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Hazbin Hotel – La rivoluzione comincia dal basso

Nata come progetto indipendente su YouTube dalla sua creatrice, Vivienne Medrano, Hazbin Hotel (2019 – …) è diventato un fenomeno di costume, raccogliendo appassionati in tutti il mondo.

Se sapete già tutto sulla serie, cliccate qui per saltare alla parte spoiler. Se invece per voi è tutto nuovo, continuate a leggere.

Hazbin Hotel Guida Alla visione

Charlie Morningstar è la figlia di Lucifero e Lilith, i due ribelli biblici per eccellenza, impegnata nell’ambizioso progetto di salvare l’Inferno dal totale degrado con il suo Hazbin Hotel.

Ma la strada della redenzione è tutta in salita…

Charlie in una scena di Hazbin Hotel (2023 - ...)

Non posso che dirvi sì, assolutamente.

Hazbin Hotel è la classica serie che sembra mettere una serie di ostacoli apparentemente insormontabili per molti spettatori (io per prima): è un prodotto animato ed è un musical.

Lasciando da parte il pregiudizio sull’animazione – è dichiaratamente un prodotto per adulti – da non amante dei film musicali sono rimasta totalmente conquistata dalla bellezza della storia e delle canzoni.

Adamo e Lute in una scena di Hell is forever di Hazbin Hotel (2023 - ...)

Infatti quella che potrebbe sembrare l’ennesima riscrittura moderna della mitologia cristiana, è in realtà una profonda riflessione sul classismo odierno e sull’inevitabile conflitto generazionale che lo accompagna.

Oltre a questo, la colonna sonora è ricca di metafore e simbologie piuttosto ricercate, che intessono una narrazione musicale che dialoga fortemente con sé stessa, risultando assolutamente indimenticabile.

Insomma, superate i vostri pregiudizi e dategli una chance.

Sì e no.

La serie di Prime ha un atteggiamento piuttosto ambiguo sulla questione: una parte fondamentale della storia – l’origine di Alastor – presente nel pilot è ri-raccontata a metà stagione, in maniera secondo me anche migliore – e dopo aver lasciato ampio respiro al personaggio.

Al contempo, nel pilot sono presenti informazioni abbastanza importanti per comprendere appieno la trama, rispondendo a domande altrimenti insolute – in poche parole, molti dei personaggi presenti all’hotel non si capisce perché e come siano arrivati lì.

Il mio consiglio è di guardarvi la serie su Prime e solo dopo il pilot, così da colmare quei piccoli dubbi che sicuramente vi saranno venuti.

Banalmente, entrambi.

La scrittura dei dialoghi di Hazbin Hotel, soprattutto per le canzoni, è particolarmente ostica, in quanto spesso si utilizza un vocabolario piuttosto ricco e ricercato, con diversi giochi di parole sostanzialmente intraducibili in italiano.

Eppure, l’adattamento e il doppiaggio italiano di Hazbin Hotel è indubbiamente uno dei migliori che ho ascoltato in tempi recenti, che ha veramente fatto del suo meglio per rendere tutte le sfumature di significato della serie, anche quando sembrava davvero impossibile.

Insomma, se masticate abbastanza bene l’inglese, vi consiglio di darle una prima occhiata in originale, e poi rivederla in italiano.

Al contrario, se vi sentite più a vostro agio con i prodotti doppiati, è godibilissima anche in italiano, ma vi consiglio di rivedervi almeno le canzoni in inglese, per cogliere alcuni elementi che purtroppo non possono essere resi appieno nell’adattamento.

E Helluva Boss?

Helluva Boss è lo spin off di Hazbin Hotel – anche se tecnicamente sarebbe il contrario, perché questa serie è nata prima – ed è disponibile gratuitamente su YouTube, dove vengono pubblicate periodicamente le nuove puntate.

È una serie molto diversa da Hazbin Hotel per la gestione della storia: si tratta sostanzialmente di puntate autoconclusive con una trama di fondo che viene spalmata su diversi episodi, ricalcando temi già espressi nella serie madre, ma affrontando altri punti di vista altrettanto interessanti.

Inoltre, è un banco di prova molto importante per l’evoluzione evidente della animazione di Vivienne Medrano, che migliora puntata dopo puntata con sperimentazioni sempre più ardite ed affascinanti…

….che spero di trovare anche nel seguito di Hazbin Hotel.

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Avatar: La leggenda di Aang – Una crescita a tappe

Avatar – La leggenda di Aang (2005-2008) di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko è una serie animata di produzione statunitense, ma con grandi influenze derivanti dal panorama orientale.

In Italia la serie è andata in onda sul canale Nickelodeon fra il 2005 e il 2010.

Se non sapete niente di Avatar – La leggenda di Aang, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

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Gravity Falls – Il mistero della crescita

Gravity Falls (2012 – 2016) è una serie tv animata andata in onda prima su Disney Channel, poi su Disney XD, oggi disponibile in streaming su Disney+.

Se non sapete assolutamente niente su questo prodotto, continuate a leggere. Se invece siete già esperti, cliccate qui.

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His Dark Materials – Un bilancio complessivo

His Dark Materials (2019 – 2022) è una serie tv di genere fantasy e avventura tratta dall’omonimo ciclo di romanzi di Philip Pullman, uno dei più importanti autori della letteratura fantastica. La seconda trasposizione, dopo la dimenticabilissima trilogia mancata, iniziata con il film del 2007, La bussola d’oro.

Un esperimento riuscito?

Di cosa parla His Dark Materials?

Ambientato (inizialmente) in un mondo immaginario – che a grandi linee corrisponde ad una Londra di fine Ottocento in stile cyberpunk – la serie segue le avventure della giovane Lyra, una bambina con capacità fuori dal comune…

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

Vale pena vedere His Dark Materials?

Dafne Keen in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

In generale, sì.

Per quanto il mio interesse per la serie sia leggermente calato col passare delle stagioni, rimane comunque un prodotto veramente di alta qualità, a livello di scrittura, effetti speciali e ambientazione. Ma era difficile fare qualcosa di pessimo avendo alla base un’opera così immensa come quella di Pullman, che fra l’altro è produttore esecutivo della serie.

E la sua presenza è stata fondamentale.

In generale se vi piacciono le storie fantasy che si intersecano profondamente con l’elemento fantascientifico, con mondi immensi da scoprire e con poche sbavature, non ve la potete perdere.

Perché il film di His dark Materials era un disastro

Questa sezione è doverosa, perché non vorrei che alcuni spettatori che non hanno conoscenza dell’opera di Pullman, si lascino frenare dalla cattiva qualità di questa pellicola.

I problemi del film erano di fatto due: la mancanza di aderenza all’estetica dell’opera e la scelta della trattazione del materiale.

Anzitutto, l’estetica del film era incredibilmente e inutilmente patinata, in primo luogo facendo sembrare la protagonista, Lyra, che era una ragazzina ribelle e di origini abbastanza umili, una piccola principessa. Senza contare che hanno cercato di puntare su attori di grido come Nicole Kidman e Daniel Craig, una scelta, in ultima analisi, davvero poco indovinata.

Inoltre – e questo quasi per forza di cose – si è tagliato molto dall’opera originale, confezionando un prodotto di meno di due ore, che arriva a spezzare la trama del primo volume.

Per fortuna si sono fermati – e per forza di cose, dato lo scarso successo.

Da qui in poi farò spoiler stagione per stagione.

La prima stagione di His Dark Materials

La prima stagione copre il primo libro, La bussola d’oro (1995).

Una protagonista diversa

Dafne Keen in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Un elemento che potrebbe un po’ allontanare il pubblico è la poca simpatia di Lyra.

Lyra è in effetti un personaggio complesso, che corrisponde perfettamente alla sua controparte cartacea, e che però è del tutto funzionale alla trama e che la differenzia molto da altre protagoniste femminili di prodotti analoghi.

Non un’insopportabile Mary Sue, ma una protagonista molto determinata, irriverente e coraggiosa, e il cui carattere impetuoso è anche motore delle vicende. E, al contempo, è avventata e per questo spesso fallibile – nella maniera migliore possibile.

Prendersi i propri tempi

Proprio secondo questo stesso ragionamento, Lyra non impara subito ad usare l’Aletiometro (la bussola d’oro), ma ci mette quasi metà della stagione.

Ed è parte di una tendenza complessiva della serie: davanti ad un materiale di base piuttosto corposo, si prende i propri tempi e dedica intere puntate anche ad un unico argomento. È il caso della storia di Iorek e del ritrovamento di Roger, quest’ultimo un primo assaggio che ci porta alla pazzesca penultima puntata, dedicata a Bolvangar.

L’unico momento in cui la serie corre moltissimo è fra la prima e la seconda puntata: nel giro di poco tempo, Lyra salva Lord Asriel e conosce Mrs. Coulter. Non una scelta che mi abbia dato fastidio, anzi piuttosto funzionale a far immergere immediatamente lo spettatore nella storia.

L’indiscutibile superiorità di Mrs. Coulter

Ruth Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Il mio personaggio preferito della stagione è stata indubbiamente Mrs. Coulter, la cui interprete, Ruth Wilson, supera ad ampie falcate l’interpretazione di Nicole Kidman nel film.

