Categorie
Avventura Commedia Dramma Giudiziario Drammatico Netflix Nuove uscite serie tv Serie tv

Better Call Saul – It’s all good, man.

Si è conclusa l’ultima stagione di Better Call Saul, la serie AMC (in Italia distribuita da Netflix) che racconta la nascita del personaggio di Saul Goodman, l’eccentrico avvocato che appare dalla terza stagione di Breaking Bad.

Si tratta quindi di uno spin-off, del migliore spin-off degli ultimi dieci anni (come minimo) e una delle migliori serie della storia della televisione, oltre che, per certi versi, anche più matura della serie madre. Se non sapete come approcciarvi alla serie, continuate a leggere. Se volete la recensione completa, passate direttamente alla parte spoiler.

Di cosa parla Better Call Saul?

Jimmy McGill è un ottimo avvocato, che però ha cominciato dal niente e deve occuparsi solo dei peggiori casi al tribunale pubblico. Ma lui ambisce molto di più, anche andandosi ad invischiare in giri poco puliti…

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

Si può guardare Better Call Saul senza aver visto Breaking Bad?

Bob Odenkirk e Bryan Cranson in una scena di Breaking Bad, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

In linea teorica, essendo un prequel, si potrebbe fare. Tuttavia avrebbe lo stesso senso di vedere la Trilogia Prequel di Star Wars prima della Trilogia Originale: nessuno.

Better Call Saul è una serie concepita proprio per chiudere il cerchio su alcune questioni di Breaking Bad, quindi vive in funzione di essa. Vederla senza avere in mente il punto di arrivo toglie tutto il fascino.

Quindi, anche se è un percorso lungo, cominciate da Breaking Bad e approcciatevi secondo i giusti tempi alla visione di Better Call Saul.

Vi assicuro che non ve ne pentirete.

Vale la pena di vedere Better Call Saul?

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Better Call Saul è una serie imperdibile per diversi motivi: anzitutto, è una narrazione complessivamente organica, pur con qualche deviazione dal percorso principale. Guardando Better Call Saul infatti si vede l’evoluzione perfettamente bilanciata di tutti i personaggi in scena.

Oltre a questo, i personaggi sono incredibili per più ragioni, anzitutto perché sono drammaticamente grigi: non ci sono spiccatamente positivi o spiccatamente negativi, ma figure multiformi, tormentate da drammi e tensioni che si evolvono perfettamente nel tempo.

Infine, come se tutto questo non bastasse, la regia e la scrittura sono ad un livello superbo. Una delle migliori serie mai prodotte, per l’appunto.

Il dramma di Saul in Better Call Saul

La figura di Saul si articola in diverse personalità e alter-ego che raccontano i diversi momenti della sua vita, ma tutte con elementi comuni.

Slipping Jimmy

Bob Odenkirk e Michael McKean in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La prima forma di Saul è Slippin Jimmy, un ragazzo che, fin da giovanissimo, era attirato verso le truffe e l’inganno del prossimo. In particolare il tutto si traduce in piccole e abbastanza patetiche truffe di strada con il suo amico Marco.

La fine di Slippin Jimmy è segnata da Chuck, che porta il fratello, dopo tanti anni che si era allontanato dalla famiglia, fuori di galera. Il tutto a patto che abbandoni quelle vesti e che metta la testa a posto.

Questo è il primo passo verso la transizione verso Jimmy McGill.

La chiusura definitiva avviene però solo più avanti, quando Jimmy torna per qualche tempo a fare truffe con Marco, fino alla morte dello stesso.

Jimmy McGill

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il concetto intorno a cui gira un po’ tutta la narrazione è di come Jimmy sia fin dall’inizio portato verso fare le cose in grande. Inizialmente era solo un innocuo impiegato nell’azienda del fratello, che si occupava della posta.

In questa fase conosce Kim, al tempo già considerata come una brillante promessa per la HHM, e che è in parte l’artefice del suo cambiamento. L’inizio di tutto avviene infatti in un giorno qualsiasi, quando Jimmy si sente inadeguato davanti a Kim e Chuck che parlano di un caso.

E così decide di avvicinarsi alla professione di avvocato, tenendolo però nascosto a tutti.

Jimmy McGill

Dopo essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo, ma senza essere accolto dentro alla HHM come sperava, comincia da zero presso il tribunale pubblico.

Jimmy incarna in questo senso veramente il sogno americano: un uomo lasciato a sé stesso, che nessuno aiuta e che, se non fosse così caparbio e pronto tutto, non arriverebbe da nessuna parte.

La figura di Jimmy McGill è la parte onesta di Saul: sicuramente non lavora sempre in favore della verità e della giustizia, ma nel complesso è portato verso la via più onesta e giusta.

Tuttavia, alla prova dei fatti, Jimmy non può essere veramente quella persona (almeno fino alla fine).

In questo senso è emblematico, all’inizio della seconda stagione, l’assunzione per Davis & Main: fin da subito Jimmy capisce che quel posto è perfetto, ma non adatto a lui.

E lo capisce per un evento banale, ma piuttosto eloquente, quando non riesce a trovare un posto per il thermos regalatogli da Kim nella nuova macchina aziendale, tanto da arrivare a rompere il vano per farcela stare.

E, lentamente, capisce che questa vita non è quella che più gli si addice.

Saul Goodman

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Saul Goodman è l’alter ego più importante di Jimmy, sempre presente e sotterraneo, pronto ad emergere.

Lo vediamo già quando promuove con degli spot televisivi il suo servizio di legge per gli anziani, nel suo modo di trattare i clienti, e, infine, quando deve scegliersi un nome per vendere gli spazi pubblicitari nella terza stagione.

It’s all good man.

Saul è una figura vincente, potente e infallibile, che non si ferma davanti a nulla.

Passo passo

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il passaggio verso Saul è definito da più momenti emblematici, cominciando da quando, nella quarta stagione, dopo aver perso la carica di avvocato, passa un anno a lavorare in un negozio di cellulari.

E da subito trova un modo per sfruttare la situazione, creando questa realtà fittizia in cui ci ascoltano e in cui un cellulare usa e getta e non tracciabile, ovvero il suo prodotto, è assolutamente indispensabile.

La situazione è perfettamente definita quando Jimmy recupera la carica di avvocato, e decide di operare sotto un altro nome: Saul Goodman.

E si presenta subito ai clienti peggiori nel migliore dei modi: in una fiera di paese facendo un’offerta sui telefoni e offrendo sconti come un qualunque commerciante da strapazzo.

Ma questo è solo un avvocatucolo che aiuta i disperati, mentre per diventare davvero Saul Goodman e lavorare con i peggiori criminali bisogna aspettare la quinta stagione, quando Lalo gli chiede di intervenire per difendere Krazy8.

Il passo successivo non può essere che diventare avvocato di Lalo, il suo mulo, attraversare il deserto ed essere coinvolto in una sparatoria. Ma alla fine accettando tutto: il caldo, bere la propria urina, il viaggio sfiancante.

Il momento definitivo per Saul Goodman è l’abbandono di Kim: come dopo la morte di Chuck, Jimmy non ha più nessun motivo per essere Jimmy McGill.

Gene

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Saul è un personaggio eccessivo, quasi autodistruttivo.

E infatti, anche se non del tutto per colpa sua, Jimmy è costretto, alla fine di Breaking Bad, ad abbandonare le vesti di Saul. E allora diventa un mediocre commesso ad un negozio di Cinnamon Rolls in un centro commerciale, sotto al nome di Gene Taković.

La regia delle puntate del presente è davvero singolare: scene del tutto sui toni del bianco e nero, con musica malinconica, con cui solitamente si ambienterebbe una scena del passato.

Un forte contrasto con la fotografia generale della serie, che invece ha colori molto pieni. Quindi il presente è la realtà svuotata e senza significato, mentre il passato, nonostante tutte le vicissitudini anche terribili, era quello che valeva la pena vivere.

Il personaggio di Gene ci viene veramente rivelato nell’ultima stagione, quando si trova costretto ad architettare il furto al centro commerciale. Una macchinazione lunga e complessa, degna di Saul, che ha successo solo per la sua grande capacità di immedesimarsi in un personaggio.

E di raccontare, alla fine, la sua storia.

E da lì, ricomincia in parte ad essere di nuovo Saul.

Il rapporto con Chuck in Better Call Saul

Dipendenza

Il personaggio di Jimmy è fin da subito raccontato anche attraverso il suo rapporto con Chuck, il fratello che si crede malato e che Jimmy sa benissimo che non lo è.

Inizialmente, dopo essersi legato con il fratello la promessa di prendere una strada migliore per la sua vita, è incredibilmente timoroso nel deluderlo, nonostante Chuck dimostri più volte di non saper riconoscere le capacità del fratello.

Così, ad esempio, nella prima stagione, quando diventa per caso un eroe locale, lo nasconde consapevolmente a Chuck, per paura che il fratello possa pensare che di nuovo voglia mettersi in affari poco puliti.

E il suo desiderio di farsi riconoscere da Chuck ha radici molto lontane.

Dopo la parentesi disastrosa di Slippin Jimmy, Jimmy si rimette in piedi, lavora sodo e acquisisce il titolo di avvocato. Tuttavia questo non gli viene veramente riconosciuto né da Chuck né dalla HHM.

Si nota molto bene nella scena della prima stagione, quando Jimmy gli annuncia la sua carica di avvocato appena acquisita: Chuck gli rivolge dei sorrisi poco sinceri e stentati, e non lo sostiene davvero come dovrebbe.

Il primo momento di rottura arriva sempre durante il primo ciclo di episodi, quando Chuck ammette chiaramente e candidamente che il fratello non è un vero avvocato, e che la sua formazione non vale nulla.

Conflitto

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il conflitto si accentua ancora di più con la nuova assunzione di Jimmy per Davis & Main nella seconda stagione.

Tuttavia fin da subito si conferma la bellezza del personaggio di Chuck: non banalmente cattivo, ma incredibilmente tridimensionale, che dal suo punto di vista ha tutte le buone ragioni del modo.

Per tutta la serie Chuck considera Jimmy ancora come Slippin Jimmy, non riesce a superare questa figura. Uno dei momenti più evidenti è l’incontro di Jimmy con Rebecca, la moglie di Chuck.

In quell’occasione il fratello si preoccupa in maniera anche piuttosto antipatica che Jimmy possa essere fastidioso per Rebecca, e, quando invece si rivela una piacevole compagnia, si dimostra infastidito.

Altro momento chiave che racconta le origini del conflitto è il racconto di Chuck a Kim riguardo al padre: un uomo specchiato, che aveva messo tutto sé stesso nel suo piccolo negozio, che si era visto costretto a chiudere per i ripetuti furtarelli di Jimmy.

E, come racconta Chuck, il padre non ci voleva credere, ed era morto poco dopo, con grandissimo dispiacere di Jimmy.

Quindi Jimmy per lui non è una persona cattiva, ma non può evitare di fare cose sbagliate e danneggiare gli altri. E sono sempre gli altri a rimetterci. Oltre a questo, Chuck non può sopportare che Jimmy sia sempre perdonato da tutti.

Questo antagonismo, neanche troppo sotterraneo, sfocia nella vendetta.

Vendetta

Bob Odenkirk e Michael McKean in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La spirale distruttiva del loro rapporto nasce dalla follia di Jimmy di far credere a Mesa Verde che Chuck sia stato incapace di redigere i giusti documenti, facendo un banalissimo errore di inversione di due cifre dell’indirizzo della sede.

Questo piano fa uscire di testa Chuck, che fa di tutto per dimostrare la sua innocenza, arrivando a registrare la confessione di Jimmy.

