Questo mondo non mi renderà cattivo (2023) è una serie animata di produzione Netflix, scritta e diretta dal fumettista Zerocalcare– la seconda produzione a suo nome dopo Strappare lungo i bordi (2021).
Di cosa parla Questo mondo non mi renderà cattivo?
Un vecchio amico di Zerocalcare torna a Roma dopo una lunga assenza, ma sembra incapace di reinserirsi nel difficile microcosmo del quartiere…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Questo mondo non mi renderà cattivo?
Sì, ma…
Questo mondo non mi renderà cattivo rappresenta un punto di svolta abbastanza importante per la pur breve produzione seriale di Zerocalcare.
Se infatti Strappare lungo i bordi (2021) riprendeva – per toni e soggetto – la sua opera prima, La profezia dell’Armadillo (2012) – con questa nuova serie si passa a tematiche ben più mature della sua produzione più recente.
Per questo il prodotto ha un inaspettato tono ben più politico e attuale, andando a trattare con grande franchezza, nonché con una verosimiglianza quasi dolorosa, tematiche molto forti della nostra contemporaneità.
Insomma, arrivateci preparati.
La cornice narrativa
La struttura narrativa di Questo mondo non mi renderà cattivoè abbastanza simile a quella della serie precedente.
Si racconta infatti ancora una volta un progressivo avvicinamento ad un evento determinante della storia, che però rimane oscuro allo spettatore praticamente fino alla finedegli episodi.
Tuttavia, la cornice narrativa in questo caso èben più solida: l’arresto e l’interrogatorio giustificano effettivamente il perché l’elemento fondamentale della trama rimanga nascosto per la maggior parte del tempo.
E, anche se l’idea che il racconto alla fine sia solo una confessione con l’Armadillo l’ho trovata un po’ debole, il risvolto della scena, dal sapore comico-grottesco, mi ha tutto sommato convinto.
Ricucire i rapporti
Il mondo di Zerocalcare è incredibilmente verosimile.
Quante volte durante la nostra vita ci siamo lasciati alle spalle moltissimi rapporti che si sono improvvisamente spezzati, senza un vero motivo, senza che nessuno sapere quasi il perché, se non che la vita che va avanti…
Da qui il pesante imbarazzo nel tentativo di riconciliazione con Cesare, che ha il suo picco drammatico nella scoperta che il vecchio amico sia in realtà dell’altra sponda, quella da lui combattuta e disprezzata ogni giorno…
Ma il perché è anche peggio…
L’esasperato isolamento
Raccontando il dramma di Cesare, Zerocalcare in realtà ci mostra un problema ben più ampio.
In Italia è presente purtroppo una tristissima realtà per cui determinate categorie sociali – nello specifico i tossicodipendenti e i carcerati – diventano irrimediabilmente degli emarginati.
Anche se intraprendono un percorso, che, in teoria, dovrebbe portare ad un loro reinserimento…
E questo si traduce proprio nella storia di Cesare: andare a rifugiarsi nelle frange politiche più estreme e radicali pur di trovare qualcuno con cui fare gruppo, qualcuno che veramente ci accetti senza giudizi…
Oltre la propaganda
Il dramma di Sara è anche più disturbante.
L’amica, da sempre considerata come baluardo della giustizia e della correttezza, prende una strada del tutto inaspettata, associandosi alle posizioni di quel gruppo sociale che, almeno all’apparenza, è contrastato da tutti.
E le sue motivazioni sono davvero strazianti.
Rimasta per anni reclusa in una sorta di limbo dell’impossibilità di realizzazione personale e lavorativa – estremamente tipico nel mondo del lavoro italiano odierno – si presenta finalmente per lei la prospettiva di realizzare il suo sogno.
Ma subito lo stesso le è strappato via, e per pure questioni ideologiche, che è tanto facile accettare se non vanno a colpirti sul personale, ma che sono ben più difficili da digerire quando mettono un ostacolo a quella piccola vittoria personale tanto agognata…
Tuttavia, Sara si dimostra ancora una volta la più intelligente del gruppo, andando a scoperchiare quella propaganda tossica che allontana l’attenzione dagli effettivi problemi più sotterranei e strutturali.
E, soprattutto, mai risolti.
Questo mondo non mi renderà cattivo finale
A primo impatto, il finale di Questo mondo non mi renderà cattivopotrebbe risultare molto sbrigativo, e non effettivamente conclusivo.
Tuttavia, ripensandoci a posteriori, riesco a capire le motivazioni di questa scelta abbastanza anomala per una narrazione seriale, in particolare mancante di una quasi ovvia riconciliazione fra Zero e Cesare.
Da una parte, penso che Zerocalcare abbia voluto raccontare una storia quanto più vera, tratta dalla propria esperienza personale – che quindi non ha avuto, come comprensibile, un effettivo lieto fine.
Inoltre, questo finale è apprezzabile per la sua onestà: nonostante il gruppo di Zero non sia veramente dalla parte di Cesare per tutta una serie di motivi, sceglie comunque di difenderlo, di fare la cosa giusta.
Questo mondo non mi renderà cattivo fumetto
Se avete apprezzato la serie e volete scoprire l’opera cartacea di Zerocalcare, ecco qualche consiglio.
Se non avete mai letto nulla di suo, vi consiglio in linea generale di andare in ordine cronologico, nello specifico di cominciare proprio dall’opera prima, La profezia dell’armadillo (2012).
Tuttavia, se dopo questo volete esplorare i riferimenti interni alla serie, vi consiglio di leggere – nel seguente ordine – Un polpo alla gola (2012), Macerie Prime (2017) e Scheletri (2020).
Ted Lasso (2020 – 2023) è una delle migliori serie comedy degli ultimi anni, nonché uno dei titoli di punta di AppleTV+
Di cosa parla Ted Lasso?
Ted Lasso, mediocre coach di football americano, viene inaspettatamente assunto da un club di calcio britannico come allenatore…
Vi lascio il trailer per la prima stagione per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Ted Lasso?
Assolutamente sì.
Nonostante Ted Lasso si presenti come una comedy a tema sportivo, in realtà è molto, ma molto più di questo.
Più che parlare delle vittorie e sconfitte dell’AFC Richmond, questa meravigliosa serie segue l’evoluzione dei caratteri e delle vite dei suoi protagonisti.
E lo fa con una classe inarrivabile, scegliendo di evitare il più possibile il drama – anche quando ci sarebbero stati tutti i motivi per farlo.
Insomma, non ve lo potete perdere.
Non solo calcio
Proprio perché Ted Lasso non è propriamente una serie di calcio, parla di molti altri temi fondamentali.
Infatti, durante le tre stagioni si affrontano diverse tematiche al di fuori dell’ambito sportivo: l’importanza di curare la propria salute mentale, il revenge porn, la difficoltà del coming-out (soprattutto nel contesto calcistico) …
E, ovviamente, le affronta in maniera perfetta.
Il pagliaccio triste
Ted Lasso inizialmente si presenta con la sua energia inarrestabile, che Rebecca cerca inutilmente di castigare e, in parte, di comprendere. Ma la maschera che il protagonista si è costruito è ben difficile da penetrare…
Infatti, Ted vive costantemente con un complesso interiore, le cui radici vengono da lontano.
Come ci racconta l’incontro-scontro con la madre, il protagonista aveva tenuto profondamente nascosto dentro di sé il trauma della morte del padre, mascherandolo proprio come vedeva fare alla madre. E senza che nessuno dei due sembrasse in grado di affrontarlo.
E il trauma si è prolungato con l’inevitabile conclusione del suo matrimonio, nonostante l’affetto che lega Ted alla sua famiglia.
Ed è anche in questo che si ritrova con Rebecca.
La donna, inizialmente antagonista, diventa invece un’alleata del protagonista, ed entrambi riescono a trovare nell’altro una spalla su cui reggersi per affrontare i propri demoni.
Ma il vero momento di svolta è quando Ted accetta finalmente non solo di aiutare gli altri, ma anche sé stesso, affidandosi alle impegnative quanto necessarie cure della Dottoressa Sharon.
E così riesce a tornare finalmente e felicemente a casa.
La bellezza di Ted Lasso sta proprio nella complessità del suo personaggio: da una parte fortemente comico, ma nel profondo anche profondamente emotivo e fragile – caratteristica non comune negli eroi maschili.
L’ex-moglie trofeo
Il percorso di Rebecca è forse quello più interessante.
Inizia come un’ex-moglie trofeo, che è stata scartata perché ormai troppo vecchia, sbeffeggiata da ogni tabloid, rimanendo inevitabilmente nell’ombra di Rupert.
Ma anche grazie a Ted riesce a capire di essere molto più di questo, di poter ricercare, anzi pretendere dei partner migliori di quelli avuti finora, riscoprendosi come una donna interessante, intrigante e che ha ancora molto da dire.
Ma la sua più grande vittoria non è tanto quella di riuscire a vivere molto più felicemente la sua vita sentimentale e sessuale, ma di superare il suo odio per Rupert.
Infatti, in una delle ultime puntate, quando l’ex marito cerca di riavvicinarla, lei lo scaccia immediatamente, senza neanche pensarci: la sua considerazione per Rupert è ormai l’indifferenza.
E la sua realizzazione finale è proprio che non ha più motivo di provare a distruggere l’ex-marito, perché lo stesso è capace di farlo tranquillamente da solo.
E, anche per questo, smette infine di usare Richmond come mezzo di vendetta, preferendo invece di trarne il meglio per tutti.
Il wonderkid
Nathan è il personaggio con la storia più turbolenta.
Prende le mosse da una situazione sociale molto bassa: umile tuttofare, e pure bullizzato.
E, anche se riesce, grazie alle sue capacità, a risalire la scala sociale, non riesce a lasciarsi alle spalle il rancore covato per anni. Infatti, Nate solo all’apparenza è innocuo e timido, nella realtà nasconde dentro di sé non poca cattiveria, anche fortemente gratuita, che sfoga soprattutto verso Will.
L’apice di questa situazione è lo strappo – in tutti i sensi – della relazione con Richmond e Ted, per entrare al servizio di Rupert. La nuova posizione sembra potergli garantire tutto quello che aveva sempre desiderato: successo, ricchezza, donne bellissime.
Ovvero, diventare Rupert.
Infatti, l’ex marito di Rebecca riesce a catturare Nathan proprio nel momento suo momento più basso, quando, dopo la sua prima vittoria, è diventato sempre più ossessionato dall’idea del successo, e sempre più arrogante e incattivito.
Ma proprio quando Nathan sta per diventare definitivamente un gradasso e un serpente al pari di Rupert, arrivando quasi a tradire la sua nuova fidanzata, decide di abbandonare tutto e tornare su suoi passi.
E finalmente ha la possibilità di redimersi, proprio grazie alle importanti quanto strazianti parole di Coach Beard.
Per tornare ad essere come era all’inizio, ma in situazione totalmente diversa.
Il triangolo
Ted Lasso ci regala un triangolo amoroso particolarmente bislacco.
Parte tutto da Keeley, inizialmente una ragazza molto superficiale e con una bassa considerazione di sé – proprio come Rebecca: si accontenta di un uomo piccolo e pieno di sé stesso come Jamie – o, almeno, il Jamie dell’inizio.
Per questo, da quando si lasciano, i due cominciano a prendere due strade di crescita diverse.
Keeley riesce a darsi maggiore importanza, intraprendendo una piccola, ma significativa carriera nell’ambito PR, pur con qualche inciampo e passo indietro, arrivando comunque ad una bellissima conclusione insieme a Rebecca.
Parallelamente Jamie compie un’importante evoluzione caratteriale, che si definisce nell’antagonismo con Roy. Inizialmente Jamie è infatti un ragazzo estremamente immaturo e troppo sicuro di sé stesso. E, soprattutto, è incapace di giocare in squadra, di essere un team player.
La sua evoluzione si articola non del tutto nel mettere da parte il suo essere un gradasso sul campo, ma nel saper bilanciare questo aspetto nella vita privata, tirandolo fuori solo al momento giusto per far vincere la sua squadra.
E soprattutto riesce a superare il suo antagonismo con Roy, anzitutto desiderando, anzi pretendendo di farsi allenare proprio dal tanto odiato idolo dell’infanzia.
Roy Ted Lasso
Al contempo Roy arriva alla fine della serie non sentendosi tanto diverso.
E invece ha compiuto un’evoluzione fondamentale.
È stato capace anzitutto di lasciarsi alle spalle quello che sembrava definirlo come persona: una star del calcio. E invece torna in panchina, sceglie di mettere in pratica le sue conoscenze per aiutare la nuova generazione.
E, in particolare per aiutare Jamie, a portare a termine la sua evoluzione.
Al contempo aiuta anche sé stesso, migliorando la sua importante relazione con la nipote, accettando tutte quelle caratteristiche che lo rendono meno virile e costruendo un’importante relazione con Keeley – pur non riuscendo (per ora) a ricostruirla.
Ted Lasso finale
Il finale di Ted Lasso è illuminante.
La serie dialoga con lo spettatore, che è rimasto col fiato sospeso fino all’ultimo momento, che ha tifato per quella che è diventata alla fine la sua squadra.
Eppure, alla fine scopriamo che il tanto agognato titolo non è stato vintoda Richmond.
Ma alla fine è veramente importante?
È più importante che ogni storia abbia la sua prevedibile e auspicata conclusione, che ogni personaggio abbia raggiunto il massimo del successo, o che i protagonisti siano arrivati alla fine del loro percorso in maniera soddisfacente?
Un po’ questo quello che ci vuole dire Ted Lasso, guardandoci direttamente negli occhi.
The White Lotus (2021 – …) di Mike White è una serie tv di genere drammatico e satirico, dal taglio semi-antologico. Un prodotto che è stato ampiamente premiato agli Emmy, ma che ha avuto un riscontro abbastanza tiepido in Italia.