Ruth Wilson è proprio il caso di un’attrice che oltre ad essere bravissima, ha proprio il physique du role: appare sempre come una donna infida e macchinatrice, ma anche piuttosto fascinosa.

E infatti è ben rappresentata dal suo daimon: molto bello e affascinante da vedere, ma imprevedibilmente violento e feroce.

E raggiunge il suo apice quando Tony Costa si introduce nella sua casa e lei, con incredibile eleganza e capacità, si comporta esattamente come il suo daimon, a dimostrazione di quanto siano profondamente complementari.

Ampliare il mondo

Il villain principale della stagione – e della storia in generale – è rappresentato dal Magisterium, ben poco esplorato nel film dedicato.

Grave errore, ottimamente superato in questo caso.

Non solo questa diabolica istituzione è raccontata attraverso diversi personaggi, tutti ugualmente iconici e interessanti, ma è anche rappresentato nella sua imponenza e rigidezza attraverso i suoi edifici e interni dalle linee dritte e taglienti, immerse in un bianco e nero molto netto.

Al contempo un altro ampliamento interessante è stato quello di Bulvangar, che va a spiegare un elemento che non era chiarito neanche nel libro: cosa succede ai bambini tagliati?

Il problema di Will

Amir Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

L’unico errore che mi sento di segnalare di questa stagione è la gestione di Will.

Per come sia stato giusto introdurlo più ampiamente già nella prima stagione – nel libro aveva solo un capitolo all’inizio del secondo volume – purtroppo è l’elemento più debole della narrazione.

Durante la visione, come ero incredibilmente coinvolta nella narrazione di una storia dai toni fantastici e avventurosi di Lyra, di contrasto mi interessava davvero poco la vicenda più terrena di Will.

E secondo me non avrebbero neanche dovuto dedicargli tutto quello spazio…

La seconda stagione di His Dark Materials

La seconda stagione copre il secondo libro, La lama sottile (1997).

La materia di partenza

Dafne Keen in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Il materiale di partenza era piuttosto limitato – un libro di meno di 300 pagine, contro le 350 del primo volume e le 450 del terzo.

Tuttavia, questa stagione è ben riuscita ad ampliare la trama in due direzioni: Lord Boreal e Mary Malone

Per quanto mi sia complessivamente piaciuta, è indubbio che la storyline di Boreal serve principalmente per aggiungere materiale alla trama, anche se comunque offre diversi spunti per ampliare i personaggi, sopratutto Mrs. Coulter.

Altro discorso è Mary Malone.

Simone Kirby in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Mary Malone è uno dei miei personaggi preferiti della serie.

Una bellissima introduzione, che poi prende strade altrettanto interessanti nella stagione successiva e serve a rendere meglio il lato più scientifico della storia, andando a contestualizzare ottimamente il discorso della Polvere nel più vicino concetto della Materia Oscura.

E serve anche per dare maggiore tridimensionalità a Mrs. Coulter.

Ampliare il personaggio

Ruth Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

In questa stagione il personaggio di Marisa Coulter viene ampiamente approfondito, e vengono anche chiariti alcuni dubbi che erano sorti nella prima stagione.

Si capisce definitivamente che questa donna incredibilmente intelligente ha per tutta la vita inseguito il sogno di essere riconosciuta per quello che era, sempre limitata dal suo essere donna in un mondo dominato dal maschile.

E questo ben si capisce con il confronto con Mary Malone, che rappresenta quello che lei non ha mai potuto essere.

Inoltre, si capisce perché riesce a stare così lontana dal suo daimon: una sfida che si è autoimposta per riuscire a mantenere un controllo su se stessa, diventando così invincibile, riuscendo anche a controllare poi gli Spettri.

Troppo?

Dafne Keen in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Come abbiamo detto per la prima stagione, il personaggio di Lyra può risultare facilmente antipatico.

Ho fatto un po’ fatica ad apprezzarla in questo ciclo di episodi, perché, sopratutto nel rapporto con Will, risulta a tratti veramente sgradevole. Tuttavia, si è riuscito anche a bilanciare questo elemento. Infatti, il personaggio viene costantemente punito per la avventatezza.

Al contempo, nonostante volessero imbastire una trama del tipo enemy to lovers con Will, questo aspetto l’ha un po’ guastata.

Delusione?

Amire Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Fin dalla prima stagione, per me era chiarissimo che il padre di Will non era morto e che sarebbe stato importante per la serie.

Infatti gran parte di questa stagione è dedicata al suo personaggio, andando a costruire la suspense per il ricongiungimento con il figlio. Tuttavia, lo stesso è veramente troppo veloce, troppo improvviso e si conclude in un attimo, senza che sia stato minimamente esplorato.

Un elemento che ho sofferto veramente tanto, uno dei pochi momenti in cui la serie corre tantissimo, quando avrei voluto almeno una puntata dedicata…

La terza stagione di His Dark Materials

La terza stagione copre il terzo libro, Il cannocchiale d’ambra (2000).

Il primo impatto

James Mackavoy in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Nonostante la qualità sia rimasta sostanzialmente invariata, la terza stagione è stata quella che ho meno apprezzato.

E in parte è dovuto anche al primo impatto che ho avuto.

Ho visto la prima puntata appena uscita, e mi sono sentita molto delusa perché le ambientazioni e le tecnologie utilizzate mi sembravano davvero fuori luogo rispetto a quello che avevo visto finora.

In realtà, guardando nel complesso gli episodi a posteriori, riconosco che si mantenga un equilibrio e una coerenza per tutto il tempo. Quindi forse, alla lunga, mi ha meno coinvolto anche per lo sviluppo delle vicende – davvero lento – che mi hanno catturato di meno rispetto ai precedenti episodi.

La questione degli angeli

Dopo due stagioni in cui avevo adorato ogni elemento dell’estetica e degli effetti speciali di His Dark Materials, gli angeli non mi hanno del tutto convinto.

Niente da dire per le loro versioni immateriali – davvero suggestive – ma non mi hanno convinto nella loro forma umana, per il modo in cui sono truccati e sopratutto per gli occhi estremamente azzurri, che dovrebbero apparire molto strani, ma che a me sono sembrati solo posticci.

Ancora meno mi ha convinto Metatron: per quanto sia interessante la scelta dell’attore – lo splendido Alex Hassell, visto recentemente in Macbeth (2021) – la cui fisicità piuttosto arcigna crea un interessante contrasto con il suo personaggio, nel complesso anche la sua estetica mi è sembrata molto dozzinale.

Peccato.

La bellezza di Mary

La storyline di Mary Malone, sopratutto sul finale, è stata la mia isola felice.

Il suo personaggio e la sua storia li ho trovati davvero soddisfacenti, anche con il piccolo racconto del suo passato che ha reso molto tridimensionale un personaggio già piacevolissimo.

Oltre a questo, assolutamente adorabile il suo rapporto con i Mulefa, di cui impara passo passo la lingua e che riesce infine a salvare, capendo finalmente la questione che l’aveva assillata per tutta la sua vita.

Unica pecca: avrei voluto che fosse raccontato meglio il cannocchiale d’ambra – che non viene mai chiamato così nella serie, anche perché non assume mai quella forma.

Caos

Ruth Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

La vicenda di Marisa e Asriel mi è piaciuta a tratti.

Secondo me per certi versi si spinge troppo sull’imprevedibilità e le macchinazioni di Marisa, che cambia continuamente fazione e che, alla fine, pensa solamente a se stessa, pur con un colpo di scena finale piuttosto indovinato.

Al contempo, per quanto mi sia piaciuta tutta la storia di Asriel – il grande assente della scorsa stagione – meno mi ha convinto il suo modo di relazionarsi sia con Lyra che con Marisa: per la prima la costruzione del rapporto è davvero monca, per la seconda i suoi continui perdoni sono troppo poco credibili.

E ad Asriel si lega anche il problema di Will.

Il problema di Will (ancora)

Amir Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Come per la prima stagione, Will si è rivelato un personaggio molto difettoso, e per più motivi.

Anzitutto, purtroppo, più si andava avanti con la storia e, sopratutto quando si confrontava con Lyra, si vedeva l’abisso di capacità recitative fra i due attori: come Dafne Keen si dimostra molto capace nonostante la giovane età, Amir Wilson non riesce andare oltre a poche espressioni accigliate.

Ed è un grande problema quando è il coprotagonista, se non il protagonista della scena.

In secondo luogo, si dimostra sostanzialmente inutile al piano di Asriel: fino all’ultimo mi aspettavo che uccidesse l’Autorità e che fosse utile al progetto di distruzione del Regno dei Cieli.

Al contrario, la vittoria contro Metatron è per mano di Asriel e Marisa, senza che Will neanche abbia mai parlato con Asriel.

L’amore non costruito

Dafne Keen e Amir Wilson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Un altro problema che riguarda Will è la costruzione del rapporto con Lyra.

Da certi punti di vista è un problema a metà: il rapporto fra Lyra e Will non è tanto un amore romantico, ma un amore che verte sopratutto sulla maturazione sessuale dei due personaggi, particolarmente quello di Lyra.

Tuttavia, sul finale si spinge molto l’acceleratore sul dramma puramente romantico, volendo creare una conclusione molto lacrimevole. Purtroppo, complice la costruzione poco vincente e le scarse capacità recitative di Amir Wilson, mi ha coinvolto veramente poco.