E questo, apparentemente per dare una lezione al fratello, in realtà volendo ossessivamente dimostrarne l’inferiorità. Questo porta alla denuncia con cui Jimmy rischia di perdere il ruolo di avvocato e al terribile processo in cui Jimmy umilia e rivela come in realtà Chuck non sia veramente malato, almeno non di quello che racconta.

Da qui Jimmy, pur avendo una rivincita temporanea, non riesce a rimettersi in piedi e per questo si prende la rivincita decisiva: finge di dispiacersi per il fratello davanti all’impiegata attonita dell’assicurazione, svelando la situazione mentale del fratello e i grossi errori che sta facendo, cosa che la HHM aveva cercato di nascondere.

In questo momento Chuck sembra sicuro di sé stesso, ma in realtà è solamente apparenza.

Basta infatti arrivare al punto di chiudere con Howard, danneggiarlo economicamente con l’assicurazione, minacciare di denunciarlo e, infine di non accettare il tentativo di ricongiungimento con Jimmy, anzi sminuire del tutto il loro rapporto.

E, infine, perdere totalmente il controllo e togliersi la vita.

Rinascita?

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Dopo la sua morte, Jimmy resta in quasi completo silenzio per un’intera puntata.

Sa in cuor suo che il motivo per cui Chuck ha perso infine la testa è colpa sua. Ma, appena Howard racconta i suoi sensi di colpa, invece che ammettere quello che ha fatto, si sente immediatamente liberato dalle sue colpe. E torna alla vita.

La freddezza di Jimmy nei confronti del fratello si vede soprattutto quando legge con grande serenità la lettera di addio di Chuck, mentre Kim si commuove.

Ma l’ombra di Chuck lo perseguita: quando dovrebbe riconquistare il ruolo di avvocato, fa un discorso veramente bello e sentito alla commissione. Tuttavia non nomina Chuck e, per questo, viene considerato poco sincero.

Allora Jimmy, pur di riconquistare il suo ruolo, sfrutta la commozione che tante bugie ben piazzare posso creare e rende protagonista Chuck del suo monologo. E infine riesce a tornare avvocato, ma in realtà diventa di più: si registra come Saul Goodman.

Finalmente si è liberato di Chuck.

It’s all good man!

Il rapporto con Kim in Better Call Saul

L’influenza (positiva) di Kim

Bob Odenkirk e Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il personaggio di Kim è la controparte morale di Jimmy, il punto di riferimento positivo che riporta il personaggio sui suoi passi e verso le migliori decisioni.

La relazione con Kim si forma molto lentamente: si capisce fin da subito che i due hanno una relazione sessuale, ma poco altro. Sicuramente erano grandi amici da tempo, come si vede con i flashback di quando lavoravano insieme alla HHM.

Per tutto il tempo Kim è consapevole del personaggio di Jimmy e, non a caso, all’inizio della seconda stagione, cerca di mettere un paletto alla loro relazione: niente più attività illegali.

Tuttavia fin da subito Jimmy, per tutta la questione di Sandpiper e la class action, si dimostra ben poco trasparente, andando incontro ad azioni che potrebbero costargli il titolo di avvocato. E, continuamente, Kim va in suo soccorso, salvandolo da ogni problema.

Definirsi tramite Kim

Così Jimmy scegliere di rinunciare anche a guadagni facili e sicuri per aiutare Kim: così rinuncia ad aiutare i Kettleman nelle loro azioni legali per fare in modo che Kim ne risulti vincente, dopo che aveva quasi perso la faccia per questo cliente.

Così aiuta Kim nella pazzia che porterà al processo contro Chuck, facendo credere che il fratello abbia fatto un errore banalissimo come sbagliare l’indirizzo della sede, di nuovo per mettere in buona luce Kim.

La trasformazione verso Saul è definita tanto più Jimmy si allontana da Kim e le nasconde le sue azioni. In particolare nella terza stagione quando Jimmy porta avanti la sua attività poco trasparenti vendendo cellulari usa e getta, i due sembrano vivere due vite separate.

Addirittura Kim, per evitare di dover tornare sui suoi passi e lavorare con Jimmy, si rivolge a Schwaikart per coprire Mesa Verde e lo spaccia come se glielo avessero offerto loro.

La parte oscura di Kim

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il personaggio di Kim è peggiorato da Jimmy, e lei stessa si lascia trascinare nelle truffe e nei loro inganni.

Queste scappatelle sembrano l’unico momento di eccitazione per Kim, nonostante rappresentino la sua parte più negativa, da cui sembra sempre cercare di distaccarsi. Ma, come ammette lei stessa nell’ultima stagione, era troppo divertente.

Questa situazione inizialmente è anche innocua, limitata a piccole truffe con avventori dei bar, come puro divertimento senza conseguenze. Ma la situazione diventa incontrollabile con il piano per screditare Howard, che è Kim stessa a suggerire alla fine della quinta stagione.

Il piano è folle, arzigogolato, ma progettato e portato avanti con grande intensità da Kim stessa, che addirittura rinuncia ad un importantissimo appuntamento lavorativo per poter portare a termine efficacemente il piano, diventato quasi un’ossessione.

Quando Kim si distacca da questa parte più oscura di sé stessa, si rende conto che tutto è fuori controllo. Così, quando cerca di far quadrare la relazione e sposare Jimmy, con un tentativo disperato di far quadrare la situazione.

Infatti, appena Jimmy comincia a dirle la verità e lei prova ad opporsi, si rende conto di non avere comunque nessun potere su di lui e sulle sue scelte.

Dopo Kim

Bob Odenkirk in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

L’abbandono di Kim è l’ultimo momento del passaggio a Saul Goodman.

Un’ellissi temporale improvvisa, ma forse dovuta, che ci lascia senza parole. E vediamo Saul che è davvero Saul, in una casa incredibilmente cheap, un atteggiamento e una presenza scenica che lo rende quasi una macchietta di un truffatore di terza categoria.

Ed è praticamente quello che abbiamo visto in Breakin Bad.

Solo che ora sappiamo tutto il dramma che c’è dietro. Ed è ancora più devastante per l’atteggiamento davvero meschino che Saul ha nei confronti di Kim: sia nella scena dove firmano le carte del divorzio, sia quando la chiama nel presente e comincia ad attaccarla verbalmente.

Jimmy, senza Kim, è un uomo totalmente perso.

Il personaggio di Kim

Farsi da soli (per bene)

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Come Jimmy, anche Kim è una donna che si è fatta da sola.

Da anni sotto l’egida della HHM, deve pagare con i soldi e con il tempo la sua possibilità di fare carriera. Non a caso nei flashback la si vede lavorare nel seminterrato e insieme a Jimmy.

Infatti negli Stati Uniti la cosiddetta law school è frequentabile solo dopo l’università, già di per sé molto costosa. E per questo ci si fa aiutare da firme importanti per la parte di studio con l’idea di poter poi fare carriera.

Il primo momento importante avviene alla fine della seconda stagione, quando Kim riesce finalmente a mettersi in proprio con Jimmy, prendendosi sulle spalle tutto il peso del caso di Mesa Verde.

Un peso abbastanza terribile, ancora più appesantito dalle azioni di Jimmy: per quanto il trucco folle dello scambio di numeri nell’indirizzo di Mesa Verde le permetta di ottenere il cliente, proprio per questo Kim diviene ossessionata per la minima virgola.

Kim è apparentemente inarrestabile e raggiunge il suo apice quando sceglie di accettare un altro cliente oltre a Mesa Verde, in realtà solo per dimostrare ad Howard, oltre che a sé stessa, di saper fare tutto.

Da qui si innesca un climax delirante, che raggiunge l’apice con l’improvviso e inaspettato incidente d’auto.

Trovare la propria strada

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Il momento successivo con cui Kim cerca di essere felice è quando decide di dedicarsi alle cause pro bono.

Col tempo il lavoro per la banca diventa sempre più un obbligo che un piacere, tanto che Kim, pur di salvare l’uomo che Mesa Verde cerca di sfrattare dalla sua casa, va contro il suo cliente e complotta con Jimmy per mettergli i bastoni fra le ruote.

Il momento finale è il distacco definitivo da Mesa Verde, per dedicarsi definitivamente alle cause pro bono. Questa situazione di apparente felicità è totalmente guastata dal suo cercare di stare dietro a Jimmy e alle sue pazzie, con il climax, appunto, rappresentato dal piano ai danni di Howard.

E il punto più basso è proprio al funerale della loro vittima: se guardate il dialogo fra lei e la vedova di Howard, noterete il gesto che fa Kim con la mano prima di inventare la peggiore calunnia che poteva inventarsi: è il gesto tipico di Saul Goodman.

A quel punto Kim capisce di aver davvero dato il peggio di sé, e finalmente parla a cuore aperto.

E scappa.

Reinventarsi

Rhea Seehorn in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La conclusione della storia di Kim è complessivamente positiva e di fatto analoga al percorso che abbiamo visto nel resto della stagione.

Kim deve distaccarsi dalla sua vecchia vita, è obbligata ad un lavoro ed a delle frequentazioni che in maniera evidente non sono alla sua altezza e non la soddisfano.

Cerca parzialmente di riabilitarsi portando la sua confessione riguardo alla vicenda di Howard alla polizia. Ma in realtà questa stessa si rivela fondamentalmente inutile, perché probabilmente non porterà ad una vera punizione.

E trova infine una realizzazione proprio in pro-bono, ma in forma diversa: un’associazione per aiutare le donne vittime di violenza, una buonissima causa dove può finalmente ritrovare sé stessa, pur dopo aver perso tutto.

Il personaggio di Mike in Better Call Saul

Gli inizi

Johnathan Banks in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Mike inizialmente appare come il tenace e silenzioso operaio del parcheggio, ma noi da Breaking Bad sappiamo di che personaggio si tratta.

Cominciano a vedere la sua storia solamente a metà della prima stagione: in un commissariato totalmente corrotto, il figlio Matt non volevo farsi coinvolgere nel giro di mazzette e viene, per questo, ucciso.

E la storia di Mike inizia proprio con la sua vendetta per il figlio compianto.

La sua vita criminale vera e propria nasce più per bisogno che per volontà: come potrebbe godersi la pensione, Mike decide invece di aiutare economicamente la famiglia che gli è rimasta, anche se questo significa andarsi a cacciare nuovamente in attività al limite della legalità.

Tuttavia una cosa non può sopportare: uccidere qualcuno, arrivare a quel livello. E infatti nella seconda stagione preferisce fare picchiare a sangue da Tuco piuttosto che ucciderlo.

Una morale di ferro

Johnathan Banks e Giancarlo Esposito in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Solo nella terza stagione Mike viene per la prima volta a contatto con Gus, proprio per la questione di Hector, e diventa direttamente suo dipendente. Questo suo nuovo rapporto, ben più pericoloso che fare il bodyguard per scambi commerciali poco puliti, dovrebbe mettere in discussione la sua moralità.

Ma Mike è un uomo di ghiaccio, indurito dalla vita, che non ha paura di niente, neanche di mettersi contro Gus. Il momento decisivo è la quinta stagione, quando Mike si trova a gestire le teste calde degli operai che dovrebbero costruire il futuro laboratorio di Gus.

Mentre il problema sembrano i ragazzi più giovani che Mike tratta col pugno di ferro, in realtà la mina vagante è Wilmer, il caposquadra. Lo stesso scappa per andare a trovare la moglie, sicuro di poterla passare liscia.

Ma, nonostante Mike cerchi di salvarlo in tutti i modi, non può salvarlo dal giudizio di Gus.

E ed è costretto, contro ogni suo principio, a ucciderlo a sangue freddo.

Howard in Better Call Saul

Un villain…

Patrick Fabian in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Howard non è propriamente un villain di Better Call Saul, ma è certamente un antagonista importante per la maggior parte della serie.