È distribuita da HBO e in Italia è disponibile su NOW.
Di cosa parla The White Lotus?
Ogni stagione la serie racconta le intricate vicende di un gruppo piuttosto vario e colorito di personaggi, accomunati dall’essere ricchi e dall’alloggiare presso uno dei resort del White Lotus, appunto.
Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The White Lotus?
Assolutamente sì.
Ho cominciato questa serie con poco interesse, attirata principalmente dal passaparola positivo intorno al prodotto – e dal fatto che è stato paragonato al mio adorato Triangle of Sadness (2022). E ne sono rimasta assolutamente rapita: è difficile anche spiegare perché questa serie sia così tanto coinvolgente.
Sarò perché la scrittura dei personaggi e delle loro relazioni è sublime, mai banale, nonostante i temi trattati potrebbero facilmente appartenere a qualsiasi drama di terza categoria. Senza contare dell’interessantissima e sempre attuale riflessione sulla società odierna.
Insomma, non ve la potete proprio perdere.
Ogni sezione parla solamente della stagione di riferimento.
The White Lotus 1
La prima stagione è ambientata nel resort White Lotus alle Hawaii.
La moglie trofeo
La storia forse più drammatica è quella di Rachel.
Si percepisce fin da subito il disagio della sua relazione: la ragazza è intrappolata con un uomo che è in realtà solo un bambino viziato, che pretende di mettere i piedi in testa a tutti e di avere sempre l’ultima parola.
Ma Shane ha pescato la donna sbagliata.
Rachel non è la classica donna immagine e arrampicatrice sociale da mettere in mostra all’occorrenza: è una donna che ha cercato faticosamente di farsi strada in una realtà piena di insidie, continuando imperterrita nel suo lavoro.
Ma, al contempo, è anche vittima della sua grande insicurezza: accetta le pressioni del marito e i suoi capricci senza una parola, se non qualche timida protesta, che però viene sotterrata dalle continue urla lagnose di Shane.
E vive con molto disagio la sua condizione – evidente ed esplicitata anche dalla madre del marito – di moglie trofeo, cercando di crearsi un proprio spazio di autonomia, non riducendosi a portare avanti lavori senza significato solo per riempire il tempo e acquisire uno status.
Ma il tentativo di emancipazione fallisce: Rachel, troppo spaventata di questo ulteriore grande passo che sta compiendo, torna con la coda dalle gambe dal marito, promettendogli con voce spezzata che sarà felice.
Le paladine di carta
Olivia e Paula sono apparentemente due ragazze viziate di buona famiglia, superficiali e vuote.
Tuttavia, più la narrazione prosegue, più vengono svelati i loro conflitti sepolti, con al centro la possessività e la gelosia di Olivia, motivo per cui Paula le nasconde la sua relazione con Kai.
Ed entrambe raccontano un conflitto generazionale profondo, ben rappresentato dai vari discorsi fra loro e i genitori: gli adulti vivono ancora delle vergogne e dei principi della vecchia generazione, in particolare di quello dell’omosessualità come demascolinizzante.
Anche più interessante è il racconto del colonialismo 2.0, ben rappresentato dal resort stesso.
Tuttavia, entrambe le parti sbagliano: se i genitori se ne lavano le mani e negano tutte le loro colpe, chiosando che non possono farci nulla, d’altra parte le due ragazze prendono strade più estreme – e comunque non risolutive.
Infatti, oltre alla condanna aggressiva nei confronti della generazione precedente, non è affatto risolutiva l’idea di Paula, che sceglie di aiutare Kai e la sua famiglia a riconquistare quanto gli è stato tolto improvvisandosi come un’improbabile Robin Hood.
Un atto che porta paradossalmente vantaggio ai conquistatori e che distrugge definitivamente la vita a quelle che erano le vittime in primo luogo.
Il capriccio del momento
Il personaggio di Tanya racconta forse una figura più stereotipata, ma la cui storia ha dei significati molto interessanti.
Infatti la donna è il classico personaggio ricco e pieno di stranezze, che può permettersi di inseguire ogni capriccio, per quanto temporaneo. E in questo gioco perverso ci finisce di mezzo Belinda, che per un breve periodo diventa la sua favorita, illudendosi di promesse presto smentite.
Inizialmente la donna ha evidentemente la sensazione di starsene approfittando, ma mette presto da parte questi suoi scrupoli per andare fino in fondo, e guadagnarci qualcosa. Ma la sua finestra temporale è brevissima, e in un attimo Tanya è passata al capriccio successivo.
Ed è estremamente interessante come il cambio di idea di questa ricca ereditiera, che la stessa vive con così tanta leggerezza ed egoismo, determina così profondamente il destino di Belinda…
Le belle apparenze
Armond, il manager del White lotus, è forse il personaggio che meglio rappresenta il tema di fondo della serie.
Apparentemente il resort è un luogo idilliaco e paradisiaco, ma è solo un’apparenza, appunto: un’apparenza che nasconde in realtà tutto il marcio, tutti i capricci impossibili degli ospiti, i loro segreti, e i loro peccati.
E Armond, assolutamente stufo di questa situazione, comincia sempre di più a dirigersi verso la sua autodistruzione, utilizzando contemporaneamente le droghe rubate alle due ragazze e inimicandosi Shane, che sempre più insistentemente vuole punirlo.
E, come per Kai e Belinda, èl’unico che veramente ci perde, addirittura con la sua vita.
La vera liberazione
Il vero vincitore della serie è Quinn.
Inizialmente ci viene raccontato come un adolescente dissociato, del tutto dipendente dalla tecnologia e dalla pornografia – in maniera quasi stereotipica. Sarà un’onda fortunata a privarlo di tutto, con una funzione quasi catartica.
Anche in questo caso è una costruzione passo passo: prima viene esiliato sulla spiaggia e vede per la prima volta una balena, poi comincia ad unirsi agli atleti ogni mattina, fino a rendersi conto della fumosità e l’inutilità della vita che aveva condotto fino a quel momento.
Ed è l’unico che davvero sceglie di abbandonare quel mondo, e remare felice verso l’orizzonte.
The White Lotus 2
La seconda stagione è ambientata nel resort White Lotus in Sicilia.
Il gioco delle coppie
Uno degli elementi centrali della stagione è il gioco delle relazioni, che si articola in ben quattro coppie e un triangolo amoroso.
Sulle prime, sembra che Harper e Ethan siano una coppia infelice, sopratutto per via della freddezza e dell’ossessione del controllo della donna, in totale contrasto con l’apparente felicità di Cameron e Daphne.
Tuttavia la stessa viene presto svelata come tutta apparenza: Cameron si intrattiene con diverse donne alle spalle della moglie, che ne è tuttavia consapevole, ma che decide comunque di mantenere in piedi la facciata.
Al contrario, la coppia più solida si rivela infine quella di Ethan e Harper, basata sulla totale fiducia e sincerità. E questo, nonostante la stessa fiducia venga meno sul finale, quando il marito è convinto che la donna l’abbia tradito con Cameron – come viene anche suggerito nel primo episodio.
Entrambe le storie – anzi proprio il loro contrasto – offrono diversi spunti di riflessione riguardo alla fragilità delle relazioni e di come spesso si decida di continuare a mantenere il quieto vivere delle stesse, pur avendo consapevolezza di tutte le bugie che vi stanno dietro…
Dove sta la morale?
Altrettanto interessante sono le vicende di Lucia e Mia.
Per quanto riguarda Lucia, non è ben chiaro fino alla fine quanto e se la ragazza stia mentendo riguardo ad Alessio e quanto si sia effettivamente approfittato di Albie, con cui si intrattiene diverse volte e con cui sembra costruire un’effettiva relazione.
Eppure alla fine decide comunque di costruirsi una vita alle spalle del ragazzo, con un tradimento che neanche sembra toccarlo più di tanto, in quanto è subito pronto a tornare da Portia. È forse la realizzazione felice del disastroso piano di Kia e Paula nella prima stagione, derubando i ricchi per dare ai poveri?
E noi, da che parte stiamo?
Molto più netta è la situazione di Mia.
La ragazza capisce che l’unico modo in cui – purtroppo – può fare carriera come cantante è concedendosi all’uomo di potere di turno. Tuttavia, appare chiaro fin dal principio che Giuseppe si voglia solamente approfittare di Mia.
E per questo viene punito.
Alla fine la ragazza riesce ad ottenere il tanto ambito posto è perché convince con tante belle parole Valentina e dimostra effettivamente di essere capace e di ottenere il favore del pubblico, a differenza appunto di Giuseppe.
E molto delicata è anche la relazione con Valentina.
Un sottile equilibrio
La storia di Valentina è quella con lo svolgimento più interessante.
La donna si invaghisce di Isabella e confonde la sua gentilezza con delle avance, andandole anche contro, togliendo un possibile spasimante dalla sua vita – ovvero Rocco. Tuttavia, nel momento della rivelazione del loro prossimo matrimonio, Valentina decide di non cedere alla cattiveria e all’abuso di potere.
Infatti, forse anche ammorbidita dalla relazione con Mia che le permette di esprimere finalmente i suoi desideri sessuali, la donna accetta la relazione di Isabella e Rocco, e sceglie consapevolmente di non punirla per averla rifiutata romanticamente.
Fra il thriller e il grottesco
Tanya è l’unico personaggio che appare in entrambe le stagioni e che regala al secondo ciclo di episodi quel taglio thriller che lo rende per certi versi anche più interessante.
Tanya e Greg sembrano avere una relazione piuttosto infelice, da ogni punto di vista: sessualmente non sembrano riuscire a ritrovarsi, e così sentimentalmente Greg non ha più interesse per la donna, con cui si è unito probabilmente solo perché pensava di essere in fin di vita.
Infatti, anche se non viene esplicitamente confermato, Greg avrebbe instaurato un intrigato piano per eliminare la moglie e guadagnarci il più possibile. Così entra in scena questo gruppetto di personaggi quasi macchiettistici, che sembrano regalare a Tanya la più bella vacanza possibile.
In realtà, mettendo a poco a poco insieme i pezzi, la donna si dimostra molto meno ingenua di quanto sembri e capisce di essere in pericolo. E il suo personaggio è talmente goffo e grottesco che ci regala un gustosissimo finale fra il thriller e il comico, in cui Tanya fa disordinatamente strage dei suoi potenziali assassini, ma perde lei stessa la vita.
Malcolm in the middle (2000-2006), in Italia noto semplicemente come Malcolm, è un piccolo cult della televisione di inizio Anni Duemila.
Una sitcom, se così vogliamo definirla, ma più che altro una serie comedyveramente unica nel suo genere.
Perché Malcolm in the middle è una sitcom diversa
Solitamente le sitcom – anche quelle più rinomate – sono caratterizzate da trame semplicissime, con dinamiche incredibilmente prevedibili e concetti facilmente digeribili per il pubblico medio.
Nel suo piccolo – e nella sua follia –Malcolm in the middle riuscì a scardinare questo concetto.
Raccontando la storia di una famiglia povera e folle insieme, e col suo taglio a tratti quasi surreale, la serie è riuscita a portare in scena una storia credibile e al contempo incredibilmente appassionante.
Oltre a raccontare in maniera più efficace i disagi della classe media statunitense: le famiglie strozzate dai debiti, le condizioni di lavoro distruttive e le dinamiche sociali imprevedibili.
Un racconto che si vede molto bene in particolare in due episodi: L’assicurazione (7×02) – in cui Hal, il padre di famiglia, si dimentica di pagare l’assicurazione sanitaria e impazzisce perché i suoi figli non si facciano male, pena sborsare soldi che non ha – e in Doni fatti in casa (6×06) – di cui parleremo più avanti.
Insomma, una serie che ha molto più da raccontare di quanto sembri.
Top 5 episodi Malcolm in the middle
Una selezione dei cinque episodi migliori di Malcolm in the middle, da cui magari partire per farsi un’idea del prodotto.
La partita perfetta (2×20)
or. Bowling
Una puntata che è una sorta di what if sdoppiato: Malcolm e Reese vanno al bowling e si racconta cosa sarebbe successo se li avesse accompagnati Lois o Hal. Intanto, Dewey rimane a casa in punizione.
Una puntata che mi piace moltissimo perché è costruita alla perfezione nell’alternare le due versioni e portando dinamiche per nulla prevedibili, anzi…
Se i ragazzi fossero ragazze(4×10)
or. If Boys Were Girls
La puntata più what if di tutte: mentre deve accompagnare i ragazzi al centro commerciale per comprare nuovi vestiti, Lois immagina se avesse avuto tre figlie femmine. Ma non è tutto oro quello che luccica…
La puntata che guardo a ripetizione perché è esilarante il comportamento delle controparti femminili dei protagonisti e le dinamiche che si creano, anche grazie al casting perfetto. Nonostante non manchino stereotipi di genere piuttosto infelici, è comunque una puntata che apprezzo anche oggi.
Un Natale difficile(5×07)
or. Christmas Trees
Dal momento che la sua azienda lo costringe a due settimane di ferie non pagate sotto Natale, Hal decide di intraprendere una folle scommessa coi suoi figli: vendere alberi di Natale.
Una puntata che rappresenta benissimo questo senso di impotenza e di fallimento della classe media statunitense impoverita, che deve continuamente mettersi in gioco per riscattarsi, inseguendo il sogno impossibile del self-made man.
Blackout (7×07)
or. Blackout
Un palloncino si impiglia nei pali della luce e crea un blackout in tutto il quartiere. Proprio la sera che ogni personaggio aveva un suo piano da portare a termine…
Adoro la costruzione di questa puntata: si intrecciano diverse vicende e pianificazioni, e la situazione viene mostrata dai diversi punti di vista dei personaggi, in venti gustosissimi minuti pieni di colpi di scena.
