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Only murders in the building – Ti racconto il mio cruccio

Only murders in the building è una serie tv Disney+ di genere mistery e comico, con protagonisti Selena Gomez, Steve Martin e Martin Short. Un prodotto arrivato ad oggi alla seconda stagione e già confermato per una terza.

Una serie che è un mio cruccio: la guardo con piacere, anche molto coinvolta, ne riconosco i vari e innegabili pregi…ma alla fine non rimango con un buon sapore in bocca.

Tuttavia, è una serie che dovete vedere per buonissimi motivi.

Di cosa parla Only murders in the building?

A seguito di un misterioso omicidio nel loro palazzo, un improbabile terzetto di protagonisti si ritrova non solo ad indagare il caso, ma anche a creare un podcast di successo.

Vi lascio il trailer della prima stagione per farvi un’idea:

Perché dovreste vedere assolutamente Only murders in the building

Selenza Gomez, Steve Martin e Martin Short in una scena della serie Only murders in the building, serie tv Disney+

Only murders in the building è una serie davvero imperdibile per molti motivi: l’ottima regia e messa in scena, una costruzione molto sapiente sia del mistero che dei personaggi in scena, colpi di scena ben calibrati e un intrigo per nulla scontato.

Tanti elementi derivati da una particolare cura per la totale partecipazione degli attori protagonisti nella produzione: sono tutti produttori esecutivi della serie, che significa che hanno ampissima voce in capitolo nella sua realizzazione, e Steve Martin è anche co-creatore.

Vi consiglio solo di non guardare le due stagioni una di fila all’altra: rendono molto meglio se guardate con una minima distanza l’una dall’altra.

Saper gestire un mistero

Selenza Gomez, Steve Martin e Martin Short in una scena della serie Only murders in the building, serie tv Disney+

Se avete una discreta conoscenza delle serie di genere mistery sapete che una gestione ottimale del mistero non è per nulla scontata, anzi. Ci sono non pochi casi di serie tv che costruiscono un mistero che sulle prime appare anche molto intrigante, ma che poi, arrivati alle battute finali, appare totalmente sconclusionato.

Non è il caso di Only murders in the building il quale, sopratutto per questa seconda stagione, mi ha ricordato Pretty little liars ai tempi d’oro. Un paragone infelice, ma vale come esempio vincente: alcune dinamiche sono simili, ma, come Pretty little liars è uno inconcludente accumulo di indizi e intrighi, Only murders in the building si dimostra ben più efficace e narrativamente organico.

Infatti sia nella prima che nella seconda stagione vediamo in scena una progressiva e intelligente rivelazione del mistero, con un colpo di scena finale in entrambe le stagioni che è ben costruito fin dall’inizio. In particolare, nella seconda stagione si è scelto di giocare con i falsi colpi di scena per un’intera scena.

Unica pecca di questa scelta: se si è abbastanza esperti di questo genere di prodotti, appare del tutto evidente come gli stessi colpi di scena siano finti anche prima che siano spiegati.

Pochi tocchi di sitcom

Selenza Gomez e Cara Delavigne in una scena della serie Only murders in the building, serie tv Disney+

Un elemento davvero peculiare di questa serie è il suo elemento sitcom: come proprio di questo genere, ci sono non pochi momenti nella prima stagione in cui vengono raccontati dei brevi archi narrativi che servono a far conoscere meglio i personaggi.

Degli archi narrativi che di fatto non torneranno più e che non hanno una vera influenza sulla trama generale, ma che di fatto la arricchiscono non poco. Alcuni fra l’altro anche molto toccanti come la relazione fra Howard ed il suo vicino di casa cominciata durante il blackout.

Un prodotto davvero inclusivo

James Caverly. in una scena della serie Only murders in the building, serie tv Disney+

Un aspetto non da poco della serie è la sua capacità di portare un tipo di inclusività per nulla scontata e autentica. In non pochi prodotti in ambito seriale e cinematografico prodotti e autori poco capaci banalizzano drammaticamente questo aspetto, tramite tokenism e girl power molto cheap.

Al contrario in Only murders in the building troviamo due figure raramente ben rappresentate.

Anzitutto Theo, interpretato da un attore effettivamente ragazzo sordo, James Caverly. La differenza da altri prodotti non è un semplice token, ma un personaggio estremamente importante che ha una delle puntate più belle dell’intera serie.

Infatti nella prima stagione la puntata The Boy From 6B, riesce a raccontare con ottimi tocchi di regia il punto di vista reale del personaggio. E il tema viene ripreso anche in maniera non poco interessante anche nella seconda stagione.