Per capirci, mi sono commossa molto di più vedendo Mary che scopriva il suo daimon…

Il finale

Dafne Keen e Amir WIlson in una scena di His Dark Materials (2019 - 2022) è una serie tv HBO

Il finale era il mio grande dubbio.

Non ero sicura che volessero ricalcare l’esatto finale del libro – che era davvero tremendo e tristissimo. E invece l’hanno fatto eccome.

Per fortuna hanno avuto quantomeno il buon gusto di ammorbidirlo un minimo, facendo capire che comunque Lyra e Will sono riusciti a vivere delle vite piacevoli e soddisfacenti.

E, sopratutto, hanno tolto la parte più dolorosa del finale: nella serie si dice che comunque Lyra, nel tempo, ha di nuovo imparato a leggere l’Aletiometro. Nel libro lei doveva allenarsi ogni giorno per il resto della sua vita, riuscendo a leggerlo solamente nel giorno della sua morte.

In effetti, veramente troppo.

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Wednesday – La viralità casuale?

Wednesday (2022 – …) è una serie tv di produzione Netflix, creata da Alfred Gough e Miles Millar, le cui prime tre puntate sono state dirette da Tim Burton. Un prodotto che ha avuto un successo incredibile, sopratutto per il balletto di Jenna Ortega, diventato virale su TikTok.

Ma non è solo questo il motivo della sua popolarità.

Di cosa parla Wednesday?

Wednesday Addams, dopo aver tentato di punire i suoi compagni di scuola quasi uccidendoli, viene espulsa dalla scuola e mandata in un collegio per ragazzi speciali – frequentato, fra gli altri, da sirene, lupi mannari e altre creature magiche. Ma un mistero incombe sulla scuola…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Wednesday?

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Dipende.

Wednesday non è sicuramente la serie che mi aspettavo: credevo che mi sarei trovata davanti ad un Le terrificanti – e lo sono davvero! – avventure di Sabrina 2.0, quindi un prodotto molto focalizzato sulle dinamiche teen e con l’elemento trash strabordante.

Invece la serie si concentra principalmente sulla parte mistery e per questo è complessivamente godibile, andando ad ingranare sopratutto nella seconda parte.

Non manca di alti e bassi, comprese le dinamiche teen – che comunque ci sono – a tratti veramente noiose – e ve lo dice un’appassionata del genere teen drama. Il problema più grande riguarda ovviamente Wednesday: se siete appassionati del personaggio e sopratutto dei film degli Anni Novanta, vi sconsiglio di guardare questa serie.

Potreste arrabbiarvi moltissimo.

Un’ottima interprete…

Jenna Ortega, Luis Guzmán e Catherine Zeta-Jones in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Avevo già ampiamente tessuto le lodi di Jenna Ortega per Scream 5 (2022)

E anche qui non mi ha deluso.

Non era per nulla facile mantenere un certo tipo di espressività e apparente impassibilità per l’intera serie, pur riuscendo al contempo a trasmettere le diverse emozioni per il suo personaggio, sopratutto nei momenti in cui si trova più in difficoltà.

Ma Jenna Ortega non solo ne è perfettamente in grado, ma è anche riuscita a diventare assolutamente iconica nel suo personaggio. Sicuramente essere in abile mani – anche se temporaneamente – come quelle di Tim Burton ha contribuito.

Ma io spero che questa serie sia solo il primo passo di una promettente carriera.

…un personaggio eccessivo

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Il problema principale di Wednesday è proprio la protagonista.

O, meglio, la sua assurda caratterizzazione.

Wednesday è un personaggio eccessivo, e da ogni punto di vista: è capace di fare ogni cosa, di risolvere ogni mistero, possiede delle conoscenze inimmaginabili, che vanno ben oltre all’ambito più grottesco e orrorifico che la caratterizzava originariamente.

Ne deriva un personaggio veramente insostenibile – a meno che non ce ne si innamori, ovviamente – una insopportabile so-tutto-io che guarda tutti dall’alto al basso. E, anche più grave, che compie azioni effettivamente criminali e violente, dai cui gli altri personaggi persino si dissociano.

E qui sta il principale problema.

L’importanza della contestualizzazione in Wednesday

Prima di scrivere questa recensione, mi sono guardata il film del 1991, La famiglia Addams, per riuscire meglio a comprendere i problemi del personaggio della serie – che erano in realtà già lampanti anche senza aver visto il film.

Nella pellicola Wednesday è un personaggio secondario della storia, che fa cose strane e grottesche all’interno di una famiglia che già di suo è strana e inquietante.

E funziona per due motivi.

Anzitutto, non esce praticamente mai dal contesto familiare, in cui le sue azioni sono ben integrate e per questo funzionano, anche dal punto di vista comico. Al contempo, non va mai fino in fondo nei suoi progetti violenti – e anche lì sta parte del fascino e dell’ironia del personaggio.

Christina Ricci in una scena di La famiglia addams 2 (1993)

Invece la Wednesday della serie tv, per quanto Netflix ci voglia convincere del contrario, viene messa all’interno di un contesto fondamentalmente normale – nel senso che, se si tolgono i poteri ai personaggi, sono dei normalissimi adolescenti con dinamiche molto classiche.

Al contempo, questo personaggio va fino in fondo nelle sue azioni, in scene davvero al limite del disturbante, che vanificano l’elegante equilibrio che invece caratterizzava il personaggio originale.

Allo stesso modo i suoi genitori non hanno un briciolo dell’iconicità degli attori dei film.

E a questo punto una domanda sorge spontanea…

Perché Wednesday ha avuto così tanto successo?

La risposta più ovvia potrebbe essere perché il balletto è andato virale su TikTok.

In realtà io credo che quello sia solamente la punta dell’iceberg.

Per quanto a me – e magari anche a voi che mi state leggendo – possa dare fastidio la caratterizzazione del personaggio, è proprio ad esso che probabilmente la serie deve il suo successo.

Dopo anni di protagoniste di prodotti teen timide e che devono farsi strada in un mondo nuovo, con questa serie i creatori hanno voluto portare in scena un personaggio incredibilmente potente, senza freni, e nella maniera più estrema possibile.

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Per certi versi mi ha ricordato The Mask (1994).

E infatti allo stesso modo mi viene da pensare che, analogamente al film di Jim Carrey, parte del successo di Wednesday sia dovuto a questo sogno di potenza che rappresenta – e che molto spesso caratterizza l’adolescenza.

Sopratutto se si è stati dei ragazzini emarginati, è facile aver avuto dei sogni di rivincita e di invincibilità verso gli altri, anche a volte andando a spaziare – nella formidabile fantasia adolescenziale – nell’elemento magico e surreale.

E Wednesday può essere, nonostante tutto, un sogno a cui rifarsi.

Da qui, la grande attrattiva del personaggio.

La (non) prevedibilità del mistero

Gwendoline Christie in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Uno dei motivi per cui Wednesday non è scaduta nelle trame più banali e scontate, è proprio la costruzione di un mistero che, tutto sommato, risulta efficace.

L’elemento teen è infatti molto secondario – e vista la qualità, per fortuna! – mentre al centro della storia troviamo proprio i misteriosi omicidi e tutte le vicende connesse, che si intrecciano anche con l’evoluzione della protagonista.

Da un certo punto di vista il mistero può risultare molto prevedibile: la villain, interpretata da Christina Ricci, lascia un indizio molto evidente fin da quanto appare per la prima volta in scena con i suoi stivali coperti di fango – che saranno poi l’elemento risolutivo del mistero.

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Tuttavia, nonostante tutto, qualche elemento non è del tutto prevedibile – quasi fino all’ultimo ho avuto il dubbio su chi fosse l’Hyde, se Tyler o Xavier. E questo anche perchè la serie utilizza una serie di piccoli trucchi per sviare lo spettatore dalla risoluzione.

Dalla passione artistica di Xavier – tratto tipico del mostro secondo il bestiario – fino ai capelli biondi della Dottoressa Kinbott, che ricordano quelli della bambina scomparsa, Laurel Gates, la serie dissemina diverse false piste.

Uno spettatore più esperto potrebbe non lasciarsi così facilmente ingannare

Ma la serie è rivolta ad un pubblico di giovanissimi, quindi va bene così.

La strada più difficile

Jenna Ortega e Emma Myers in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Una scelta che davvero non ho compreso della serie – anche se forse è dovuto al mio non essere adolescente da un po’ – è questa volontà di andarsi ad incastrare in una rete di relazioni romantiche una più fastidiosa dell’altra.

Oltre alla relazione di Enid, veramente poco interessante, Wednesday è costantemente assillata da due personaggi maschili che le ronzano intorno in maniera anche leggermente viscida, finendo per portarla persino fuori dal suo personaggio.

La cosa più semplice – e forse anche più sensata – sarebbe stata quella di instaurare una relazione fra Wednesday e Enid, anche in maniera non necessariamente troppo sguaiata. Oppure – anche meglio – ma forse è troppo avanguardistico per Netflix – proporre una protagonista asessuale o anche semplicemente non interessata o pronta alle relazioni.

Jenna Ortega e Moosa Mostafa in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Ma sopratutto problematico appare il personaggio di Eugene.