Possiamo dire quasi che è un antagonista nella mente di Jimmy, che lo vede come tale e cerca di mettersi in opposizione con lui, prendendo sulle spalle la vendetta insoluta verso il fratello.

Più avanti nella prima stagione scopriamo che l’odio di Jimmy per Howard ha radici più profonde: era stato Howard a dirgli, con assoluta freddezza e mancanza di tatto, che non l’avrebbero assunto per la HHM, nonostante avesse conseguito il titolo di avvocato.

Tuttavia poi veniamo a scoprire che Howard per due volte ha negato il ruolo a Jimmy, ma non per sua volontà, ma su richiesta di Chuck.

E così il personaggio ha una profondità decisamente diversa.

…o la vittima?

Patrick Fabian in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

In generale, Howard rimane un personaggio di difficile lettura.

Come sembra spietato ed eccessivamente severo per come tratta più volte Kim nelle prime stagioni, così è lui stesso le rivela che era più severo con lei perché pensava dovesse spingerla a dare il meglio di sé.

Una sorta di antagonista che non sa di essere un antagonista.

E infatti dimostra tutte le sue buone intenzioni quando, con grande ingenuità, offre a Jimmy di tornare da HHM come avvocato. Invece Jimmy lo disprezza, cerca di metterlo in difficoltà, di punirlo, a parole per aver ucciso il fratello, nella realtà come capro espiatorio per la sua frustrazione verso Chuck e la HHM.

E alla fine lo uccide veramente.

L’ascesa di Gus in Better call saul

L’ossessione per Hector

Mark Margolis in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

Better Call Saul si propone anche di raccontare l’ascesa di Gus come magnate della droga e come lo vediamo in Breaking Bad. In realtà Gus non lo vediamo di fatto molto diverso o con una vera evoluzione: appare da subito come freddo e calcolatore.

Il primo approccio al personaggio è nella seconda stagione, con il personaggio di Mike: Gus lo incoraggia a danneggiare la catena operativa del suo avversario, ma non vuole che lo uccida.

Solo Gus può uccidere Hector (e viceversa).

E infatti Gus è ossessionato da Hector, tanto che, quando questo è in coma, solo lui vuole decidere come intervenire sulla sua sorte. E, quando vede che effettivamente Hector è ancora sé stesso, solo paralizzato, decide che può essere lasciato così, senza provare a migliorare ulteriormente.

Ma di fatto noi sappiamo che Gus sta sottovalutando Hector, che si rivelerà una minaccia ben maggiore successivamente.

La vera malvagità: Nacho

Michael Mando in una scena di Better Call Saul, serie tv AMC in Italia distribuita da Netflix

La vera malvagità del personaggio di Gus si vede nel suo rapporto con Nacho, che comincia inizialmente come personaggio secondarissimo, prima nel ruolo del piccolo pesce che si approfitta della situazione per condurre i suoi affari sottobanco.

Una figura abbastanza imperscrutabile, che si preoccupa profondamente per il padre, arrivando addirittura ad attentare alla vita di Don Hector. Però la cosa gli si rivolta contro, rendendolo di fatto una vittima e una spia per Gus.

E questo non ha alcuna pietà nei suoi confronti, ma lo sfrutta fino all’ultimo, rendendolo il capro espiatorio dietro al quale nascondersi per la questione di Lalo.

Tuttavia Nacho, alla fine, riesce a prendersi la sua rivincita: prima di morire, sputa in faccia ad Hector tutta la verità e si toglie la vita da solo, andandosene secondo le sue regole.

L’ultimo nemico: Lalo Salamanca

L’ultimo nemico che Gus si trova a dover fronteggiare è Lalo, che cerca di riscattare la famiglia Salamanca.

Introdotto improvvisamente alla fine della quarta stagione, diventa da lì fondamentale. Infatti, quando sembrava che i Salamanca, con la dipartita di Hector, fossero diventati insignificanti, arriva Lalo.

Lalo è di fatto un’altra faccia di Gus: apparentemente amichevole e guascone, è in realtà un terribile macchinatore, spietato e vendicativo. Così crea tutto un’astuzia articolata per incastrare e smascherare Gus, portandolo ad un ultimo scontro finale.

Uno scontro che si risolve con la sua morte, ma che tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultimo.

E Lalo se ne va sempre a modo suo: con il sorriso.

Better Call Saul è il giusto finale

Il finale di Better Call Saul racchiude tutta l’essenza del personaggio.

Una carrellata di flashback, con tantissimi riferimenti alle stagioni passate (Jimmy che viene trovato in un cassonetto come nella prima stagione, l’inquadratura sul cartello EXIT mentre parla di Chuck…), che servono a chiudere il cerchio.

In questa puntata Jimmy è semplicemente Jimmy, che si riveste per l’ultima volta del personaggio di Saul: lo ha interpretato per tanti anni ormai, e in ultimo nella sua falsa testimonianza contro Kim.

Ma infine confessa: la prima vera confessione in cui accetta tutto quello che ha fatto, tutti i danni che ha provocato. E si dimostra, per una volta, veramente pentito.

E allora non sceglie più la via facile, non la pena ridotta tramite trucchetti. Al contrario pure tutta la vita in prigione, potendo scontare di meno con la sua buona condotta.

D’altronde, it’s all good man.

Categorie
Dramma Giudiziario Drammatico Mistero Netflix Serie tv Thriller

Anatomy of a scandal – Not that type of man

Anatomy of a scandal, noto in Italia come Anatomia di uno scandalo, è una miniserie uscita quest’anno su Netflix.

Un buon prodotto di genere legal drama in cui si parla in maniera interessante e realistica di un caso di violenza sessuale. Non a caso il creatore è lo stesso di serie ottime (e anche dalle dinamiche simili) come The Undoing e Big Little Lies.

Di cosa parla Anatomy of a scandal?

James Whitehouse, un importante parlamentare britannico, viene coinvolto in uno scandalo per una relazione extraconiugale con una sua dipendente. La situazione si complica quando la sua amante lo accusa di stupro, portando il caso in tribunale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Anatomy of a scandal?

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Come anticipato, Anatomy of a scandal è un racconto non poco interessante per il tipo di rappresentazione il più possibile realistica di un caso di violenza sessuale.

Per questo è necessario anche fare un trigger alert, in quanto da questo punto di vista, pur senza esagerare sul dramma, si parla in maniera molto esplicita della questione. E questo potrebbe non essere digeribile per tutti.

Tuttavia se riuscite a sostenere questo tipo di argomenti e vi piacciono i legal drama che tengono col fiato sospeso, non ve la potete perdere.

James: raccontare il mostro

La parte decisamente migliore di questa serie è il tipo di rappresentazione dello stupratore: non un mostro, una persona instabile e cattiva, ma un uomo insospettabile, con la faccia pulita, nonché un marito affettuoso e attento.

E i suoi comportamenti non sono dovuti ad una malvagità intrinseca, ma il prodotto di un tipo di cultura machista in un ambiente protetto e inaccessibile. Quando James dice di non aver stuprato quelle donne, lo crede veramente. Quando dice che lei ha detto di no, ma intendeva sì, lo pensa veramente.

L’idea che una donna possa dirgli di no e non voler veramente avere un rapporto con lui non è contemplata, anche perché sembra non interessarsi per nulla al piacere della sua amante, ma solo al poter sfogare il suo desiderio sessuale nato in momenti di particolare stress emotivo.

E questo, nel contesto in cui è stato cresciuto ed educato, è del tutto normale e accettabile.

Sophie: l’ancella silenziosa

Il percorso di Sophie è altrettanto interessante: inizia come moglie e madre modello, che ha sempre sostenuto suo marito in tutto, e anche con la sindrome della crocerossina. E per la maggior parte del tempo sostiene il marito, anche stressata da tutti dalla necessità di dover perdonare il marito, perché boys will be boys.

Ma il dubbio, l’idea che il marito in realtà non sia così meritevole di essere supportato le cresce dentro per tutta la stagione. E alla fine conclude cercando di mettere il marito almeno davanti ad una parte delle responsabilità che si è rifiutato di affrontare.

Kate: la vittima sepolta

Il grande colpo di scena è la rivelazione della vera identità di Kate: in realtà è Holly Berry, la compagna di corso di Sophie che è stata stuprata da James vent’anni prima.

Una donna che ha portato dentro di sè per tantissimo tempo questo segreto e questo peso, arrivando addirittura a cambiare nome e identità. E combatte ogni giorno per aiutare altre vittime ad ottenere la loro verità. E alla fine, quando almeno sa che un po’ di giustizia è stata fatta, guarda in camera con sguardo sereno.

Una regia fra specchi e montaggio ad arte

Sienna Miller in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

La regia di questa serie l’ho trovata veramente incredibile: questo montaggio dinamico, per cui i personaggi emergono dai flashback e tornano nel presente, per raccontare la loro verità.

Così questo uso interessantissimo degli specchi, che mostra la doppiezza sia di Kate che di James, che nascondono ben altro di quello che mostrano. E l’unica invece fuori da questa dinamica è Sophie: l’unica che non ha niente da nascondere.

Perché il finale di Anatomy of a scandal non mi ha convinto

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Per quanto abbia apprezzato il fatto che realisticamente James venga assolto dal caso, non mi ha del tutto convinto questo tipo di narrazione del finale. Troppo improvviso per certi versi, come se Sophie, più che mettere il marito davanti ad una responsabilità, lo volesse punire.

E non viene poi mostrato molto, se non Tom e James arrestati, senza aggiungere altro. Una sorta di finale consolatorio, che forse voleva correggere la direzione troppo cruda e drammatica che aveva preso fino a questo punto.

Categorie
Avventura Azione Drammatico Fantascienza Nuove uscite serie tv Prime Video Serie tv

The Boys 3 – Niente di nuovo

The Boys 3 è la terza stagione di una delle serie di punta di Prime Video. Un prodotto che è partito come fondamentalmente rivoluzionario per il genere, perdendosi già dalla seconda stagione in una scrittura poco indovinata.

Tuttavia al contempo per molti è una semplice serie di intrattenimento spicciolo che riesce a sorprendere e ad emozionare, nonostante tutto. E per certi versi va bene così.

Se sapete nulla di The Boys e non sapete se può fare per voi, continuate a leggere. Altrimenti, passate direttamente alla parte spoiler cliccando qui.

Di cosa parla The Boys

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

In una realtà parallela simile alla nostra, i supereroi sono prodotti di una multinazionale che li sfrutta e li controlla come armi e come prodotti di marketing.

Hughie, un ragazzo normalissimo che non ha mai avuto niente a che fare con i super, viene coinvolto in una inaspettata tragedia. Questo lo porterà a far parte del gruppo dei Boys, che cerca di opporsi ai super e al loro strapotere.

Una tendenza mai sbocciata

Al tempo The Boys sembrava una tendenza nuova per il genere supereroistico. In realtà è stato un fenomeno che è nato e morto con questo prodotto, ritrovando una nuova vita solamente in pochi prodotti di successo come Invincible.

Il problema è probabilmente che questo tipo di narrazione non può essere replicato più di tanto, se non proponendo la stessa medesima storia con qualche piccola differenza.

The Boys può fare per me?

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

The Boys è una serie famosa per essere molto violenta e splatter, ed effettivamente è così. Tuttavia non vi dovete immaginare una violenza orrorifica, ma, al contrario, molto cartoonesca, alla The Suicide Squad (2021).

Se riuscite a sopportare questo aspetto, in generale almeno per la prima stagione è stata una serie che ha portato un po’ di freschezza al genere, pur poi perdendosi in se stessa.