Only murders in the building

Christine Ko e Jayne Houdyshell in una scena della serie Only murders in the building, serie tv Disney+

Un altro tipo di rappresentazione che sta prendendo piede in questo periodo è quello della donna incinta smarcata dall’idea di maternità rassicurante. In questa stagione viene infatti introdotta Nina, che si rivela un personaggio molto tridimensionale: sulle prime appare un’arpia approfittatrice, poi dimostra il suo lato più umano, in particolare nella puntata del blackout.

Allo stesso modo ho particolarmente apprezzato che, quando Nina sta per partorire, la persona che interviene immediatamente non è il personaggio femminile spinto da un improbabile senso materno, ma Charles, con fra l’altro anche una simpatica motivazione alle spalle.

…e allora perché non mi piace cosi tanto Only murders in the building?

Nonostante tutti questi elementi indubbiamente positivi che mi hanno anche intrattenuto, ci sono due elementi che mi hanno impedito di essere davvero appassionata a questa serie.

Il primo e più importante è che, per motivi non del tutto chiari neanche a me, non riesco ad essere coinvolta coi protagonisti, nonostante, almeno per quanto riguarda Charles e Oliver, gli attori già di per sè sono molto affabili.

Ma nulla, non è mai scattata la scintilla.

La cosa peggiora per Mabel, il personaggio di Selena Gomez: nonostante si cerchi indubbiamente di raccontare un personaggio quando più tridimensionale, a pelle non mi è mai piaciuta, anzi l’ho trovata discretamente sgradevole.

Infine, e forse è anche l’aspetto che trovo più difettoso della serie, nonostante il finale sia ben costruito, non mi lascia mai un buon sapore in bocca. Il più delle volte mi dimentico tutto il contesto e non lo trovo alla fine così avvincente e interessante.

E a questo proposito…

L’omicidio alla fine della stagione è ridondante?

Come abbiamo visto recentemente per la saga di Una notte da leoni, non è per nulla facile gestire un brand quando lo stesso è basato su un elemento forte, ma non facilmente replicabile.

Nel caso di Only murders in the building perché alla lunga diventa poco credibile che questi personaggi siano coinvolti in un numero potenzialmente indefinito di omicidi.

Come, con mente più matura, abbiamo rivalutato (si fa per dire), la credibilità della storia della Signora in giallo e la sua scia di omicidi, cosi alla lunga questo elemento della serie potrebbe cominciare a stancare e a non essere così d’impatto.

Già con questo finale di stagione sono rimasta poco convinta.

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The Sandman – Al limite

The Sandman è una serie Netflix di recente uscita, tratta dalla graphic novel omonima di Neil Gaiman. Un autore che è diventato molto popolare negli ultimi anni: le sue opere sono state il punto di partenza per diversi prodotti seriali, fra Lucifer e American Gods, con risultati altalenanti.

Io sono stata impressionata dalle capacità narrative di Gaiman fin da Coraline (2002), prodotto che è riuscito a traumatizzarmi sia per il lungometraggio animato che per la sua controparte cartacea.

Tuttavia, ero in grande dubbio sulla riuscita di questo prodotto, per la poca soddisfazione che mi aveva dato Lucifer, e pure American Gods a lungo andare. Ma soprattutto ero scettica visto il tipo di produzione che c’era dietro, quella di Netflix, non sempre propriamente associata a prodotti di qualità.

Invece, sono rimasta sorpresa.

Alla fine della recensione troverete anche un interessante approfondimento dedicato al confronto col fumetto, scritto da una mia cara amica appassionata dell’opera di Gaiman.

Di cosa parla The Sandman?

Sandman è un’entità con vari nomi (Sogno, Morfeo…), che presiede il mondo dei sogni e degli incubi. Dovrà scontrarsi con diverso nemici, anche a lui molto vicini, con vicende quasi antologiche che ci accompagneranno nella scoperta del suo personaggio.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare The Sandman?

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Decisamente sì, e lo dico da persona che è rimasta sinceramente sorpresa vedendo la serie. Infatti, come anticipato, dopo essere rimasta abbastanza scottata dalla deriva di Lucifer e dalla discreta delusione di American Gods, non ero del tutto sicura che mi sarebbe piaciuta e non avevo un reale interesse.