Come ce lo vorrebbero presentare come il classico ragazzino sfigato che non riesce a farsi notare dalla ragazza di turno, in realtà è un rappresentante di una cultura molto tossica e diffusa anche oggi.

Infatti Eugene sbaglia in primo luogo a non arrendersi davanti al fatto che Enid non sia semplicemente interessata a lui, e continuando ad insistere in maniera veramente problematica. Il picco è in particolare è quando videochiama la ragazzina mentre questa è con Ajax e le chiede, con fare quasi accusatorio, cosa ci faccia lui lì.

Il male che ci hanno fatto certi teen drama è ancora incalcolabile…

Ballo Wednesday

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Tornando invece al balletto diventato virale su TikTok, lo stesso ha una storia un po’ particolare, sopratutto per chi non è pratico della piattaforma.

Anzitutto, è piuttosto interessante constatare che la scena nella serie tv ha molta meno importanza di quanto si potrebbe pensare: è un momento simpatico, di passaggio, all’interno di una puntata che parla di tutt’altro.

E sopratutto, contrariamente a quanto pensavo, non è un momento di realizzazione o di rivincita della protagonista, come tipico di questi prodotti.

Jenna Ortega in una scena di Wednesday (2022), serie tv Netflix diretta da Tim Burton

Ancora più interessante se si pensa che la canzone che è diventata virale del video non è la canzone effettiva della scena: nella serie Jenna Ortega balla sulle note di Goo Goo Muck dei Cramps, mentre nel video diventato virale su TikTok la canzone è Bloody Mary di Lady Gaga.

Ma se guardate la scena, in effetti non potrebbe calzare più a pennello: 

https://www.tiktok.com/@beats_op_2099/video/7174077827715779867?q=wednesday%20dance&t=1674662777968
https://www.tiktok.com/@beats_op_2099/video/7174077827715779867?q=wednesday%20dance&t=1674662777968
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Yellowjackets – Un mistero insolvibile

Yellowjackets è una serie tv di genere mistery – fantastico, distribuita inizialmente sul canale statunitense Showtime e poi in Italia su Sky. Un prodotto che non ha avuto particolare eco nel nostro mercato, tanto che io l’ho scoperta davvero per caso, tramite passaparola.

E alla fine mi sono decisa a vederla.

E non sono rimasta delusa.

Di cosa parla Yellowjackets?

Le Yellowjackets sono una giovane squadra di calcio femminile, che parte per un viaggio in aereo per giocare nel campionato. Ma l’aereo precipita e le ragazze si trovano sperdute in una foresta misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Yellowjackets?

Sophie Thatcher in una scena di Yellowjackets, serie tv Showtime, in Italia distribuita da Sky

Sì, ma solo se siete pronti.

Yellowjackets è una di quelle serie basate sullo svelamento di un mistero, con un’alternanza fra presente e passato. Ma è anche un tipo particolare di serie che presenta degli elementi in qualche modo fantastici e orrorifici, ma che sono ben contestualizzati nel contesto realistico della storia.

Se avete visto The Leftovers, capirete di cosa sto parlando.

Se siete patiti per le serie mistery e vi piacciono i misteri con anche elementi apparentemente soprannaturali e inspiegabili, è la serie che fa per voi. Ma siate pronti all’idea che lo svelamento del mistero è ben più lento di quanto ci si potrebbe aspettare, e la serie si concentra maggiormente sulla costruzione dei personaggi.

Partire dal picco…

Olivia Hewson in una scena di Yellowjackets, serie tv Showtime, in Italia distribuita da Sky

La genialità di questa serie è il gancio che utilizza per coinvolgere lo spettatore.

Si comincia con un flashforward spalmato all’interno della prima puntata in cui una delle ragazze rimane vittima di una trappola mortale. Nell’inquietante seguito un gruppo di persone mascherate in maniera tribale si nutrono della sua carne durante una sorta di rito cannibale.

Solo sul finale vediamo lo svelamento di una degli individui mascherati. E scopriamo che è Misty, il personaggio che, più andiamo avanti, più è credibile in quelle vesti. Ma il gruppo è composto anche dalle altre ragazze…

E chi si nasconde sotto la maschera?

…proseguire per una storia normale?

Ella Purnell in una scena di Yellowjackets, serie tv Showtime, in Italia distribuita da Sky

Il resto della stagione mantiene una costante tensione, alimentata sia dalla fantastica colonna sonora, sia dal comportamento delle protagoniste da adulte, che mostrano le profonde ferite della loro traumatica esperienza.

E si usa un meccanismo simile da Severance, in cui l’unica fonte di svelamento del mistero non è per qualche motivo disposta a svelarlo. Ed è infatti il caso delle protagoniste, che da una parte non avrebbero motivo di raccontarsi fra loro quello che hanno vissuto, e al contempo (e per ovvi motivi) non hanno desiderio di raccontarlo agli altri.

Altrettanto bene funziona la falsa sicurezza che proviamo durante la stagione su chi sia effettivamente morto, cullandoci nella sciocca certezza che gli unici sopravvissuti siano quelli che vediamo in scena.

Un meccanismo ben oliato, che però scricchiola sul finale.

Un finale non del tutto convincente

Christina Ricci in una scena di Yellowjackets, serie tv Showtime, in Italia distribuita da Sky

Sono rimasta vagamente delusa dalla gestione del finale: non tanto perché il mistero non sia stato totalmente svelato, ma perché le dinamiche del cambiamento delle protagoniste non mi sono sembrate così credibili.

Il punto di svolta sembra di fatto il Dooming, ovvero il ballo della scuola, in cui tutte impazziscono per aver inconsapevolmente ingerito funghetti allucinogeni. Da lì questa esperienza sembra averle cambiate nel profondo, ma sinceramente le loro reazioni non mi sono sembrate credibili, appunto.

Sembra veramente che da un momento all’altro abbiano deciso di diventare aggressive, forse volendosi smarcare a vicenda delle reciproche colpe.

Anche se c’è ancora spazio per essere convincenti.

Cosa succede nel finale di Yellowjackets?

Le rivelazioni del finale in realtà sono molteplici. La più incredibile è proprio il fatto che Lottie sia ancora viva e a capo di una misteriosa organizzazione che continua il culto cominciato nelle foreste tanti anni prima.

È molto probabile che il seguito dei flashback si concentrerà su come Lottie (?) abbia definitivamente plagiato le menti delle sue compagne, portandole dentro al suo culto cannibale.

Così neanche al massimo della forma è Taissa, che si scopre, come era forse abbastanza prevedibile, essere la lady in the tree, e che abbia fatto cose indicibili sia al figlio sia al loro cane.

La nuova stagione dovrebbe arrivare all’inizio del 2023.

E non vedo l’ora.

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House of the dragon – L’altro lato del fantasy

House of the dragon è una serie tv prequel spin-off di Game of Thrones prodotta da HBO. Un prodotto accolto con tanta (anche giusta) diffidenza, dopo il disastro unanimemente riconosciuto del finale della serie madre.

Ma secondo me molti hanno dovuto ricredersi.

Fra l’altro una serie che è uscita in contemporanea con un’altra grande serie fantasy, Rings of power, rappresentandone la perfetta alternativa.

Di cosa parla House of the dragon?

Circa 200 anni prima di Game of thrones, i Targaryen dominato la scena politica di Westeros, monopolizzando il Trono di Spade e la conseguente discendenza. Il re in carica è Viserys, uomo pacato e pacifico, che si trova a dover gestire la complicata discendenza con la primogenita, Rhaenyra, mentre il trono è insidiato da ogni parte…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere House of the dragon?

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Premetto che sono molto di parte: al di là di tutti i difetti che può avere, è una serie che ho semplicemente adorato.

Ma, parlando più obiettivamente, se vi piace un fantasy più dark, con rimi molto concitati, pochi personaggi protagonisti e una robusta storyline principale, probabilmente vi piacerà. Se al contrario, preferite una serie più corale, con un fantasy più classico e ritmi più compassati, è ora di vedere Rings of Power.

Oppure vedetele entrambe.

Ma sopratutto House of the dragon.

L’ho detto che sono di parte.

Il percorso di Rhaenyra

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Rhaenyra è l’indiscussa protagonista della scena, e la sua maturazione è di fatto il perno della narrazione. Nella prima parte della stagione è di fatto una principessa ribelle, del tutto allergica al suo ruolo da donna di corte, che a Westeros significa di fatto supportare la discendenza della propria casata sfornando infinita prole.

E il padre tenta in tutto i modi di domare il suo spirito, ma Rhaenyra è indomabile: nonostante indubbiamente col tempo ritorni sui suoi passi, accetti il matrimonio e le gravidanze, comunque continua ad agire praticamente sempre con la sua testa: con la tresca con Ser Criston Cole e poi con Lord Strong, da cui lo scandalo di corte, e poi il matrimonio con Daemon.

Tuttavia indubbiamente Rhaenyra dimostra col tempo una grande maturità, sopratutto sul finale, quando si trova ad un passo dalla guerra, ma decide di agire con prudenza.

E invece Aemond deve rovinare tutto.

Alicent: lasciarsi trasportare dagli eventi?

