte la sua origin story in cui non abbiamo nessun modo per empatizzare col personaggio e con le sue problematiche nell’accettare i suoi poteri, come sarebbe di fatto normale all’introduzione di un nuovo supereroe. Perché Jennifer è già perfetta così, non ha praticamente neanche il bisogno di essere allenata, né di controllare la sua rabbia.

E perché questo?

Perché è una donna!

Tanti villain, nessun villain

Jameela Jamil in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

La serie cerca continuamente (e con grande incapacità) di imbastire una trama e di raccontare dei villain ricorrenti. Il principale è quella meraviglia di Titania, personaggio che riesce a contenere al suo interno tutti i peggiori stereotipi riguardo agli influencer e alle donne in generale, nella bellissima macchietta della sgallettata.

Un villain inutile, noioso, e messo in scena all’occorrenza solo per dare un po’ di colore.

Ancora più imbarazzanti sono gli uomini che fanno parte del gruppo di odio contro She-Hulk: a parte l’idea veramente poco credibile che questi si incontrino come una specie di convention per rivalersi su She-Hulk, portano in scena tutti gli stereotipi degli uomini tossici.

E infatti il vero villain sono gli uomini in generale.

I veri villain: gli uomini

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

L’imbarazzo supremo di questa serie è proprio nel suo sessismo interiorizzato, che sfocia di fatto in una misandria che io bollo, senza praticamente l’ombra di dubbio, fatta con alcuna malizia (di cui dobbiamo parlare).

Di fatto, in She-Hulk abbiamo due tipi di uomini: il traditore e il miserabile.

La maggior parte degli uomini in scena sono indubbiamente dei miserabili: che sia l’Uomo-Rana, che sia il collega molesto, che sia in parte anche il gruppo di ascolto di Abominio, sono tutti un po’ miserabili a loro modo. Chi ha scritto questa serie sembra ingenuamente raccontare una paura, più comune di quanto pensiate, di totale antagonismo del femminile verso il maschile.

Così questo antagonismo è raccontato dalla figura del traditore, rappresentata fondamentalmente dai diversi uomini che vogliono avere una relazione con She-Hulk, ma non con Jennifer, arrivando ogni volta a tradirla e ad abbandonarla.

Con una splendida eccezione.

Che è comunque un problema.

Daredevil: una luce in fondo al tunnel?

Charlie Cox in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

La penultima puntata è anche la puntata dell’introduzione di Daredevil.

E, con la sorpresa generale di tutti, la stessa non è una schifezza. Questo semplicemente perché, contro ogni aspettativa, Daredevil non è stato quasi per niente adattato allo stile della serie, ma, al contrario, ha imposto una certa drammaticità alla scena. E questo è stato l’unico caso in cui un personaggio maschile non è stato appiattito nelle due categorie di cui sopra.

Ma questo per due motivi, nessuno dei due rassicurante.

La serie ha una writers’ room quasi totalmente femminile, tranne per due persone: Zeb Wells e Cody Ziglar. Il primo si è occupato della settima puntata, considerata unanimemente una delle meno peggio, mentre Ziglar ha scritto l’ottava puntata, quella di Daredevil.

Vedete il problema?

Quella che dovrebbe essere una serie femminile e femminista, fallisce in ogni puntata, tranne in quelle scritte da uomini. In particolare è abbastanza preoccupante che per gestire un personaggio importante come Daredevil si è sentita la necessità di chiamare un uomo che non è neanche uno sceneggiatore, che non si è mai occupato di Daredevil, e che è semplicemente un buon fumettista.

Sentirsi geniali, senza esserlo

Il finale è l’elemento che mi ha fatto veramente definitivamente gettare la spugna su questa serie.

A mio parere, ci sono due realtà nella puntata conclusiva: la realtà percepita dagli autori, e la realtà di cosa ne è venuto fuori. Secondo la percezione di chi ha scritto la puntata, questo era un finale geniale, che portava ad un colpo di scena pazzesco che alzava di diverse tacche la qualità della serie.

Poi c’è la realtà della puntata.

Chi ha scritto questa puntata, e tutta la serie in generale, è incapace di farlo, incapace di imbastire una trama, di creare dei personaggi credibili e degli antagonisti sensati. E questa incapacità è solo che confermata dalla fine di questa puntata.

Come gli autori pensavo di aver risolto il finale, in realtà lo stesso – che, ricordiamo, per loro stessa ammissione, è sconclusionatissimo – di fatto non cambia, portando ad una conclusione vuota, dove nessuna storyline viene veramente chiusa in maniera sensata o anche solo minimamente interessante.

Lo sfondamento della quarta parete

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

Lo sfondamento della quarta parete è uno degli elementi che ho personalmente più odiato di questa serie.

Ovviamente questa tecnica non se l’è inventata She-Hulk né la Marvel, ma ha origini antichissime. Nel teatro è quello si chiama il parlare a parte: banalmente, è il momento in cui un personaggio in scena si rivolge direttamente allo spettatore, di solito con l’inconsapevolezza degli altri personaggi. Un elemento che serve per arricchire la scena e la narrazione, oltre a creare una certa complicità con il pubblico.

E ovviamente in She-Hulk questo aspetto è totalmente fallimentare.

E per ben due motivi.

Lo sfondamento della quarta parete in She-Hulk

Anzitutto, per la mediocrità degli effetti speciali (di cui bisogna fare un discorso a parte): in non poche scene She-Hulk è resa talmente male che non guarda direttamente in camera, quindi non rende comprensibile che stia parlando effettivamente allo spettatore.

E non credo di dover spiegare quanto sia grave questa cosa.

Come se questo non bastasse, questa tecnica è utilizzata nelle intenzioni per rendere la serie più simpatica, in realtà è solamente irritante e in ultimo sembra che serva solo per giustificare le scelte idiote degli sceneggiatori.

Nascondere un’attrice (e male)

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

La pochezza degli effetti speciali utilizzati per She-Hulk è devastante.

Ma lo è ancora di più se si pensa a quale sia la materia prima.

Lasciando da parte il fatto che nella sua forma da Hulk il personaggio non c’entra niente con la sua controparte umana, nella maggior parte dei casi She-Hulk sembra semplicemente un elemento poco credibile della scena. Ed è un grande problema quando lo spettatore non riesce a credere a quello che vede sullo schermo.

Oltre a questo, pur non conoscendo Tatiana Maslany oltre a questo prodotto, posso dire sicuramente che non è per nulla un’attrice scarsa, anzi ha una capacità espressività più che buona, oltre a suscitare una naturale simpatia. E mi sarebbe piaciuto vederla.

E invece ho dovuto vedere She-Hulk.

Non far mai ridere

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

Su questa questione mi sento di andarci di più coi piedi di piombo, perché l’umorismo è una cosa molto soggettiva.

Tuttavia, mi sento anche di dire che ho la costante sensazione che, soprattutto nei prodotti più mainstream (non ho sentito questo problema in Eternals, per dire) il livello di comicità dell’MCU sia in un costante declino, forse per accontentare un pubblico sempre più ampio e anche sempre più giovane.

Perché ho davvero difficoltà nell’immaginarmi una persona sopra i tredici anni (ad essere generosi), che possa veramente sganasciarsi davanti all’umorismo di questa serie. E questo facendo la dovuta differenza fra ridere con la serie (ovvero delle battute che propone) e ridere della serie (ovvero del suo cattivo livello).

Ed è un elemento decisamente più importante quando ci troviamo davanti ad un prodotto che si definisce legal comedy, che quindi dovrebbe, per sua stessa natura, far ridere lo spettatore.

Perché She-Hulk non è una serie femminista

I motivi per cui She-Hulk non è la serie tv femminista tanto decantata si sprecato.

Ed è tanto più importante se si pensa che il femminismo odierno non è e non può essere più un femminismo elitario, in cui al centro del discorso ci sono esclusivamente le donne bianche e che si possono permettere di rivendicare i propri diritti.

Se si vuole essere veramente femministi ad oggi, si deve lottare per i diritti di tutti.

Anche degli uomini.

E se pensate che la narrazione sugli uomini di She-Hulk sia fondamentalmente innocua e per ridere, pensate a quanto può essere tossico il racconto di uomini rappresentati come deboli, miserabili e incapaci di portare avanti relazioni, che non hanno maturità emotiva e che pensano solo all’aspetto estetico e sessuale.

Come nasce questo modo di pensare?

Se c’è qualche uomo all’ascolto, mi dica se si sente rappresentato da questa serie.

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

Ma come nasce questo modo di pensare?

She-Hulk è un caso emblematico di sessismo interiorizzato, ovvero un modo di pensare e di agire basato su una serie di concetti discriminatori (in questo caso di genere) che sono stati così profondamente assimilati che non si è riusciti a superarli.

Da qui nascono concetti di diverse gravità: dall’infantilizzazione (gli uomini non si sanno gestire da soli senza una donna, non sanno sopportare il dolore…) fino a quelli di effettiva demonizzazione (gli uomini non sono capaci di avere relazioni emotive appaganti, pensano solo al sesso…). Tutte cose che avete sentito almeno una volta nella vita, soprattutto da donne.