E invece è un prodotto che è stato capace di gestire nel migliore dei modi la materia originale, sotto l’occhio esperto di Gaiman, con davvero poche sbavature. Aspettatevi quindi una serie che ha alcuni elementi in comune con gli altri prodotti precedentemente citati, ma che è su un livello decisamente più alto.

Vivere al limite

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Per la maggior parte della serie io ero abbastanza tesa, perché avevo già visto come la materia di Gaiman, con il suo incontro fra mitologia e modernità, se trattata malamente, potesse sfociare nel trash più becero.

E non aiutava l’estetica, del tutto peculiare, che rimanda ad un immaginario molto tipico della serialità degli Anni Novanta e primi Anni Duemila, dove tutto sembrava finto e posticcio.

E invece la produzione di The Sandman si ferma sempre al punto giusto, raccontando un immaginario interessante e mai eccessivo, con fra l’altro degli ottimi effetti speciali, anche in questo caso con pochissime sbavature.

Una conduzione peculiare

David Thewlis in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

Allo stesso modo mi ha sorpreso la modalità della narrazione: un’abile gestione di una trama sia orizzontale (ovvero della storia complessiva) che verticale (quasi autoconclusiva per alcuni episodi). La storia è gestita con piccoli archi narrativi che arricchiscono il world building e che portano avanti la storia in maniera complessivamente molto organica.

La serie di fatto racconta la caduta e la rinascita di Morfeo, ma al contempo la arricchisce con una serie di vicende più o meno secondarie, e con una carrellata di personaggi uno più interessante dell’altro. Fra tutte, ho particolarmente apprezzato la puntata 24/4 con David Thewlis, attore che fra l’altro mi piace moltissimo. Ma anche lo scontro fra Sogno e Lucifero in A Hope in Hell, e così anche la puntata The Sound of Her Wings dedicata a Morte.

Purtroppo mi ha un po’ meno convinto l’arco narrativo finale, con protagonista Rose. Infatti, davanti alla grande originalità del prodotto, gli ultimi tre episodi li ho trovati scorrere su binari più prevedibili e consolidati, che non sono riusciti a conquistarmi.

Un protagonista in divenire (e la sua spalla)

Tom Sturridge in una scena di The Sandman, serie tv Netflix tratta dall'omonima graphic novel di Neil Gaiman

La particolarità di The Sandman è che il suo protagonista è sempre in divenire, ma non in maniera forzata e poco organica, come accadrebbe in diversi prodotti di questo tipo. Sogno è per la maggior parte del tempo un personaggio immutabile ed etereo, soprattutto nei primi momenti della serie, in cui parla solo come voce narrante.

Tuttavia il suo confronto sia con gli umani sia con altre entità lo porta a mettersi alla prova, a dimostrarsi più volte fallibile, e, infine, a compiere un interessante arco evolutivo. L’attore, poi, sembra nato per il ruolo.

Molto indovinata anche la sua spalla, Matthew, che vive in funzione dello spettatore, per fare le giuste domande e per permettere ai personaggi di spiegarsi su cose che già sanno, senza che questo risulti forzato o didascalico.

Personaggi iconici

In The Sandman si vedono personaggi che fin dalla prima apparizione sono perfettamente identificabili e iconici. Anzitutto Lucifero, che ovviamente non può essere identificato con un genere, e che quindi si è scelto di far interpretare da un’attrice dai tratti androgini.

Una figura che si discosta dall’estetica del fumetto (ispirata a David Bowie), avvicinandola più che altro all’estetica del putto barocco, con un contrasto assolutamente vincente fra la sua eleganza angelica e la minaccia delle sue imponenti ali nere.

Ma la punta di diamante è stato sicuramente Desiderio: appena è apparso in scena, non ho avuto dubbi di chi si trattasse, tanto era convincente la sua estetica. Fra l’altro la produzione ha avuto l’ottima pensata di castare un interprete non-binary e che già di suo abbraccia l’estetica del suo personaggio.

Un andamento positivo, che vede uno spiraglio per questi interpreti anche nelle produzioni statunitensi, come già visto in Euphoria con Hunter Schafer, per cui è stata fatta un’operazione molto simile.

Il significato del sogno in The Sandman

Una delle colonne portanti della serie è il concetto di sogno, ben più ampio di quello che ci si potrebbe immaginare.

Il sogno non è solo quello in cui ci si immerge quando si dorme, ma un elemento fondamentale per l’umanità, da viva e da morta.

Infatti gli umani da vivi, se non avessero un sogno, quindi una speranza da inseguire, non avrebbero più volontà di vivere. E così i serial killer nella penultima puntata, privati del loro sogno di essere le vittime, si rendono conto della loro condizione bestiale ed egoistica, e si tolgono la vita o si costituiscono.