Ma se, appunto, vi aspettate un intrattenimento spicciolo e molto spesso caciarone, potrebbe anche piacervi. Insomma, provate e, se vi stufa già alla seconda, mollate: non vi perderete molto.

Di cosa parla The Boys 3?

Il gruppo dei Boys si trova a combattere con un nuovo nemico: Soldier Boy, un vecchio supereroe che è tornato fra loro. Lo stesso però potrebbe essere il modo di uccidere finalmente Homelander…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere The Boys 3?

Karen Fukuhara, Karl Urban, Tomer Kapon e Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Dipende: se vi è piaciuta la seconda stagione, soprattutto se vi è piaciuta molto, decisamente sì. La strada presa è sempre quella: un prodotto con poche pretese, che cerca di scioccare ingenuamente lo spettatore con tanti fuochi d’artificio, ma con nessun contenuto rilevante. E piegandosi del tutto alla necessità, appunto, di farci rimanere a bocca aperta.

Se, al contrario, la seconda stagione vi è piaciuta poco e vi siete già stancati di questa serie, non vi dico di non guardarla, ma di avere semplicemente la consapevolezza che non troverete niente di diverso come dinamiche e scrittura.

Il gusto dell’eccesso

Jack Quaid, Karl Urban, Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un aspetto che mi ha sinceramente infastidito, soprattutto nelle prime puntate, è stato questa continua insistenza nel voler stupire lo spettatore con violenza gratuita ed altre scene sconvolgenti.

Tuttavia certe scene, soprattutto se reiterate gratuitamente troppe volte in un solo episodio, non mi danno la sensazione di qualcosa di sconvolgente, ma di maldestri tentativi di voler sembrare molto alternativi e senza freni.

Per fortuna dopo la metà della stagione si torna su binari più controllati, riuscendo a farmi sentire effettivamente intrattenuta e stupita da quello che stavo vedendo sullo schermo.

Soldier Boy: un nuovo amore

Per me Solider Boy è stata la parte migliore della stagione. Anzitutto per l’ottima recitazione di Jensen Ackles, che mi ha fatto totalmente innamorare del suo personaggio. Divertente, convincente, poliedrico: un’ottima nuova introduzione che hanno deciso stupidamente di buttare via.

Probabilmente la scelta peggiore di tutta la serie, che ha gettato alle ortiche un personaggio nuovo e da scoprire, che avrebbe potuto davvero portare linfa nuova e nuove trame a The Boys. Invece si è deciso di liberarsene con scelte pigre ed raffazzonate.

Come sempre, niente di nuovo

Anthony Starr, Erin Moriarty in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Una brutta tendenza che ha preso The Boys fin dalla seconda stagione è la sua incapacità di rinnovarsi, continuando a girare in tondo su se stessa, riducendo i villain alle minacce della settimana, senza che portassero effettivamente ad una progressione della trama.

Di fatto, alla fine della stagione ci hanno buttato in faccia tante cose nuove e sconvolgenti, che però non sono state per nulla costruite, ma sono state appunto buttate lì, come sempre, per stupire lo spettatore. E nient’altro.

Perché Ryan ha questo cambio di idee su Homelander? Perché gli altri personaggi sembrano dimenticarsi che l’obbiettivo della stagione era proprio quello di uccidere Homelander? Perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa della Neuman, personaggio sostanzialmente inutile per l’intera stagione?

Ma parliamo della Newman.

L’inaspettata inutilità della Neuman

Claudia Doumit in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

La Neuman doveva essere la grande minaccia della stagione, anche perché ne rappresentava la rivelazione e il cliff-hanger finale dello scorso ciclo di episodi. Invece, tranne per pochi momenti all’inizio e alla fine, è un personaggio fondamentalmente inutile.

Il suo segreto viene rivelato quasi immediatamente, e, lentamente, sparisce di scena. Non sembra più importante, finché non la riportano prepotentemente in scena per la grande sorpresa finale della stagione. E, a questo punto, non ho nessuna aspettativa per il suo personaggio, visto che potrebbero di nuovo dimenticarsene dopo poche puntate.

Il secondario riempitivo

Karen Fukuhara in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un altro grande problema della stagione è quello di tenere in caldo una serie di personaggi secondari che non aggiungono niente alla trama, ma che servono solo per raggiungere un certo minutaggio.

Cominciamo ovviamente da Kimiko e Frenchie, che hanno tutta una loro trama a parte che gira in tondo per tornare al punto di partenza. Poi Abisso, che sembrava importante all’inizio della stagione, totalmente inutile. Per non parlare di A-Train, con una trama inutilissima e un’ottima conclusione servita su un piatto d’argento, ma del tutto sprecata.

Insomma, una serie che si conferma per nulla coraggiosa e del tutto incapace di rinnovarsi.

Categorie
Avventura Azione Drammatico Fantascienza Horror Mistero Netflix Nuove uscite serie tv Serie tv Stranger Things 4 Teen Drama Thriller

Stranger Things 4 – La grande abboffata

Stranger Things 4 è la quarta stagione di una delle serie più amate di Netflix.

Un nuovo ciclo di episodi tornato dopo tre anni di assenza, e con una veste del tutto nuova: episodi dalla durata monumentale (minimo un’ora l’uno) e una distribuzione spezzata, con gli ultimi due episodi rilasciati a distanza di un mese.

Con questa stagione i Duffer Brother hanno voluto fare un grande passo avanti, anche se non riuscendoci fino in fondo.

Anzi, fallendo in alcuni aspetti fondamentali.

Di cosa parla Stranger Things 4?

In Stranger Things 4 ritroviamo per la prima volta i personaggi divisi, dopo il trasferimento della famiglia di Will, con a seguito anche Eleven, in California. Ma una nuova minaccia sembra farsi largo ad Hawkins, quando alcuni adolescenti sono ritrovati con il corpo devastato da una forza misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Stranger Things 4?

In generale, assolutamente sì.

Nonostante non sia per nulla la mia stagione preferita (in un’ipotetica classifica occuperebbe un dignitoso terzo posto), tuttavia questi nuovi episodi hanno suscitato un enorme successo proprio per il fattore novità.

In particolare, la apprezzerete di certo se vi piace lo splatter, quello neanche troppo spinto, ma tipico di certa cinematografia horror Anni Ottanta.

Tuttavia se siete molto impressionabili e questo genere vi è davvero allergico, considerate che in questi episodi si è spinto molto di più sul versante horror, tanto da non renderlo più tanto un prodotto per ragazzi.

Io vi ho avvertito.

Top Stranger Things 4

Body horror e un villain accattivante

L’aspetto indubbiamente migliore di questa stagione è l’utilizzo quasi smaccato del body horror.

È ridicolmente facile in questo tipo di produzioni rendere scene di questo tipo banali e stupide (il riferimento alla più recente produzione di horror mainstream è voluta).

In questo caso invece le morti terrificanti dei personaggi sono veramente spaventose e finalmente Stranger Things abbraccia in tutto per tutto il genere horror.

Allo stesso modo il villain di questa stagione è indubbiamente il migliore finora. All’inizio sembrava un po’ un more of the same delle scorse stagioni, anche per l’utilizzo di topoi molto tipici dell’horror per ragazzi.

Tuttavia l’incredibile rivelazione finale mi ha davvero sorpreso, anche perché risulta totalmente coerente nel complesso della storia raccontata. Così, sia per le morti violente, sia per il design del villain, la CGI utilizzata è davvero ottima e credibile.

Anche la retcon riguardo al fatto che Vecna fosse in realtà stato sempre il villain di tutte le stagioni tutto sommato non mi è dispiaciuta: era questa obbligatorio tirare le fila a questo punto, in vista del finale dell’intera serie che arriverà con la prossima stagione.

Un’ottima costruzione della trama

Priah Ferguson (Erica), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Nonostante qualche forzatura, di cui parlerò nella parte flop, nel complesso la trama principale è ottimamente costruita: le prime morti di personaggi secondarissimi, il coinvolgimento di personaggi principali, l’investigazione, le rivelazioni passo passo e, infine, lo scontro finale.

Un racconto lungo e molto ampio, ma assolutamente necessario.

La scelta di dividere la grande mole di personaggi è stata a tratti fastidiosa (la storia di Mike, Will e Jonathan era la meno interessante), ma assolutamente fondamentale per riuscire a gestire al meglio la storia e a dare il giusto spazio a tutti.

In particolare, anche per l’utilizzo di un trope molto comune per il genere: ragazzini contro un nemico enorme e a cui nessuno crede, con gli adulti che cercano di ostacolarli.

Semplice, ma sempre vincente.

La storia di Eleven

Bobbie Millie Brown (Eleven) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

I am different. I do not belong

Sono diversa. Non appartengo a questo posto.

La storia di Eleven prende veramente senso solamente alla fine: all’inizio tutta la questione del bullismo sembra veramente forzata (ed è sicuramente molto tipizzata), ma è un punto di partenza per raccontare il suo dramma interiore.

Il primo ciclo di episodi sono infatti preparatori per lo scontro finale: Eleven deve recuperare la sua identità, i suoi ricordi e poteri perduti, e così accettare sé stessa, con le sue luci e le sue ombre.

E spero, anche alla luce del finale, che questa stagione sia un punto di partenza per la maturazione del personaggio, che all’inizio della stagione (e comprensibilmente) appare spaesata e molto immatura.

In questo senso la chiusura del rapporto con papa è stato un buon punto di arrivo: non eccessivamente drammatico, nonostante lo scivolone un po’ imbarazzante della frase sei tu il vero mostro.

Una chiusura onesta e credibile, per cui Eleven si libera finalmente del peso di quello che, di fatto, è stato il suo aguzzino.

La rivalsa di Hopper

David Harbour (Jim Hopper) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

In questa stagione hanno voluto dare un ruolo molto più centrale ad Hopper, uno dei personaggi più amati della serie.

Dopo averci fatto piangere la sua morte, qui ritroviamo il nostro sceriffo prigioniero in Russia. E troviamo anche un personaggio pieno di risorse e astuzie, capace di salvarsi praticamente da solo, nonostante tutti gli ostacoli.

Fra l’altro per fortuna si è scelto di offrire una rappresentazione equilibrata dei due blocchi, senza sbilanciarsi né sulla crudeltà russa né su quella statunitense.

E facendo parlare i russi in russo, cosa per nulla scontata.

Vivere nel proprio tempo

Bobbie Millie Brown (Eleven), Finn Wolfhard (Mike) e Noah Schnapp (Will) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un grave difetto della terza stagione di Stranger Things era il fatto che per molti tratti si metteva in bocca ai personaggi discorsi e parole assolutamente fuori dal tempo (e non è solo un problema di Stranger Things, ovviamente).

In questo caso invece (e per fortuna) hanno deciso di tornare sui loro passi e far parlare i personaggi in maniera realistica e credibile.

Oltre a questo, si è continuato sulla buona strada di rappresentare personaggi di tutti i tipi, e soprattutto un gruppo di personaggi femminili piuttosto sfaccettati.

Ottima anche l’introduzione dei nuovi personaggi: Enzo, interpretato dall’ottimo Tom Wlaschiha, che abbiamo già visto in L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), e ovviamente di Eddie, che si è pure visto meno di quanto avrei voluto.

Ed ovviamente è morto.

Flop Stranger Things 4

Forzature e pesantezza

Joe Keery (Steve), Gaten Matarazzo (Dustin), Maya Hawke (Robin), Natalia Dyer (Nancy), Caleb McLaughlin (Lucas) e Sadie Sink (Max) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

La scelta di portare un minutaggio così importante non è stata del tutto vincente, in quanto la pesantezza, alla lunga, si è sentita.

Personalmente avrei la storia di Jason e del gruppo dei bulli, fondamentalmente inutile, e avrei fatto prendere altre strade al gruppo di Will. Così magari avrei anche semplificato la storia di Eleven, e in generale avrei distribuito la storia su più puntate.