Una nuova famiglia(5×14)
or. Malcolm Dates a Family
Lois intraprende una guerra personale contro la Pizzeria da Luigi, il ristorante preferito della famiglia. E i suoi familiari si organizzano di conseguenza. Intanto Malcolm conosce la famiglia della sua nuova ragazza, con esiti inaspettati.
Già la storyline della pizza è stupenda, ed è una di quelle puntate che adoro in cui Hal lavora in combutta con i suoi figli. Ma anche le altre storyline viaggiano sul taglio surreale e comico, che ho apprezzato – persino quella di Francis.
Questa recensione contiene piccoli spoiler – anche se è difficile farli per un prodotto del genere – più che altro sull’evoluzione dei personaggi e le situazioni in cui si trovano.
I fratelli
I quattro fratelli sono il cuore della serie stessa, e hanno ognuno una propria interessante evoluzione, anche per gli anelli più deboli.
Malcolm
Malcolm è un protagonista anomalo, che per certi versi ha anticipato i tempi.
Un protagonista assolutamente imperfetto, quasi negativo, e che mette più volte in scena la sua insicurezza.
In prima battuta è raccontato come il piccolo genio – elemento che è portato avanti organicamente per tutti gli episodi – la cui genialità però gli si rivolta anche contro e che, soprattutto all’inizio, è più una vergogna che un vanto – come si vede bene nella puntata Il picnic (01×08).
Più entra nell’adolescenza, più Malcolm mischia la sua insicurezza con una sorta di vanità – per sua stessa ammissione. Continua ad inseguire dei riconoscimenti sociali, illudendosi di star simpatico a tutti e andando dietro a diverse ragazze nel corso delle puntate.
La sua incapacità di rapportarsi con l’altro sesso è ben raccontata in due puntate in particolare: in La ragazza di Malcolm (3×04) il protagonista si mette con la sua prima fidanzata – che fra l’altro non vediamo mai in faccia – e vive la situazione in maniera assolutamente folle.
Altrettanto assurda è la relazione segreta con Nicki a partire dalla puntata II gusto del pericolo (4×06), ripresa nelle dinamiche anche nella puntata Un amore segreto (7×06).
La puntata migliore di Malcolm
Finalmente al liceo (4×02)
or. Humilithon
In questa puntata Malcolm arriva finalmente al liceo e cerca di cambiare vita e diventare popolare. MaLois ha altri programmi in serbo per lui…
Per me è la puntata migliore dedicata a questo personaggio perché ne racconta veramente l’essenza: nonostante Malcolm sia incredibilmente intelligente – e ne è consapevole – sente al contempo che lo status sociale che ne consegue gli stia stretto.
E cerca di sfuggirne.
Reese
Reese è la scheggia impazzita, il personaggio imprevedibile e che compie le azioni più assurde e senza senso.
Ha una costruzione complessivamente organica per tutta la serie, con degli interessanti picchi drammatici quando si prospetta il suo futuro da nullafacente – in particolare nella incredibile puntata Un amore segreto (7×06), in cui Lois sogna un ipotetico Reese del futuro che non si è ancora diplomato.
Ma la bellezza del suo personaggio è proprio nella sua ingenuità e fantasiosità nell’affrontare la situazioni più assurde, per esempio nell’incredibile puntata Condivisione (7×05), in cui si auto-spedisce in Cina – o crede di farlo – per prendere a botte il suo amico di penna.
Una svolta interessante del suo personaggio è quando scopre la sua passione per la cucina – elemento che purtroppo si va un po’ a perdere nelle stagioni successive.
Già di per sé la puntata Scuola di cucina (2×18) è piacevolissima, ma lo è ancora di più il picco di questa linea narrativa, ovvero la puntata Il giorno del Ringraziamento (5×04), in cui Reese fa di tutto – e davvero di tutto – per preparare la cena perfetta per il Ringraziamento.
Senza contare ovviamente l’indimenticabile intuizione del blallo, che è tutta da scoprire:
La puntata migliore di Reese
Il saggio di ammissione (5×15)
or. Reese’s apartment
In questa puntata Reese fa qualcosa di talmente indicibile che è raccontato fuori scena. Per questo – e per l’ennesima volta – i suoi genitori lo cacciano fuori casa, e lui va vivere da solo.
Per me è la puntata migliore dedicata a questo personaggio perché racconta un lato imprevedibile di Reese, che riesce a rimettersi apparentemente in riga e a diventare uno studente e cittadino modello.
Non l’unica puntata con questa tematica, ma quella più efficace.
Dewey
Dewey è il personaggio che fra tutti ha l’evoluzione più interessante.
Il suo cambio di personalità è andato di pari passo con la crescita dell’attore, che è stata ben più drastica rispetto a quella dei suoi fratelli. Dewey infatti comincia come personaggio abbastanza secondario, la cui personalità si riassume in quella di un qualunque bambino che vuole essere al centro dell’attenzione della sua famiglia.
Particolarmente iconica in questo senso la puntata L’ingorgo (2×01) – che fra l’altro è anche una delle mie preferite – in cui Dewey vive le più incredibili avventure proprio guidato dalla sua ingenuità e buon cuore.
Il personaggio di Dewey
Facendosi più grande, Dewey passa da essere un ingenuo bambino al secondo genio della famiglia, che scopre la sua grande passione per la musica – che lo porterà anche a scontrarsi con Malcolm nella puntata Il santo (6×18).
L’inizio di questa caratterizzazione comincia nella fantastica puntata In visita al collage (5×16), in cui Dewey, davanti al rifiuto del padre di comprargli un pianoforte, trova un’interessante soluzione alternativa…
Le puntate successive più interessanti in questo senso sono Il matrimonio (7×11) – in cui Dewey cerca di andare ad una gara di piano e Lois gli dà un’importante lezione di vita – e Opera (6×11) – in cui scrive un’opera lirica sulla sua famiglia.
La puntata migliore di Dewey
Una terribile vecchietta (2×11)
or. Old Ms. Old
Dewey rompe apposta lo zaino e Lois si rifiuta di comprargliene uno nuovo. Per questo Dewey decide, in tutta la sua ingenuità, di usare una borsa da donna.
Mi piace particolarmente questa puntata perché racconta perfettamente la prima fase di questo personaggio, in cui se ne infischia totalmente delle conseguenze e utilizza la borsa di sua mamma semplicemente perché è comoda.
Inoltre, la puntata regala un finale piacevole e per nulla scontato.
Francis
Francis è il personaggio con cui ho sinceramente più problemi all’interno di questa serie.
Questo perché, nonostante non sia di per sé un cattivo personaggio, l’ho vissuto per la maggior parte delle puntate come un riempitivo che diventava sempre meno interessante all’interno della storia.
Infatti, come ogni sitcom, ogni puntata è divisa in due – o più – linee narrative auto conclusive. E, fino alla quinta stagione, una era sempre dedicata a questo personaggio, nelle sue improbabili avventure in ben tre situazioni diverse.
E, per quanto abbia abbastanza apprezzato quasi tutte le vicende all’Accademia Militare nelle prime stagioni, mi sono risultate col tempo sempre più indigeste quelle invece dell’Alaska e poi del ranch – sempre più improbabili e meno interessanti.
Il personaggio di Francis
E infatti, dalla quinta stagione in poi, la sua linea narrativasubisce una brusca svolta, e viene ripresa solo in alcune puntate per il resto della serie.
Complessivamente Francis è un personaggio abbastanza bidimensionale: molto simile a Reese per certi versi, si definisce fondamentalmente attraverso il conflitto con le figure femminili della sua famiglia – la nonna e la madre – e in generale con tutte le figure autoritarie – che siano il Colonnello Spangler o la Lavernia.
Il suo conflitto con Lois si intensifica ancora di più con l’arrivo della nuova moglie, Piana, nella puntata che preferisco dedicata al suo personaggio.
La puntata migliore di Francis
Il compleanno di Hal(3×15)
or. Hal’s Birthday
In occasione del compleanno di Hal, Lois vuole sorprendere il marito facendo tornare a casa Francis dal collage. Ma con il figlio maggiore viene anche la nuova moglie, Piana…
Mi piace particolarmente questa puntata perché racconta meglio di tutte il rapporto conflittuale fra Francis e Lois: nonostante alla fine Piana sia un personaggio ricorrente e quindi rimanga nel tempo, subito Lois l’accoglie con freddezza e risentimento.
E, per Francis, è l’ulteriore dimostrazione di come la madre non accetti nulla della sua vita.
I genitori
La coppia di Hal e Lois rappresenta una perfetta – e incredibilmente interessante – controparte rispetto ai figli, che sono sostanzialmente ingestibili.
Ma è fantastico anche il loro rapporto, soprattutto dal punto di vista sessuale: in Malcolm in the middle si parla molto più di quanto ci si potrebbe aspettare di sesso – nonostante non sia mostrato.
Hal
Il personaggio di Hal è indubbiamente arricchito dalla fantastica interpretazione di Bryan Cranston.
Anche guardandolo doppiato, è impossibile non innamorarsi della recitazione corporea e facciale di questo attore, che è la punta di diamante di questa serie.
A dimostrazione che non è solo un superbo attore drammatico in Breaking bad, ma anche un ottimo interprete comico.
Il suo personaggio è comico, ma soprattutto grottesco: rappresenta appieno il classico uomo della middle class, intrappolato in un lavoro noioso e ripetitivo – oltre che punitivo. Per questo, cerca continuamente una via di fuga, rincorrendo via via nuove ossessioni, una più strampalata dell’altra.
In questo senso le puntate più divertenti sono sicuramente La nuova classe di Dewey (5×18) – in cui Hal scopre insieme a Craig la mania per la danza alla sala giochi – e soprattutto Pensare e poi parlare (4×07) – in cui entra in un’assurda competizione sportiva.
Il personaggio di Hal
Altrettanto gustosa è la linea narrativa riguardante il suo processo, dovuto alle false accuse all’interno della sua azienda.
Oltre ad essere incredibilmente divertente e piena di colpi di scena, il finale della duologia delle puntate – Arresti domiciliari Parte I e II (5×21 – 5×22) – ci racconta moltissimo su quest’uomo distrutto dal lavoro, ma che comunque non ha voluto farsi ingabbiare – e a qualunque costo…
La puntata migliore di Hal
Doni fatti in casa(6×06)
or. Hal’s Christmas gift
È Natale, e per l’ennesima volta la famiglia si trova sommersa dai debiti e senza soldi per fare i regali. Lois quindi decide che quest’anno si faranno regali fatti in casa.
La puntata che meglio racconta l’aspetto più grottesco del personaggio di Hal: davanti all’impossibilità di fare dei bei regali ai suoi figli, tenta il tutto per tutto per non essere un pessimo padre…
Lois
Il personaggio di Lois è quello che più di tutti necessità di una contestualizzazione all’interno della serie.
Infatti, se messa in un contesto realistico – più di tutti gli altri – sarebbe un personaggio totalmente da condannare, quasi da cronaca nera. E i comportamenti, per quanto esagerati, dei suoi figli non giustificano i suoi comportamenti.
La prima volta che la vediamo veramente all’azione è in L’unione fa la forza (1×02), in cui Lois crede che uno dei suoi figli le abbia distrutto l’abito da sera. Per questo li punisce severamente, cercando anche di metterli uno contro l’altro.
Successivamente non mancano le volte in cui questa madre terribile caccia i suoi figli di casa o impedisce loro di accedere ai beni essenziali: è il caso sempre di Un amore segreto (7×06), in cui Lois impedisce a Reese di mangiare, avere vestiti puliti e un tetto sopra la testa, e ancora quando lo caccia nella già citata puntata Il saggio di ammissione (5×15).
Il personaggio di Lois
E più volte vengono citate le più assurde punizioni: dal tagliare l’erba del prato con le forbicine a pulire il bagno finché non ci si possa mangiare sopra…
È anche una madre che controlla ossessivamente i figli, sopratutto Malcolm: così in In visita al collage (5×16), quando lo accompagna forzatamente alla visita delle università, o nella già citata puntata Finalmente al liceo (4×02).
Tuttavia altre puntate cercano un po’ di ridimensionare il personaggio come madre lavoratrice che ha sulle spalle tutto il peso emotivo della casa e della famiglia.
Così in Il club del libro (3×03) – con un’interessantissima riflessione sulla donna moderna e sull’invidia sociale – e in Rapporti anonimi (3×10) – con una riflessione analoga sul ruolo della donna nella società.
Ma già in Il compleanno di mamma (2×03) era chiara la drammaticità del suo personaggio.
La puntata migliore di Lois
Contestazioni(2×16)
or. Traffic Ticket
Lois è convinta di essere stata multata da un poliziotto corrotto, e per questo è sicura di avere ragione.
Un picco davvero interessante per questo personaggio, che deve per la prima volta rimettersi in discussione, nonostante per tutto il tempo cerchi costantemente di combattere per i suoi principi.
I fantastici personaggi secondari di Malcolm in the middle
Malcolm in the middle gode di un ampio gruppo di personaggi secondari assolutamente irresistibili. Dal momento che sono tantissimi, mi limiterò a raccontare i miei tre preferiti.
Jessica
Jessica è il mio personaggio secondario preferito.
Comincia come la babysitter dei protagonisti, nonostante sia loro coetanea, nella puntata Stereo store (4×13), in cui si dimostra immediatamente come la ragazza manipolatrice, che riesce a fregare i protagonisti.
Nella seconda fase delle sue apparizioni si mostra come il suo comportamento venga dalla sua famiglia tossica e problematica – padre ubriacone e in galera – che infatti la porta ad essere più volte ospite della famiglia di Malcolm, in particolare nella già citata puntata Condivisione (7×05).