Questo modo di pensare nasce in parte da una certa tendenza, più o meno violenza, di donne che (anche giustamente) sentono il peso di un’oppressione del maschile oggi come ieri, e vogliono (non giustamente) avere una rivalsa. E per questo rispondono screditando, infantilizzando e attaccando anche direttamente il maschile tutto, senza distinzioni.

Il sessismo interiorizzato in She-Hulk

Tatiana Maslany nei panni di She-Hulk in una scena di She-Hulk: Attorney at law, serie tv Disney+ e MCU

E She-Hulk abbraccia del tutto questo modo di pensare.

A dimostrazione fra l’altro di una mancanza di profondità di pensiero, che porta le autrici a fossilizzarsi su queste idee, anche inconsapevolmente. Tuttavia, rivelando anche un altro elemento sotterraneo e anche derivativo di questo modo di pensare:

La paura per il maschile.

La protagonista si sente continuamente osteggiata e aggredita dagli uomini in scena, che però non sono mai raccontati come effettivamente violenti o cattivi, ma più che altro come dei buzzurri e dei miserabili appunto, proprio per depotenziarli.

E come risultato abbiamo la storia di una donna che vive in funzione del maschile, in quanto sembra riuscire a definire sé stessa e il suo valore solamente tramite le relazioni.

Fra l’altro al contempo mettendosi sola al centro della narrazione, e andando a svalutare altre minoranze per cui dovrebbe invece lottare: l’uomo cinese che vende prodotti tarocchi, lo stilista gay che è una prima donna e femminilizzato nella maniera più stereotipata possibile…

Vogliamo davvero vivere nel mondo di She-Hulk?

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Ms Marvel – Un arco distruttivo

Ms Marvel è l’ultima serie dell’MCU uscita su Disney+ questestate. Un prodotto che sembrava portare un po’ di aria fresca, sperimentando con il genere teen drama e facendo (a parole) espliciti paragoni con lo Spiderman di Tom Holland.

In realtà, ad eccezione delle prime due puntate, sostanzialmente è sempre la stessa minestra: una serie Marvel che segue i soliti schemi, con una produzione molto pasticciata e di grande mediocrità.

Di cosa parla Ms Marvel?

Kamala Khan è una ragazzina che abita nel Queens, parte della vivace comunità musulmana e grandissima fan di Captain Marvel. A sorpresa, grazie ad un amuleto della sua famiglia, acquisirà degli incredibili poteri che cambieranno completamente la sua vita.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Ms Marvel?

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Dipende.

A mio parere questa serie vale la pena di essere vista unicamente per due motivi: se non volete (come me) perdervi nessun prodotto dell’MCU e se vi piacciono in generale le serie Marvel uscite finora.

Se avete paura di trovarvi davanti ad un prodotto teen, vi posso rassicurare: questo elemento è presente unicamente nelle prime due puntate, poi si perde con grande facilità.

In generale una serie molto discordante al suo interno, che sembra essere scritta da persone che non sono state in grado di comunicare, piena di contraddizioni e incapace di portare una produzione davvero organica.

Ma, di nuovo, se vi piacciono questo tipo di prodotti, guardatela senza problemi.

Cominciare in un modo, finire…

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Come anticipato, questa serie manca, ancora più di altre serie di questa produzione, di una coerenza produttiva.

La serie infatti si apre con due puntate con una forte e anche piacevole impronta registica, che gioca sulla creatività della protagonista con toni fortemente teen. Due puntate che mi avevano abbastanza coinvolto. Poi sono andata avanti.

Infatti già dalla terza puntata si sono cominciati a vedere i problemi: una regia che, anche nell’ultimo capitolo, è diventata molto più spenta e anonima, oltre che poco chiara e convincente nelle scene action, dove la chiarezza scenica è fondamentale.

Per quanto riguarda la sceneggiatura, un vero pianto.

L’arco distruttivo

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Se la regia può essere anche tutto sommato essere perdonata, la sceneggiatura è davvero improbabile. La serie comincia in un modo, raccontandoci i piccoli problemi della protagonista, poi decide totalmente di dimenticarsene, dirigendosi totalmente verso un’altra direzione.

Così ci troviamo una sconclusionatissima parentesi in Pakistan, che presenta i due principali problemi delle serie Marvel: buchi di trama e flashback di poco interesse. Le questioni irrisolte in questo frangente si sprecano: come ha fatto Kamala a convincere la madre ad andare dalla nonna?

I cugini non si sono chiesti niente della cugina che non tornava da loro? Come fanno i Jinn ad arrivare così velocemente in Pakistan e come facevano a sapere che Kamala era lì? E si potrebbe andare avanti.

Non si migliora neanche con l’ultima puntata, che sembra trarre dal genere home invasion e specificatamente da Mamma ho perso l’aereo (1990), ma che appare del tutto anti-climatica e poco coerente con l’insieme della narrazione.

Come detto, un grande pasticcio.

Quando i villain sono di troppo

Nimra Bucha e Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Ms Marvel, se fosse stata coerente con sé stessa, non avrebbe avuto bisogno di villain, sicuramente non di villain così apparentemente importanti e minacciosi. Se si volesse essere coerenti, appunto, avremmo avuto delle piccole minacce di quartiere che permettevano a Kamala di avere un semplice ma efficace arco evolutivo.

Invece si è scelto di raccontare una minaccia per la sopravvivenza dell’universo, con una costruzione fra l’altro del tutto mancante: nel giro di una puntata Najma, il capo dei Jinn, cerca di portare Kamala dalla sua parte, per poi inalberarsi in un attimo quando la stessa non le da subito quello che vuole.

Così in un attimo diventa cattivissima e dice addirittura che Kamala l’ha tradita.

Personaggi che fanno un sacco di giri su sé stessi, con poteri poco chiari (Immortalità? Super forza? Creazione di armi?) e che sono resi ancora più ridicoli dalla società segreta che dovrebbe combatterli, ovvero i Pugnali Rossi: per come è messo in scena, sembra che sia composta da sole due persone.

Probabilmente la serie intendeva raccontare che i ragazzi che Kareem fa conoscere a Kamala al falò sulla spiaggia fanno parte del gruppo, ma non è per nulla chiaro.

Una protagonista interessante, tutto sommato

Iman Vellani in una scena di Ms Marvel, serie tv Disney+ parte dell'MCU

Una delle poche cose buone di questa serie è la protagonista, Kamala. Anzitutto, per la scelta dell’attrice: Iman Vellani non solo è una grande fan di Captain Marvel, ma è anche di per sé molto espressiva, riuscendo ad essere convincente anche alla sua prima apparizione televisiva.

Oltre a questo, Ms Marvel si inserisce nella fruttuosa serie di prodotti ideati da immigrati statunitensi di seconda generazione, pur con prodotti di dubbio gusto come Shang-chi (2021) e Red (2022).

In questo caso la rappresentazione della comunità musulmana è molto interessante: molto legata al proprio credo, ma anche aperta al cambiamento e complessivamente ben integrata nella realtà statunitense.

A guastare la credibilità del personaggio è in primo luogo la scrittura di cui sopra, ma anche la penosa CGI per i suoi poteri (e non solo). Mi ha ricordato molto quella meraviglia (si fa per dire) di Spy Kids, popolare saga di avventura per ragazzi dei primi Anni Duemila.

Cosa succede nel finale di Ms Marvel?

Il finale sembra aver confuso non pochi spettatori, quindi vale la pena di spenderci due parole. A differenza di come hanno pensato alcuni, la stessa showrunner ha confermato che Kamala non è diventata Captain Marvel, ma si è scambiata di posto con lei.

E questo sarà probabilmente uno dei momenti iniziali di The Marvels (2023), che rappresenta il sequel di più ampio respiro di Captain Marvel (2019) e che includerà indubbiamente anche Ms Marvel.

Oltre a questo, Kamala è una mutante: gli sviluppi di questa rivelazione sono ancora tutti da vedere, ma si inseriscono nelle bricioline che Kevin Feige, il capo dell’MCU, sta cercando di spargere per reintrodurre la sua versione degli X-Men.

Riscrivere un personaggio

Captain Marvel è stata introdotta nel film origin-story del 2019 omonimo, che è stato indubbiamente un grande successo commerciale, ma che non ha avuto la risonanza che ci si sarebbe forse aspettati per il film con la prima supereroina dell’MCU in un prodotto tutto suo.

E questo è dovuto probabilmente dal fatto che, molto ingenuamente, l’MCU ha preso come punto di riferimento una tendenza ben rappresentata da quella mediocrata di Wonder Woman (2017): raccontare personaggi femminili forti, testardi e fondamentalmente antipatici.

Come Gal Gadot può suscitare comunque un minimo di simpatia nel pubblico, Brie Larson ha la sfortuna di avere una faccia veramente antipatica. E la caratterizzazione che si è voluto dare nel suo film non l’ha aiutata.

Tuttavia, se andate a guardare le diverse apparizioni in altri film che si sono viste in questi anni, noterete un importante cambio di direzione: dopo Endgame (2019), in tutte le apparizioni Carol Danvers è presentata come decisamente più simpatica e generalmente più sorridente.