Così ci sono anche non poche forzature: al di là dell’idea veramente idiota di mandare Eleven in una città sconosciuta lontano dai suoi amici (la stessa bambina, ricordiamolo, traumatizzata che non sa vivere nel mondo), tutta la sua storia ha delle forzature importanti.

In particolare, veramente poco credibile che venga arrestata e mandata in galera senza che un tutore venga interpellato, per un crimine neanche così grave.

Perché il finale non mi ha convinto

Jamie Campbell Bower nei panni di Vecna in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Molto banalmente, ho testato le mie reazioni al finale della stagione rispetto a quelle per la fine del primo ciclo di episodi.

E non sono riuscita a trovare effettivo trasporto ed interesse. L’unica eccezione è stato il riconciliamento fra Eleven e Hopper, che stavo aspettando con grande interesse.

Per il resto, non ho apprezzato il finale né nei suoi contenuti né per come è stato strutturato. Ho trovato abbastanza stancante questa durata infinita, quando, nella maniera più evidente, l’ultima puntata poteva essere divisa in due parti, dando un po’ di respiro allo spettatore.

Il momento in cui effettivamente Eleven sconfigge Vecna l’ho trovato improvviso e per nulla ben costruito, basato esclusivamente su una situazione al cardiopalma in cui lo spettatore teme per la morte di Max.

Ma per me ci vuole ben altro, e sicuramente ci voleva di più di Mike che incoraggia Eleven, la cui relazione non mi ha mai veramente coinvolto.

Oltre a questo, la tecnica di mostrare un’apparente calma per poi mettere un colpo di scena finale l’ho trovato più che scioccante, molto anti climatico. Sarebbe stato molto più intelligente costruire un climax drammatico che raccontava il fallimento, per una volta davvero, di Eleven.

Le morti gratuite

Joseph Quinn nei panni di Eddie in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Una scelta che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa stagione è stata la morte di Eddie.

I Duffer Brothers hanno preso questa brutta abitudine di introdurre personaggi secondari amatissimi e ucciderli alla fine della stagione. Ovviamente Eddie è un personaggio adorato dai fan (me compresa) e ovviamente non poteva stare in vita per più di una stagione.

Tuttavia, come nelle scorse stagioni Bob e Alexei erano stati evidentemente eliminati perché, da un certo punto in poi, troppo ingombranti per la narrazione, la morte di Eddie è totalmente gratuita. Infatti non aggiunge veramente nulla alla trama, non era utile alla stessa, e l’ho trovata anche piuttosto smaccata.

Non era forse invece ora di sfoltire il gruppo di personaggi principali?

E no, non credo che Max sia veramente morta nella maniera più assoluta…

Robin e Nancy: la coppia che scoppia

Maya Hawke (Robin) e Natalia Dyer (Nancy) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un’idea poco vincente per me è stata quella di mettere Nancy e Robin nella stessa scena.

Nancy, personaggio già insipido e profondamente antipatico, ne emerge ancora più sconfitta davanti alla spettacolare performance di Maya Hawke, un personaggio invece divertente e frizzante, con un’attrice che sta dimostrando le sue capacità eccelse.

Niente di tutto questo ha né il personaggio di Nancy né l’attrice che la interpreta, purtroppo.

Nancy in generale mi ha dato meno fastidio del solito, se non fosse per il richiamo ancora a Barb, personaggio assolutamente sopravvalutato, così il tentativo di creare un triangolo amoroso fra lei, Steve e Jonathan.

Veramente insostenibile.

Categorie
Avventura Azione Disney+ Drammatico Fantascienza Nuove uscite serie tv Obi-wan Kenobi Serie tv

Obi-Wan Kenobi – Un inutile girotondo

Obi-Wan Kenobi è l’ultima serie dell’universo di Star Wars, conclusasi questa settimana. Il terzo prodotto che la piattaforma propone agli appassionati della saga, dopo prodotti discutibili, ma nondimeno di grande successo, come The Mandalorian e The Book of Boba Fett.

Questa serie per me è un clamoroso fallimento, sotto tantissimi aspetti: registico, di scrittura, di coerenza, di distruzione del canon. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Tuttavia la serie ha avuto un enorme successo, e si vocifera già una seconda stagione…

Di cosa parla Obi-Wan Kenobi?

La serie si ambienta fra Episodio III ed Episodio IV (se non sapete di cosa sto parlando, ecco una guida per voi), ovvero nel periodo di apparente ritiro di Obi-Wan. Dieci anni dopo lo scontro con Anakin, lo jedi viene riportato sul campo per il rapimento della giovane Leila Organa, portandolo a scontrarsi con il suo mortale nemico…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Guida alla visione

Perché non vedere Obi-Wan Kenobi

Moses Ingram e Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Le motivazioni per perdersi totalmente questa visione sono tanti e vari. Senza andare nello specifico, la serie di fatto non aggiunge niente a Star Wars. Anche se potrebbe sembrare il contrario, Obi-Wan Kenobi costruisce una storia arraffazzonata, senza né capo né coda, che non va ad arricchire il canone, ma, al contrario, a rovinarlo.

Troviamo diverse e terrificanti retcon, che vanno veramente a snaturare il senso della Trilogia Originale stessa. Oltre a questo, la trama è di un ripetitivo insostenibile e si basa solamente su fan service gratuito, e pure mal fatto. E non fatemi cominciare sui personaggi.

Perché vedere Obi-Wan Kenobi

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Per me Obi-Wan Kenobi è una serie che può piacere a due condizioni: essere irrimediabilmente innamorati della trilogia prequel e godere quando si rimpasta il canone, tutto pur di avere del fan service.

Purtroppo questa è ormai la norma. Tuttavia, se tutto sommato serie come The Mandalorian e soprattutto The Book of Boba Fett vi sono piaciute e siete riusciti a passare sopra a tutto, allora potrebbe pure a piacervi. E magari, arrivando con aspettative bassissime, potreste pure godervela.

Ewan McGregor: crederci

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Io voglio molto bene a Ewan McGregor ed è un attore che apprezzo molto. Purtroppo negli ultimi anni è entrato in una spirale molto negativa, inanellando un flop dietro l’altro: da Il ritorno al bosco dei 100 Acri (2018) non ne ha imboccata una.

Tuttavia, seguendo comunque da vicino la sua carriera, non ho mai visto un prodotto in cui McGregor non si sia quantomeno impegnato. E questo è anche il caso di Obi-Wan, personaggio per cui ha dimostrato un sincero entusiasmo.

Non a caso nella serie è il personaggio fra tutti più credibile. Tuttavia, in un gruppo di personaggio uno più improbabile e peggio interpretato dell’altro, non era tanto difficile. Nondimeno ammiro la passione che indubbiamente l’attore ci ha messo.

Baby Leila: che belli gli Anni Novanta

Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Baby Leila è stata il mio incubo. Non c’è niente di peggio di quando un prodotto vuole venderti un personaggio in un certo modo, mentre tu lo vivi completamente all’opposto. Il suo personaggio ha risvegliato le mie paure più recondite, in particolare il bambino di Bugiardo Bugiardo (1997), per me l’emblema dei bambini insopportabili dei film degli Anni Novanta.

Leila dovrebbe essere un prequel al personaggio della Trilogia Originale, e già questo è stato un passo falso: forse non ve lo ricordate, ma la recitazione della compianta Carrie Fisher, soprattutto in Una nuova speranza (1977) era insopportabilmente sopra le righe. Quindi provare a mimarne la recitazione è stata un’idea terribile

Oltre a questo, l’attrice in questo caso è obbiettivamente pessima. Potrebbe pure essere che sia stata diretta male, come d’altronde la maggior parte degli interpreti della serie, ma la sua recitazione è davvero scadente. E non giustificabile per via dell’età: vi ricordo che l’attrice al tempo delle riprese aveva nove anni, Jude Hill ne aveva dieci ai tempi delle riprese di Belfast (2021) e i protagonisti di Stranger Things avevano appena undici anni al tempo delle riprese della prima stagione.

Insomma, se si cercano, gli attori bambini talentuosi si trovano.

Reva, non ti ho capito

Moses Ingram in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Ammetto i miei limiti: non ho proprio capito il personaggio di Reva. Non ne ho capito la storia, il senso, le motivazioni, nulla. Parte come il villain più stereotipato possibile, con una recitazione agghiacciante e con sequenze da far invidia al Goblin di William Dafoe in Spiderman (2001).

Dopo, ne vengono rivelate le (prevedibilissime) motivazioni e da lì per cinque minuti assume un significato, poi si perde totalmente nell’ultima puntata. Non si capisce come abbia in primo luogo capito che il bambino di cui si parlava alla fine della quinta puntata fosse Luke e, più in generale, non si capisce cosa volesse fare e per quale motivo.

Mi dispiace veramente vedere un’attrice che è stata premiata con una candidatura agli Emmy per la sua interpretazione ne La regina degli scacchi appiattita in questo modo nelle mani di una regista davvero incapace.

Dart Vader: ma perché?

Molti fan si sono strappati le vesti nel sapere che Haiden Kristensen sarebbe tornato nei panni di Vader. E non ne ho capito il motivo, visto che l’attore è un riconosciuto cane ed si è fondamentalmente rovinato la vita con la sua interpretazione nella trilogia prequel.

Per fortuna non si vede praticamente mai in faccia, ma riesce comunque a rovinare nuovamente il personaggio con una recitazione corporea per nulla credibile. L’unico che avrebbe potuto aiutarlo poteva essere la storica voce del personaggio, James Earl Jones, che effettivamente lo doppia nella serie.

Tuttavia anche questo povero attore, ormai novantenne, si è rivelato totalmente incapace di tornare nel ruolo. Di fatto Vader sembra nè più nè meno che il cattivo di un videogioco Anni Novanta di Serie B, con un set preimpostato di frasi.

Una scrittura delirante

Insieme alla regia, la scrittura è se possibile il punto più basso della serie. In origine il progetto era di un film con un numero di eventi limitati. Quindi, dovendo fare una serie e non avendo la minima idea di cosa invertasi, si è scelto di duplicare gli eventi.

Così Leila viene rapita due volte, così abbiamo due scontri. E gli errori di sceneggiatura sono incalcolabili: come ha fatto Reva a sopravvivere all’attacco di Anakin? Con quale credibilità nella prima puntata Leila (ricordiamo, una bambina di dieci anni) parla come un’adulta, come la serie stessa sottolinea? Perché nella terza puntata Obi-Wan non è capace di aspettare un paio di minuti l’arrivo del suo contatto? Qual era il motivo di far rapire Obi-Wan nella quinta puntata per poi farlo scappare un attimo dopo? E si potrebbe andare avanti.

Sulla questione delle retcon, non voglio dilungarmi troppo. Mi basta nominare la più grave: per quello che vediamo in Una nuova speranza, non è credibile che Leila e Obi-Wan avessero il rapporto affettuoso mostrato nella serie.

Dare una serie ad un incapace

Prima di cominciare a dire solo il peggio sulla regia, devo spezzare una piccola lancia: ogni tanto azzecca qualche campo lungo con i personaggi in scena. Per il resto, disastro. Deborah Chow non è proprio capace di mettere i personaggi in scena e di farli muovere.

L’esempio più eclatante è sicuramente la puntata quattro nella sua interezza, nella quale Tala continua a comunicare con Obi-Wan e mette fuori gioco diversi personaggi senza che nessuno si accorga di nulla, nella maniera meno credibile possibile. E così Obi-Wan fugge con Leila nascosta sotto all’impermeabile, in un siparietto comico-grottesco che vorrebbe tenerti sulle spine, ma nella migliore delle ipotesi fa ridere.