Adoro il suo personaggio perché è incredibilmente subdola, ma al contempo davvero irresistibile nei comportamenti. Fra l’altro interpretata dalla splendida Hayden Panettiere, diventata un sex symbol più avanti negli anni, mentre in questa serie venne notevolmente imbruttita.
La puntata migliore di Jessica
Pearl Harbour(6×04)
or. Pearl Harbour
Jessica convince Malcolm che Reese è gay, e viceversa. Il tutto solamente per raggiungere i suoi scopi…
Una delle puntate più geniali di questo personaggio, dove si uniscono due tendenze opposte: l’omofobia benevola che circolava in quegli anni e una sorta di accettazione della comunità queer.
Mr Herkebe
Mr. Herkebe è un altro secondario fantastico.
Un’introduzione veramente interessante a partire dalla terza stagione, andando a sostituire un personaggio che personalmente non ho mai apprezzato: Mrs. Miller, la lacrimevole e insopportabile insegnante delle prime due stagioni.
Al contrario, Mr Herkebe è di fatto più un antagonista che un secondario, contro il quale Malcolm – e anche Hal in un episodio – si devono scontrare. È malignamente e irresistibilmente subdolo e malvagio, come dimostra fin dalla sua prima apparizione in La graduatoria (3×02).
E continua ad esserlo in diverse occasioni, in particolare in L’asta (6×13) – in cui incastra Malcolm in un club per il suo tornaconto – e in La gara dei cervelloni (4×16) – in cui fa di tutto per far vincere una competizione ai suoi studenti.
La puntata migliore di Herkebe
La graduatoria(3×02)
or. Emancipation
Malcolm e i suoi compagni incontrano il loro nuovo insegnante, Lionel Herkebe, che cerca di fare di tutto per farli migliorare…
L’introduzione di questo personaggio è anche il suo momento migliore, quello in cui si dimostra non tanto malvagio, ma soprattutto tremendamente ambizioso e vanitoso.
Craig
Craig è uno dei personaggi secondari più ricorrenti e iconici della serie.
Perdutamente innamorato di Lois, si scontra continuamente sia con lei che con la sua famiglia, soprattutto con Hal, in Il compleanno di mamma (2×03), ma in particolare in L’appartamento segreto (5×02), in cui diventa sostanzialmente un villain.
Non del tutto appiattito in questo ruolo, ma riflette molto bene l’ossessione di quel periodo verso l’obesità: Craig è buffo, pasticcione e quasi grottesco, è quel classico personaggio passivo aggressivo che si sente continuamente la vittima.
Ma, proprio per quel motivo, dà molto colore alla serie.
La puntata migliore di Craig
Pensare e poi parlare(4×07)
or. Malcolm Holds His Tongue
Reese vuole portare la sua nuova ragazza ad un concerto, ma suo padre si rifiuta di accompagnarli. Per questo cerca di convincere Craig…
In questa puntata in particolare si racconta la solitudine del personaggio di Craig, che si emoziona oltre ogni misura per quello che di fatto è un inganno, ma gli permette di stare in compagnia.
Il doppiaggio di Malcolm in the middle
Malcolm in the middle ha una peculiarità: il doppiaggio è veramente ottimo – tanto che io ad oggi non ho ancora fatto un rewatch in inglese. Tuttavia l’adattamento è molto latente in diversi punti.
E ci sono due momenti emblematici.
Nella puntata L’ingorgo (2×01) Francis scommette di essere in grado di mangiare cento quacks, caramelle gommose a forma di papera. Non riesce a mangiare le ultime quattro e un suo compagno dice:
Andando ad intendere che Francis potrebbe anche rigettare tutte le caramelle, ma se le avesse dentro il suo corpo almeno per un momento basterebbe per vincere la scommessa.
E infatti Francis se le mette in bocca e le ingoia.
E invece in italiano dice:
Cosa che appunto non ha assolutamente senso nella scena, perché Francis le manda giù.
Scuola di cucina in Malcolm
Un’altra ingenuità di adattamento è dovuta a un problema di mancanza di sfumature di significato in italiano.
Infatti, alla fine della puntata Scuola di cucina (2×18), a Reese viene impedito di cucinare. E in originale il suo personaggio dice:
Ed è di fatto intraducibile, per è un gioco di parole fra la parola cooking, che significa più genericamente cucinare, e baking, che invece fa riferimento specifico ai prodotti da forno. E in italiano infatti diventa:
Un finale amaro di Malcolm
Il finale di Malcolm in the middle è uno dei più belli e al contempo amari che ho visto in una serie tv.
Non proseguire se non vuoi spoiler!
L’amarezza sta soprattutto nel personaggio di Malcolm: nonostante abbia dimostrato più e più volte di essere un genio sostanzialmente in tutto e di meritare più di chiunque altro di andare in un college prestigioso, non può farlo se non con tanta fatica.
E questo solamente per la sua condizione sociale.
E infatti alla fine si crea questo parallelismo quasi grottesco in cui Reese, diventato ormai assunto nella scuola come bidello, telefona al fratello, che gli racconta la sua vita al college. La telecamera si allontana e mostra che anche Malcolm sta facendo il bidello.
Come molti giovani statunitensi prima di lui, per non essere sommerso dai debiti universitari, deve alternare lo studio con un lavoro, e pure umilissimo.
Boris 4 è la quarta stagione della serie omonima, andata in onda su FOX fra il 2007 e il 2010. Un ambizioso rilancio sulla piattaforma di Disney+ dopo più di dieci anni di assenza e dopo il meno considerato film Boris – Il film (2011).
Un ritorno che era tanto atteso dai fan della serie originale, che negli anni è diventata un piccolo cult italiano, tanto da essere citata quasi alla stregua delle migliori battute di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Io stessa ho recuperato solo quest’anno la serie completa e attendevo con un certo interesse questa stagione.
E non sono stata delusa.
Di cosa parla Boris 4?
I vecchi personaggi di Boris si riuniscono per girare una nuova fiction italiana, dedicata alla vita di Gesù, ma questa volta con la severa supervisione della piattaforma e dell’Algoritmo che sembra definire ogni produzione cinematografica…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Boris 4?
Per me, assolutamente sì.
Davanti all’arduo compito di dover portare in scena un rilancio che fosse sempre Boris e che fosse ancora attuale sull’andamento delle produzioni nostrane,Boris 4 ci riesce perfettamente.
E questo perché, semplicemente, non perde la sua vera natura: pur con qualche adattamento e inserimento di elementi molto attuali, questo prodotto è in tutto e per tutto una nuova stagione della serie originale.
Insomma, non stiamo parlando di una snaturazione del prodotto, come fu per il rilancio di Camera cafè.
Tuttavia, proprio per questo, è un prodotto che ha una barriera all’ingresso, sia per il nuovissimo pubblico abituato a produzioni diverse, sia per chi non si è mai approcciato alla serie.
Posso vedere Boris 4 senza aver visto Boris?
Purtroppo, no.
E questo lo dico perché, anche se non ho sentito un incredibile chiacchiericcio intorno a questo rilancio, Disney+ comunque l’ha messo in homepage e comunque lo zoccolo duro di fan della serie non ha mancato di dire la propria.
Quindi magari ci saranno dei neofiti che avranno interesse ad approcciare il prodotto proprio con questo rilancio.
Tuttavia Boris 4 va considerato non tanto come un rilancio, ma proprio come un’effettiva quarta stagione della serie. E di conseguenza è assolutamente necessario aver visto le precedenti tre stagioni per comprendere e godersi il prodotto.
Ma la fortuna è che tutte le stagioni sono adesso di proprietà di Disney+ e quindi lì le troverete, nei secoli dei secoli per riscoprirle, vederle e rivederle.
E non ve ne pentirete.
Boris è sempre Boris…
Come anticipato, il punto di forza di Boris 4 è stato di essere riuscito a mantenere la sua identità e a non snaturarsi. Boris 4 è infatti in tutto e per tutto una quarta stagione di Boris, con lo stesso taglio narrativo e le stesse dinamiche, che in effetti non avrebbe senso cambiare.
Possiamo dire che la tv italiana sia di fatto cambiata in questi anni?
L’unica differenza sostanziale è che il capo della produzione non è più il misterioso Dottor Cane, ma l’altrettanto misterioso Algoritmo.
E così Alison, il punto di riferimento della piattaforma che cerca di mettere in riga tutti e definire i parametri di come rendere la serie più high concept.
…ma a volte è troppo
I maggiori difetti di questa stagione a mio parere sono l’autocitazionismo e la gestione del nuovo panorama delle produzioni.
Il problema dell’autocitazionismo è una questione che si sente soprattutto all’inizio, quando la serie cita fin troppo spesso se stessa con le sue frasi più iconiche.
Non posso arrivare a dire che sia un elemento sguaiato, ma in certi momenti appare davvero un fan service molto spicciolo.
Per fortuna è un elemento che più si va avanti, più si perde.
La gestione dell’elemento delle nuove produzioni l’ho trovato per certi versi ben gestito, per altri un po’ ingenuo. Il racconto di come siano sottomessi a questo nuovo Algoritmo e alle sue disposizioni è a volte veramente troppo assurdo e poco pensato.
I casi peggiori sono, secondo me, la lezione iniziale di inclusione e quando Biascica che viene accusato di razzismo.
Ma parliamo delle parti belle.
Fare una serie nel 2022
L’Algoritmo è a suo modo un elemento molto interessante quando ben gestito.
In particolare ho trovato particolarmente divertente l’idea di includere attori di diverse etnie per interpretare gli apostoli nella maniera più improbabile e così anche il concilio delle donne che parlano del ruolo femminile nella Palestina in epoca precristiana.
Momenti davvero improbabili, ma che sono molto credibili nel contesto di più produzioni cinematografiche di quanto cose siamo disposti ad ammettere.
Ed è ancora più evidente se pensiamo che molto spesso questi racconti di inclusività in non poche major cinematografiche sono all’ordine del giorno, come parte di unacheck list autoimposta che porta a racconti sempre più assurdi e, paradossalmente, meno credibili.
Non è passato un giorno
Il punto di forza di Boris sono sempre stati i suoi personaggi, le colonne portanti dell’intero impianto narrativo. E non sono da meno neanche in questa occasione.
Tutti gli attori sono rientrati perfettamente nei loro personaggi, anche i più minori, non perdendo mai un colpo e dimostrando anzi le capacità incredibili di questi interpreti, che fino a questo momento sono rimasti abbastanza ai margini nel panorama filmico.
Infatti ad oggi in Italia le produzioni filmiche di stampo comico sono piuttosto scarse e ripetitive, e l’unico momento in cui hanno avuto un secondo momento di popolarità in questo senso è stata proprio la saga di Smetto quando voglio, che era non a caso scritta dagli stessi sceneggiatori di Boris.
Un omaggio sofferto
Oltre al funerale per la mitica Itala, dopo la sofferta dipartita dell’attrice Roberta Fiorentini, non da meno è stato l’omaggio verso Mattia Torre, uno dei tre veri sceneggiatori di Boris, la cui morte è avvenuta solo pochi anni fa.
E in questa stagione infatti Valerio Aprea, riprendendo anche la fisionomia dell’amico scomparso, appare sotto forma di fantasma, che solo gli altri due sceneggiatori possono vedere, e che consiglia anche Renè per la folle scena di danza dell’ultima puntata.
Così si ricollega anche per le battute finali del film Io giuda, che aprono l’ultimo omaggio nei confronti di una delle grandi menti dietro a questo cult tutto italiano.
She-Hulk è una serie tv MCU creata da Jessica Gao per Disney+. Una serie che si propone di abbracciare il genere comedy e legal, fallendo clamorosamente su entrambi i fronti. Ancora una volta ci troviamo davanti ad un prodotto Marvel sciatto, poco pensato, in questo caso ancora più aggravato dalla presenza di un male sociale: il sessismo interiorizzato e la sottile misandria socialmente accettabile.
Un prodotto vuoto e offensivo.
Ma di cui c’è moltissimo di cui parlare.
Di cosa parla She-Hulk?
Jennifer Walters è un’avvocata, nonché cugina di Bruce Banner, AKA Hulk. Per una serie di condizioni, una più improbabile dell’altra, anche lei acquisirà i poteri. Fra una perdita di identità e l’altra, cercherà di fare i conti con la sua nuova identità da supereroina.
Vi lascio il trailer, con cui vi farete esattamente un’idea del tipo di serie:
Vale la pena di vedere She-Hulk: Attorney at law?
No.
Non sono solita a non consigliare in toto le serie: persino per quella schifezza diObi-Wan Kenobiho provato a dare qualche motivazione sui motivi per cui potrebbe piacervi. In questo caso, a meno che i vostri gusti non siano rasoterra, difficilmente vi potrà piacere, non veramente.
Con questo intendo dire che se la tenete come sottofondo mentre rassettate casa, chiudete entrambi gli occhi, vi lasciate strappare una risata con battute da asilo nido, allora forse la potrete sopportare.
Ma, se mai avrete il coraggio di guardarla con convinzione, capirete l’immensità del nulla che questa serie tv rappresenta.
Cominciare male
Cominciamo dall’inizio, e cominciamo subito male.
La prima puntata sarebbe l’origin storydel personaggio. E l’origin story più rapida della storia, oltre ad essere drammaticamente forzata. Totalmente a favore di camera, per un rapidissimo momento Bruce non ha i suoi poteri. Senza andare ad analizzare tutti i problemi di retcondi questa scelta, questo elemento è evidentemente fatto apposta e unicamente per creare la situazione di contaminazione del suo sangue con quello di Jennifer.
Perché sì, ovviamente se Bruce fosse stato Hulk non avrebbe potuto tagliarsi.