Un caso? Io non credo.

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Space force – Boobs on the moon

Space Force è una serie tv di Netflix creata da Greg Daniels, autore anche di The Office, e Steve Carell, che è il protagonista.

Un prodotto che è stato accolto abbastanza tiepidamente, soprattutto per una delusione dei fan storici di The Office. Ma proprio perché, secondo me, si sono fatti i confronti sbagliati.

In questa recensione, assolutamente senza spoiler, vi darò tre motivi per guardare almeno la prima stagione (a cui mi sono fermata, per ora).

Di cosa parla Space force?

Appena nominato generale a quattro stelle, il generale Naird viene messo a capo di una divisione militare per lo spazio chiamata Space force. La serie segue le sue vicissitudini nel dover portare risultati per mantenere in piedi la divisione, contro importanti minacce internazionali.

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

È un divertimento rilassato

Come detto, da questa serie non vi dovete aspettare The Office. L’umorismo per certi versi è simile, ma non vuole essere una sitcom (pure raffinata come The Office, appunto) che deve farti ridere continuamente.

Al contrario è una serie di genere commedia, piuttosto realistica, che fa ridere e appassionare ai suoi personaggi, che devono scontrarsi con problemi non da poco. Però sempre con un divertimento generalmente leggere e rilassato.

Non mancano le sottotrame più fini a se stesse e per la costruzione dei rapporti fra i personaggi, ma non mancano comunque tutte di un minimo di profondità e non sono solamente riempitive.

Steve Carell e John Malkovich a stessa serie

Direi che il titolo è esplicativo già da solo, ma in generale vi posso dire che la chimica fra questi due attori è davvero coinvolgente, addirittura toccante in certe scene. E entrambi hanno trovato un loro spazio.

Da una parte il generale Naird, un uomo di ferro, figlio di una cultura militarista e machista, ma che nasconde molte debolezze. Con uno Steve Carell al massimo della forma, con la sua esplosiva recitazione corporea e facciale con cui si fece conoscere fin da Una settimana da Dio (2003)

Il dottor Adrian Mallory è una sorta di grillo parlante per Naird, che cerca di portare l’amico e collega verso le scelte più giuste. Per la maggior parte del tempo è un personaggio contenuto e riflessivo, ma Malkovich non manca neanche di mostrare la sua verve comica, che ricordo fin da Burn after reading (2008)

Space Force parla di noi

Non propriamente di noi, ma sicuramente degli Stati Uniti a lui contemporanei. Facendo neanche troppa attenzione, si capisce che parla, pur nascondendo i personaggi dietro pseudonimi e non nominandolo esplicitamente, degli Stati Uniti di Trump.

E infatti non è una serie imbevuta di stereotipi tipici della cinematografia americana main stream, che individua ancora come nemico la Russia della Guerra Fredda, ma, al contrario, racconta la paranoia legata alla ben più importante minaccia cinese.

E affronta non di meno altri temi importanti come la cultura delle armi e tematiche morali inaspettate per un prodotto del genere.

Ma quindi, vale la pena di vedere Space force?

Steve Carell e John Malcovitch in una scena della serie tv Space Force di Netflix

In generale, sì.

Non mi sento di venderla come serie imperdibile come può essere Severance o un Better call Saul. Tuttavia è una serie che mi sento di consigliare se vi piacciono le serie comedy che non vi devono far sganasciare, ma intrattenere con un umorismo di buon livello e dei personaggi profondi e coinvolgenti.

Fra l’altro, con dieci puntate dalla durata molto contenuta.

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The Boys 3 – Niente di nuovo

The Boys 3 è la terza stagione di una delle serie di punta di Prime Video. Un prodotto che è partito come fondamentalmente rivoluzionario per il genere, perdendosi già dalla seconda stagione in una scrittura poco indovinata.

Tuttavia al contempo per molti è una semplice serie di intrattenimento spicciolo che riesce a sorprendere e ad emozionare, nonostante tutto. E per certi versi va bene così.

Se sapete nulla di The Boys e non sapete se può fare per voi, continuate a leggere. Altrimenti, passate direttamente alla parte spoiler cliccando qui.

Di cosa parla The Boys

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

In una realtà parallela simile alla nostra, i supereroi sono prodotti di una multinazionale che li sfrutta e li controlla come armi e come prodotti di marketing.

Hughie, un ragazzo normalissimo che non ha mai avuto niente a che fare con i super, viene coinvolto in una inaspettata tragedia. Questo lo porterà a far parte del gruppo dei Boys, che cerca di opporsi ai super e al loro strapotere.

Una tendenza mai sbocciata

Al tempo The Boys sembrava una tendenza nuova per il genere supereroistico. In realtà è stato un fenomeno che è nato e morto con questo prodotto, ritrovando una nuova vita solamente in pochi prodotti di successo come Invincible.

Il problema è probabilmente che questo tipo di narrazione non può essere replicato più di tanto, se non proponendo la stessa medesima storia con qualche piccola differenza.

The Boys può fare per me?

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

The Boys è una serie famosa per essere molto violenta e splatter, ed effettivamente è così. Tuttavia non vi dovete immaginare una violenza orrorifica, ma, al contrario, molto cartoonesca, alla The Suicide Squad (2021).

Se riuscite a sopportare questo aspetto, in generale almeno per la prima stagione è stata una serie che ha portato un po’ di freschezza al genere, pur poi perdendosi in se stessa.

Ma se, appunto, vi aspettate un intrattenimento spicciolo e molto spesso caciarone, potrebbe anche piacervi. Insomma, provate e, se vi stufa già alla seconda, mollate: non vi perderete molto.

Di cosa parla The Boys 3?

Il gruppo dei Boys si trova a combattere con un nuovo nemico: Soldier Boy, un vecchio supereroe che è tornato fra loro. Lo stesso però potrebbe essere il modo di uccidere finalmente Homelander…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere The Boys 3?

Karen Fukuhara, Karl Urban, Tomer Kapon e Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Dipende: se vi è piaciuta la seconda stagione, soprattutto se vi è piaciuta molto, decisamente sì. La strada presa è sempre quella: un prodotto con poche pretese, che cerca di scioccare ingenuamente lo spettatore con tanti fuochi d’artificio, ma con nessun contenuto rilevante. E piegandosi del tutto alla necessità, appunto, di farci rimanere a bocca aperta.

Se, al contrario, la seconda stagione vi è piaciuta poco e vi siete già stancati di questa serie, non vi dico di non guardarla, ma di avere semplicemente la consapevolezza che non troverete niente di diverso come dinamiche e scrittura.

Il gusto dell’eccesso

Jack Quaid, Karl Urban, Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un aspetto che mi ha sinceramente infastidito, soprattutto nelle prime puntate, è stato questa continua insistenza nel voler stupire lo spettatore con violenza gratuita ed altre scene sconvolgenti.

Tuttavia certe scene, soprattutto se reiterate gratuitamente troppe volte in un solo episodio, non mi danno la sensazione di qualcosa di sconvolgente, ma di maldestri tentativi di voler sembrare molto alternativi e senza freni.

Per fortuna dopo la metà della stagione si torna su binari più controllati, riuscendo a farmi sentire effettivamente intrattenuta e stupita da quello che stavo vedendo sullo schermo.

Soldier Boy: un nuovo amore

Per me Solider Boy è stata la parte migliore della stagione. Anzitutto per l’ottima recitazione di Jensen Ackles, che mi ha fatto totalmente innamorare del suo personaggio. Divertente, convincente, poliedrico: un’ottima nuova introduzione che hanno deciso stupidamente di buttare via.

Probabilmente la scelta peggiore di tutta la serie, che ha gettato alle ortiche un personaggio nuovo e da scoprire, che avrebbe potuto davvero portare linfa nuova e nuove trame a The Boys. Invece si è deciso di liberarsene con scelte pigre ed raffazzonate.

Come sempre, niente di nuovo

Anthony Starr, Erin Moriarty in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Una brutta tendenza che ha preso The Boys fin dalla seconda stagione è la sua incapacità di rinnovarsi, continuando a girare in tondo su se stessa, riducendo i villain alle minacce della settimana, senza che portassero effettivamente ad una progressione della trama.

Di fatto, alla fine della stagione ci hanno buttato in faccia tante cose nuove e sconvolgenti, che però non sono state per nulla costruite, ma sono state appunto buttate lì, come sempre, per stupire lo spettatore. E nient’altro.

Perché Ryan ha questo cambio di idee su Homelander? Perché gli altri personaggi sembrano dimenticarsi che l’obbiettivo della stagione era proprio quello di uccidere Homelander? Perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa della Neuman, personaggio sostanzialmente inutile per l’intera stagione?

Ma parliamo della Newman.

L’inaspettata inutilità della Neuman

Claudia Doumit in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

La Neuman doveva essere la grande minaccia della stagione, anche perché ne rappresentava la rivelazione e il cliff-hanger finale dello scorso ciclo di episodi. Invece, tranne per pochi momenti all’inizio e alla fine, è un personaggio fondamentalmente inutile.