Olivia Cook in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Alicent è un altro personaggio che mostra un interessante cambiamento nel tempo, con un’evoluzione del tutto organica. Infatti fin dalla prima scena Alicent è subito raccontata come una giovane donna del tutto ligia al dovere, tanto che accetta in maniera abbastanza obbediente l’invito del padre ad intrattenersi con Viserys dopo la morte della moglie.

Tuttavia già da qui si capisce come Alicent sia una donna che non si appiattisce nel ruolo di arpia e arrampicatrice sociale: non ha mai il ruolo di seduttrice, ma, in un altro contesto, si sarebbe intrattenuta abbastanza felicemente con il suo futuro marito senza neanche essere obbligata.

E così accetta a testa bassa anche il matrimonio, facendosi negli anni avvelenare dal padre, Otto, che la mette più volte in guardia sulla minaccia della successione ai suoi figli e la incoraggia più o meno malignamente a prendersi sempre più spazio a corte per ottenere il trono. E tanto peggio quando si affida alle cure di Larys Strong.

Ed è quasi commovente come fino alla fine e nonostante tutto, Alicent cerca una via pacifica con la vecchia amica…

Viserys: la pace a tutti i costi

Paddy Considine in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Sarebbe riduttivo definire Viserys un inetto, ma indubbiamente è un personaggio che si trova al centro di una situazione che è incapace di gestire con il pugno di ferro, o, meglio, come gli altri si aspetterebbero da lui.

E per certi versi Viserys non è tanto dissimile dalla figlia: la maggior parte delle volte segue la sua testa e non quello che gli dicono gli altri. Anche se alla fine accetta di mettere sulle spalle della figlia il peso del trono, non si piega l’agghiacciante possibilità del matrimonio con la giovanissima Laena, per quanto fosse la cosa migliore da fare per mantenere la solidità della discendenza.

E cosi continua a difendere strenuamente la figlia davanti alle accuse di adulterio, unicamente perché vuole mantenere questa pace impossibile e di fatto fittizia che si è creato intorno. E nonostante tutto riesce ad andarsene in pace, guardando negli occhi la moglie perduta…

Daemon: l’eterna invidia

Matt Smith in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Daemon è un personaggio per certi versi più fumoso, anche se sembra complessivamente guidato sempre dallo stesso sentimento: l’invidia.

Invidioso prima del fratello e poi della nipote e moglie per la loro ascesa al trono, che non è mai riuscito ad ottenere. Un personaggio che per fortuna non ha cambiamenti da una puntata all’altra: rimane sempre un uomo violento e iroso, che alza le mani contro gli altri, sopratutto gli innocenti, la maggior parte delle volte solo per sfogare la sua rabbia cieca.

E penso infatti che sarà interessante se approfondiranno meglio la relazione con Rhaenyra, che è molto meno intima e felice di quanto lei stessa potesse pensare. Perché è così evidente come Daemon viva per attaccar briga e mettersi a capo di battaglie non tanto perché ci crede, ma perché deve dimostrare qualcosa a se stesso.

E a questo aggiungiamo la sua possibile impotenza che viene più volte suggerita, sembra il classico caso del personaggio maschile che si sente demascolinizzato e risponde con violenza.

Ma, come tutti i personaggi di questa serie, non è mai appiattito su un solo concetto.

Un finale perfetto

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Per quanto il finale non sia forse stato l’incredibile, fantastica e scioccante conclusione che alcuni si aspettavano, io l’ho trovato perfetto così.

Nell’ultima puntata Rhaenyra dimostra la sua maturità politica, evitando di correre subito alle armi nonostante ce ne fossero tutti i motivi. In generale la protagonista sembra aver in parte interiorizzare quello che il padre aveva cercato di portate avanti fino alla fine della sua vita.

Ed è altrettanto interessante che l’effettivo casus belli, o la famosa goccia che fra traboccare il vaso, sia di fatto un incidente che però non sarà mai dimostrabile, anzi indubbiamente nessuno crederà mai veramente che Aemond non abbia ucciso volutamente Lucerys.

E questa è effettivamente la scintilla che fa scoppiare la guerra, in maniera anche storicamente credibile e interessantissima.

Il femminile tridimensionale

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Un elemento che ho decisamente preferito rispetto a Rings of Power è la gestione dei personaggi femminili.

Se infatti in Rings of Power in generale tutti i personaggi sono un po’ appiattiti dagli schemi narrativi in cui sono incasellati, House of the dragon sceglie di rinunciare a a qualsiasi tipo di veridicità storica e mette al centro l’emotività dei personaggi.

E così ne derivano personaggi femminili molto tridimensionali, che prendono però strade diverse: Rhaenyra che è appunto la ragazza ribelle, che però non è banalizzata né all’essere edgy senza motivo né nell’essere una Mary Sue altrettanto senza motivo.

Invece la sua ribellione è ben contestualizzata all’interno di contesto politico complesso ed intricato.

Il momento migliore al riguardo è la scena del suo debutto sessuale con Ser Criston: una sequenza diretta con particolare eleganza, che mette al centro il piacere e il desiderio femminile, senza drammatizzare il momento.

Meglio di cosi difficilmente avrebbero potuto farlo.

Una strada diversa quella di Alicent, che racconta invece un femminile plagiato dal maschile, a cui il personaggio si sottomette più o meno obbedientemente. Il momento cardine è quando Alicent deve concedersi in tarda notte al marito, con un montaggio alternato che mette in luce il grande divario fra lei e Rhaenyra.

Verso il finale della stagione mostra un minimo di ribellione e rivalsa, ma in realtà da questo punto di vista secondo me Alicent ha ancora molto da raccontare.

Il problema dei time skip

Personalmente non ho trovato particolarmente problematici i time skip, che nella serie abbondano. Ho preferito per certi versi che la vicenda politica non avvenisse in un lasso di tempo ristretto, ma che si prolungasse più realisticamente all’interno di periodo più ampio.

Per quanto riguarda i personaggi, è tutto un altro discorso.

Sulle prime i rapporti e caratteri dei personaggi non mi avevano dato particolare fastidio, anche perché banalmente mi emozionavo a vedere i nuovi casting ogni puntata. Tuttavia, alla lunga mi sono resa conto dei problemi. I rapporti fra i personaggi forse non sono così tanto problematici, perché sforzandosi un attimo si possono capire, meno credibile è il fatto che alcuni non invecchino di un giorno in vent’anni di narrazione.

Se per esempio fate un confronto fra il Daemon della prima puntata e quello dell’ultima, non sembra passato neanche un anno. E con tutto che nel finale c’è stato un lavoro oculato sulla fotografia per dare al suo volto delle luci più drammatiche che lo fanno apparire più invecchiato. Tuttavia nel complesso il lavoro da questo punto di vista non è stato particolarmente intelligente.

L’eccesso

Matt Smith in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Per quanto sia stata una delle più strenue difenditrici della serie, è innegabile che ci siano dei momenti in cui la abbiano portato alcuni elementi all’eccesso.

Per quanto mi abbia emozionato la scena, è stato al limite del trash il momento in cui Daemon decapitata Vaemond nell’ottava puntata, complice anche una CGI veramente scarsa. Forse anche peggio l’ormai famosa scena della nona puntata in cui Larys si masturba guardando i piedi di Alicent. Infatti, per quando il concetto fosse anche interessante nel complesso della caratterizzazione di Alicent, la messa in scena è stata veramente di cattivo gusto.

In generale la combo fra CGI scarsa, che purtroppo è un problema abbastanza evidente di tutte le puntate, e il tentativo di sconvolgere lo spettatore è stato in più momenti una combo micidiale.

Tuttavia in generale non sto dalla parte di chi in generale condanna in toto il cosiddetto wow-effect: per me, semplicemente, dipende da come viene fatto.

E raramente ho visto momenti in questa serie che mi hanno davvero dato fastidio.

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Rings of power – Un piacevole prologo?

Rings of power è una serie tv Prime Video, racconto prequel de Il Signore degli Anelli.

La produzione seriale più costosa mai realizzata finora, con un budget di quasi 60 milioni di dollari a puntata: per fare un confronto, una puntata di House of the dragon costa circa 20 milioni ad episodio.

La narrazione è basata sui libri della trilogia classica ed una serie di appendici, scatenando le ire di molti puristi tolkieniani per la mancata fedeltà massima all’opera. Personalmente, non facendo parte di nessuno schieramento e considerandomi più una casual fan de Il Signore degli Anelli, ho potuto giudicare la serie a mente fredda.

E mi trovo in una posizione di mezzo.

Di cosa parla Rings of power?

La storia segue le vicende di diversi personaggi, generalmente tutte collegate all’avventura dell’elfa Galadriel, impegnata nella sua missione di vita di ritrovare Sauron e sconfiggerlo definitivamente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Rings of power?

Un orco in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Dipende.

In generale se siete dei tolkieniani duri e puri, e volete vedere una riproposizione dell’opera di riferimento, lasciate stare: non hanno i diritti per trasporre il materiale effettivo, è inutile accanirsi.

Se invece, come me, siete più dei casual fan della saga cinematografica, potrebbe essere un prodotto per i vostri gusti. Ma dipende anche da che tipo di serie state cercando: se vi piacciono le serie fantasy classiche (high-fantasy), con racconti corali, tantissimi personaggi e ritmi molto compassati, è assolutamente la serie per voi.