Da qui parte la sua origin story in cui non abbiamo nessun modo per empatizzare col personaggio e con le sue problematiche nell’accettare i suoi poteri, come sarebbe di fatto normale all’introduzione di un nuovo supereroe. Perché Jennifer è già perfetta così, non ha praticamente neanche il bisogno di essere allenata, né di controllare la sua rabbia.
E perché questo?
Perché è una donna!
Tanti villain, nessun villain
La serie cerca continuamente (e con grande incapacità) di imbastire una trama e di raccontare dei villain ricorrenti. Il principale è quella meraviglia di Titania, personaggio che riesce a contenere al suo interno tutti i peggiori stereotipi riguardo agli influencer e alle donne in generale, nella bellissima macchietta della sgallettata.
Un villain inutile, noioso, e messo in scena all’occorrenza solo per dare un po’ di colore.
Ancora più imbarazzanti sono gli uomini che fanno parte del gruppo di odio contro She-Hulk: a parte l’idea veramente poco credibile che questi si incontrino come una specie di convention per rivalersi su She-Hulk, portano in scena tutti gli stereotipi degli uomini tossici.
E infatti il vero villain sono gli uomini in generale.
I veri villain: gli uomini
L’imbarazzo supremo di questa serie è proprio nel suo sessismo interiorizzato, che sfocia di fatto in una misandria che io bollo, senza praticamente l’ombra di dubbio, fatta con alcuna malizia (di cui dobbiamo parlare).
Di fatto, in She-Hulk abbiamo due tipi di uomini: il traditore e il miserabile.
La maggior parte degli uomini in scena sono indubbiamente dei miserabili: che sia l’Uomo-Rana, che sia il collega molesto, che sia in parte anche il gruppo di ascolto di Abominio, sono tutti un po’ miserabili a loro modo. Chi ha scritto questa serie sembra ingenuamente raccontare una paura, più comune di quanto pensiate, di totale antagonismo del femminile verso il maschile.
Così questo antagonismo è raccontato dalla figura del traditore, rappresentata fondamentalmente dai diversi uomini che vogliono avere una relazione con She-Hulk, ma non con Jennifer, arrivando ogni volta a tradirla e ad abbandonarla.
Con una splendida eccezione.
Che è comunque un problema.
Daredevil: una luce in fondo al tunnel?
La penultima puntata è anche la puntata dell’introduzione di Daredevil.
E, con la sorpresa generale di tutti, la stessa non è una schifezza. Questo semplicemente perché, contro ogni aspettativa, Daredevil non è stato quasi per niente adattato allo stile della serie, ma, al contrario, ha imposto una certa drammaticità alla scena. E questo è stato l’unico caso in cui un personaggio maschile non è stato appiattito nelle due categorie di cui sopra.
Ma questo per due motivi, nessuno dei due rassicurante.
La serie ha una writers’ room quasi totalmente femminile, tranne per due persone: Zeb Wells e Cody Ziglar. Il primo si è occupato della settima puntata, considerata unanimemente una delle meno peggio, mentre Ziglar ha scritto l’ottava puntata, quella di Daredevil.
Vedete il problema?
Quella che dovrebbe essere una serie femminile e femminista, fallisce in ogni puntata, tranne in quelle scritte da uomini. In particolare è abbastanza preoccupante che per gestire un personaggio importante come Daredevil si è sentita la necessità di chiamare un uomo che non è neanche uno sceneggiatore, che non si è mai occupato di Daredevil, e che è semplicemente un buon fumettista.
Sentirsi geniali, senza esserlo
Il finale è l’elemento che mi ha fatto veramente definitivamente gettare la spugna su questa serie.
A mio parere, ci sono due realtà nella puntata conclusiva: la realtà percepita dagli autori, e la realtà di cosa ne è venuto fuori. Secondo la percezione di chi ha scritto la puntata, questo era un finale geniale, che portava ad un colpo di scena pazzesco che alzava di diverse tacche la qualità della serie.
Poi c’è la realtà della puntata.
Chi ha scritto questa puntata, e tutta la serie in generale, è incapace di farlo, incapace di imbastire una trama, di creare dei personaggi credibili e degli antagonisti sensati. E questa incapacità è solo che confermata dalla fine di questa puntata.
Come gli autori pensavo di aver risolto il finale, in realtà lo stesso – che, ricordiamo, per loro stessa ammissione, è sconclusionatissimo – di fatto non cambia, portando ad una conclusione vuota, dove nessuna storyline viene veramente chiusa in maniera sensata o anche solo minimamente interessante.
Lo sfondamento della quarta parete
Lo sfondamento della quarta parete è uno degli elementi che ho personalmente più odiato di questa serie.
Ovviamente questa tecnica non se l’è inventata She-Hulk né la Marvel, ma ha origini antichissime. Nel teatro è quello si chiama il parlare a parte: banalmente, è il momento in cui un personaggio in scena si rivolge direttamente allo spettatore, di solito con l’inconsapevolezza degli altri personaggi. Un elemento che serve per arricchire la scena e la narrazione, oltre a creare una certa complicità con il pubblico.
E ovviamente in She-Hulk questo aspetto è totalmente fallimentare.
E per ben due motivi.
Lo sfondamento della quarta parete in She-Hulk
Anzitutto, per la mediocrità degli effetti speciali (di cui bisogna fare un discorso a parte): in non poche scene She-Hulk è resa talmente male che non guarda direttamente in camera, quindi non rende comprensibile che stia parlando effettivamente allo spettatore.
E non credo di dover spiegare quanto sia grave questa cosa.
Come se questo non bastasse, questa tecnica è utilizzata nelle intenzioni per rendere la serie più simpatica, in realtà è solamente irritante e in ultimo sembra che serva solo per giustificare le scelte idiote degli sceneggiatori.
Nascondere un’attrice (e male)
La pochezza degli effetti speciali utilizzati per She-Hulk è devastante.
Ma lo è ancora di più se si pensa a quale sia la materia prima.
Lasciando da parte il fatto che nella sua forma da Hulk il personaggio non c’entra niente con la sua controparte umana, nella maggior parte dei casi She-Hulk sembra semplicemente un elemento poco credibile della scena. Ed è un grande problema quando lo spettatore non riesce a credere a quello che vede sullo schermo.
Oltre a questo, pur non conoscendo Tatiana Maslany oltre a questo prodotto, posso dire sicuramente che non è per nulla un’attrice scarsa, anzi ha una capacità espressività più che buona, oltre a suscitare una naturale simpatia. E mi sarebbe piaciuto vederla.
E invece ho dovuto vedere She-Hulk.
Non far mai ridere
Su questa questione mi sento di andarci di più coi piedi di piombo, perché l’umorismo è una cosa molto soggettiva.
Tuttavia, mi sento anche di dire che ho la costante sensazione che, soprattutto nei prodotti più mainstream (non ho sentito questo problema in Eternals, per dire) il livello di comicità dell’MCU sia in un costante declino, forse per accontentare un pubblico sempre più ampio e anche sempre più giovane.
Perché ho davvero difficoltà nell’immaginarmi una persona sopra i tredici anni (ad essere generosi), che possa veramente sganasciarsi davanti all’umorismo di questa serie. E questo facendo la dovuta differenza fra ridere con la serie (ovvero delle battute che propone) e ridere della serie (ovvero del suo cattivo livello).
Ed è un elemento decisamente più importante quando ci troviamo davanti ad un prodotto che si definisce legal comedy, che quindi dovrebbe, per sua stessa natura, far ridere lo spettatore.
Perché She-Hulk non è una serie femminista
I motivi per cui She-Hulknon è la serie tv femminista tanto decantata si sprecato.
Ed è tanto più importante se si pensa che il femminismo odierno non è e non può essere più un femminismo elitario, in cui al centro del discorso ci sono esclusivamente le donne bianche e che si possono permettere di rivendicare i propri diritti.
Se si vuole essere veramente femministi ad oggi, si deve lottare per i diritti di tutti.
Anche degli uomini.
E se pensate che la narrazione sugli uomini di She-Hulk sia fondamentalmente innocua e per ridere, pensate a quanto può essere tossico il racconto di uomini rappresentati come deboli, miserabili e incapaci di portare avanti relazioni, che non hanno maturità emotiva e che pensano solo all’aspetto estetico e sessuale.
Come nasce questo modo di pensare?
Se c’è qualche uomo all’ascolto, mi dica se si sente rappresentato da questa serie.
Ma come nasce questo modo di pensare?
She-Hulk è un caso emblematico di sessismo interiorizzato, ovvero un modo di pensare e di agire basato su una serie di concetti discriminatori (in questo caso di genere) che sono stati così profondamente assimilati che non si è riusciti a superarli.
Da qui nascono concetti di diverse gravità: dall’infantilizzazione (gli uomini non si sanno gestire da soli senza una donna, non sanno sopportare il dolore…) fino a quelli di effettiva demonizzazione (gli uomini non sono capaci di avere relazioni emotive appaganti, pensano solo al sesso…). Tutte cose che avete sentito almeno una volta nella vita, soprattutto da donne.
Questo modo di pensare nasce in parte da una certa tendenza, più o meno violenza, di donne che (anche giustamente) sentono il peso di un’oppressione del maschile oggi come ieri, e vogliono (non giustamente) avere una rivalsa. E per questo rispondono screditando, infantilizzando e attaccando anche direttamente il maschile tutto, senza distinzioni.
Il sessismo interiorizzato in She-Hulk
E She-Hulk abbraccia del tutto questo modo di pensare.
A dimostrazione fra l’altro di una mancanza di profondità di pensiero, che porta le autrici a fossilizzarsi su queste idee, anche inconsapevolmente. Tuttavia, rivelando anche un altro elemento sotterraneo e anche derivativo di questo modo di pensare:
La paura per il maschile.
La protagonista si sente continuamente osteggiata e aggredita dagli uomini in scena, che però non sono mai raccontati come effettivamente violenti o cattivi, ma più che altro come dei buzzurri e dei miserabili appunto, proprio per depotenziarli.
E come risultato abbiamo la storia di una donna che vive in funzione del maschile, in quanto sembra riuscire a definire sé stessa e il suo valore solamente tramite le relazioni.
Fra l’altro al contempo mettendosi sola al centro della narrazione, e andando a svalutare altre minoranze per cui dovrebbe invece lottare: l’uomo cinese che vende prodotti tarocchi, lo stilista gay che è una prima donna e femminilizzato nella maniera più stereotipata possibile…
Only murders in the building è una serie tv Disney+ di genere mistery e comico, con protagonisti Selena Gomez, Steve Martin e Martin Short. Un prodotto arrivato ad oggi alla seconda stagione e già confermato per una terza.
Una serie che è un mio cruccio: la guardo con piacere, anche molto coinvolta, ne riconosco i vari e innegabili pregi…ma alla fine non rimango con un buon sapore in bocca.
Tuttavia, è una serie che dovete vedere per buonissimi motivi.
Di cosa parla Only murders in the building?
A seguito di un misterioso omicidio nel loro palazzo, un improbabile terzetto di protagonisti si ritrova non solo ad indagare il caso, ma anche a creare un podcast di successo.
Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:
Perché dovreste vedere assolutamente Only murders in the building
Only murders in the building è una serie davvero imperdibile per molti motivi: l’ottima regia e messa in scena, una costruzione molto sapiente sia del mistero che dei personaggi in scena, colpi di scena ben calibrati e un intrigo per nulla scontato.
Tanti elementi derivati da una particolare cura per la totale partecipazione degli attori protagonisti nella produzione: sono tutti produttori esecutivi della serie, che significa che hanno ampissima voce in capitolo nella sua realizzazione, e Steve Martin è anche co-creatore.
Vi consiglio solo di non guardare le due stagioni una di fila all’altra: rendono molto meglio se guardate con una minima distanza l’una dall’altra.
Saper gestire un mistero
Se avete una discreta conoscenza delle serie di genere mistery sapete che una gestione ottimale del mistero non è per nulla scontata, anzi. Ci sono non pochi casi di serie tv che costruiscono un mistero che sulle prime appare anche molto intrigante, ma che poi, arrivati alle battute finali, appare totalmente sconclusionato.
Non è il caso di Only murders in the building il quale, sopratutto per questa seconda stagione, mi ha ricordato Pretty little liars ai tempi d’oro. Un paragone infelice, ma vale come esempio vincente: alcune dinamiche sono simili, ma, come Pretty little liars è uno inconcludente accumulo di indizi e intrighi, Only murders in the building si dimostra ben più efficace e narrativamente organico.
Infatti sia nella prima che nella seconda stagione vediamo in scena una progressiva e intelligente rivelazione del mistero, con un colpo di scena finale in entrambe le stagioni che è ben costruito fin dall’inizio. In particolare, nella seconda stagione si è scelto di giocare con i falsi colpi di scena per un’intera scena.
Unica pecca di questa scelta: se si è abbastanza esperti di questo genere di prodotti, appare del tutto evidente come gli stessi colpi di scena siano fintianche prima che siano spiegati.
Pochi tocchi di sitcom
Un elemento davvero peculiare di questa serie è il suo elemento sitcom: come proprio di questo genere, ci sono non pochi momenti nella prima stagione in cui vengono raccontati dei brevi archi narrativi che servono a far conoscere meglio i personaggi.
Degli archi narrativi che di fatto non torneranno più e che non hanno una vera influenza sulla trama generale, ma che di fatto la arricchiscono non poco. Alcuni fra l’altro anche molto toccanti come la relazione fra Howard ed il suo vicino di casa cominciata durante il blackout.
Un prodotto davvero inclusivo
Un aspetto non da poco della serie è la sua capacità di portare un tipo di inclusività per nulla scontata e autentica. In non pochi prodotti in ambito seriale e cinematografico prodotti e autori poco capaci banalizzano drammaticamente questo aspetto, tramite tokenism e girl power molto cheap.