Il suo segreto viene rivelato quasi immediatamente, e, lentamente, sparisce di scena. Non sembra più importante, finché non la riportano prepotentemente in scena per la grande sorpresa finale della stagione. E, a questo punto, non ho nessuna aspettativa per il suo personaggio, visto che potrebbero di nuovo dimenticarsene dopo poche puntate.

Il secondario riempitivo

Karen Fukuhara in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un altro grande problema della stagione è quello di tenere in caldo una serie di personaggi secondari che non aggiungono niente alla trama, ma che servono solo per raggiungere un certo minutaggio.

Cominciamo ovviamente da Kimiko e Frenchie, che hanno tutta una loro trama a parte che gira in tondo per tornare al punto di partenza. Poi Abisso, che sembrava importante all’inizio della stagione, totalmente inutile. Per non parlare di A-Train, con una trama inutilissima e un’ottima conclusione servita su un piatto d’argento, ma del tutto sprecata.

Insomma, una serie che si conferma per nulla coraggiosa e del tutto incapace di rinnovarsi.

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Stranger Things 4 – La grande abboffata

Stranger Things 4 è la quarta stagione di una delle serie più amate di Netflix.

Un nuovo ciclo di episodi tornato dopo tre anni di assenza, e con una veste del tutto nuova: episodi dalla durata monumentale (minimo un’ora l’uno) e una distribuzione spezzata, con gli ultimi due episodi rilasciati a distanza di un mese.

Con questa stagione i Duffer Brother hanno voluto fare un grande passo avanti, anche se non riuscendoci fino in fondo.

Anzi, fallendo in alcuni aspetti fondamentali.

Di cosa parla Stranger Things 4?

In Stranger Things 4 ritroviamo per la prima volta i personaggi divisi, dopo il trasferimento della famiglia di Will, con a seguito anche Eleven, in California. Ma una nuova minaccia sembra farsi largo ad Hawkins, quando alcuni adolescenti sono ritrovati con il corpo devastato da una forza misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Stranger Things 4?

In generale, assolutamente sì.

Nonostante non sia per nulla la mia stagione preferita (in un’ipotetica classifica occuperebbe un dignitoso terzo posto), tuttavia questi nuovi episodi hanno suscitato un enorme successo proprio per il fattore novità.

In particolare, la apprezzerete di certo se vi piace lo splatter, quello neanche troppo spinto, ma tipico di certa cinematografia horror Anni Ottanta.

Tuttavia se siete molto impressionabili e questo genere vi è davvero allergico, considerate che in questi episodi si è spinto molto di più sul versante horror, tanto da non renderlo più tanto un prodotto per ragazzi.

Io vi ho avvertito.

Top Stranger Things 4

Body horror e un villain accattivante

L’aspetto indubbiamente migliore di questa stagione è l’utilizzo quasi smaccato del body horror.

È ridicolmente facile in questo tipo di produzioni rendere scene di questo tipo banali e stupide (il riferimento alla più recente produzione di horror mainstream è voluta).

In questo caso invece le morti terrificanti dei personaggi sono veramente spaventose e finalmente Stranger Things abbraccia in tutto per tutto il genere horror.

Allo stesso modo il villain di questa stagione è indubbiamente il migliore finora. All’inizio sembrava un po’ un more of the same delle scorse stagioni, anche per l’utilizzo di topoi molto tipici dell’horror per ragazzi.

Tuttavia l’incredibile rivelazione finale mi ha davvero sorpreso, anche perché risulta totalmente coerente nel complesso della storia raccontata. Così, sia per le morti violente, sia per il design del villain, la CGI utilizzata è davvero ottima e credibile.

Anche la retcon riguardo al fatto che Vecna fosse in realtà stato sempre il villain di tutte le stagioni tutto sommato non mi è dispiaciuta: era questa obbligatorio tirare le fila a questo punto, in vista del finale dell’intera serie che arriverà con la prossima stagione.

Un’ottima costruzione della trama

Priah Ferguson (Erica), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Nonostante qualche forzatura, di cui parlerò nella parte flop, nel complesso la trama principale è ottimamente costruita: le prime morti di personaggi secondarissimi, il coinvolgimento di personaggi principali, l’investigazione, le rivelazioni passo passo e, infine, lo scontro finale.

Un racconto lungo e molto ampio, ma assolutamente necessario.

La scelta di dividere la grande mole di personaggi è stata a tratti fastidiosa (la storia di Mike, Will e Jonathan era la meno interessante), ma assolutamente fondamentale per riuscire a gestire al meglio la storia e a dare il giusto spazio a tutti.

In particolare, anche per l’utilizzo di un trope molto comune per il genere: ragazzini contro un nemico enorme e a cui nessuno crede, con gli adulti che cercano di ostacolarli.

Semplice, ma sempre vincente.

La storia di Eleven

Bobbie Millie Brown (Eleven) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

I am different. I do not belong

Sono diversa. Non appartengo a questo posto.

La storia di Eleven prende veramente senso solamente alla fine: all’inizio tutta la questione del bullismo sembra veramente forzata (ed è sicuramente molto tipizzata), ma è un punto di partenza per raccontare il suo dramma interiore.

Il primo ciclo di episodi sono infatti preparatori per lo scontro finale: Eleven deve recuperare la sua identità, i suoi ricordi e poteri perduti, e così accettare sé stessa, con le sue luci e le sue ombre.

E spero, anche alla luce del finale, che questa stagione sia un punto di partenza per la maturazione del personaggio, che all’inizio della stagione (e comprensibilmente) appare spaesata e molto immatura.

In questo senso la chiusura del rapporto con papa è stato un buon punto di arrivo: non eccessivamente drammatico, nonostante lo scivolone un po’ imbarazzante della frase sei tu il vero mostro.

Una chiusura onesta e credibile, per cui Eleven si libera finalmente del peso di quello che, di fatto, è stato il suo aguzzino.

La rivalsa di Hopper

David Harbour (Jim Hopper) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

In questa stagione hanno voluto dare un ruolo molto più centrale ad Hopper, uno dei personaggi più amati della serie.

Dopo averci fatto piangere la sua morte, qui ritroviamo il nostro sceriffo prigioniero in Russia. E troviamo anche un personaggio pieno di risorse e astuzie, capace di salvarsi praticamente da solo, nonostante tutti gli ostacoli.

Fra l’altro per fortuna si è scelto di offrire una rappresentazione equilibrata dei due blocchi, senza sbilanciarsi né sulla crudeltà russa né su quella statunitense.

E facendo parlare i russi in russo, cosa per nulla scontata.

Vivere nel proprio tempo

Bobbie Millie Brown (Eleven), Finn Wolfhard (Mike) e Noah Schnapp (Will) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un grave difetto della terza stagione di Stranger Things era il fatto che per molti tratti si metteva in bocca ai personaggi discorsi e parole assolutamente fuori dal tempo (e non è solo un problema di Stranger Things, ovviamente).

In questo caso invece (e per fortuna) hanno deciso di tornare sui loro passi e far parlare i personaggi in maniera realistica e credibile.

Oltre a questo, si è continuato sulla buona strada di rappresentare personaggi di tutti i tipi, e soprattutto un gruppo di personaggi femminili piuttosto sfaccettati.

Ottima anche l’introduzione dei nuovi personaggi: Enzo, interpretato dall’ottimo Tom Wlaschiha, che abbiamo già visto in L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), e ovviamente di Eddie, che si è pure visto meno di quanto avrei voluto.

Ed ovviamente è morto.

Flop Stranger Things 4

Forzature e pesantezza

Joe Keery (Steve), Gaten Matarazzo (Dustin), Maya Hawke (Robin), Natalia Dyer (Nancy), Caleb McLaughlin (Lucas) e Sadie Sink (Max) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

La scelta di portare un minutaggio così importante non è stata del tutto vincente, in quanto la pesantezza, alla lunga, si è sentita.

Personalmente avrei la storia di Jason e del gruppo dei bulli, fondamentalmente inutile, e avrei fatto prendere altre strade al gruppo di Will. Così magari avrei anche semplificato la storia di Eleven, e in generale avrei distribuito la storia su più puntate.

Così ci sono anche non poche forzature: al di là dell’idea veramente idiota di mandare Eleven in una città sconosciuta lontano dai suoi amici (la stessa bambina, ricordiamolo, traumatizzata che non sa vivere nel mondo), tutta la sua storia ha delle forzature importanti.

In particolare, veramente poco credibile che venga arrestata e mandata in galera senza che un tutore venga interpellato, per un crimine neanche così grave.

Perché il finale non mi ha convinto

Jamie Campbell Bower nei panni di Vecna in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Molto banalmente, ho testato le mie reazioni al finale della stagione rispetto a quelle per la fine del primo ciclo di episodi.

E non sono riuscita a trovare effettivo trasporto ed interesse. L’unica eccezione è stato il riconciliamento fra Eleven e Hopper, che stavo aspettando con grande interesse.