Per non parlare della ridicola scena dell’inseguimento di Leila nella prima puntata, dove si vede che l’attrice sta effettivamente camminando e quelli che la inseguono fanno così evidentemente finta di correre da far veramente ridere.

Non so chi abbia avuto l’idea di mettere in mano ad una novellina una serie così importante, ma spero che si penta per il resto della vita.

Categorie
Avventura Azione Drammatico Fantascienza Horror Mistero Netflix Serie tv Stranger Things Teen Drama

Stranger Things 3 – Finalmente l’horror

Stranger Things 3 ovvero la terza stagione di una delle serie di maggior successo di Netflix, fu la prima che ebbe il sapore di evento.

Il nuovo ciclo di episodi uscì dopo che i fan erano rimasti a bocca asciutta per ben due anni. E questa volta i Duffer Brothers vollero puntare sul fattore novità, dopo una seconda stagione che, pur ottima, sembrava un more of the same della prima.

In questa stagione invece ci si concentra molto di più sull’entrata dei protagonisti nell’età adolescenziale, proprio nell’estate prima del loro approdo al liceo, con tutte le conseguenze del caso (e non sempre piacevoli).

Ma la novità più importante, ulteriormente confermata dalla stagione successiva, è finalmente la scelta di puntare davvero sul genere horror.

Di cosa parla Stranger Things 3?

Nella terza stagione i protagonisti, ormai adolescenti, si districano nelle loro relazioni sentimentali appena sbocciate, con tutto il dramma che solo l’adolescenza può regalare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Stranger Things 3?

Sadie Sink, Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Noah Schnapp e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Assolutamente sì.

La terza stagione di Stranger Things è fra le mie preferite, seconda solo alla prima. Sicuramente, se vi è piaciuta la serie fino a qui, non potete perdervi questa terza stagione, che porta grande freschezza al prodotto, smarcandosi dall’atmosfera di Halloween come le prime due.

Inoltre, come anticipato, ci si avvicina definitivamente al genere orrorifico, ispirandosi meravigliosamente alle atmosfere de La Cosa (1982), il principale riferimento dell’intera stagione.

E già questo è tutto un programma.

Top Stranger Things 3

Robin: una scelta vincente

Maya Hawke in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Robin è stata la scelta migliore che Stranger Things potesse mai fare. Per chi non lo sapesse, questa splendida attrice è figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, e questo ci dice già molte cose.

Un personaggio davvero stupendo, che in una sola stagione è entrata nel cuore dei fan dal primo minuto, confermando la capacità dei Duffer Brothers di saper introdurre e creare sapientemente nuovi personaggi, soprattutto femminili.

Robin viene da subito inclusa nella coppia esplosiva di Dustin e Steve, dimostrandosi immediatamente capace e di fatto fondamentale per sciogliere il mistero. Così è adorabile il suo rapporto con Steve: ci hanno illuso per un’intera stagione, introducendo invece a sorpresa il primo personaggio queer (dichiarato) della serie.

Un mistero ben costruito

Il Mind Flayer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Dopo un tentativo di cambiare rotta nella seconda stagione, in questo ciclo di episodi si è deciso di tornare alle dinamiche della prima stagione, in cui i personaggi scoprono autonomamente un pezzo del mistero, per poi incontrarsi per il combattimento finale.

Ho decisamente preferito che il mistero fosse presente fin dalla prima puntata, così che le trame secondarie, soprattutto quelle teen, non siano così pressanti, ma anzi portino dei momenti importanti della trama. Proprio come nella prima stagione, appunto.

Inoltre, finalmente il personaggio di Billy, che avevo poco apprezzato alla sua introduzione, ha un senso di esistere. E in generale la trama horror l’ho trovata veramente ottima, terrificante al punto giusto, senza mai scadere nello splatter troppo spinto.

La follia dell’adolescenza

Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard e Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Max dumped me like five times

Per quanto la parte teen sia quella che mi interessa di meno in assoluto, devo riconoscere che, a differenza di come era stata trattata la trama di Nancy nella prima stagione, in questo caso si procede con uno sferzante e quasi folle realismo.

Infatti, è assolutamente credibile che i protagonisti, comunque ancora molto giovani (dovrebbero avere ancora quattordici anni) non riescano a districarsi agevolmente in queste relazioni nuove di zecca.

Anche se, come spiegherò nella parte flop, su alcune cose hanno esagerato, tutto sommato è ben scritta.

La parte più triste è l’altro lato della medaglia, Will.

Indipendentemente da quello che viene rivelato nella quarta stagione, il suo personaggio si sente totalmente tradito dal nuovo atteggiamento dei suoi amici, che sono saltati sul carro dell’adolescenza prima di quanto lui si aspettasse e prima che fosse pronto a sua volta.

L’evoluzione di Eleven

Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me questa non è la stagione migliore per il personaggio di Eleven. Tuttavia, secondo lo stesso ragionamento di quanto detto sopra, il suo comportamento è assolutamente credibile e realistico.

Lei infatti è sicuramente il personaggio più spaesato dalla sua relazione con Mike, e anche quella che ha il piglio più ribelle fin dalla prima stagione.

Purtroppo, come spiegherò dopo, il suo personaggio è davvero inquinato dalla presenza di Max, ma è quantomeno bello vederla evolversi in strade che non riguardino solamente i suoi poteri.

Oltre a questo, il rapporto con Hopper, per quanto faccia un passo indietro, è davvero esilarante, soprattutto per la scena in cui minaccia Mike. E per questo vi lascio qua sotto i bloopers, gustosissimi soprattutto per la scena appunto in cui Hopper cerca di parlare con Mike e El.

Personaggi secondari esplosivi

Oleh Yutgof e Priah Ferguson in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Come nella scorsa stagione, anche in questa sono stati introdotti (o reintrodotti) dei bellissimi personaggi secondari.

Anzitutto Erica, che era già presente nella scorsa stagione ma che in questo ciclo di episodi è diventata qui molto più protagonista. Io, personalmente, la trovo davvero esilarante. E mi piace molto anche il discorso che lei cerca di essere la cool girl che vuole prendere in giro di nerd, pur essendolo lei stessa.

E alla fine accettando questa parte di sé.

Ma la grande sorpresa di questa stagione è stato sicuramente Alexei, che segue purtroppo la stessa via di Bob nella scorsa stagione: un personaggio chiave, che adori fin dal primo minuto, che raggiunge il suo climax, e viene brutalmente eliminato appena ha concluso la sua funzione.

Flop Stranger Things 3

Max: la difficoltà di portare avanti un personaggio

Sadie Sink e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me Max rappresenta il problema principale della stagione: non sapersi dare dei limiti.

Il suo personaggio diventa inutilmente aggressivo e fondamentalmente stupido, facendosi portavoce in maniera del tutto insensata di ideali anche giusti, inquinati dal suo isterismo e dalla sua irrazionalità.

Oltre a questo, il fatto che Max stia sbagliando è evidente da quanto la regia indugi su Mike, che non sa come comportarsi davanti alla sua amica che sbotta cose assurde su come lui non sia a capo delle decisioni di Eleven.

Oltretutto Mike è un personaggio evidentemente positivo, che evidentemente si preoccupa di Eleven e della sua incolumità. E, dopo averla persa già una volta, è del tutto comprensibile. Insomma,

Max è una grande occasione persa di un personaggio introdotto molto bene, ma del tutto appiattito in questa stagione.

Il punto più basso di Nancy

Natalia Dyer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Non è un mistero che per me Nancy sia la parte più debole di tutto Stranger Things, e in questa stagione raggiunge il suo punto più basso.

In questi episodi è infatti associata ad una dinamica se possibile ancora più ridicola e assurda di quelle di Max, in cui è fortemente bullizzata dalla redazione nel giornale.

Ma, appunto, per la dinamica poco credibile, non sono riuscita né a credere a quello che vedevo né ad esserne coinvolta.

I suoi atteggiamenti li trovo sempre al limite dell’estenuante, perché sembra sempre che faccia le cose non per un obbiettivo, ma per dimostrare qualcosa. Sicuramente è un personaggio in cui tante giovani donne possono identificarsi, soprattutto rendendola (a mio parare in maniera ridicola) la donna forte e protagonista dell’azione.

Non è il mio caso.

Devo piangere?

David Harbour e Winona Ryder in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per quanto la trama di Hopper e Joyce mi sia piaciuta molto, ho davvero mal sopportato, anche se a posteriori, l’apparentemente morte di Hopper, che è stata smentita immediatamente dalla scena post credit dell’ultima puntata.

Mi è sembrata la classica scelta che porta alla lacrima facile dello spettatore, togliendo di mezzo uno dei personaggi più amati della serie, con una costruzione anche abbastanza raffazzonata.

Il mio problema con La storia infinita

Questo non è di per sé un flop, ma una mia confessione.

La scena di Suzie e Dustin che, totalmente a sorpresa, cantano la canzone di La storia infinita (1984), ha fatto impazzire moltissimi.

Purtroppo, non è il mio caso: quel film non è per nulla un cult della mia infanzia. Ed è stato micidiale non trovarsi nel target per una scena che evidentemente voleva emozionare.

La stessa sensazione che si potrebbe provare quando, guardando Spiderman No Way Home (2021), vedere arrivare gli Spiderman di Garfield e Mcguire senza conoscerli per nulla.

Come in tutte le stagioni di Stranger Things, anche questa è piena di riferimenti a fenomeni culturali e sociali del periodo.

Ma in questo caso vale la pena di spenderci due parole.

Il primo riferimento importante riguarda i centri commerciali: l’apertura del nuovo shopping centre a Hawkins diventa la maggiore attrattiva per i protagonisti, ancora di più della Sala Giochi nella scorsa stagione.

Ed è assolutamente realistico: per centri così piccoli come Hawkins, avere a portata di mano un luogo in cui, a poca distanza, si potesse godere di tutti i benefici di vivere in una grande città, era una bellissima ed emozionante novità.

Ma ancora più interessante è inserire la New Coke, un caso studio di marketing fallimentare.

Nell’aprile del 1985 la Coca Cola provò a rilanciarsi cambiando la formula della sua bevanda iconica, scatenando delle asprissime polemiche (le stesse che vediamo nella serie, appunto).

Un esperimento brevissimo: l’11 luglio 1985 (pochi giorni dopo la conclusione della terza stagione) venne ripristinata la formula originale, denominata Coca Cola Classic.

Categorie
Avventura Azione Drammatico Fantascienza Fantasy Mistero Netflix Serie tv Stranger Things Teen Drama

Stranger Things 2 – Niente cambia, tutto cambia

Stranger Things 2 è la seconda stagione di una delle serie tv di punta di Netflix, cresciuta di pubblico e popolarità nel corso degli anni.

La seconda stagione arrivò a solo un anno di distanza dal primo ciclo di episodi (a differenza delle successive), cercando di proporre qualcosa di nuovo per un seguito che non era stato originariamente veramente pensato.

Non avevo un ricordo del tutto positivo della seconda stagione. Per fortuna ad una seconda visione mi sono dovuta ricredere, apprezzandola quasi quanto la prima.

Tuttavia, questa stagione ha un problema fondamentale: compie un tentativo incredibilmente fallimentare di ampliare la narrazione, dimenticandosi ingenuamente dei suoi punti di forza.

Di cosa parla Stranger Things 2

Stranger Things 2 si concentra su diverse storyline, la cui principale riguarda Will: ad un anno di distanza dal suo terribile viaggio nel Sottosopra, il ragazzino è tormentato da una nuova minaccia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Stranger Things 2?

Noah Schnapp, Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

In generale, sì.