Ancora più interessante come viene raccontato nella puntata A Hope in Hell, quando Dream ricorda a Lucifero che i suoi dannati, se non sognassero il paradiso, non soffrirebbero più la loro condizione.

Un concetto potente e interessante.

Due parole sulla puntata bonus di The Sandman

La puntata bonus di The Sandman è stata un piccolo e gradito regalo per tutti gli spettatori che si sono appassionati alla serie. E fra l’altro un segnale molto positivo della produzione verso una a questo punto molto probabile seconda stagione.

Delle due storie ho sinceramente preferito la prima, anche se più stringata e veramente tanto surreale: un modo per raccontare i sogni dei gatti e delle possibilità della della malvagità umana. Il sogno per una sorta di paradiso dei gatti, più selvaggio ma anche più giusto, per certi versi.

Meno interessante a mio parere la seconda storia, Calliope: per certi versi mi è sembrato un more of the same della prima puntata, che non va particolarmente ad approfondire una tematica, ma ripropone questioni già ampiamente trattate nelle altre puntate.

Il confronto con il fumetto

The Sandman: quanto è fedele al fumetto?

Fin dall’uscita dei primi trailer della serie Netflix, si è parlato molto di affinità e differenze con il capolavoro a fumetti di Neil Gaiman, ma quanto è davvero fedele la serie all’opera originale e a cosa sono state dovute certe scelte?

Andando con ordine, ecco un’analisi di come sono stati rappresentati l’ambientazione, i personaggi e gli eventi in questa prima, riuscita stagione.

L’ambientazione

Le scelte estetiche dell’adattamento si rifanno molto ai telefilm di genere degli Anni Novanta, aspetto che chi leggeva il fumetto proprio in quegli anni non potrà non apprezzare. Nella storia originale, infatti, la fuga di Sogno raccontata nelle prime due puntate della serie avveniva in un tempo più o meno contemporaneo all’uscita del primo volume, tra l’88 e l’89.

Essendo però la serie di Netflix uscita il 5 agosto di quest’anno, a più di trent’anni di distanza, la scelta è stata quella di mantenere l’aspetto della contemporaneità  attualizzando gli eventi, dunque fondamentalmente spostando la fuga di Sogno di una trentina d’anni. Dal punto di vista narrativo questo ha permesso di aprire una piccola storyline [linea narrativa] sul personaggio di Alex Burgess, figlio del negromante Roderick Burgess, che perpetuerà la prigionia di Sogno dopo la morte del padre, coprendo quell’intervallo di trent’anni di differenza con la saga a fumetti.

Alex Burges

Il risultato è stato un buon compromesso tra l’esigenza di mantenere l’atmosfera originale – resa appunto tramite i richiami alla serialità di genere degli Anni Novanta – e l’esigenza invece di rendere l’opera il più possibile fruibile dagli spettatori odierni. Unica grande pecca: i fastidiosi effetti bagliore presenti dalla prima all’ultimissima scena della stagione: questi sono ripresi – bisogna concederlo – dalle copertine e dai numerosi artwork presenti nei fumetti originali, che univano fotografia e disegno con giochi di pattern e sovrapposizioni molto peculiari.

La resa su schermo però è tutt’altro che gradevole e restituisce impressioni ben diverse da quelle oniriche e astrattiste del fumetto, anzi, finisce per dare un’aria cheap [dozzinale] al prodotto, come se la produzione non avesse avuto abbastanza budget per i fondali. Questo a riprova del fatto che trasporre un’opera da un media all’altro dovrebbe richiedere più di un becero copia e incolla, ma di tradurne i linguaggi.

Lo stesso espediente o la stessa scelta estetica possono avere una resa del tutto diversa a seconda del media attraverso il quale sono veicolati, quindi alcune variazioni si rendono necessarie nelle trasposizioni per garantire certi standard di fruibilità, qualità e coerenza.

Questa stagione è ispirata ai primi due volumi (dal n.1 al n.16) del fumetto, che caso vuole siano anche quelli dalle ambientazioni più  concrete e terrene, ma se la serie continuerà – come spero – a seguire la trama dell’originale, dovrebbero esserci ambientazioni sempre più astratte e concettuali.

Vedremo come se la caveranno in quel caso.

I personaggi

Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Tom Sturridge, il bravissimo interprete di Sogno, ha affermato che inizialmente avevano provato a dargli un look più fedele a quello del fumetto: capelli blu notte folti e sparati in ogni direzione, un cerone bianchissimo sul viso e le stelle negli occhi.