Per il resto, non ho apprezzato il finale né nei suoi contenuti né per come è stato strutturato. Ho trovato abbastanza stancante questa durata infinita, quando, nella maniera più evidente, l’ultima puntata poteva essere divisa in due parti, dando un po’ di respiro allo spettatore.

Il momento in cui effettivamente Eleven sconfigge Vecna l’ho trovato improvviso e per nulla ben costruito, basato esclusivamente su una situazione al cardiopalma in cui lo spettatore teme per la morte di Max.

Ma per me ci vuole ben altro, e sicuramente ci voleva di più di Mike che incoraggia Eleven, la cui relazione non mi ha mai veramente coinvolto.

Oltre a questo, la tecnica di mostrare un’apparente calma per poi mettere un colpo di scena finale l’ho trovato più che scioccante, molto anti climatico. Sarebbe stato molto più intelligente costruire un climax drammatico che raccontava il fallimento, per una volta davvero, di Eleven.

Le morti gratuite

Joseph Quinn nei panni di Eddie in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Una scelta che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa stagione è stata la morte di Eddie.

I Duffer Brothers hanno preso questa brutta abitudine di introdurre personaggi secondari amatissimi e ucciderli alla fine della stagione. Ovviamente Eddie è un personaggio adorato dai fan (me compresa) e ovviamente non poteva stare in vita per più di una stagione.

Tuttavia, come nelle scorse stagioni Bob e Alexei erano stati evidentemente eliminati perché, da un certo punto in poi, troppo ingombranti per la narrazione, la morte di Eddie è totalmente gratuita. Infatti non aggiunge veramente nulla alla trama, non era utile alla stessa, e l’ho trovata anche piuttosto smaccata.

Non era forse invece ora di sfoltire il gruppo di personaggi principali?

E no, non credo che Max sia veramente morta nella maniera più assoluta…

Robin e Nancy: la coppia che scoppia

Maya Hawke (Robin) e Natalia Dyer (Nancy) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un’idea poco vincente per me è stata quella di mettere Nancy e Robin nella stessa scena.

Nancy, personaggio già insipido e profondamente antipatico, ne emerge ancora più sconfitta davanti alla spettacolare performance di Maya Hawke, un personaggio invece divertente e frizzante, con un’attrice che sta dimostrando le sue capacità eccelse.

Niente di tutto questo ha né il personaggio di Nancy né l’attrice che la interpreta, purtroppo.

Nancy in generale mi ha dato meno fastidio del solito, se non fosse per il richiamo ancora a Barb, personaggio assolutamente sopravvalutato, così il tentativo di creare un triangolo amoroso fra lei, Steve e Jonathan.

Veramente insostenibile.

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The Umbrella Academy 3 – Sapersi rinnovare?

The Umbrella Academy è una serie mistery-fantascientifica di Netflix, giunta quest’anno alla sua terza stagione. Un prodotto piuttosto particolare, non per tutti i palati, ma di cui potreste facilmente innamorarvi.

La cominciai all’uscita della prima stagione, ma la abbandonai dopo il primo episodio, per poi recuperarla su consiglio di amici. E divorandomi le prime due stagioni.

Se non sapete niente di The Umbrella Academy e non siete sicuri che possa fare per voi, continuate a leggere. Se invece volete solo sentir parlare della terza stagione, cliccando qui potete passare direttamente alla parte spoiler.

The Umbrella Academy: Guida alla visione

Di cosa parla The Umbrella Academy?

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Il 1° ottobre 1989 43 donne in tutto il mondo partoriscono contemporaneamente, senza però essere mai state incinte. Un misterioso miliardario, Sir Reginald, adotta sette dei neonati per addestrarli ad usare i loro poteri speciali nella Umbrella Academy.

Se vi sembra la trama degli X-Man, ricredetevi: la serie prende da subito tutta un’altra direzione. Il gruppo infatti si divide piuttosto velocemente, rincontrandosi in occasione della morte del loro patrigno. E fin dalla prima puntata si comincia a parlare di Fine del Mondo…

Ha senso fare più stagioni?

La serie si dipana su più stagioni, che hanno ognuna una trama a sé stante, pur perfettamente collegata con il ciclo di episodi precedenti. In ogni stagione vi è una minaccia differente e spesso i personaggi partono divisi, per poi rincontrarsi alla fine.

Vi è comunque una trama di fondo che collega tutti gli episodi, che ancora alla terza stagione non è stato del tutto svelata. Quindi prevale molto il tono mistery e ovviamente fantascientifico, ma quel fantascientifico alla Guida intergalattica per autostoppisti e quindi alla Dirk Gently. Insomma, una fantascienza molto surreale e con diversi momenti comici.

The Umbrella Academy può fare per me?

Elliot Page e Adam Godley in una scena di The Umbrella Academy, serie tv Netflix

Per apprezzare The Umbrella Academy deve sicuramente piacervi il genere della fantascienza e del mistery, anche piuttosto intricato e surreale, che però non si prende mai sul serio.

Se avete in mente gli esempi sopra fatti, ovvero Guida intergalattica per autostoppisti e la serie Dirk Gently, avete sicuramente capito di cosa state parlando. E se vi piace questo tipo di prodotti, molto probabilmente farà per voi.

Nel dubbio, vi lascio il trailer della prima stagione.

Di cosa parla la terza stagione di The Umbrella Academy

Nella terza stagione il gruppo si trova subito a scontarsi con la Sparrow Academy, il gruppo supereroistico che sembra aver preso il loro posto. La scoperta della verità su questa nuova dimensione porterà anche allo svelamento di una nuova minaccia.

Vale la pena di vedere The Umbrella Academy 3?

Aidan Gallagher, David Castañeda,Tom Hopper e Robert Sheehan in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

In generale, sì. Fra le stagioni è per me la più debole: pur mantenendo il suo tono e le sue dinamiche, vi è una grande problematica di dispersione della trama, che fino alla fine non sembra avere una direzione chiara. Oltre a questo, vi è un peggioramento terribile di alcuni personaggi, così come le dinamiche di coppie vecchie e nuove che ho trovato a tratti nauseanti.

Tuttavia, a parte questo, non è una stagione che mi sento del tutto di sconsigliare: nonostante tutti i difetti, sono contenta di averla vista e aver scoperto il prosieguo della trama, che comunque nel complesso è anche interessante. E andiamo avanti con la quarta stagione.

Non avere una direzione

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Come anticipato, per me il grande problema della stagione è stata proprio la sua dispersività: ho avuto la sensazione per la maggior parte del tempo che i personaggi vagassero in scena, senza avere una direzione precisa, incappando incidentalmente in delle storyline.

E vi sono state una marea di scena e dinamiche che per me sono state una grandissima perdita di tempo, per poi correre sul finale, lasciando un sacco di dubbi irrisolti. Oltre a questo, mi è personalmente mancata la presenza della Commissione come villain o comunque minaccia, che desse un po’ più di tridimensionalità alla vicenda.

La Sparrow Academy

La Sparrow Academy è stata una delle parti che mi ha più convinto della serie: mi sono piaciuti i personaggi che, a parte Sloane, sono tutti terribilmente sgradevoli. In particolare mi è piaciuto come è stato caratterizzato Ben, il fratello sempre rimpianto, che in questa veste è invece un personaggio estremamente negativo.

Tuttavia mi è al contempo dispiaciuto che la loro storia non sia stata più di tanto approfondita, lasciando un po’ di buchi ed eliminando sistematicamente i suoi componenti. Evidentemente la scena sembrava troppo affollata, tanto che per certi versi questi personaggi, tranne Ben e Sloane, mi sono sembrati un po’ usa-e-getta.

Due relazioni a confronto

Le due relazioni più forti della stagione sono quelle di Diego e Lila e di Luther e Sloane. Come ho trovato insopportabile la prima, ho adorato la seconda: Diego e Lila li ho davvero trovati estenuanti, non sono per niente stata coinvolta dalle loro dinamiche, e in certe scene le ho trovate anche eccessivamente melense.

Al contrato il nuovo amore fra Luther e Sloane a sorpresa mi è piaciuto moltissimo, nella sua semplicità e ingenuità. Un amore fra l’altro messo continuamente alla prova dalle continue sparizioni dell’uno e dell’altro. Spero sinceramente che questa storia sia portata avanti, e che non scelgano invece di riesumare la coppia di Luther e Allison.

Il vero problema: Allison

Emmy Raver-Lampman in una scena della terza stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Allison è stata la parte peggiore dell’intera stagione. Non so esattamente cosa avessero in mente con questo personaggio, ma io l’ho trovato insostenibile, sia nei momenti in cui dovremmo empatizzare con lei, sia quanto entra totalmente nella sua spirale negativa.

Alla millesima volta in cui si lamentava di aver perso la figlia e il marito, sempre come se tutti i problemi al mondo fossero solo i suoi, non ne potevo davvero più. Così la sua spirale negativa l’ho trovata eccessiva, e, soprattutto, non perdonabile, nonostante Victor le continui a correrle dietro e tutti i personaggi siano sempre pronti a perdonarla.