Se avete apprezzato la prima stagione e se soprattutto vi siete appassionati ai protagonisti, non potete perdervi il secondo ciclo di episodi.

Per quanto in parte sia un po’ la stagione minore di quelle finora uscite, continua a non sbagliare un colpo e ad essere un ottimo prodotto di intrattenimento, colmo di citazioni alla cultura pop e alla produzione cinematografica degli Anni Ottanta.

Se non avete mai visto Stranger Things, che cosa ci fate qui? Ho scritto un articolo apposta per voi.

Top Stranger Things 2

Will: l’inaspettato

Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Non è stato per nulla facile scegliere il mio personaggio preferito per questa stagione.

La mia scelta è infine ricaduta su Will.

Rimasto praticamente fuori scena per la maggior parte nel primo ciclo di episodi, nella seconda stagione diventa quasi più protagonista di Eleven. Ho davvero apprezzato la costruzione della sua storia, temendo davvero per la vita di Will, personaggio apparentemente inerme davanti al Mind Flayer che lo domina.

Inoltre, davvero inaspettata la recitazione di Noah Schnapp, che a soli dodici anni è riuscito a portare una performance veramente convincente e al contempo straziante, utilizzando ottimamente tutte le sue capacità per la recitazione corporea.

Peccato che alla fine della stagione il suo personaggio venga di nuovo messo da parte, tendendo un po’ a dimenticarselo nelle stagioni successive.

Max: the new girl

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Max è la grande introduzione della stagione.

I Duffer Brothers avevano l’arduo compito di portare in scena un nuovo personaggio femminile in un cast ancora principalmente maschile, con il rischio di appiattirla come la ragazza del desiderio dei protagonisti.

Ammetto che Max non è mai stato un personaggio con cui mi sono affezionata, sia perché è una ragazza chiusa e con cui è difficile empatizzare sulle prime, sia perché l’ho poco apprezzata nella terza stagione.

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Tuttavia, Mad Max è un personaggio interessante, che non vuole essere una Eleven parte 2, ma al contrario una ragazzina con un passato tormentato e all’interno di una relazione violenta con il fratello adottivo.

E che è infine capace di mettere i giusti paletti nella loro relazione, dopo una stagione passata ad essere terrorizzata da Bill.

Oltre a questo, ancora vincente la sua relazione con i protagonisti, abbastanza simile per dinamiche a quelle di Eleven: cerca di essere il più possibile realistica e credibile, sia per la sua riluttanza ad entrare nel gruppo, sia per la sua incredulità rispetto al Sottosopra.

Dustin, Steve & Dart

Joe Keery e Gaten Matarazzo in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Una bella scoperta della stagione è stato Steve, personaggio comunque non del tutto appiattito neanche nella scorsa stagione, ma che finalmente diventa un personaggio interessante.

E chi poteva portarlo lontano dall’inutilità della quota teen della serie se non Dustin, che non a caso è, insieme ad Hopper, il mio personaggio preferito di Stranger Things. Letteralmente Dusty, quando Steve si sta recando da Nancy per riconciliarsi, lo prende per mano e lo coinvolge nell’avventura.

E, inaspettatamente, Steve si rivela buon amico e fratello maggiore per Dustin, cercando di aiutarlo a farlo sentire più sicuro di sé stesso e per riuscire a conquistare Max.

Nonostante gli dia dei consigli veramente stupidi, è adorabile lo sbocciare del loro rapporto, che ha il suo climax nelle scene finali del ballo della scuola.

Al contempo, per quanto secondario, ho trovato davvero piacevole l’arco narrativo di Dustin e Dart, il demodog che Dustin alleva come un suo piccolo animaletto, e che riesce a tenerlo a bada fino all’ultimo, in una scena davvero adorabile.

Bob: eroe o carne da macello?

Sean Austin e Winon Ryder in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Da questa stagione in poi i Duffer Brother hanno cominciato a prendere la fastidiosa abitudine di introdurre personaggi a cui il pubblico si affeziona immediatamente, per poi farli morire nel peggior modo possibile.

Bob è infatti una parte bellissima e terribile di questa stagione: un’occasione per Joyce di trovare una felicità e una vita semplice altrove, un personaggio fondamentale nella risoluzione del mistero, ma evidentemente anche un personaggio sacrificabile quando smette di essere utile.

E non è stato certo un caso la scelta di un attore così amato dal grande pubblico: Sean Astin è l’indimenticabile Sam della trilogia de Il signore degli anelli, personaggio entrato nel cuore di molti.

Hopper e Eleven: un rapporto in divenire

David Harbour e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Il rapporto fra Hopper e Eleven è probabilmente la parte più toccante della stagione: per quanto non mi abbia convinto del tutto il modo in cui inizia, in quanto non adeguatamente spiegato, la loro relazione è potente quanto straziante.

Di fatto troviamo un padre che cura una ragazza sconosciuta come se fosse sua figlia e al contempo la stessa che si crede invincibile ed è, per questo, incontrollabile. E questo porta anche ad un antagonismo e ad una mancanza di fiducia tipica dei rapporti del periodo dell’adolescenza, che si evolverà ulteriormente nella prossima stagione.

Tuttavia, infine i due riescono felicemente a riconciliarsi, ammettendo in maniera molto matura le rispettive colpe, gettando le basi per un nuovo e importante rapporto.

Flop Stranger Things 2

Uno spin-off mancato

La settima puntata di questa stagione è universalmente considerata la peggiore ed è un evidente tentativo di mettere le basi per uno spin-off della serie. Le motivazioni dietro a questo fallimento sono diverse, e riguardano sia la puntata in sé sia il percorso che è stato fatto per arrivarci.

Per la puntata di per sé, i Duffer Brother (o chi se ne è occupato) sembrano essersi dimenticati il punto di forza di Stranger Things: i suoi personaggi.

Qui veniamo introdotti ad un gruppo di personaggi uno più stereotipato dell’altro, con dinamiche che nulla c’entrano con la serie e sembrano, appunto, di un altro prodotto.

Oltre a questo, il personaggio di Eleven ha una storyline non inutile, ma certamente troppo distaccata dalla trama generale, tanto che il suo intervento alla fine ha un forte sapore di deus ex machina: non esattamente indice di una buona scrittura.

Vicende accessorie

Sempre su questa idea, anche la trama di Nancy e Jonathan sembra piuttosto accessoria e distaccata dal resto della trama. Non inutile, anche perché ha una conseguenza importante nel finale.

Non fastidiosa come mi ricordavo, tuttavia la parte meno interessante dell’intera stagione, anche perché la quota teen rimane per me quella meno vincente.

Oltre a questo, nella scorsa stagione era già troppo tardi per dimenticarsi di Barb, personaggio che per motivi misteriosi continua ad essere riportato in qualche modo in scena.

Categorie
2022 Drammatico Netflix Nuove uscite serie tv Serie tv Thriller

Ozark: iniziare bene e finire malissimo

Sono una grande fan di Ozark. Ho adorato la serie di Jason Bateman fin dalla prima puntata. Poi, è arrivata la quarta stagione.

Ozark ha debuttato nel 2017 su Netflix, ed è sempre stata una serie un po’ di nicchia: abbastanza chiacchierata e con un suo fandom solido, resistendo per quattro stagioni, ma non di grande popolarità come Stranger Things Squid Game, per capirci.

Prima di parlare dell’ultima e, a mio parere, vergognosa stagione, parlerò senza spoiler delle prime tre.

Disclaimer doveroso

Questa recensione è stata scritta in due momenti: una volta conclusa la prima parte dell’ultima stagione (quando avevo ancora qualche speranza) e una volta conclusa la seconda parte.

Di cosa parla Ozark

La serie parla di Marty, interpretato da Jason Bateman (che è anche regista e produttore), che da anni lavora per un cartello della droga messicano. Improvvisamente si trova costretto a traslocare tutta la famiglia da Chicago a Ozark, una tristissima località del Missouri, per continuare a riciclare il denaro del cartello.

Lascio il resto al trailer della prima stagione.

Cosa funziona

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark è una serie fuori dal comune: ricorda moltissimo Breaking Bad come tematiche, ma è per molti aspetti molto più dark, a partire dalla stessa fotografia gelida che domina tutte le scene. Inoltre è iper realistica, ovvero realistica nella maniera più cruda possibile, rappresentando dei personaggi molto credibili e spesso, per questo, anche spaventosi.

Le vicende, per loro stessa natura, sono incredibilmente intriganti, piene di colpi di scena, tensione, voltafaccia. Soprattutto la terza stagione, dove si arriva ad un punto focale della trama, è incalzante e intrattiene splendidamente per tutta la sua durata.

La regia è pazzesca: oltre alla fotografia che ti trasmette continuamente quel senso di freddezza e di terrore in ogni scena, ci sono guizzi registici non indifferenti e una messa in scena davvero convincente.

Personaggi gelidi

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

I personaggi in generale sono gelidi, hanno dei rapporti contradditori, snervanti, distruttivi, e, soprattutto, incredibilmente realistici. Le prove attoriali sono davvero di alto livello: a partire dalla stella nascente Julie Garner, vista recentemente nella serie Inventing Anna, che interpreta Ruth, uno dei personaggi principali e anche meglio scritti della serie.

Poi Jason Bateman, che finalmente si smarca dai suoi ruoli comici. In Ozark interpreta Marty, un personaggio silenzioso e calcolatore, portato in scena con così tanta bravura che a malapena sembra che stia effettivamente recitando.

Così anche Laura Linney, che interpreta Wendy, personaggio per tanto tempo relegato al ruolo di moglie e madre, ma che riesce finalmente a diventare protagonista della sua vita. Per questo ruolo l’attrice riesce a dosare splendidamente la sua espressività, giocando sui suoi sorrisi apparentemente rassicuranti, ma che in realtà nascondono un personaggio maligno e spietato.

Perché Ozark potrebbe non piacervi

Jason Bateman in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark non è una serie per tutti. E i motivi sono abbastanza evidenti: alcune delle vicende sono davvero crude, una sofferenza da vedere. Il ritmo è davvero strano: succedono moltissime cose, ma al contempo sembra che tutta la vicenda proceda molto lentamente.

Soprattutto all’inizio, è difficile empatizzare coi personaggi: hai bisogno di tempo per conoscerli, perché all’inizio ti appaiono freddi e distanti. Diciamo che se vi piace Breaking Bad Narcos avete già un piede dentro la porta, ma non è comunque detto che faccia per voi.

Io la consiglio molto, nonostante tutto.

Perché la quarta stagione è una vergogna (secondo me)

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

La terza stagione, come ho detto, è veramente intrigante per la trama e i personaggi: Helen è in assoluto il mio villain preferito e Ben l’ho veramente adorato. Mi piaceva lo sfondo del casinò appena aperto, e anche tutta la dinamica fra Frank Jr. e Ruth.

Diciamo che la morte di Helen avrebbe già dovuto essere un campanello d’allarme: il villain che la dovrebbe sostituire, ovvero Javi, è fra i più banali e peggio scritti della storia delle serie tv. La trama politica ho fatto veramente fatica a seguirlaOzark non ha brillato per trame semplici, proprio per il fatto che voleva introdurre concetti verosimili, ma in questo caso è stato veramente difficile appassionarsi.

La trama di Navarro, semplicemente, non ha senso: hanno esasperato in maniera inverosimile il rapporto con Maya, quando era così ben bilanciato nella scorsa stagione. Infatti la serie continua a perdersi in sé stessa da questo punto di vista.

Marty e Wendy sono snervanti, Johan prende il posto di Charlotte come figlio ribelle in maniera poco interessante, tutta la trama di Ruth è esagerata e Marlene è davvero diventata un personaggio fuori controllo. Come se non bastasse, chi ha scritto questa stagione vuole molto poco bene ai suoi personaggi, visto che non fa altro che ammazzarli.