Sorpresone, il risultato era piuttosto ridicolo e poco organico. Tra l’altro, si tratta di un personaggio che viene introdotto al pubblico bloccato in una palla vetro, nudo, senza potersi muovere o parlare. La possibilità dell’attore di esprimersi attraverso espressioni facciali e piccoli movimenti del corpo – che diventa dunque estremamente importante – avrebbe rischiato di essere compromessa da un trucco pesante.

Hanno quindi continuato a provare trucchi e parrucchi diversi, senza trovarne uno convincente finché, a detta di Sturridge, non si sono resi conto che lui è già insanamente pallido, ha già i capelli molto scuri e, se lo guardi nel profondo degli occhi, puoi vedere il cosmo.

Non c’è bisogno di fare modifiche per farlo sembrare un essere eterno.

Gli altri

Sogno e Morte nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Se su Sturridge non posso certo dissentire, sul personaggio di Morte ho invece qualche riserva in più. Se l’attrice Kirby Howell-Baptiste rende bene il carattere sicuro, dolce e affabile del suo personaggio, il costume non le rende giustizia, abbandonando i tratti mistici e punk del suo aspetto a favore di un’estetica che ricorda tanto un prodotto di scarsa qualità come l’adattamento di Shadowhunters.

Il maggiordomo di Sogno nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ci sono poi alcuni personaggi del cui casting si è parlato in termini di gender swap [scelta di cambiare genere a un personaggio] o presunto tale. Lucienne, aiutante di Sogno che si occupa della biblioteca nel palazzo dell’eterno, nel fumetto è un uomo bianco dall’aspetto vagamente elfico, mentre nella serie è interpretato dall’attrice nera Vivienne Acheampong, che riesce, a dispetto del phisique du role decisamente diverso, a rendere il personaggio in maniera fedelissima alla saga fumettistica, soprattutto nel suo rapporto con Sogno.

John Costantine nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

John Constantine nella serie diventa Johanna, questo a detta di Gaiman per rendere il personaggio più accessibile al pubblico di oggi, che potrebbe non avere con il personaggio originale, all’epoca del fumetto già molto popolare e titolare di una saga sua, la stessa familiarità che aveva il pubblico degli Anni Novanta.

Lucifer nel fumetto The Sandman di Neil Gaiman

Ultimo ma non ultimo il personaggio di Lucifero, che non avrebbe avuto senso far interpretare a Tom Ellis (interprete di Lucifer) per il mood [l’atmosfera] totalmente diversa della serie. È stata scelta invece la grandiosa Gwendoline Christie, già popolare per Game of Thrones. In questo caso, come ribadito dallo stesso Gaiman, non si può parlare di gender swap, perchè il Diavolo non ha genere. Per chi non conoscesse il fumetto, Lucifero è disegnato con le fattezze di David Bowie: prendere il testimone da un’icona del genere non dev’essere facile, ma per noi l’attrice ha raggiunto l’obiettivo.

Gli eventi

La serie è incredibilmente fedele alla trama dei fumetti, la differenza maggiore è la proroga di 30 anni della prigionia di Sogno, che apre una piccola digressione sul figlio del suo carceriere, Alex Burgess.

C’è poi un evento che non è stato gestito benissimo, ma costituisce uno spoiler che non raccomanderei a chi non abbia visto la serie, quindi andate avanti a leggere a vostro rischio e pericolo.

Si tratta della questione della gravidanza di Unity Kinkaid, che da come viene descritta nella serie sembrerebbe essere originata da un concepimento avvenuto in sogno, come nel caso di Lytha Hall, l’amica di Rose. Nel fumetto è invece chiaro come questo sia stato purtroppo originato da uno stupro.

In ultimo chiudiamo con un interessantussimo video in cui Neil Gaiman commenta il trailer della serie e racconta dei retroscena della produzione:

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Anatomy of a scandal – Not that type of man

Anatomy of a scandal, noto in Italia come Anatomia di uno scandalo, è una miniserie uscita quest’anno su Netflix.

Un buon prodotto di genere legal drama in cui si parla in maniera interessante e realistica di un caso di violenza sessuale. Non a caso il creatore è lo stesso di serie ottime (e anche dalle dinamiche simili) come The Undoing e Big Little Lies.

Di cosa parla Anatomy of a scandal?