Al contrario in Only murders in the building troviamo due figure raramente ben rappresentate.
Anzitutto Theo, interpretato da un attore effettivamente ragazzo sordo, James Caverly. La differenza da altri prodotti non è un semplice token, ma un personaggio estremamente importante che ha una delle puntate più belle dell’intera serie.
Infatti nella prima stagione la puntata The Boy From 6B, riesce a raccontare con ottimi tocchi di regia il punto di vista reale del personaggio. E il tema viene ripreso anche in maniera non poco interessante anche nella seconda stagione.
Only murders in the building
Un altro tipo di rappresentazione che sta prendendo piede in questo periodo è quello della donna incinta smarcata dall’idea di maternità rassicurante. In questa stagione viene infatti introdotta Nina, che si rivela un personaggio molto tridimensionale: sulle prime appare un’arpia approfittatrice, poi dimostra il suo lato più umano, in particolare nella puntata del blackout.
Allo stesso modo ho particolarmente apprezzato che, quando Nina sta per partorire, la persona che interviene immediatamente non è il personaggio femminile spinto da un improbabile senso materno, ma Charles, con fra l’altro anche una simpatica motivazione alle spalle.
…e allora perché non mi piace cosi tanto Only murders in the building?
Nonostante tutti questi elementi indubbiamente positivi che mi hanno anche intrattenuto, ci sono due elementi che mi hanno impedito di essere davvero appassionata a questa serie.
Il primo e più importante è che, per motivi non del tutto chiari neanche a me, non riesco ad essere coinvolta coi protagonisti, nonostante, almeno per quanto riguarda Charles e Oliver, gli attori già di per sè sono molto affabili.
Ma nulla, non è mai scattata la scintilla.
La cosa peggiora per Mabel, il personaggio di Selena Gomez: nonostante si cerchi indubbiamente di raccontare un personaggio quando più tridimensionale, a pelle non mi è mai piaciuta, anzi l’ho trovata discretamente sgradevole.
Infine, e forse è anche l’aspetto che trovo più difettoso della serie, nonostante il finale sia ben costruito, non mi lascia mai un buon sapore in bocca. Il più delle volte mi dimentico tutto il contesto e non lo trovo alla fine così avvincente e interessante.
E a questo proposito…
L’omicidio alla fine della stagione è ridondante?
Come abbiamo visto recentemente per la saga di Una notte da leoni, non è per nulla facile gestire un brand quando lo stesso è basato su un elemento forte, ma non facilmente replicabile.
Nel caso di Only murders in the building perché alla lunga diventa poco credibile che questi personaggi siano coinvolti in un numero potenzialmente indefinito di omicidi.
Come, con mente più matura, abbiamo rivalutato (si fa per dire), la credibilità della storia della Signora in giallo e la sua scia di omicidi, cosi alla lunga questo elemento della serie potrebbe cominciare a stancare e a non essere così d’impatto.
Già con questo finale di stagione sono rimasta poco convinta.
Si è conclusa l’ultima stagione diBetter Call Saul, la serie AMC (in Italia distribuita da Netflix) che racconta la nascita del personaggio di Saul Goodman, l’eccentrico avvocato che appare dalla terza stagione di Breaking Bad.
Si tratta quindi di uno spin-off, del migliore spin-off degli ultimi dieci anni (come minimo) e una delle migliori serie della storia della televisione, oltre che, per certi versi, anche più matura della serie madre. Se non sapete come approcciarvi alla serie, continuate a leggere. Se volete la recensione completa, passate direttamente alla parte spoiler.
Di cosa parla Better Call Saul?
Jimmy McGill è un ottimo avvocato, che però ha cominciato dal niente e deve occuparsi solo dei peggiori casi al tribunale pubblico. Ma lui ambisce molto di più, anche andandosi ad invischiare in giri poco puliti…
Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:
Si può guardare Better Call Saul senza aver visto Breaking Bad?
In linea teorica, essendo un prequel, si potrebbe fare. Tuttavia avrebbe lo stesso senso di vedere la Trilogia Prequel di Star Wars prima della Trilogia Originale: nessuno.
Better Call Saul è una serie concepita proprio per chiudere il cerchio su alcune questioni di Breaking Bad, quindi vive in funzione di essa. Vederla senza avere in mente il punto di arrivo toglie tutto il fascino.
Quindi, anche se è un percorso lungo, cominciate da Breaking Bad e approcciatevi secondo i giusti tempi alla visione di Better Call Saul.
Vi assicuro che non ve ne pentirete.
Vale la pena di vedere Better Call Saul?
Better Call Saul è una serie imperdibile per diversi motivi: anzitutto, è una narrazione complessivamente organica, pur con qualche deviazione dal percorso principale. Guardando Better Call Saul infatti si vede l’evoluzione perfettamente bilanciata di tutti i personaggi in scena.
Oltre a questo, i personaggi sono incredibili per più ragioni, anzitutto perché sono drammaticamente grigi: non ci sono spiccatamente positivi o spiccatamente negativi, ma figure multiformi, tormentate da drammi e tensioni che si evolvono perfettamente nel tempo.
Infine, come se tutto questo non bastasse, la regia e la scrittura sono ad un livello superbo. Una delle migliori serie mai prodotte, per l’appunto.
Il dramma di Saul in Better Call Saul
La figura di Saul si articola in diverse personalità e alter-ego che raccontano i diversi momenti della sua vita, ma tutte con elementi comuni.
Slipping Jimmy
La prima forma di Saul è Slippin Jimmy, un ragazzo che, fin da giovanissimo, era attirato verso le truffe e l’inganno del prossimo. In particolare il tutto si traduce in piccole e abbastanza patetiche truffe di strada con il suo amico Marco.
La fine di Slippin Jimmy è segnata da Chuck, che porta il fratello, dopo tanti anni che si era allontanato dalla famiglia, fuori di galera. Il tutto a patto che abbandoni quelle vesti e che metta la testa a posto.
Questo è il primo passo verso la transizione verso Jimmy McGill.
La chiusura definitiva avviene però solo più avanti, quando Jimmy torna per qualche tempo a fare truffe con Marco, fino alla morte dello stesso.
Jimmy McGill
Il concetto intorno a cui gira un po’ tutta la narrazione è di come Jimmy sia fin dall’inizio portato verso fare le cose in grande. Inizialmente era solo un innocuo impiegato nell’azienda del fratello, che si occupava della posta.
In questa fase conosce Kim, al tempo già considerata come una brillante promessa per la HHM, e che è in parte l’artefice del suo cambiamento. L’inizio di tutto avviene infatti in un giorno qualsiasi, quando Jimmy si sente inadeguato davanti a Kim e Chuck che parlano di un caso.
E così decide di avvicinarsi alla professione di avvocato, tenendolo però nascosto a tutti.
Jimmy McGill
Dopo essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo, ma senza essere accolto dentro alla HHM come sperava, comincia da zero presso il tribunale pubblico.
Jimmy incarna in questo senso veramente il sogno americano: un uomo lasciato a sé stesso, che nessuno aiuta e che, se non fosse così caparbio e pronto tutto, non arriverebbe da nessuna parte.
La figura di Jimmy McGill è la parte onesta di Saul: sicuramente non lavora sempre in favore della verità e della giustizia, ma nel complesso è portato verso la via più onesta e giusta.
Tuttavia, alla prova dei fatti, Jimmy non può essere veramente quella persona (almeno fino alla fine).
In questo senso è emblematico, all’inizio della seconda stagione, l’assunzione per Davis & Main: fin da subito Jimmy capisce che quel posto è perfetto, ma non adatto a lui.
E lo capisce per un evento banale, ma piuttosto eloquente, quando non riesce a trovare un posto per il thermos regalatogli da Kim nella nuova macchina aziendale, tanto da arrivare a rompere il vano per farcela stare.
E, lentamente, capisce che questa vita non è quella che più gli si addice.
Saul Goodman
Saul Goodman è l’alter ego più importante di Jimmy, sempre presente e sotterraneo, pronto ad emergere.
Lo vediamo già quando promuove con degli spot televisivi il suo servizio di legge per gli anziani, nel suo modo di trattare i clienti, e, infine, quando deve scegliersi un nome per vendere gli spazi pubblicitari nella terza stagione.
It’s all good man.
Saul è una figura vincente, potente e infallibile, che non si ferma davanti a nulla.
Passo passo
Il passaggio verso Saul è definito da più momenti emblematici, cominciando da quando, nella quarta stagione, dopo aver perso la carica di avvocato, passa un anno a lavorare in un negozio di cellulari.
E da subito trova un modo per sfruttare la situazione, creando questa realtà fittizia in cui ci ascoltano e in cui un cellulare usa e getta e non tracciabile, ovvero il suo prodotto, è assolutamente indispensabile.
La situazione è perfettamente definita quando Jimmy recupera la carica di avvocato, e decide di operare sotto un altro nome: Saul Goodman.
E si presenta subito ai clienti peggiori nel migliore dei modi: in una fiera di paese facendo un’offerta sui telefoni e offrendo sconti come un qualunque commerciante da strapazzo.
Ma questo è solo un avvocatucolo che aiuta i disperati, mentre per diventare davvero Saul Goodman e lavorare con i peggiori criminali bisogna aspettare la quinta stagione, quando Lalo gli chiede di intervenire per difendere Krazy8.
Il passo successivo non può essere che diventare avvocato di Lalo, il suo mulo, attraversare il deserto ed essere coinvolto in una sparatoria. Ma alla fine accettando tutto: il caldo, bere la propria urina, il viaggio sfiancante.
Il momento definitivo per Saul Goodman è l’abbandono di Kim: come dopo la morte di Chuck, Jimmy non ha più nessun motivo per essere Jimmy McGill.
Gene
Saul è un personaggio eccessivo, quasi autodistruttivo.
E infatti, anche se non del tutto per colpa sua, Jimmy è costretto, alla fine di Breaking Bad, ad abbandonare le vesti di Saul. E allora diventa un mediocre commesso ad un negozio di Cinnamon Rolls in un centro commerciale, sotto al nome di Gene Taković.
La regia delle puntate del presente è davvero singolare: scene del tutto sui toni del bianco e nero, con musica malinconica, con cui solitamente si ambienterebbe una scena del passato.
Un forte contrasto con la fotografia generale della serie, che invece ha colori molto pieni. Quindi il presente è la realtà svuotata e senza significato, mentre il passato, nonostante tutte le vicissitudini anche terribili, era quello che valeva la pena vivere.
Il personaggio di Gene ci viene veramente rivelato nell’ultima stagione, quando si trova costretto ad architettare il furto al centro commerciale. Una macchinazione lunga e complessa, degna di Saul, che ha successo solo per la sua grande capacità di immedesimarsi in un personaggio.
E di raccontare, alla fine, la sua storia.
E da lì, ricomincia in parte ad essere di nuovo Saul.
Il rapporto con Chuck in Better Call Saul
Dipendenza
Il personaggio di Jimmy è fin da subito raccontato anche attraverso il suo rapporto con Chuck, il fratello che si crede malato e che Jimmy sa benissimo che non lo è.
Inizialmente, dopo essersi legato con il fratello la promessa di prendere una strada migliore per la sua vita, è incredibilmente timoroso nel deluderlo, nonostante Chuck dimostri più volte di non saper riconoscere le capacità del fratello.
Così, ad esempio, nella prima stagione, quando diventa per caso un eroe locale, lo nasconde consapevolmente a Chuck, per paura che il fratello possa pensare che di nuovo voglia mettersi in affari poco puliti.
E il suo desiderio di farsi riconoscere da Chuck ha radici molto lontane.
Dopo la parentesi disastrosa di Slippin Jimmy, Jimmy si rimette in piedi, lavora sodo e acquisisce il titolo di avvocato. Tuttavia questo non gli viene veramente riconosciuto né da Chuck né dalla HHM.
Si nota molto bene nella scena della prima stagione, quando Jimmy gli annuncia la sua carica di avvocato appena acquisita: Chuck gli rivolge dei sorrisi poco sinceri e stentati, e non lo sostiene davvero come dovrebbe.
Il primo momento di rottura arriva sempre durante il primo ciclo di episodi, quando Chuck ammette chiaramente e candidamente che il fratello non è un vero avvocato, e che la sua formazione non vale nulla.
Conflitto
Il conflitto si accentua ancora di più con la nuova assunzione di Jimmy per Davis & Main nella seconda stagione.
Tuttavia fin da subito si conferma la bellezza del personaggio di Chuck: non banalmente cattivo, ma incredibilmente tridimensionale, che dal suo punto di vista ha tutte le buone ragioni del modo.
Per tutta la serie Chuck considera Jimmy ancora come Slippin Jimmy, non riesce a superare questa figura. Uno dei momenti più evidenti è l’incontro di Jimmy con Rebecca, la moglie di Chuck.
In quell’occasione il fratello si preoccupa in maniera anche piuttosto antipatica che Jimmy possa essere fastidioso per Rebecca, e, quando invece si rivela una piacevole compagnia, si dimostra infastidito.
Altro momento chiave che racconta le origini del conflitto è il racconto di Chuck a Kim riguardo al padre: un uomo specchiato, che aveva messo tutto sé stesso nel suo piccolo negozio, che si era visto costretto a chiudere per i ripetuti furtarelli di Jimmy.
E, come racconta Chuck, il padre non ci voleva credere, ed era morto poco dopo, con grandissimo dispiacere di Jimmy.
Quindi Jimmy per lui non è una persona cattiva, ma non può evitare di fare cose sbagliate e danneggiare gli altri. E sono sempre gli altri a rimetterci. Oltre a questo, Chuck non può sopportare che Jimmy sia sempre perdonato da tutti.
Questo antagonismo, neanche troppo sotterraneo, sfocia nella vendetta.