Se invece vi piace un fantasy più dark, con ritmi più incalzanti e che si basa più su intrighi politici che sull’elemento fantastico, avete sbagliato prodotto: è ora di cominciare House of the Dragon.

La gestione della storia

Markella Kavenagh nei panni della
pelopiede Nori in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto non abbia personalmente apprezzato la gestione della trama, che ho trovato per i miei gusti troppo dispersiva, nel complesso può essere considerata un buon esempio di un prologo molto prolisso. La parte più attiva della vicenda è di fatto quella di Galadriel, ma in generale anche quella è solo la prima tappa di una storia ben più ampia.

Indubbiamente, la serie è stata un incontro di storie dal sapore molto diverso, così da riuscire a soddisfare i più diversi palati. E per me è stato decisamente rassicurante che, anche nella maniera più aspettata, tutte le storie si sono ritrovate collegate ad una più ampia linea narrativa.

Ad eccezione dei guizzi delle ultime puntate, la gestione della trama presenta ritmi davvero lenti e compassati, per nulla nelle mie corde. Tuttavia, è anche giusto che esista questo tipo di fantasy in linea con le tematiche e i ritmi tolkieniani.

Non possiamo tutti essere fan dei ritmi sfrenati di House of the dragons, insomma.

Galadriel è un personaggio problematico?

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Lasciando da parte le polemiche riguardanti la fedeltà del personaggio all’opera originale, il problema principale di Galadriel è la sua poca amabilità. E questo può essere una cosa positiva e negativa allo stesso tempo.

Negativa perché la sua caratterizzazione sembra scivolare in una tendenza piuttosto diffusa del panorama televisivo e cinematografico di non riuscire a raccontare personaggi femminili forti senza renderli al contempo anche sgradevoli. L’esempio principe è, ovviamente, Captain Marvel, personaggio proprio appiattito su questo concetto.

Tuttavia questo aspetto è anche positivo perché anche se la sua caratterizzazione non è particolarmente ampia, ma del tutto funzionale e organica al suo personaggio. Anzitutto perché è un’elfa, razza che, fuori e dentro le opere di Tolkien, è sempre caratterizzata da una certa alterigia.

In secondo luogo, è una donna testarda e tenace, che risulta in parte sgradevole agli stessi altri personaggi. Tuttavia, se non avesse questo carattere, non avrebbe mai convinto Númenor a salvare in parte le Southlands, non avrebbe scoperto Sauron e soprattutto avrebbe permesso allo stesso di impossessarsi degli Anelli del Potere.

La questione di Sauron

Sauron in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto riguarda il personaggio di Sauron, gli autori hanno tentato un bell’azzardo, visto che in parte doveva inventare di sana pianta. Ovviamente consapevoli che sarebbe diventata la pietra dello scandalo, hanno giocato tantissimo su questo personaggio, disseminando indizi e false piste.

E io ho abboccato praticamente a tutto.

E va bene così.

Da un certo punto di vista ero molto convinta della scelta di rivelare che lo Straniero fosse Sauron, ma è anche vero che così si sarebbe entrati in un cortocircuito troppo complicato da gestire. D’altra parte, scegliere un attore con la faccia così pulita e amabile per questo ruolo e con un plot twist così potente, è stato molto azzeccato.

Aspetto i tolkieniani che vengano qui a spiegarmi perché è stata la scelta più sbagliata e inorganica mai presa, perché non ho dubbi che lo sia.

Ma, di nuovo, a me va bene così.

L’identità dello Straniero

Daniel Weyman nei panni dello Straniero una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Un importante mistero della serie era la vera identità dello Straniero. Per quanto la gestione della storyline dei Pelopiedi mi sia piaciuta a tratti, la sua conclusione è stata una delle mie preferite, perché getta le basi per una storyline che mi torna a far sognare il viaggio di Frodo e Sam.

E lasciatemi sognare.

Per il resto, come già detto, ho trovato molto credibile la rivelazione della sua identità. Per quanto ho visto molte persone arrovellarsi su diverse teorie, io credo che sia più scontato e digeribile per il pubblico di riferimento dire che si tratta o di Gandalf o di Saruman, indipendentemente da che questo sia coerente col canone o meno.

E, visto che Gandalf è uno dei personaggi più amati della saga (ed infatti è il mio preferito), ho idea che quella sia la direzione che prenderanno.

L’aspetto estetico

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel e Robert Aramayo nei panni di Elrond in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

L’aspetto estetico della serie è stato un po‘ il mio cruccio.

Non sempre, ma troppo spesso di sicuro, mi sono trovata a non credere a quello che vedevo in scena, nel senso che vedevo gli attori che recitavano in scena, e non i loro personaggi. Tanto più che anche quando questi dovrebbero essere più sporchi e naturali, come i Pelopiedi, li ho trovati invece molto finti.

Ma questo è un problema tutto mio, in quanto questa è l’estetica di Tolkien, tanto più pompata con un budget stellare. Perché sarebbe del tutto ingiusto dire che i costumi e gli oggetti di scena non siano stati al limite della perfezione, per quelli che erano gli intenti.

Andrò avanti a vedere Rings of power?

Per quanto abbia avuto un dubbio in certi momenti, soprattutto nella prima parte, questo finale mi ha davvero convinto a proseguire con la serie.

Con tutto che non mi ha entusiasmato, non mi sento ancora di gettare la spugna, perché come mi piace il Signore degli Anelli, spero che più nel lungo periodo anche Rings of power riesca effettivamente a convincermi.

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The Sandman – Al limite

The Sandman è una serie Netflix di recente uscita, tratta dalla graphic novel omonima di Neil Gaiman. Un autore che è diventato molto popolare negli ultimi anni: le sue opere sono state il punto di partenza per diversi prodotti seriali, fra Lucifer e American Gods, con risultati altalenanti.

Io sono stata impressionata dalle capacità narrative di Gaiman fin da Coraline (2002), prodotto che è riuscito a traumatizzarmi sia per il lungometraggio animato che per la sua controparte cartacea.

Tuttavia, ero in grande dubbio sulla riuscita di questo prodotto, per la poca soddisfazione che mi aveva dato Lucifer, e pure American Gods a lungo andare. Ma soprattutto ero scettica visto il tipo di produzione che c’era dietro, quella di Netflix, non sempre propriamente associata a prodotti di qualità.

Invece, sono rimasta sorpresa.

Alla fine della recensione troverete anche un interessante approfondimento dedicato al confronto col fumetto, scritto da una mia cara amica appassionata dell’opera di Gaiman.

Di cosa parla The Sandman?

Sandman è un’entità con vari nomi (Sogno, Morfeo…), che presiede il mondo dei sogni e degli incubi. Dovrà scontrarsi con diverso nemici, anche a lui molto vicini, con vicende quasi antologiche che ci accompagneranno nella scoperta del suo personaggio.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare The Sandman?

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Decisamente sì, e lo dico da persona che è rimasta sinceramente sorpresa vedendo la serie. Infatti, come anticipato, dopo essere rimasta abbastanza scottata dalla deriva di Lucifer e dalla discreta delusione di American Gods, non ero del tutto sicura che mi sarebbe piaciuta e non avevo un reale interesse.

E invece è un prodotto che è stato capace di gestire nel migliore dei modi la materia originale, sotto l’occhio esperto di Gaiman, con davvero poche sbavature. Aspettatevi quindi una serie che ha alcuni elementi in comune con gli altri prodotti precedentemente citati, ma che è su un livello decisamente più alto.

Vivere al limite

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Per la maggior parte della serie io ero abbastanza tesa, perché avevo già visto come la materia di Gaiman, con il suo incontro fra mitologia e modernità, se trattata malamente, potesse sfociare nel trash più becero.

E non aiutava l’estetica, del tutto peculiare, che rimanda ad un immaginario molto tipico della serialità degli Anni Novanta e primi Anni Duemila, dove tutto sembrava finto e posticcio.

E invece la produzione di The Sandman si ferma sempre al punto giusto, raccontando un immaginario interessante e mai eccessivo, con fra l’altro degli ottimi effetti speciali, anche in questo caso con pochissime sbavature.

Una conduzione peculiare

David Thewlis in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Allo stesso modo mi ha sorpreso la modalità della narrazione: un’abile gestione di una trama sia orizzontale (ovvero della storia complessiva) che verticale (quasi autoconclusiva per alcuni episodi). La storia è gestita con piccoli archi narrativi che arricchiscono il world building e che portano avanti la storia in maniera complessivamente molto organica.

La serie di fatto racconta la caduta e la rinascita di Morfeo, ma al contempo la arricchisce con una serie di vicende più o meno secondarie, e con una carrellata di personaggi uno più interessante dell’altro. Fra tutte, ho particolarmente apprezzato la puntata 24/4 con David Thewlis, attore che fra l’altro mi piace moltissimo. Ma anche lo scontro fra Sogno e Lucifero in A Hope in Hell, e così anche la puntata The Sound of Her Wings dedicata a Morte.

Purtroppo mi ha un po’ meno convinto l’arco narrativo finale, con protagonista Rose. Infatti, davanti alla grande originalità del prodotto, gli ultimi tre episodi li ho trovati scorrere su binari più prevedibili e consolidati, che non sono riusciti a conquistarmi.