James Whitehouse, un importante parlamentare britannico, viene coinvolto in uno scandalo per una relazione extraconiugale con una sua dipendente. La situazione si complica quando la sua amante lo accusa di stupro, portando il caso in tribunale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Anatomy of a scandal?

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Come anticipato, Anatomy of a scandal è un racconto non poco interessante per il tipo di rappresentazione il più possibile realistica di un caso di violenza sessuale.

Per questo è necessario anche fare un trigger alert, in quanto da questo punto di vista, pur senza esagerare sul dramma, si parla in maniera molto esplicita della questione. E questo potrebbe non essere digeribile per tutti.

Tuttavia se riuscite a sostenere questo tipo di argomenti e vi piacciono i legal drama che tengono col fiato sospeso, non ve la potete perdere.

James: raccontare il mostro

La parte decisamente migliore di questa serie è il tipo di rappresentazione dello stupratore: non un mostro, una persona instabile e cattiva, ma un uomo insospettabile, con la faccia pulita, nonché un marito affettuoso e attento.

E i suoi comportamenti non sono dovuti ad una malvagità intrinseca, ma il prodotto di un tipo di cultura machista in un ambiente protetto e inaccessibile. Quando James dice di non aver stuprato quelle donne, lo crede veramente. Quando dice che lei ha detto di no, ma intendeva sì, lo pensa veramente.

L’idea che una donna possa dirgli di no e non voler veramente avere un rapporto con lui non è contemplata, anche perché sembra non interessarsi per nulla al piacere della sua amante, ma solo al poter sfogare il suo desiderio sessuale nato in momenti di particolare stress emotivo.

E questo, nel contesto in cui è stato cresciuto ed educato, è del tutto normale e accettabile.

Sophie: l’ancella silenziosa

Il percorso di Sophie è altrettanto interessante: inizia come moglie e madre modello, che ha sempre sostenuto suo marito in tutto, e anche con la sindrome della crocerossina. E per la maggior parte del tempo sostiene il marito, anche stressata da tutti dalla necessità di dover perdonare il marito, perché boys will be boys.

Ma il dubbio, l’idea che il marito in realtà non sia così meritevole di essere supportato le cresce dentro per tutta la stagione. E alla fine conclude cercando di mettere il marito almeno davanti ad una parte delle responsabilità che si è rifiutato di affrontare.

Kate: la vittima sepolta

Il grande colpo di scena è la rivelazione della vera identità di Kate: in realtà è Holly Berry, la compagna di corso di Sophie che è stata stuprata da James vent’anni prima.

Una donna che ha portato dentro di sè per tantissimo tempo questo segreto e questo peso, arrivando addirittura a cambiare nome e identità. E combatte ogni giorno per aiutare altre vittime ad ottenere la loro verità. E alla fine, quando almeno sa che un po’ di giustizia è stata fatta, guarda in camera con sguardo sereno.

Una regia fra specchi e montaggio ad arte

Sienna Miller in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

La regia di questa serie l’ho trovata veramente incredibile: questo montaggio dinamico, per cui i personaggi emergono dai flashback e tornano nel presente, per raccontare la loro verità.

Così questo uso interessantissimo degli specchi, che mostra la doppiezza sia di Kate che di James, che nascondono ben altro di quello che mostrano. E l’unica invece fuori da questa dinamica è Sophie: l’unica che non ha niente da nascondere.

Perché il finale di Anatomy of a scandal non mi ha convinto

Michelle Dockery in una scena di Anatomy of a Scandal, serie tv Netflix

Per quanto abbia apprezzato il fatto che realisticamente James venga assolto dal caso, non mi ha del tutto convinto questo tipo di narrazione del finale. Troppo improvviso per certi versi, come se Sophie, più che mettere il marito davanti ad una responsabilità, lo volesse punire.

E non viene poi mostrato molto, se non Tom e James arrestati, senza aggiungere altro. Una sorta di finale consolatorio, che forse voleva correggere la direzione troppo cruda e drammatica che aveva preso fino a questo punto.

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Stranger Things 4 – La grande abboffata

Stranger Things 4 è la quarta stagione di una delle serie più amate di Netflix.

Un nuovo ciclo di episodi tornato dopo tre anni di assenza, e con una veste del tutto nuova: episodi dalla durata monumentale (minimo un’ora l’uno) e una distribuzione spezzata, con gli ultimi due episodi rilasciati a distanza di un mese.

Con questa stagione i Duffer Brother hanno voluto fare un grande passo avanti, anche se non riuscendoci fino in fondo.