Vendetta
La spirale distruttiva del loro rapporto nasce dalla follia di Jimmy di far credere a Mesa Verde che Chuck sia stato incapace di redigere i giusti documenti, facendo un banalissimo errore di inversione di due cifre dell’indirizzo della sede.
Questo piano fa uscire di testa Chuck, che fa di tutto per dimostrare la sua innocenza, arrivando a registrare la confessione di Jimmy.
E questo, apparentemente per dare una lezione al fratello, in realtà volendo ossessivamente dimostrarne l’inferiorità. Questo porta alla denuncia con cui Jimmy rischia di perdere il ruolo di avvocato e al terribile processo in cui Jimmy umilia e rivela come in realtà Chuck non sia veramente malato, almeno non di quello che racconta.
Da qui Jimmy, pur avendo una rivincita temporanea, non riesce a rimettersi in piedi e per questo si prende la rivincita decisiva: finge di dispiacersi per il fratello davanti all’impiegata attonita dell’assicurazione, svelando la situazione mentale del fratello e i grossi errori che sta facendo, cosa che la HHM aveva cercato di nascondere.
In questo momento Chuck sembra sicuro di sé stesso, ma in realtà è solamente apparenza.
Basta infatti arrivare al punto di chiudere con Howard, danneggiarlo economicamente con l’assicurazione, minacciare di denunciarlo e, infine di non accettare il tentativo di ricongiungimento con Jimmy, anzi sminuire del tutto il loro rapporto.
E, infine, perdere totalmente il controllo e togliersi la vita.
Rinascita?
Dopo la sua morte, Jimmy resta in quasi completo silenzio per un’intera puntata.
Sa in cuor suo che il motivo per cui Chuck ha perso infine la testa è colpa sua. Ma, appena Howard racconta i suoi sensi di colpa, invece che ammettere quello che ha fatto, si sente immediatamente liberato dalle sue colpe. E torna alla vita.
La freddezza di Jimmy nei confronti del fratello si vede soprattutto quando legge con grande serenità la lettera di addio di Chuck, mentre Kim si commuove.
Ma l’ombra di Chuck lo perseguita: quando dovrebbe riconquistare il ruolo di avvocato, fa un discorso veramente bello e sentito alla commissione. Tuttavia non nomina Chuck e, per questo, viene considerato poco sincero.
Allora Jimmy, pur di riconquistare il suo ruolo, sfrutta la commozione che tante bugie ben piazzare posso creare e rende protagonista Chuck del suo monologo. E infine riesce a tornare avvocato, ma in realtà diventa di più: si registra come Saul Goodman.
Finalmente si è liberato di Chuck.
It’s all good man!
Il rapporto con Kim in Better Call Saul
L’influenza (positiva) di Kim
Il personaggio di Kim è la controparte morale di Jimmy, il punto di riferimento positivo che riporta il personaggio sui suoi passi e verso le migliori decisioni.
La relazione con Kim si forma molto lentamente: si capisce fin da subito che i due hanno una relazione sessuale, ma poco altro. Sicuramente erano grandi amici da tempo, come si vede con i flashback di quando lavoravano insieme alla HHM.
Per tutto il tempo Kim è consapevole del personaggio di Jimmy e, non a caso, all’inizio della seconda stagione, cerca di mettere un paletto alla loro relazione: niente più attività illegali.
Tuttavia fin da subito Jimmy, per tutta la questione di Sandpiper e la class action, si dimostra ben poco trasparente, andando incontro ad azioni che potrebbero costargli il titolo di avvocato. E, continuamente, Kim va in suo soccorso, salvandolo da ogni problema.
Definirsi tramite Kim
Così Jimmy scegliere di rinunciare anche a guadagni facili e sicuri per aiutare Kim: così rinuncia ad aiutare i Kettleman nelle loro azioni legali per fare in modo che Kim ne risulti vincente, dopo che aveva quasi perso la faccia per questo cliente.
Così aiuta Kim nella pazzia che porterà al processo contro Chuck, facendo credere che il fratello abbia fatto un errore banalissimo come sbagliare l’indirizzo della sede, di nuovo per mettere in buona luce Kim.
La trasformazione verso Saul è definita tanto più Jimmy si allontana da Kim e le nasconde le sue azioni. In particolare nella terza stagione quando Jimmy porta avanti la sua attività poco trasparenti vendendo cellulari usa e getta, i due sembrano vivere due vite separate.
Addirittura Kim, per evitare di dover tornare sui suoi passi e lavorare con Jimmy, si rivolge a Schwaikart per coprire Mesa Verde e lo spaccia come se glielo avessero offerto loro.
La parte oscura di Kim
Il personaggio di Kim è peggiorato da Jimmy, e lei stessa si lascia trascinare nelle truffe e nei loro inganni.
Queste scappatelle sembrano l’unico momento di eccitazione per Kim, nonostante rappresentino la sua parte più negativa, da cui sembra sempre cercare di distaccarsi. Ma, come ammette lei stessa nell’ultima stagione, era troppo divertente.
Questa situazione inizialmente è anche innocua, limitata a piccole truffe con avventori dei bar, come puro divertimento senza conseguenze. Ma la situazione diventa incontrollabile con il piano per screditare Howard, che è Kim stessa a suggerire alla fine della quinta stagione.
Il piano è folle, arzigogolato, ma progettato e portato avanti con grande intensità da Kim stessa, che addirittura rinuncia ad un importantissimo appuntamento lavorativo per poter portare a termine efficacemente il piano, diventato quasi un’ossessione.
Quando Kim si distacca da questa parte più oscura di sé stessa, si rende conto che tutto è fuori controllo. Così, quando cerca di far quadrare la relazione e sposare Jimmy, con un tentativo disperato di far quadrare la situazione.
Infatti, appena Jimmy comincia a dirle la verità e lei prova ad opporsi, si rende conto di non avere comunque nessun potere su di lui e sulle sue scelte.
Dopo Kim
L’abbandono di Kim è l’ultimo momento del passaggio a Saul Goodman.
Un’ellissi temporale improvvisa, ma forse dovuta, che ci lascia senza parole. E vediamo Saul che è davvero Saul, in una casa incredibilmente cheap, un atteggiamento e una presenza scenica che lo rende quasi una macchietta di un truffatore di terza categoria.
Ed è praticamente quello che abbiamo visto in Breakin Bad.
Solo che ora sappiamo tutto il dramma che c’è dietro. Ed è ancora più devastante per l’atteggiamento davvero meschino che Saul ha nei confronti di Kim: sia nella scena dove firmano le carte del divorzio, sia quando la chiama nel presente e comincia ad attaccarla verbalmente.
Jimmy, senza Kim, è un uomo totalmente perso.
Il personaggio di Kim
Farsi da soli (per bene)
Come Jimmy, anche Kim è una donna che si è fatta da sola.
Da anni sotto l’egida della HHM, deve pagare con i soldi e con il tempo la sua possibilità di fare carriera. Non a caso nei flashback la si vede lavorare nel seminterrato e insieme a Jimmy.
Infatti negli Stati Uniti la cosiddetta law school è frequentabile solo dopo l’università, già di per sé molto costosa. E per questo ci si fa aiutare da firme importanti per la parte di studio con l’idea di poter poi fare carriera.
Il primo momento importante avviene alla fine della seconda stagione, quando Kim riesce finalmente a mettersi in proprio con Jimmy, prendendosi sulle spalle tutto il peso del caso di Mesa Verde.
Un peso abbastanza terribile, ancora più appesantito dalle azioni di Jimmy: per quanto il trucco folle dello scambio di numeri nell’indirizzo di Mesa Verde le permetta di ottenere il cliente, proprio per questo Kim diviene ossessionata per la minima virgola.
Kim è apparentemente inarrestabile e raggiunge il suo apice quando sceglie di accettare un altro cliente oltre a Mesa Verde, in realtà solo per dimostrare ad Howard, oltre che a sé stessa, di saper fare tutto.
Da qui si innesca un climax delirante, che raggiunge l’apice con l’improvviso e inaspettato incidente d’auto.
Trovare la propria strada
Il momento successivo con cui Kim cerca di essere felice è quando decide di dedicarsi alle cause pro bono.
Col tempo il lavoro per la banca diventa sempre più un obbligo che un piacere, tanto che Kim, pur di salvare l’uomo che Mesa Verde cerca di sfrattare dalla sua casa, va contro il suo cliente e complotta con Jimmy per mettergli i bastoni fra le ruote.
Il momento finale è il distacco definitivo da Mesa Verde, per dedicarsi definitivamente alle cause pro bono. Questa situazione di apparente felicità è totalmente guastata dal suo cercare di stare dietro a Jimmy e alle sue pazzie, con il climax, appunto, rappresentato dal piano ai danni di Howard.
E il punto più basso è proprio al funerale della loro vittima: se guardate il dialogo fra lei e la vedova di Howard, noterete il gesto che fa Kim con la mano prima di inventare la peggiore calunnia che poteva inventarsi: è il gesto tipico di Saul Goodman.
A quel punto Kim capisce di aver davvero dato il peggio di sé, e finalmente parla a cuore aperto.
E scappa.
Reinventarsi
La conclusione della storia di Kim è complessivamente positiva e di fatto analoga al percorso che abbiamo visto nel resto della stagione.
Kim deve distaccarsi dalla sua vecchia vita, è obbligata ad un lavoro ed a delle frequentazioni che in maniera evidente non sono alla sua altezza e non la soddisfano.
Cerca parzialmente di riabilitarsi portando la sua confessione riguardo alla vicenda di Howard alla polizia. Ma in realtà questa stessa si rivela fondamentalmente inutile, perché probabilmente non porterà ad una vera punizione.
E trova infine una realizzazione proprio in pro-bono, ma in forma diversa: un’associazione per aiutare le donne vittime di violenza, una buonissima causa dove può finalmente ritrovare sé stessa, pur dopo aver perso tutto.
Il personaggio di Mike in Better Call Saul
Gli inizi
Mike inizialmente appare come il tenace e silenzioso operaio del parcheggio, ma noi da Breaking Bad sappiamo di che personaggio si tratta.
Cominciano a vedere la sua storia solamente a metà della prima stagione: in un commissariato totalmente corrotto, il figlio Matt non volevo farsi coinvolgere nel giro di mazzette e viene, per questo, ucciso.
E la storia di Mike inizia proprio con la sua vendetta per il figlio compianto.
La sua vita criminale vera e propria nasce più per bisogno che per volontà: come potrebbe godersi la pensione, Mike decide invece di aiutare economicamente la famiglia che gli è rimasta, anche se questo significa andarsi a cacciare nuovamente inattività al limite della legalità.
Tuttavia una cosa non può sopportare: uccidere qualcuno, arrivare a quel livello. E infatti nella seconda stagione preferisce fare picchiare a sangue da Tuco piuttosto che ucciderlo.
Una morale di ferro
Solo nella terza stagione Mike viene per la prima volta a contatto con Gus, proprio per la questione di Hector, e diventa direttamente suo dipendente. Questo suo nuovo rapporto, ben più pericoloso che fare il bodyguard per scambi commerciali poco puliti, dovrebbe mettere in discussione la sua moralità.
Ma Mike è un uomo di ghiaccio, indurito dalla vita, che non ha paura di niente, neanche di mettersi contro Gus. Il momento decisivo è la quinta stagione, quando Mike si trova a gestire le teste calde degli operai che dovrebbero costruire il futuro laboratorio di Gus.
Mentre il problema sembrano i ragazzi più giovani che Mike tratta col pugno di ferro, in realtà la mina vagante è Wilmer, il caposquadra. Lo stesso scappa per andare a trovare la moglie, sicuro di poterla passare liscia.
Ma, nonostante Mike cerchi di salvarlo in tutti i modi, non può salvarlo dal giudizio di Gus.
E ed è costretto, contro ogni suo principio, a ucciderlo a sangue freddo.
Howard in Better Call Saul
Un villain…
Howard non è propriamente un villain di Better Call Saul, ma è certamente un antagonista importante per la maggior parte della serie.
Possiamo dire quasi che è un antagonista nella mente di Jimmy, che lo vede come tale e cerca di mettersi in opposizione con lui, prendendo sulle spalle la vendetta insoluta verso il fratello.
Più avanti nella prima stagione scopriamo che l’odio di Jimmy per Howard ha radici più profonde: era stato Howard a dirgli, con assoluta freddezza e mancanza di tatto, che non l’avrebbero assunto per la HHM, nonostante avesse conseguito il titolo di avvocato.
Tuttavia poi veniamo a scoprire che Howard per due volte ha negato il ruolo a Jimmy, ma non per sua volontà, ma su richiesta di Chuck.
E così il personaggio ha una profondità decisamente diversa.
…o la vittima?
In generale, Howard rimane un personaggio di difficile lettura.
Come sembra spietato ed eccessivamente severo per come tratta più volte Kim nelle prime stagioni, così è lui stesso le rivela che era più severo con lei perché pensava dovesse spingerla a dare il meglio di sé.
Una sorta di antagonista che non sa di essere un antagonista.
E infatti dimostra tutte le sue buone intenzioni quando, con grande ingenuità, offre a Jimmy di tornare da HHM come avvocato. Invece Jimmy lo disprezza, cerca di metterlo in difficoltà, di punirlo, a parole per aver ucciso il fratello, nella realtà come capro espiatorio per la sua frustrazione verso Chuck e la HHM.
E alla fine lo uccide veramente.
L’ascesa di Gus in Better call saul
L’ossessione per Hector
Better Call Saul si propone anche di raccontare l’ascesa di Gus come magnate della droga e come lo vediamo in Breaking Bad. In realtà Gus non lo vediamo di fatto molto diverso o con una vera evoluzione: appare da subito come freddo e calcolatore.