Aspettiamo fiduciosi la seconda (e per fortuna ultima) parte.

Due parole conclusive sull’ultima parte 

Julia Garner in una scena della serie tv di Netflix

Come si può facilmente immaginare, ero veramente poco interessata a questo ultimo ciclo di episodi. In generale, mi sembra si confermino tutti i problemi della prima parte, e aggiungendone pure di nuovi.

Si parte con uno degli episodi per me peggio scritti della serie: un tirata lunghissima sulla vendetta di Ruth, con tantissime ed estenuanti scene oniriche e una conclusione che arriva all’improvviso senza alcuna costruzione. Una puntata fra l’altro che conferma Javi come personaggio inutilmente violento e di pochissimo spessore. Quindi ero pure contenta l’avessero finalmente fatto uscire di scena.

Si continua sempre con la trama politica poco coinvolgente e che porta in scena un nuovo personaggio, Camila, che dovrebbe riprendere vesti di Helen, fallendo miseramente. Infatti viene fatta passare come avida e calcolatrice, ma relegandola ancora alla figura abusata della madre vendicativa. Niente di esaltante, insomma.

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Nota di merito per la bruttezza della trama del padre di Wendy, personaggio al limite del disgustoso e con le motivazioni più stupide possibili, che riesce a portare la figlia al suo punto più basso. Fra l’altro divenendo protagonista di una insulsissima sottotrama che si conclude improvvisamente e senza una degna costruzione.

Infatti alla fine i personaggi della famiglia sembrano ricongiungersi, senza che però i loro rapporti si siano veramente risaldati. E festeggiano questa ritrovata unione con il cadavere di Ruth ancora caldo e una chiusa che probabilmente Bateman considerava geniale, ma che io trovato al limite dell’imbarazzante.

Categorie
2022 Azione Drammatico Mistero Netflix Nuove uscite serie tv Serie tv Thriller

Pieces of her – Un mistero da manuale

Pieces of her è una serie tv di genere mistery in otto puntate, disponibile su Netflix. Un buon esempio di un prodotto che coniuga ottimamente il genere mistery con l’investigativo e il thriller. Una costruzione da manuale, nonostante qualche inciampo sulla strada.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Pieces of her

Pieces of her parla di Laura, una madre vedova che interviene per difendere la figlia, Andy, in un situazione di pericolo, rivelando capacità di combattimento inaspettate. Per via di questo episodio la figlia comincerà a scoprire il passato oscuro della madre, svelando segreti che non avrebbe mai potuto immaginare.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Pieces of her

Toni Colette in una scena della serie tv netflix con Toni Colette

Come anticipato, Pieces of her è una serie mistery da manuale: la storia è molto interessante e gode di una struttura narrativa generalmente solida. La trama si svela poco a poco, disseminando indizi più o meno palesi fin dalle prime puntate, riuscendo a tenerti ottimamente sulle spine fino alle ultime sequenze.

Infatti, per quanto non riesca fino in fondo a gestire il mistero che tratta (come spiegherò nella parte spoiler), la costruzione è vincente: circa a metà della stagione si conosce la maggior parte della backstory. E da lì è un crescendo per scoprire l’intero mistero.

Toni Collette, mon amour

Toni Colette in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

La madre protagonista della serie è interpretata da Toni Collette, una delle mie attrici preferite fin da Little miss sunshine (2006). Il personaggio sembra essergli stato cucito addosso, sfruttando ancora una volta la particolarissima espressività di questa attrice e rendendola solo apparentemente apatica e calcolatrice.

Non male neanche l’attrice che interpretata la sua versione giovane: Jessica Barden, già vista in The end of the f*cking world, altra serie di Netflix. Non era per niente facile misurarsi con la recitazione monumentale di Toni Collette, ma nonostante tutto questa giovane attrice si è dimostrata all’altezza.

La protagonista inconsapevole

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Un altro elemento vincente, che di fatto regge l’intera serie, è la protagonista, Andy. Il classico personaggio ingenuo ed inconsapevole che accompagna lo spettatore nella visione e nello svelamento del mistero. Questo processo funziona quasi fino alla fine (come spiegherò meglio nella parte spoiler), ma rende più semplice il coinvolgimento, nonostante alcune scelte molto stupide e poco credibili che la coinvolgono.

Ovviamente, come per le migliori serie mistery, la trama poteva essere risolta in dieci minuti di orologio se i protagonisti si fossero seduti ad un tavolo a parlare, ma non di meno è bello seguire il suo personaggio, assolutamente ingenuo e fallibile, in cui possiamo anche facilmente identificarci. Perché, al suo posto, probabilmente ci saremmo comportati allo stesso modo.

Sospendere l’incredulità

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Come in ogni prodotto, soprattutto quelli mistery e investigativi, dobbiamo sospendere la nostra incredulità. Tuttavia, ci sono dei momenti in questa serie che sono veramente troppo poco credibili.

In particolare, ho trovato davvero assurdo che Andy riesca a sabotare gli aiutanti di Nick, prima bucandogli le gomme e poi intrufolandosi nella loro auto, senza che questi si accorgano di alcunché. Il classico caso dei criminali più stupidi della storia della criminalità.

Oltre a questo, è altrettanto poco credibile è il comportamento di Andy da bambina: come si oppone testardamente all’idea di seguire la madre, allo stesso modo si sarebbe dovuta opporre ad un uomo sconosciuto e con un aspetto anche poco rassicurante che cercava di portarla via nel bosco. E invece in quel caso sembra pronta a seguirlo senza battere ciglio.

Qualche capitombolo

Jessica Barden e Joe Dempsie in una scena della serie tv  Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Nonostante la scrittura sia appunto generalmente buona, ci sono delle scelte di trama che mi hanno convinto poco. Anzitutto, il comportamento di Nick con Jane: per quanto evidentemente il loro rapporto si fosse gustato dopo l’attentato di Oslo, è tuttavia troppo improvviso il fatto che Nick la picchi con così tanta violenza. Sembra più un meccanismo della trama per farle prendere definitivamente la scelta di scappare.

Così anche ho capito fino ad un certo punto la scelta del finale: la vicenda sembra lasciata abbastanza in sospeso, come se nonostante tutto Jane abbia ancora qualcosa da nascondere, e che debba ancora vivere con il peso della sua scelta e la minaccia del fratello. Così il modo in cui ci viene svelato l’ultimo segreto di Jane è a mio parere poco convincente: la questione era già stata rivelata esplicitamente per bocca di Nick, che dice proprio Io non ho dato quella pistola a Grece Juno, guardando negli occhi Jane in maniera piuttosto eloquente.

Non mi ha convinto neanche il rapporto fra Andy e Jane, che sembra conflittuale fino all’ultima scena, si risolve con una sequenza consolatoria ma che lascia, ancora una volta, la questione in sospeso. Avrei preferito un percorso più convincente e che giungesse ad un finale più credibile e conclusivo, appunto.

Tuttavia rimane comunque una serie che mi sento di promuovere.

Categorie
2021 Apple TV+ Avventura Azione Drammatico Fantascienza Serie tv

Fondazione – Una scommessa vincente?

Fondazione è una serie di Apple TV+ uscita lo scorso autunno, liberamente ispirata (e sottolineo liberamente) alla saga letteraria omonima di Asimov, uno dei più importanti autori fantascientifici di tutti i tempi.

La serie risulta una scommessa vincente per la qualità visiva e della mitologia, con una produzione di altissimo livello e una scrittura generalmente buona. Tuttavia presenta un problema non da poco: una trama poco solida.

Di cosa parla Fondazione?

La serie è ambientata in un mondo immaginario e futuristico, in cui l’universo è dominato dall’Impero Galattico, minacciato dalle teorie di Hari Seldon, scienziato e inventore della piscostoria, materia che permette di prevedere gli eventi futuri tramite calcoli matematici.

Vi lascio un trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Fondazione?

Laura Birn in una scena della serie  tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

In generale, sì.

Partiamo dal fatto che se siete fan di Asimov e soprattutto della saga letteraria del Ciclo della Fondazione, molto probabilmente non vi piacerà. Dagli apprezzatori dell’opera letteraria partenza non ho sentito altro che pareri davvero aspri, per via della mancanza di fedeltà all’opera originaria. Siete avvertiti.

Tuttavia, se non siete fan di Asimov e vi piace una fantascienza di stampo abbastanza classico, con una narrazione piena di colpi di scena e con una mitologia piuttosto solida, abbastanza simile a Dune, probabilmente farà per voi.

Una produzione monumentale

Jared Harris in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Come anticipato, Fondazione può godere di una produzione monumentale: effetti speciali strabilianti, fotografia da far girare la testa con colori pienissimi, campi lunghi sui panorami spaziali che fanno sognare.

Insomma dal punto di vista tecnico è un prodotto che potrebbe tranquillamente rivaleggiare, dal punto di vista tecnico, con Dune (2021), confermando un nuovo livello di qualità per il genere. Al contempo anche un ottimo cast, con Jared Harris, Lee Pace, e la nuova scoperta Lou Llobell.

Una mitologia incredibile ma…

Terrence Mann in una scena della serie  tv di Apple TV+ ispirata alall'opera Isaac Isamov

Fondazione gode di una costruzione della mitologia davvero incredibile.

L’immensità dell’Impero ci permette di venire a contatto, in sole dieci puntate, con quattro diverse culture. E chissà cos’altro potremo scoprire. Inoltre tutta la storia della dinastia imperiale e dei cloni è davvero interessante e ben esplorata.

Ma non basta.

Il primo (non) problema della serie è l’andamento narrativo: profondamente scostante e talvolta episodico. Si fanno balzi avanti, balzi indietro e si dedica molto tempo all’approfondimento della lore e dei personaggi. Una narrazione strana, non nelle corde di tutti.

A me personalmente ha colpito.

Jared Harris in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Un problema effettivo è invece la gestione della trama: inizialmente sembra andare in una direzione, poi ne prende una tutta diversa, che in conclusione sembra più una larga parentesi in una narrazione ben più ampia che si allargherà nelle prossime stagioni.

Di per sé questo potrebbe anche non essere un problema, ma lo diventa quando prendono piede personaggi poco convincenti e una trama non così interessante. E, in parte, il calo di interesse è dovuto anche alla qualità recitativa di alcuni personaggi, che diventano protagonisti della scena da una puntata all’altra e che, appunto, non sono sempre vincenti.

Una brusca svolta

Leah Harvey in una scena della serie tv Fondazione (2021-) di Apple TV+ ispirata al Ciclo della fondazione di Isaac Isamov

Nonostante nel complesso sia coerente, la parte di Terminus mi è sembrata del tutto superflua per la narrazione complessiva.

Oltre a quello, è stato davvero un dolore passare dalla recitazione esplosiva di Lou Llobell (Gaal) a quella statica di Leah Harvey (Salvor). Il suo personaggio, complice anche appunto la sua espressività veramente limitata, non mi ha proprio coinvolto.

Kubbra Sait in una scena della serie tvdi Apple TV+ ispirata all'opera di Isaac Isamov

Ancora di meno mi ha coinvolto la storia dell’attacco di Anacreon e della Grande Cacciatrice, su cui fra l’altro hanno calcato troppo la mano, rendendola quasi macchiettistica. Oltre a questo, anche la vicenda di Fratello Alba non mi ha appassionato, a parte nel finale e sugli effetti che avrà sul futuro.

Diciamo che secondo me partire da una storia monumentale come quella iniziale, con attori di un certo tipo e passare da una storia locale con attori meno in parte non è stata la più brillante delle idee.

Ma nel complesso non sono affatto pentita di averla vista, e sono anzi curiosa di vedere come proseguirà.