Anzi, fallendo in alcuni aspetti fondamentali.

Di cosa parla Stranger Things 4?

In Stranger Things 4 ritroviamo per la prima volta i personaggi divisi, dopo il trasferimento della famiglia di Will, con a seguito anche Eleven, in California. Ma una nuova minaccia sembra farsi largo ad Hawkins, quando alcuni adolescenti sono ritrovati con il corpo devastato da una forza misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Stranger Things 4?

In generale, assolutamente sì.

Nonostante non sia per nulla la mia stagione preferita (in un’ipotetica classifica occuperebbe un dignitoso terzo posto), tuttavia questi nuovi episodi hanno suscitato un enorme successo proprio per il fattore novità.

In particolare, la apprezzerete di certo se vi piace lo splatter, quello neanche troppo spinto, ma tipico di certa cinematografia horror Anni Ottanta.

Tuttavia se siete molto impressionabili e questo genere vi è davvero allergico, considerate che in questi episodi si è spinto molto di più sul versante horror, tanto da non renderlo più tanto un prodotto per ragazzi.

Io vi ho avvertito.

Top Stranger Things 4

Body horror e un villain accattivante

L’aspetto indubbiamente migliore di questa stagione è l’utilizzo quasi smaccato del body horror.

È ridicolmente facile in questo tipo di produzioni rendere scene di questo tipo banali e stupide (il riferimento alla più recente produzione di horror mainstream è voluta).

In questo caso invece le morti terrificanti dei personaggi sono veramente spaventose e finalmente Stranger Things abbraccia in tutto per tutto il genere horror.

Allo stesso modo il villain di questa stagione è indubbiamente il migliore finora. All’inizio sembrava un po’ un more of the same delle scorse stagioni, anche per l’utilizzo di topoi molto tipici dell’horror per ragazzi.

Tuttavia l’incredibile rivelazione finale mi ha davvero sorpreso, anche perché risulta totalmente coerente nel complesso della storia raccontata. Così, sia per le morti violente, sia per il design del villain, la CGI utilizzata è davvero ottima e credibile.

Anche la retcon riguardo al fatto che Vecna fosse in realtà stato sempre il villain di tutte le stagioni tutto sommato non mi è dispiaciuta: era questa obbligatorio tirare le fila a questo punto, in vista del finale dell’intera serie che arriverà con la prossima stagione.

Un’ottima costruzione della trama

Priah Ferguson (Erica), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Nonostante qualche forzatura, di cui parlerò nella parte flop, nel complesso la trama principale è ottimamente costruita: le prime morti di personaggi secondarissimi, il coinvolgimento di personaggi principali, l’investigazione, le rivelazioni passo passo e, infine, lo scontro finale.

Un racconto lungo e molto ampio, ma assolutamente necessario.

La scelta di dividere la grande mole di personaggi è stata a tratti fastidiosa (la storia di Mike, Will e Jonathan era la meno interessante), ma assolutamente fondamentale per riuscire a gestire al meglio la storia e a dare il giusto spazio a tutti.

In particolare, anche per l’utilizzo di un trope molto comune per il genere: ragazzini contro un nemico enorme e a cui nessuno crede, con gli adulti che cercano di ostacolarli.

Semplice, ma sempre vincente.

La storia di Eleven

Bobbie Millie Brown (Eleven) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

I am different. I do not belong

Sono diversa. Non appartengo a questo posto.

La storia di Eleven prende veramente senso solamente alla fine: all’inizio tutta la questione del bullismo sembra veramente forzata (ed è sicuramente molto tipizzata), ma è un punto di partenza per raccontare il suo dramma interiore.

Il primo ciclo di episodi sono infatti preparatori per lo scontro finale: Eleven deve recuperare la sua identità, i suoi ricordi e poteri perduti, e così accettare sé stessa, con le sue luci e le sue ombre.

E spero, anche alla luce del finale, che questa stagione sia un punto di partenza per la maturazione del personaggio, che all’inizio della stagione (e comprensibilmente) appare spaesata e molto immatura.

In questo senso la chiusura del rapporto con papa è stato un buon punto di arrivo: non eccessivamente drammatico, nonostante lo scivolone un po’ imbarazzante della frase sei tu il vero mostro.

Una chiusura onesta e credibile, per cui Eleven si libera finalmente del peso di quello che, di fatto, è stato il suo aguzzino.

La rivalsa di Hopper

David Harbour (Jim Hopper) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

In questa stagione hanno voluto dare un ruolo molto più centrale ad Hopper, uno dei personaggi più amati della serie.