Il primo approccio al personaggio è nella seconda stagione, con il personaggio di Mike: Gus lo incoraggia a danneggiare la catena operativa del suo avversario, ma non vuole che lo uccida.
Solo Gus può uccidere Hector (e viceversa).
E infatti Gus è ossessionato da Hector, tanto che, quando questo è in coma, solo lui vuole decidere come intervenire sulla sua sorte. E, quando vede che effettivamente Hector è ancora sé stesso, solo paralizzato, decide che può essere lasciato così, senza provare a migliorare ulteriormente.
Ma di fatto noi sappiamo che Gus sta sottovalutando Hector, che si rivelerà una minaccia ben maggiore successivamente.
La vera malvagità: Nacho
La vera malvagità del personaggio di Gus si vede nel suo rapporto con Nacho, che comincia inizialmente come personaggio secondarissimo, prima nel ruolo del piccolo pesce che si approfitta della situazione per condurre i suoi affari sottobanco.
Una figura abbastanza imperscrutabile, che si preoccupa profondamente per il padre, arrivando addirittura ad attentare alla vita di Don Hector. Però la cosa gli si rivolta contro, rendendolo di fatto una vittima e una spia per Gus.
E questo non ha alcuna pietà nei suoi confronti, ma lo sfrutta fino all’ultimo, rendendolo il capro espiatoriodietro al quale nascondersi per la questione di Lalo.
Tuttavia Nacho, alla fine, riesce a prendersi la sua rivincita: prima di morire, sputa in faccia ad Hector tutta la verità e si toglie la vita da solo, andandosene secondo le sue regole.
L’ultimo nemico: Lalo Salamanca
L’ultimo nemico che Gus si trova a dover fronteggiare è Lalo, che cerca di riscattare la famiglia Salamanca.
Introdotto improvvisamente alla fine della quarta stagione, diventa da lì fondamentale. Infatti, quando sembrava che i Salamanca, con la dipartita di Hector, fossero diventati insignificanti, arriva Lalo.
Lalo è di fatto un’altra faccia di Gus: apparentemente amichevole e guascone, è in realtà un terribile macchinatore, spietato e vendicativo. Così crea tutto un’astuzia articolata per incastrare e smascherare Gus, portandolo ad un ultimo scontro finale.
Uno scontro che si risolve con la sua morte, ma che tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultimo.
E Lalo se ne va sempre a modo suo: con il sorriso.
Better Call Saul è il giusto finale
Il finale di Better Call Saul racchiude tutta l’essenza del personaggio.
Una carrellata di flashback, con tantissimi riferimenti alle stagioni passate (Jimmy che viene trovato in un cassonetto come nella prima stagione, l’inquadratura sul cartello EXIT mentre parla di Chuck…), che servono a chiudere il cerchio.
In questa puntata Jimmy è semplicemente Jimmy, che si riveste per l’ultima volta del personaggio di Saul: lo ha interpretato per tanti anni ormai, e in ultimo nella sua falsa testimonianza contro Kim.
Ma infine confessa: la prima vera confessione in cui accetta tutto quello che ha fatto, tutti i danni che ha provocato. E si dimostra, per una volta, veramente pentito.
E allora non sceglie più la via facile, non la pena ridotta tramite trucchetti. Al contrario pure tutta la vita in prigione, potendo scontare di meno con la sua buona condotta.
Ms Marvel è l’ultima serie dell’MCU uscita su Disney+ quest‘estate. Un prodotto che sembrava portare un po’ di aria fresca, sperimentando con il genere teen drama e facendo (a parole) espliciti paragoni con lo Spiderman di Tom Holland.
In realtà, ad eccezione delle prime due puntate, sostanzialmente è sempre la stessa minestra: una serie Marvel che segue i soliti schemi, con una produzione molto pasticciata e di grande mediocrità.
Di cosa parla Ms Marvel?
Kamala Khan è una ragazzina che abita nel Queens, parte della vivace comunità musulmana e grandissima fan di Captain Marvel. A sorpresa, grazie ad un amuleto della sua famiglia, acquisirà degli incredibili poteri che cambieranno completamente la sua vita.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Ms Marvel?
Dipende.
A mio parere questa serie vale la pena di essere vista unicamente per due motivi: se non volete (come me) perdervi nessun prodotto dell’MCU e se vi piacciono in generale le serie Marvel uscite finora.
Se avete paura di trovarvi davanti ad un prodotto teen, vi posso rassicurare: questo elemento è presente unicamente nelle prime due puntate, poi si perde con grande facilità.
In generale una serie molto discordante al suo interno, che sembra essere scritta da persone che non sono state in grado di comunicare, piena di contraddizioni e incapace di portare una produzione davvero organica.
Ma, di nuovo, se vi piacciono questo tipo di prodotti, guardatela senza problemi.
Cominciare in un modo, finire…
Come anticipato, questa serie manca, ancora più di altre serie di questa produzione, di una coerenza produttiva.
La serie infatti si apre con due puntate con una forte e anche piacevole impronta registica, che gioca sulla creatività della protagonista con toni fortemente teen. Due puntate che mi avevano abbastanza coinvolto.Poi sono andata avanti.
Infatti già dalla terza puntata si sono cominciati a vedere i problemi: una regia che, anche nell’ultimo capitolo, è diventata molto più spenta e anonima, oltre che poco chiara e convincente nelle scene action, dove la chiarezza scenica è fondamentale.
Per quanto riguarda la sceneggiatura, un vero pianto.
L’arco distruttivo
Se la regia può essere anche tutto sommato essere perdonata, la sceneggiatura è davvero improbabile. La serie comincia in un modo, raccontandoci i piccoli problemi della protagonista, poi decide totalmente di dimenticarsene, dirigendosi totalmente verso un’altra direzione.
Così ci troviamo una sconclusionatissima parentesi in Pakistan, che presenta i due principali problemi delle serie Marvel: buchi di trama e flashback di poco interesse. Le questioni irrisolte in questo frangente si sprecano: come ha fatto Kamala a convincere la madre ad andare dalla nonna?
I cugini non si sono chiesti niente della cugina che non tornava da loro? Come fanno i Jinn ad arrivare così velocemente in Pakistan e come facevano a sapere che Kamala era lì? E si potrebbe andare avanti.
Non si migliora neanche con l’ultima puntata, che sembra trarre dal genere home invasion e specificatamente da Mamma ho perso l’aereo(1990), ma che appare del tutto anti-climatica e poco coerente con l’insieme della narrazione.
Come detto, un grande pasticcio.
Quando i villain sono di troppo
Ms Marvel, se fosse stata coerente con sé stessa, non avrebbe avuto bisogno di villain, sicuramente non di villain così apparentemente importanti e minacciosi. Se si volesse essere coerenti, appunto, avremmo avuto delle piccole minacce di quartiere che permettevano a Kamala di avere un semplice ma efficace arco evolutivo.
Invece si è scelto di raccontare una minaccia per la sopravvivenza dell’universo, con una costruzione fra l’altro del tutto mancante: nel giro di una puntata Najma, il capo dei Jinn, cerca di portare Kamala dalla sua parte, per poi inalberarsi in un attimo quando la stessa non le da subito quello che vuole.
Così in un attimo diventa cattivissima e dice addirittura che Kamala l’ha tradita.
Personaggi che fanno un sacco di giri su sé stessi, con poteri poco chiari (Immortalità? Super forza? Creazione di armi?) e che sono resi ancora più ridicoli dalla società segreta che dovrebbe combatterli, ovvero i Pugnali Rossi: per come è messo in scena, sembra che sia composta da sole due persone.
Probabilmente la serie intendeva raccontare che i ragazzi che Kareem fa conoscere a Kamala al falò sulla spiaggia fanno parte del gruppo, ma non è per nulla chiaro.
Una protagonista interessante, tutto sommato
Una delle poche cose buone di questa serie è la protagonista, Kamala. Anzitutto, per la scelta dell’attrice: Iman Vellani non solo è una grande fan di Captain Marvel, ma è anche di per sé molto espressiva, riuscendo ad essere convincente anche alla sua prima apparizione televisiva.
Oltre a questo, Ms Marvel si inserisce nella fruttuosa serie di prodotti ideati da immigrati statunitensi di seconda generazione, pur con prodotti di dubbio gusto come Shang-chi (2021) e Red(2022).
In questo caso la rappresentazione della comunità musulmana è molto interessante: molto legata al proprio credo, ma anche aperta al cambiamento e complessivamente ben integrata nella realtà statunitense.
A guastare la credibilità del personaggio è in primo luogo la scrittura di cui sopra, ma anche la penosa CGI per i suoi poteri (e non solo).Mi ha ricordato molto quella meraviglia (si fa per dire) di Spy Kids, popolare saga di avventura per ragazzi dei primi Anni Duemila.
Cosa succede nel finale di Ms Marvel?
Il finale sembra aver confuso non pochi spettatori, quindi vale la pena di spenderci due parole. A differenza di come hanno pensato alcuni, la stessa showrunner ha confermato che Kamala non è diventata Captain Marvel, ma si è scambiata di posto con lei.
E questo sarà probabilmente uno dei momenti iniziali di The Marvels(2023), che rappresenta il sequel di più ampio respiro di Captain Marvel (2019) e che includerà indubbiamente anche Ms Marvel.
Oltre a questo, Kamala è una mutante: gli sviluppi di questa rivelazione sono ancora tutti da vedere, ma si inseriscono nelle bricioline che Kevin Feige, il capo dell’MCU, sta cercando di spargere per reintrodurre la sua versione degli X-Men.
Riscrivere un personaggio
Captain Marvelè stata introdotta nel film origin-story del 2019 omonimo, che è stato indubbiamente un grande successo commerciale, ma che non ha avuto la risonanza che ci si sarebbe forse aspettati per il film con la prima supereroina dell’MCU in un prodotto tutto suo.
E questo è dovuto probabilmente dal fatto che, molto ingenuamente, l’MCU ha preso come punto di riferimento una tendenza ben rappresentata da quella mediocrata di Wonder Woman (2017): raccontare personaggi femminili forti, testardi e fondamentalmente antipatici.
Come Gal Gadot può suscitare comunque un minimo di simpatia nel pubblico, Brie Larson ha la sfortuna di avere una faccia veramente antipatica. E la caratterizzazione che si è voluto dare nel suo film non l’ha aiutata.
Tuttavia, se andate a guardare le diverse apparizioni in altri film che si sono viste in questi anni, noterete un importante cambio di direzione: dopo Endgame (2019), in tutte le apparizioni Carol Danvers è presentata come decisamente più simpatica e generalmente più sorridente.
Space Force è una serie tv di Netflix creata da Greg Daniels, autore anche di The Office, e Steve Carell, che è il protagonista.
Un prodotto che è stato accolto abbastanza tiepidamente, soprattutto per una delusione dei fan storici di The Office. Ma proprio perché, secondo me, si sono fatti i confronti sbagliati.
In questa recensione, assolutamente senza spoiler, vi darò tre motivi per guardare almeno la prima stagione (a cui mi sono fermata, per ora).
Di cosa parla Space force?
Appena nominato generale a quattro stelle, il generale Naird viene messo a capo di una divisione militare per lo spazio chiamata Space force. La serie segue le sue vicissitudini nel dover portare risultati per mantenere in piedi la divisione, contro importanti minacce internazionali.
Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:
È un divertimento rilassato
Come detto, da questa serie non vi dovete aspettare The Office. L’umorismo per certi versi è simile, ma non vuole essere una sitcom (pure raffinata come The Office, appunto) che deve farti ridere continuamente.
Al contrario è una serie di genere commedia, piuttosto realistica, che fa ridere e appassionare ai suoi personaggi, che devono scontrarsi con problemi non da poco. Però sempre con un divertimento generalmente leggere e rilassato.
Non mancano le sottotrame più fini a se stesse e per la costruzione dei rapporti fra i personaggi, ma non mancano comunque tutte di un minimo di profondità e non sono solamente riempitive.
Steve Carell e John Malkovich a stessa serie
Direi che il titolo è esplicativo già da solo, ma in generale vi posso dire che la chimica fra questi due attori è davvero coinvolgente, addirittura toccante in certe scene. E entrambi hanno trovato un loro spazio.
Da una parte il generale Naird, un uomo di ferro, figlio di una cultura militarista e machista, ma che nasconde molte debolezze. Con uno Steve Carell al massimo della forma, con la sua esplosiva recitazione corporea e facciale con cui si fece conoscere fin da Una settimana da Dio(2003)
Il dottor Adrian Mallory è una sorta di grillo parlante per Naird, che cerca di portare l’amico e collega verso le scelte più giuste. Per la maggior parte del tempo è un personaggio contenuto e riflessivo, ma Malkovich non manca neanche di mostrare la sua verve comica, che ricordo fin da Burn after reading (2008)
Space Force parla di noi
Non propriamente di noi, ma sicuramente degli Stati Uniti a lui contemporanei. Facendo neanche troppa attenzione, si capisce che parla, pur nascondendo i personaggi dietro pseudonimi e non nominandolo esplicitamente, degli Stati Uniti di Trump.
E infatti non è una serie imbevuta di stereotipi tipici della cinematografia americana main stream, che individua ancora come nemico la Russia della Guerra Fredda, ma, al contrario, racconta la paranoia legata alla ben più importante minaccia cinese.
E affronta non di meno altri temi importanti come la cultura delle armi e tematiche morali inaspettate per un prodotto del genere.
Ma quindi, vale la pena di vedere Space force?
In generale, sì.
Non mi sento di venderla come serie imperdibile come può essere Severanceo un Better call Saul. Tuttavia è una serie che mi sento di consigliare se vi piacciono le serie comedy che non vi devono far sganasciare, ma intrattenere con un umorismo di buon livello e dei personaggi profondi e coinvolgenti.
Fra l’altro, con dieci puntate dalla durata molto contenuta.