Nell’ordine Allison ha ucciso una persona cara a suo fratello, ha cercato di forzare Luther ad avere una relazione con lei, ha mentito a tutta la sua famiglia e si è alleata alle spalle della stessa, mettendo tutti in pericolo per il proprio tornaconto. Direi che è oltre il perdonabile. Ma, purtroppo, sono sicura che verrà reintegrata facilmente.

La questione di Elliot Page

L’attore di Victor, Elliot Page, ha recentemente fatto coming-out, dicendo di sentirsi un uomo e cambiando anche il suo nome. Nella prime due stagioni interpretava un personaggio femminile, mentre in questa stagione anche il suo personaggio cambia genere e nome, diventando appunto Victor.

Per quanto per certi versi l’ho trovata un po’ tirata, penso che sia stato più che giusto questo cambiamento, e in certi passaggi l’ho trovato anche toccante il modo in cui è stato messo in scena.

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Obi-Wan Kenobi – Un inutile girotondo

Obi-Wan Kenobi è l’ultima serie dell’universo di Star Wars, conclusasi questa settimana. Il terzo prodotto che la piattaforma propone agli appassionati della saga, dopo prodotti discutibili, ma nondimeno di grande successo, come The Mandalorian e The Book of Boba Fett.

Questa serie per me è un clamoroso fallimento, sotto tantissimi aspetti: registico, di scrittura, di coerenza, di distruzione del canon. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Tuttavia la serie ha avuto un enorme successo, e si vocifera già una seconda stagione…

Di cosa parla Obi-Wan Kenobi?

La serie si ambienta fra Episodio III ed Episodio IV (se non sapete di cosa sto parlando, ecco una guida per voi), ovvero nel periodo di apparente ritiro di Obi-Wan. Dieci anni dopo lo scontro con Anakin, lo jedi viene riportato sul campo per il rapimento della giovane Leila Organa, portandolo a scontrarsi con il suo mortale nemico…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Guida alla visione

Perché non vedere Obi-Wan Kenobi

Moses Ingram e Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Le motivazioni per perdersi totalmente questa visione sono tanti e vari. Senza andare nello specifico, la serie di fatto non aggiunge niente a Star Wars. Anche se potrebbe sembrare il contrario, Obi-Wan Kenobi costruisce una storia arraffazzonata, senza né capo né coda, che non va ad arricchire il canone, ma, al contrario, a rovinarlo.

Troviamo diverse e terrificanti retcon, che vanno veramente a snaturare il senso della Trilogia Originale stessa. Oltre a questo, la trama è di un ripetitivo insostenibile e si basa solamente su fan service gratuito, e pure mal fatto. E non fatemi cominciare sui personaggi.

Perché vedere Obi-Wan Kenobi

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Per me Obi-Wan Kenobi è una serie che può piacere a due condizioni: essere irrimediabilmente innamorati della trilogia prequel e godere quando si rimpasta il canone, tutto pur di avere del fan service.

Purtroppo questa è ormai la norma. Tuttavia, se tutto sommato serie come The Mandalorian e soprattutto The Book of Boba Fett vi sono piaciute e siete riusciti a passare sopra a tutto, allora potrebbe pure a piacervi. E magari, arrivando con aspettative bassissime, potreste pure godervela.

Ewan McGregor: crederci

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Io voglio molto bene a Ewan McGregor ed è un attore che apprezzo molto. Purtroppo negli ultimi anni è entrato in una spirale molto negativa, inanellando un flop dietro l’altro: da Il ritorno al bosco dei 100 Acri (2018) non ne ha imboccata una.

Tuttavia, seguendo comunque da vicino la sua carriera, non ho mai visto un prodotto in cui McGregor non si sia quantomeno impegnato. E questo è anche il caso di Obi-Wan, personaggio per cui ha dimostrato un sincero entusiasmo.

Non a caso nella serie è il personaggio fra tutti più credibile. Tuttavia, in un gruppo di personaggio uno più improbabile e peggio interpretato dell’altro, non era tanto difficile. Nondimeno ammiro la passione che indubbiamente l’attore ci ha messo.

Baby Leila: che belli gli Anni Novanta

Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Baby Leila è stata il mio incubo. Non c’è niente di peggio di quando un prodotto vuole venderti un personaggio in un certo modo, mentre tu lo vivi completamente all’opposto. Il suo personaggio ha risvegliato le mie paure più recondite, in particolare il bambino di Bugiardo Bugiardo (1997), per me l’emblema dei bambini insopportabili dei film degli Anni Novanta.

Leila dovrebbe essere un prequel al personaggio della Trilogia Originale, e già questo è stato un passo falso: forse non ve lo ricordate, ma la recitazione della compianta Carrie Fisher, soprattutto in Una nuova speranza (1977) era insopportabilmente sopra le righe. Quindi provare a mimarne la recitazione è stata un’idea terribile

Oltre a questo, l’attrice in questo caso è obbiettivamente pessima. Potrebbe pure essere che sia stata diretta male, come d’altronde la maggior parte degli interpreti della serie, ma la sua recitazione è davvero scadente. E non giustificabile per via dell’età: vi ricordo che l’attrice al tempo delle riprese aveva nove anni, Jude Hill ne aveva dieci ai tempi delle riprese di Belfast (2021) e i protagonisti di Stranger Things avevano appena undici anni al tempo delle riprese della prima stagione.

Insomma, se si cercano, gli attori bambini talentuosi si trovano.

Reva, non ti ho capito

Moses Ingram in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Ammetto i miei limiti: non ho proprio capito il personaggio di Reva. Non ne ho capito la storia, il senso, le motivazioni, nulla. Parte come il villain più stereotipato possibile, con una recitazione agghiacciante e con sequenze da far invidia al Goblin di William Dafoe in Spiderman (2001).

Dopo, ne vengono rivelate le (prevedibilissime) motivazioni e da lì per cinque minuti assume un significato, poi si perde totalmente nell’ultima puntata. Non si capisce come abbia in primo luogo capito che il bambino di cui si parlava alla fine della quinta puntata fosse Luke e, più in generale, non si capisce cosa volesse fare e per quale motivo.

Mi dispiace veramente vedere un’attrice che è stata premiata con una candidatura agli Emmy per la sua interpretazione ne La regina degli scacchi appiattita in questo modo nelle mani di una regista davvero incapace.

Dart Vader: ma perché?

Molti fan si sono strappati le vesti nel sapere che Haiden Kristensen sarebbe tornato nei panni di Vader. E non ne ho capito il motivo, visto che l’attore è un riconosciuto cane ed si è fondamentalmente rovinato la vita con la sua interpretazione nella trilogia prequel.

Per fortuna non si vede praticamente mai in faccia, ma riesce comunque a rovinare nuovamente il personaggio con una recitazione corporea per nulla credibile. L’unico che avrebbe potuto aiutarlo poteva essere la storica voce del personaggio, James Earl Jones, che effettivamente lo doppia nella serie.

Tuttavia anche questo povero attore, ormai novantenne, si è rivelato totalmente incapace di tornare nel ruolo. Di fatto Vader sembra nè più nè meno che il cattivo di un videogioco Anni Novanta di Serie B, con un set preimpostato di frasi.

Una scrittura delirante

Insieme alla regia, la scrittura è se possibile il punto più basso della serie. In origine il progetto era di un film con un numero di eventi limitati. Quindi, dovendo fare una serie e non avendo la minima idea di cosa invertasi, si è scelto di duplicare gli eventi.

Così Leila viene rapita due volte, così abbiamo due scontri. E gli errori di sceneggiatura sono incalcolabili: come ha fatto Reva a sopravvivere all’attacco di Anakin? Con quale credibilità nella prima puntata Leila (ricordiamo, una bambina di dieci anni) parla come un’adulta, come la serie stessa sottolinea? Perché nella terza puntata Obi-Wan non è capace di aspettare un paio di minuti l’arrivo del suo contatto? Qual era il motivo di far rapire Obi-Wan nella quinta puntata per poi farlo scappare un attimo dopo? E si potrebbe andare avanti.

Sulla questione delle retcon, non voglio dilungarmi troppo. Mi basta nominare la più grave: per quello che vediamo in Una nuova speranza, non è credibile che Leila e Obi-Wan avessero il rapporto affettuoso mostrato nella serie.

Dare una serie ad un incapace

Prima di cominciare a dire solo il peggio sulla regia, devo spezzare una piccola lancia: ogni tanto azzecca qualche campo lungo con i personaggi in scena. Per il resto, disastro. Deborah Chow non è proprio capace di mettere i personaggi in scena e di farli muovere.

L’esempio più eclatante è sicuramente la puntata quattro nella sua interezza, nella quale Tala continua a comunicare con Obi-Wan e mette fuori gioco diversi personaggi senza che nessuno si accorga di nulla, nella maniera meno credibile possibile. E così Obi-Wan fugge con Leila nascosta sotto all’impermeabile, in un siparietto comico-grottesco che vorrebbe tenerti sulle spine, ma nella migliore delle ipotesi fa ridere.

Per non parlare della ridicola scena dell’inseguimento di Leila nella prima puntata, dove si vede che l’attrice sta effettivamente camminando e quelli che la inseguono fanno così evidentemente finta di correre da far veramente ridere.