Un protagonista in divenire (e la sua spalla)

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

La particolarità di The Sandman è che il suo protagonista è sempre in divenire, ma non in maniera forzata e poco organica, come accadrebbe in diversi prodotti di questo tipo. Sogno è per la maggior parte del tempo un personaggio immutabile ed etereo, soprattutto nei primi momenti della serie, in cui parla solo come voce narrante.

Tuttavia il suo confronto sia con gli umani sia con altre entità lo porta a mettersi alla prova, a dimostrarsi più volte fallibile, e, infine, a compiere un interessante arco evolutivo. L’attore, poi, sembra nato per il ruolo.

Molto indovinata anche la sua spalla, Matthew, che vive in funzione dello spettatore, per fare le giuste domande e per permettere ai personaggi di spiegarsi su cose che già sanno, senza che questo risulti forzato o didascalico.

Personaggi iconici

In The Sandman si vedono personaggi che fin dalla prima apparizione sono perfettamente identificabili e iconici. Anzitutto Lucifero, che ovviamente non può essere identificato con un genere, e che quindi si è scelto di far interpretare da un’attrice dai tratti androgini.

Una figura che si discosta dall’estetica del fumetto (ispirata a David Bowie), avvicinandola più che altro all’estetica del putto barocco, con un contrasto assolutamente vincente fra la sua eleganza angelica e la minaccia delle sue imponenti ali nere.

Ma la punta di diamante è stato sicuramente Desiderio: appena è apparso in scena, non ho avuto dubbi di chi si trattasse, tanto era convincente la sua estetica. Fra l’altro la produzione ha avuto l’ottima pensata di castare un interprete non-binary e che già di suo abbraccia l’estetica del suo personaggio.

Un andamento positivo, che vede uno spiraglio per questi interpreti anche nelle produzioni statunitensi, come già visto in Euphoria con Hunter Schafer, per cui è stata fatta un’operazione molto simile.

Il significato del sogno in The Sandman

Una delle colonne portanti della serie è il concetto di sogno, ben più ampio di quello che ci si potrebbe immaginare.

Il sogno non è solo quello in cui ci si immerge quando si dorme, ma un elemento fondamentale per l’umanità, da viva e da morta.

Infatti gli umani da vivi, se non avessero un sogno, quindi una speranza da inseguire, non avrebbero più volontà di vivere. E così i serial killer nella penultima puntata, privati del loro sogno di essere le vittime, si rendono conto della loro condizione bestiale ed egoistica, e si tolgono la vita o si costituiscono.

Ancora più interessante come viene raccontato nella puntata A Hope in Hell, quando Dream ricorda a Lucifero che i suoi dannati, se non sognassero il paradiso, non soffrirebbero più la loro condizione.

Un concetto potente e interessante.

Due parole sulla puntata bonus di The Sandman

La puntata bonus di The Sandman è stata un piccolo e gradito regalo per tutti gli spettatori che si sono appassionati alla serie. E fra l’altro un segnale molto positivo della produzione verso una a questo punto molto probabile seconda stagione.

Delle due storie ho sinceramente preferito la prima, anche se più stringata e veramente tanto surreale: un modo per raccontare i sogni dei gatti e delle possibilità della della malvagità umana. Il sogno per una sorta di paradiso dei gatti, più selvaggio ma anche più giusto, per certi versi.

Meno interessante a mio parere la seconda storia, Calliope: per certi versi mi è sembrato un more of the same della prima puntata, che non va particolarmente ad approfondire una tematica, ma ripropone questioni già ampiamente trattate nelle altre puntate.

Il confronto con il fumetto

The Sandman: quanto è fedele al fumetto?

Fin dall’uscita dei primi trailer della serie Netflix, si è parlato molto di affinità e differenze con il capolavoro a fumetti di Neil Gaiman, ma quanto è davvero fedele la serie all’opera originale e a cosa sono state dovute certe scelte?

Andando con ordine, ecco un’analisi di come sono stati rappresentati l’ambientazione, i personaggi e gli eventi in questa prima, riuscita stagione.

L’ambientazione

Le scelte estetiche dell’adattamento si rifanno molto ai telefilm di genere degli Anni Novanta, aspetto che chi leggeva il fumetto proprio in quegli anni non potrà non apprezzare. Nella storia originale, infatti, la fuga di Sogno raccontata nelle prime due puntate della serie avveniva in un tempo più o meno contemporaneo all’uscita del primo volume, tra l’88 e l’89.

Essendo però la serie di Netflix uscita il 5 agosto di quest’anno, a più di trent’anni di distanza, la scelta è stata quella di mantenere l’aspetto della contemporaneità  attualizzando gli eventi, dunque fondamentalmente spostando la fuga di Sogno di una trentina d’anni. Dal punto di vista narrativo questo ha permesso di aprire una piccola storyline [linea narrativa] sul personaggio di Alex Burgess, figlio del negromante Roderick Burgess, che perpetuerà la prigionia di Sogno dopo la morte del padre, coprendo quell’intervallo di trent’anni di differenza con la saga a fumetti.

Alex Burges

Il risultato è stato un buon compromesso tra l’esigenza di mantenere l’atmosfera originale – resa appunto tramite i richiami alla serialità di genere degli Anni Novanta – e l’esigenza invece di rendere l’opera il più possibile fruibile dagli spettatori odierni. Unica grande pecca: i fastidiosi effetti bagliore presenti dalla prima all’ultimissima scena della stagione: questi sono ripresi – bisogna concederlo – dalle copertine e dai numerosi artwork presenti nei fumetti originali, che univano fotografia e disegno con giochi di pattern e sovrapposizioni molto peculiari.

La resa su schermo però è tutt’altro che gradevole e restituisce impressioni ben diverse da quelle oniriche e astrattiste del fumetto, anzi, finisce per dare un’aria cheap [dozzinale] al prodotto, come se la produzione non avesse avuto abbastanza budget per i fondali. Questo a riprova del fatto che trasporre un’opera da un media all’altro dovrebbe richiedere più di un becero copia e incolla, ma di tradurne i linguaggi.

Lo stesso espediente o la stessa scelta estetica possono avere una resa del tutto diversa a seconda del media attraverso il quale sono veicolati, quindi alcune variazioni si rendono necessarie nelle trasposizioni per garantire certi standard di fruibilità, qualità e coerenza.

Questa stagione è ispirata ai primi due volumi (dal n.1 al n.16) del fumetto, che caso vuole siano anche quelli dalle ambientazioni più  concrete e terrene, ma se la serie continuerà – come spero – a seguire la trama dell’originale, dovrebbero esserci ambientazioni sempre più astratte e concettuali.

Vedremo come se la caveranno in quel caso.

I personaggi

Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Tom Sturridge, il bravissimo interprete di Sogno, ha affermato che inizialmente avevano provato a dargli un look più fedele a quello del fumetto: capelli blu notte folti e sparati in ogni direzione, un cerone bianchissimo sul viso e le stelle negli occhi.

Sorpresone, il risultato era piuttosto ridicolo e poco organico. Tra l’altro, si tratta di un personaggio che viene introdotto al pubblico bloccato in una palla vetro, nudo, senza potersi muovere o parlare. La possibilità dell’attore di esprimersi attraverso espressioni facciali e piccoli movimenti del corpo – che diventa dunque estremamente importante – avrebbe rischiato di essere compromessa da un trucco pesante.

Hanno quindi continuato a provare trucchi e parrucchi diversi, senza trovarne uno convincente finché, a detta di Sturridge, non si sono resi conto che lui è già insanamente pallido, ha già i capelli molto scuri e, se lo guardi nel profondo degli occhi, puoi vedere il cosmo.

Non c’è bisogno di fare modifiche per farlo sembrare un essere eterno.

Gli altri

Sogno e Morte nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Se su Sturridge non posso certo dissentire, sul personaggio di Morte ho invece qualche riserva in più. Se l’attrice Kirby Howell-Baptiste rende bene il carattere sicuro, dolce e affabile del suo personaggio, il costume non le rende giustizia, abbandonando i tratti mistici e punk del suo aspetto a favore di un’estetica che ricorda tanto un prodotto di scarsa qualità come l’adattamento di Shadowhunters.

Il maggiordomo di Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ci sono poi alcuni personaggi del cui casting si è parlato in termini di gender swap [scelta di cambiare genere a un personaggio] o presunto tale. Lucienne, aiutante di Sogno che si occupa della biblioteca nel palazzo dell’eterno, nel fumetto è un uomo bianco dall’aspetto vagamente elfico, mentre nella serie è interpretato dall’attrice nera Vivienne Acheampong, che riesce, a dispetto del phisique du role decisamente diverso, a rendere il personaggio in maniera fedelissima alla saga fumettistica, soprattutto nel suo rapporto con Sogno.

John Costantine nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

John Constantine nella serie diventa Johanna, questo a detta di Gaiman per rendere il personaggio più accessibile al pubblico di oggi, che potrebbe non avere con il personaggio originale, all’epoca del fumetto già molto popolare e titolare di una saga sua, la stessa familiarità che aveva il pubblico degli Anni Novanta.