Non so chi abbia avuto l’idea di mettere in mano ad una novellina una serie così importante, ma spero che si penta per il resto della vita.

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Stranger Things 3 – Finalmente l’horror

Stranger Things 3 ovvero la terza stagione di una delle serie di maggior successo di Netflix, fu la prima che ebbe il sapore di evento.

Il nuovo ciclo di episodi uscì dopo che i fan erano rimasti a bocca asciutta per ben due anni. E questa volta i Duffer Brothers vollero puntare sul fattore novità, dopo una seconda stagione che, pur ottima, sembrava un more of the same della prima.

In questa stagione invece ci si concentra molto di più sull’entrata dei protagonisti nell’età adolescenziale, proprio nell’estate prima del loro approdo al liceo, con tutte le conseguenze del caso (e non sempre piacevoli).

Ma la novità più importante, ulteriormente confermata dalla stagione successiva, è finalmente la scelta di puntare davvero sul genere horror.

Di cosa parla Stranger Things 3?

Nella terza stagione i protagonisti, ormai adolescenti, si districano nelle loro relazioni sentimentali appena sbocciate, con tutto il dramma che solo l’adolescenza può regalare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Stranger Things 3?

Sadie Sink, Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Noah Schnapp e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Assolutamente sì.

La terza stagione di Stranger Things è fra le mie preferite, seconda solo alla prima. Sicuramente, se vi è piaciuta la serie fino a qui, non potete perdervi questa terza stagione, che porta grande freschezza al prodotto, smarcandosi dall’atmosfera di Halloween come le prime due.

Inoltre, come anticipato, ci si avvicina definitivamente al genere orrorifico, ispirandosi meravigliosamente alle atmosfere de La Cosa (1982), il principale riferimento dell’intera stagione.

E già questo è tutto un programma.

Top Stranger Things 3

Robin: una scelta vincente

Maya Hawke in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Robin è stata la scelta migliore che Stranger Things potesse mai fare. Per chi non lo sapesse, questa splendida attrice è figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, e questo ci dice già molte cose.

Un personaggio davvero stupendo, che in una sola stagione è entrata nel cuore dei fan dal primo minuto, confermando la capacità dei Duffer Brothers di saper introdurre e creare sapientemente nuovi personaggi, soprattutto femminili.

Robin viene da subito inclusa nella coppia esplosiva di Dustin e Steve, dimostrandosi immediatamente capace e di fatto fondamentale per sciogliere il mistero. Così è adorabile il suo rapporto con Steve: ci hanno illuso per un’intera stagione, introducendo invece a sorpresa il primo personaggio queer (dichiarato) della serie.

Un mistero ben costruito

Il Mind Flayer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Dopo un tentativo di cambiare rotta nella seconda stagione, in questo ciclo di episodi si è deciso di tornare alle dinamiche della prima stagione, in cui i personaggi scoprono autonomamente un pezzo del mistero, per poi incontrarsi per il combattimento finale.

Ho decisamente preferito che il mistero fosse presente fin dalla prima puntata, così che le trame secondarie, soprattutto quelle teen, non siano così pressanti, ma anzi portino dei momenti importanti della trama. Proprio come nella prima stagione, appunto.

Inoltre, finalmente il personaggio di Billy, che avevo poco apprezzato alla sua introduzione, ha un senso di esistere. E in generale la trama horror l’ho trovata veramente ottima, terrificante al punto giusto, senza mai scadere nello splatter troppo spinto.

La follia dell’adolescenza

Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard e Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Max dumped me like five times

Per quanto la parte teen sia quella che mi interessa di meno in assoluto, devo riconoscere che, a differenza di come era stata trattata la trama di Nancy nella prima stagione, in questo caso si procede con uno sferzante e quasi folle realismo.

Infatti, è assolutamente credibile che i protagonisti, comunque ancora molto giovani (dovrebbero avere ancora quattordici anni) non riescano a districarsi agevolmente in queste relazioni nuove di zecca.

Anche se, come spiegherò nella parte flop, su alcune cose hanno esagerato, tutto sommato è ben scritta.

La parte più triste è l’altro lato della medaglia, Will.

Indipendentemente da quello che viene rivelato nella quarta stagione, il suo personaggio si sente totalmente tradito dal nuovo atteggiamento dei suoi amici, che sono saltati sul carro dell’adolescenza prima di quanto lui si aspettasse e prima che fosse pronto a sua volta.

L’evoluzione di Eleven

Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me questa non è la stagione migliore per il personaggio di Eleven. Tuttavia, secondo lo stesso ragionamento di quanto detto sopra, il suo comportamento è assolutamente credibile e realistico.

Lei infatti è sicuramente il personaggio più spaesato dalla sua relazione con Mike, e anche quella che ha il piglio più ribelle fin dalla prima stagione.

Purtroppo, come spiegherò dopo, il suo personaggio è davvero inquinato dalla presenza di Max, ma è quantomeno bello vederla evolversi in strade che non riguardino solamente i suoi poteri.

Oltre a questo, il rapporto con Hopper, per quanto faccia un passo indietro, è davvero esilarante, soprattutto per la scena in cui minaccia Mike. E per questo vi lascio qua sotto i bloopers, gustosissimi soprattutto per la scena appunto in cui Hopper cerca di parlare con Mike e El.

Personaggi secondari esplosivi

Oleh Yutgof e Priah Ferguson in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Come nella scorsa stagione, anche in questa sono stati introdotti (o reintrodotti) dei bellissimi personaggi secondari.

Anzitutto Erica, che era già presente nella scorsa stagione ma che in questo ciclo di episodi è diventata qui molto più protagonista. Io, personalmente, la trovo davvero esilarante. E mi piace molto anche il discorso che lei cerca di essere la cool girl che vuole prendere in giro di nerd, pur essendolo lei stessa.

E alla fine accettando questa parte di sé.

Ma la grande sorpresa di questa stagione è stato sicuramente Alexei, che segue purtroppo la stessa via di Bob nella scorsa stagione: un personaggio chiave, che adori fin dal primo minuto, che raggiunge il suo climax, e viene brutalmente eliminato appena ha concluso la sua funzione.

Flop Stranger Things 3

Max: la difficoltà di portare avanti un personaggio

Sadie Sink e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me Max rappresenta il problema principale della stagione: non sapersi dare dei limiti.

Il suo personaggio diventa inutilmente aggressivo e fondamentalmente stupido, facendosi portavoce in maniera del tutto insensata di ideali anche giusti, inquinati dal suo isterismo e dalla sua irrazionalità.

Oltre a questo, il fatto che Max stia sbagliando è evidente da quanto la regia indugi su Mike, che non sa come comportarsi davanti alla sua amica che sbotta cose assurde su come lui non sia a capo delle decisioni di Eleven.

Oltretutto Mike è un personaggio evidentemente positivo, che evidentemente si preoccupa di Eleven e della sua incolumità. E, dopo averla persa già una volta, è del tutto comprensibile. Insomma,

Max è una grande occasione persa di un personaggio introdotto molto bene, ma del tutto appiattito in questa stagione.

Il punto più basso di Nancy

Natalia Dyer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Non è un mistero che per me Nancy sia la parte più debole di tutto Stranger Things, e in questa stagione raggiunge il suo punto più basso.

In questi episodi è infatti associata ad una dinamica se possibile ancora più ridicola e assurda di quelle di Max, in cui è fortemente bullizzata dalla redazione nel giornale.

Ma, appunto, per la dinamica poco credibile, non sono riuscita né a credere a quello che vedevo né ad esserne coinvolta.

I suoi atteggiamenti li trovo sempre al limite dell’estenuante, perché sembra sempre che faccia le cose non per un obbiettivo, ma per dimostrare qualcosa. Sicuramente è un personaggio in cui tante giovani donne possono identificarsi, soprattutto rendendola (a mio parare in maniera ridicola) la donna forte e protagonista dell’azione.

Non è il mio caso.

Devo piangere?

David Harbour e Winona Ryder in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per quanto la trama di Hopper e Joyce mi sia piaciuta molto, ho davvero mal sopportato, anche se a posteriori, l’apparentemente morte di Hopper, che è stata smentita immediatamente dalla scena post credit dell’ultima puntata.

Mi è sembrata la classica scelta che porta alla lacrima facile dello spettatore, togliendo di mezzo uno dei personaggi più amati della serie, con una costruzione anche abbastanza raffazzonata.

Il mio problema con La storia infinita

Questo non è di per sé un flop, ma una mia confessione.

La scena di Suzie e Dustin che, totalmente a sorpresa, cantano la canzone di La storia infinita (1984), ha fatto impazzire moltissimi.

Purtroppo, non è il mio caso: quel film non è per nulla un cult della mia infanzia. Ed è stato micidiale non trovarsi nel target per una scena che evidentemente voleva emozionare.

La stessa sensazione che si potrebbe provare quando, guardando Spiderman No Way Home (2021), vedere arrivare gli Spiderman di Garfield e Mcguire senza conoscerli per nulla.

Come in tutte le stagioni di Stranger Things, anche questa è piena di riferimenti a fenomeni culturali e sociali del periodo.

Ma in questo caso vale la pena di spenderci due parole.

Il primo riferimento importante riguarda i centri commerciali: l’apertura del nuovo shopping centre a Hawkins diventa la maggiore attrattiva per i protagonisti, ancora di più della Sala Giochi nella scorsa stagione.

Ed è assolutamente realistico: per centri così piccoli come Hawkins, avere a portata di mano un luogo in cui, a poca distanza, si potesse godere di tutti i benefici di vivere in una grande città, era una bellissima ed emozionante novità.

Ma ancora più interessante è inserire la New Coke, un caso studio di marketing fallimentare.

Nell’aprile del 1985 la Coca Cola provò a rilanciarsi cambiando la formula della sua bevanda iconica, scatenando delle asprissime polemiche (le stesse che vediamo nella serie, appunto).

Un esperimento brevissimo: l’11 luglio 1985 (pochi giorni dopo la conclusione della terza stagione) venne ripristinata la formula originale, denominata Coca Cola Classic.

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Avventura Azione Drammatico Fantascienza Fantasy Mistero Netflix Serie tv Stranger Things Teen Drama

Stranger Things 2 – Niente cambia, tutto cambia

Stranger Things 2 è la seconda stagione di una delle serie tv di punta di Netflix, cresciuta di pubblico e popolarità nel corso degli anni.

La seconda stagione arrivò a solo un anno di distanza dal primo ciclo di episodi (a differenza delle successive), cercando di proporre qualcosa di nuovo per un seguito che non era stato originariamente veramente pensato.

Non avevo un ricordo del tutto positivo della seconda stagione. Per fortuna ad una seconda visione mi sono dovuta ricredere, apprezzandola quasi quanto la prima.

Tuttavia, questa stagione ha un problema fondamentale: compie un tentativo incredibilmente fallimentare di ampliare la narrazione, dimenticandosi ingenuamente dei suoi punti di forza.

Di cosa parla Stranger Things 2

Stranger Things 2 si concentra su diverse storyline, la cui principale riguarda Will: ad un anno di distanza dal suo terribile viaggio nel Sottosopra, il ragazzino è tormentato da una nuova minaccia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Stranger Things 2?

Noah Schnapp, Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

In generale, sì.

Se avete apprezzato la prima stagione e se soprattutto vi siete appassionati ai protagonisti, non potete perdervi il secondo ciclo di episodi.

Per quanto in parte sia un po’ la stagione minore di quelle finora uscite, continua a non sbagliare un colpo e ad essere un ottimo prodotto di intrattenimento, colmo di citazioni alla cultura pop e alla produzione cinematografica degli Anni Ottanta.

Se non avete mai visto Stranger Things, che cosa ci fate qui? Ho scritto un articolo apposta per voi.

Top Stranger Things 2

Will: l’inaspettato

Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Non è stato per nulla facile scegliere il mio personaggio preferito per questa stagione.

La mia scelta è infine ricaduta su Will.

Rimasto praticamente fuori scena per la maggior parte nel primo ciclo di episodi, nella seconda stagione diventa quasi più protagonista di Eleven. Ho davvero apprezzato la costruzione della sua storia, temendo davvero per la vita di Will, personaggio apparentemente inerme davanti al Mind Flayer che lo domina.

Inoltre, davvero inaspettata la recitazione di Noah Schnapp, che a soli dodici anni è riuscito a portare una performance veramente convincente e al contempo straziante, utilizzando ottimamente tutte le sue capacità per la recitazione corporea.

Peccato che alla fine della stagione il suo personaggio venga di nuovo messo da parte, tendendo un po’ a dimenticarselo nelle stagioni successive.

Max: the new girl

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Max è la grande introduzione della stagione.

I Duffer Brothers avevano l’arduo compito di portare in scena un nuovo personaggio femminile in un cast ancora principalmente maschile, con il rischio di appiattirla come la ragazza del desiderio dei protagonisti.

Ammetto che Max non è mai stato un personaggio con cui mi sono affezionata, sia perché è una ragazza chiusa e con cui è difficile empatizzare sulle prime, sia perché l’ho poco apprezzata nella terza stagione.

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Tuttavia, Mad Max è un personaggio interessante, che non vuole essere una Eleven parte 2, ma al contrario una ragazzina con un passato tormentato e all’interno di una relazione violenta con il fratello adottivo.

E che è infine capace di mettere i giusti paletti nella loro relazione, dopo una stagione passata ad essere terrorizzata da Bill.

Oltre a questo, ancora vincente la sua relazione con i protagonisti, abbastanza simile per dinamiche a quelle di Eleven: cerca di essere il più possibile realistica e credibile, sia per la sua riluttanza ad entrare nel gruppo, sia per la sua incredulità rispetto al Sottosopra.

Dustin, Steve & Dart

Joe Keery e Gaten Matarazzo in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Una bella scoperta della stagione è stato Steve, personaggio comunque non del tutto appiattito neanche nella scorsa stagione, ma che finalmente diventa un personaggio interessante.

E chi poteva portarlo lontano dall’inutilità della quota teen della serie se non Dustin, che non a caso è, insieme ad Hopper, il mio personaggio preferito di Stranger Things. Letteralmente Dusty, quando Steve si sta recando da Nancy per riconciliarsi, lo prende per mano e lo coinvolge nell’avventura.

E, inaspettatamente, Steve si rivela buon amico e fratello maggiore per Dustin, cercando di aiutarlo a farlo sentire più sicuro di sé stesso e per riuscire a conquistare Max.

Nonostante gli dia dei consigli veramente stupidi, è adorabile lo sbocciare del loro rapporto, che ha il suo climax nelle scene finali del ballo della scuola.

Al contempo, per quanto secondario, ho trovato davvero piacevole l’arco narrativo di Dustin e Dart, il demodog che Dustin alleva come un suo piccolo animaletto, e che riesce a tenerlo a bada fino all’ultimo, in una scena davvero adorabile.

Bob: eroe o carne da macello?

Sean Austin e Winon Ryder in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Da questa stagione in poi i Duffer Brother hanno cominciato a prendere la fastidiosa abitudine di introdurre personaggi a cui il pubblico si affeziona immediatamente, per poi farli morire nel peggior modo possibile.

Bob è infatti una parte bellissima e terribile di questa stagione: un’occasione per Joyce di trovare una felicità e una vita semplice altrove, un personaggio fondamentale nella risoluzione del mistero, ma evidentemente anche un personaggio sacrificabile quando smette di essere utile.

E non è stato certo un caso la scelta di un attore così amato dal grande pubblico: Sean Astin è l’indimenticabile Sam della trilogia de Il signore degli anelli, personaggio entrato nel cuore di molti.

Hopper e Eleven: un rapporto in divenire

David Harbour e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Il rapporto fra Hopper e Eleven è probabilmente la parte più toccante della stagione: per quanto non mi abbia convinto del tutto il modo in cui inizia, in quanto non adeguatamente spiegato, la loro relazione è potente quanto straziante.

Di fatto troviamo un padre che cura una ragazza sconosciuta come se fosse sua figlia e al contempo la stessa che si crede invincibile ed è, per questo, incontrollabile. E questo porta anche ad un antagonismo e ad una mancanza di fiducia tipica dei rapporti del periodo dell’adolescenza, che si evolverà ulteriormente nella prossima stagione.

Tuttavia, infine i due riescono felicemente a riconciliarsi, ammettendo in maniera molto matura le rispettive colpe, gettando le basi per un nuovo e importante rapporto.

Flop Stranger Things 2

Uno spin-off mancato

La settima puntata di questa stagione è universalmente considerata la peggiore ed è un evidente tentativo di mettere le basi per uno spin-off della serie. Le motivazioni dietro a questo fallimento sono diverse, e riguardano sia la puntata in sé sia il percorso che è stato fatto per arrivarci.

Per la puntata di per sé, i Duffer Brother (o chi se ne è occupato) sembrano essersi dimenticati il punto di forza di Stranger Things: i suoi personaggi.

Qui veniamo introdotti ad un gruppo di personaggi uno più stereotipato dell’altro, con dinamiche che nulla c’entrano con la serie e sembrano, appunto, di un altro prodotto.

Oltre a questo, il personaggio di Eleven ha una storyline non inutile, ma certamente troppo distaccata dalla trama generale, tanto che il suo intervento alla fine ha un forte sapore di deus ex machina: non esattamente indice di una buona scrittura.

Vicende accessorie

Sempre su questa idea, anche la trama di Nancy e Jonathan sembra piuttosto accessoria e distaccata dal resto della trama. Non inutile, anche perché ha una conseguenza importante nel finale.

Non fastidiosa come mi ricordavo, tuttavia la parte meno interessante dell’intera stagione, anche perché la quota teen rimane per me quella meno vincente.

Oltre a questo, nella scorsa stagione era già troppo tardi per dimenticarsi di Barb, personaggio che per motivi misteriosi continua ad essere riportato in qualche modo in scena.