Lucifer nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ultimo ma non ultimo il personaggio di Lucifero, che non avrebbe avuto senso far interpretare a Tom Ellis (interprete di Lucifer) per il mood [l’atmosfera] totalmente diversa della serie. È stata scelta invece la grandiosa Gwendoline Christie, già popolare per Game of Thrones. In questo caso, come ribadito dallo stesso Gaiman, non si può parlare di gender swap, perchè il Diavolo non ha genere. Per chi non conoscesse il fumetto, Lucifero è disegnato con le fattezze di David Bowie: prendere il testimone da un’icona del genere non dev’essere facile, ma per noi l’attrice ha raggiunto l’obiettivo.

Gli eventi

La serie è incredibilmente fedele alla trama dei fumetti, la differenza maggiore è la proroga di 30 anni della prigionia di Sogno, che apre una piccola digressione sul figlio del suo carceriere, Alex Burgess.

C’è poi un evento che non è stato gestito benissimo, ma costituisce uno spoiler che non raccomanderei a chi non abbia visto la serie, quindi andate avanti a leggere a vostro rischio e pericolo.

Si tratta della questione della gravidanza di Unity Kinkaid, che da come viene descritta nella serie sembrerebbe essere originata da un concepimento avvenuto in sogno, come nel caso di Lytha Hall, l’amica di Rose. Nel fumetto è invece chiaro come questo sia stato purtroppo originato da uno stupro.

In ultimo chiudiamo con un interessantussimo video in cui Neil Gaiman commenta il trailer della serie e racconta dei retroscena della produzione:

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Stranger Things 2 – Niente cambia, tutto cambia

Stranger Things 2 è la seconda stagione di una delle serie tv di punta di Netflix, cresciuta di pubblico e popolarità nel corso degli anni.

La seconda stagione arrivò a solo un anno di distanza dal primo ciclo di episodi (a differenza delle successive), cercando di proporre qualcosa di nuovo per un seguito che non era stato originariamente veramente pensato.

Non avevo un ricordo del tutto positivo della seconda stagione. Per fortuna ad una seconda visione mi sono dovuta ricredere, apprezzandola quasi quanto la prima.

Tuttavia, questa stagione ha un problema fondamentale: compie un tentativo incredibilmente fallimentare di ampliare la narrazione, dimenticandosi ingenuamente dei suoi punti di forza.

Di cosa parla Stranger Things 2

Stranger Things 2 si concentra su diverse storyline, la cui principale riguarda Will: ad un anno di distanza dal suo terribile viaggio nel Sottosopra, il ragazzino è tormentato da una nuova minaccia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Stranger Things 2?

Noah Schnapp, Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

In generale, sì.

Se avete apprezzato la prima stagione e se soprattutto vi siete appassionati ai protagonisti, non potete perdervi il secondo ciclo di episodi.

Per quanto in parte sia un po’ la stagione minore di quelle finora uscite, continua a non sbagliare un colpo e ad essere un ottimo prodotto di intrattenimento, colmo di citazioni alla cultura pop e alla produzione cinematografica degli Anni Ottanta.

Se non avete mai visto Stranger Things, che cosa ci fate qui? Ho scritto un articolo apposta per voi.

Top Stranger Things 2

Will: l’inaspettato

Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Non è stato per nulla facile scegliere il mio personaggio preferito per questa stagione.

La mia scelta è infine ricaduta su Will.

Rimasto praticamente fuori scena per la maggior parte nel primo ciclo di episodi, nella seconda stagione diventa quasi più protagonista di Eleven. Ho davvero apprezzato la costruzione della sua storia, temendo davvero per la vita di Will, personaggio apparentemente inerme davanti al Mind Flayer che lo domina.

Inoltre, davvero inaspettata la recitazione di Noah Schnapp, che a soli dodici anni è riuscito a portare una performance veramente convincente e al contempo straziante, utilizzando ottimamente tutte le sue capacità per la recitazione corporea.

Peccato che alla fine della stagione il suo personaggio venga di nuovo messo da parte, tendendo un po’ a dimenticarselo nelle stagioni successive.

Max: the new girl

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Max è la grande introduzione della stagione.

I Duffer Brothers avevano l’arduo compito di portare in scena un nuovo personaggio femminile in un cast ancora principalmente maschile, con il rischio di appiattirla come la ragazza del desiderio dei protagonisti.

Ammetto che Max non è mai stato un personaggio con cui mi sono affezionata, sia perché è una ragazza chiusa e con cui è difficile empatizzare sulle prime, sia perché l’ho poco apprezzata nella terza stagione.

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Tuttavia, Mad Max è un personaggio interessante, che non vuole essere una Eleven parte 2, ma al contrario una ragazzina con un passato tormentato e all’interno di una relazione violenta con il fratello adottivo.

E che è infine capace di mettere i giusti paletti nella loro relazione, dopo una stagione passata ad essere terrorizzata da Bill.

Oltre a questo, ancora vincente la sua relazione con i protagonisti, abbastanza simile per dinamiche a quelle di Eleven: cerca di essere il più possibile realistica e credibile, sia per la sua riluttanza ad entrare nel gruppo, sia per la sua incredulità rispetto al Sottosopra.

Dustin, Steve & Dart

Joe Keery e Gaten Matarazzo in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Una bella scoperta della stagione è stato Steve, personaggio comunque non del tutto appiattito neanche nella scorsa stagione, ma che finalmente diventa un personaggio interessante.

E chi poteva portarlo lontano dall’inutilità della quota teen della serie se non Dustin, che non a caso è, insieme ad Hopper, il mio personaggio preferito di Stranger Things. Letteralmente Dusty, quando Steve si sta recando da Nancy per riconciliarsi, lo prende per mano e lo coinvolge nell’avventura.

E, inaspettatamente, Steve si rivela buon amico e fratello maggiore per Dustin, cercando di aiutarlo a farlo sentire più sicuro di sé stesso e per riuscire a conquistare Max.

Nonostante gli dia dei consigli veramente stupidi, è adorabile lo sbocciare del loro rapporto, che ha il suo climax nelle scene finali del ballo della scuola.

Al contempo, per quanto secondario, ho trovato davvero piacevole l’arco narrativo di Dustin e Dart, il demodog che Dustin alleva come un suo piccolo animaletto, e che riesce a tenerlo a bada fino all’ultimo, in una scena davvero adorabile.

Bob: eroe o carne da macello?

Sean Austin e Winon Ryder in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Da questa stagione in poi i Duffer Brother hanno cominciato a prendere la fastidiosa abitudine di introdurre personaggi a cui il pubblico si affeziona immediatamente, per poi farli morire nel peggior modo possibile.

Bob è infatti una parte bellissima e terribile di questa stagione: un’occasione per Joyce di trovare una felicità e una vita semplice altrove, un personaggio fondamentale nella risoluzione del mistero, ma evidentemente anche un personaggio sacrificabile quando smette di essere utile.

E non è stato certo un caso la scelta di un attore così amato dal grande pubblico: Sean Astin è l’indimenticabile Sam della trilogia de Il signore degli anelli, personaggio entrato nel cuore di molti.

Hopper e Eleven: un rapporto in divenire

David Harbour e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Il rapporto fra Hopper e Eleven è probabilmente la parte più toccante della stagione: per quanto non mi abbia convinto del tutto il modo in cui inizia, in quanto non adeguatamente spiegato, la loro relazione è potente quanto straziante.

Di fatto troviamo un padre che cura una ragazza sconosciuta come se fosse sua figlia e al contempo la stessa che si crede invincibile ed è, per questo, incontrollabile. E questo porta anche ad un antagonismo e ad una mancanza di fiducia tipica dei rapporti del periodo dell’adolescenza, che si evolverà ulteriormente nella prossima stagione.

Tuttavia, infine i due riescono felicemente a riconciliarsi, ammettendo in maniera molto matura le rispettive colpe, gettando le basi per un nuovo e importante rapporto.

Flop Stranger Things 2

Uno spin-off mancato

La settima puntata di questa stagione è universalmente considerata la peggiore ed è un evidente tentativo di mettere le basi per uno spin-off della serie. Le motivazioni dietro a questo fallimento sono diverse, e riguardano sia la puntata in sé sia il percorso che è stato fatto per arrivarci.

Per la puntata di per sé, i Duffer Brother (o chi se ne è occupato) sembrano essersi dimenticati il punto di forza di Stranger Things: i suoi personaggi.

Qui veniamo introdotti ad un gruppo di personaggi uno più stereotipato dell’altro, con dinamiche che nulla c’entrano con la serie e sembrano, appunto, di un altro prodotto.

Oltre a questo, il personaggio di Eleven ha una storyline non inutile, ma certamente troppo distaccata dalla trama generale, tanto che il suo intervento alla fine ha un forte sapore di deus ex machina: non esattamente indice di una buona scrittura.

Vicende accessorie

Sempre su questa idea, anche la trama di Nancy e Jonathan sembra piuttosto accessoria e distaccata dal resto della trama. Non inutile, anche perché ha una conseguenza importante nel finale.

Non fastidiosa come mi ricordavo, tuttavia la parte meno interessante dell’intera stagione, anche perché la quota teen rimane per me quella meno vincente.

Oltre a questo, nella scorsa stagione era già troppo tardi per dimenticarsi di Barb, personaggio che per motivi misteriosi continua ad essere riportato in qualche modo in scena.