Dopo averci fatto piangere la sua morte, qui ritroviamo il nostro sceriffo prigioniero in Russia. E troviamo anche un personaggio pieno di risorse e astuzie, capace di salvarsi praticamente da solo, nonostante tutti gli ostacoli.

Fra l’altro per fortuna si è scelto di offrire una rappresentazione equilibrata dei due blocchi, senza sbilanciarsi né sulla crudeltà russa né su quella statunitense.

E facendo parlare i russi in russo, cosa per nulla scontata.

Vivere nel proprio tempo

Bobbie Millie Brown (Eleven), Finn Wolfhard (Mike) e Noah Schnapp (Will) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un grave difetto della terza stagione di Stranger Things era il fatto che per molti tratti si metteva in bocca ai personaggi discorsi e parole assolutamente fuori dal tempo (e non è solo un problema di Stranger Things, ovviamente).

In questo caso invece (e per fortuna) hanno deciso di tornare sui loro passi e far parlare i personaggi in maniera realistica e credibile.

Oltre a questo, si è continuato sulla buona strada di rappresentare personaggi di tutti i tipi, e soprattutto un gruppo di personaggi femminili piuttosto sfaccettati.

Ottima anche l’introduzione dei nuovi personaggi: Enzo, interpretato dall’ottimo Tom Wlaschiha, che abbiamo già visto in L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), e ovviamente di Eddie, che si è pure visto meno di quanto avrei voluto.

Ed ovviamente è morto.

Flop Stranger Things 4

Forzature e pesantezza

Joe Keery (Steve), Gaten Matarazzo (Dustin), Maya Hawke (Robin), Natalia Dyer (Nancy), Caleb McLaughlin (Lucas) e Sadie Sink (Max) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

La scelta di portare un minutaggio così importante non è stata del tutto vincente, in quanto la pesantezza, alla lunga, si è sentita.

Personalmente avrei la storia di Jason e del gruppo dei bulli, fondamentalmente inutile, e avrei fatto prendere altre strade al gruppo di Will. Così magari avrei anche semplificato la storia di Eleven, e in generale avrei distribuito la storia su più puntate.

Così ci sono anche non poche forzature: al di là dell’idea veramente idiota di mandare Eleven in una città sconosciuta lontano dai suoi amici (la stessa bambina, ricordiamolo, traumatizzata che non sa vivere nel mondo), tutta la sua storia ha delle forzature importanti.

In particolare, veramente poco credibile che venga arrestata e mandata in galera senza che un tutore venga interpellato, per un crimine neanche così grave.

Perché il finale non mi ha convinto

Jamie Campbell Bower nei panni di Vecna in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Molto banalmente, ho testato le mie reazioni al finale della stagione rispetto a quelle per la fine del primo ciclo di episodi.

E non sono riuscita a trovare effettivo trasporto ed interesse. L’unica eccezione è stato il riconciliamento fra Eleven e Hopper, che stavo aspettando con grande interesse.

Per il resto, non ho apprezzato il finale né nei suoi contenuti né per come è stato strutturato. Ho trovato abbastanza stancante questa durata infinita, quando, nella maniera più evidente, l’ultima puntata poteva essere divisa in due parti, dando un po’ di respiro allo spettatore.

Il momento in cui effettivamente Eleven sconfigge Vecna l’ho trovato improvviso e per nulla ben costruito, basato esclusivamente su una situazione al cardiopalma in cui lo spettatore teme per la morte di Max.

Ma per me ci vuole ben altro, e sicuramente ci voleva di più di Mike che incoraggia Eleven, la cui relazione non mi ha mai veramente coinvolto.

Oltre a questo, la tecnica di mostrare un’apparente calma per poi mettere un colpo di scena finale l’ho trovato più che scioccante, molto anti climatico. Sarebbe stato molto più intelligente costruire un climax drammatico che raccontava il fallimento, per una volta davvero, di Eleven.

Le morti gratuite

Joseph Quinn nei panni di Eddie in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Una scelta che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa stagione è stata la morte di Eddie.

I Duffer Brothers hanno preso questa brutta abitudine di introdurre personaggi secondari amatissimi e ucciderli alla fine della stagione. Ovviamente Eddie è un personaggio adorato dai fan (me compresa) e ovviamente non poteva stare in vita per più di una stagione.

Tuttavia, come nelle scorse stagioni Bob e Alexei erano stati evidentemente eliminati perché, da un certo punto in poi, troppo ingombranti per la narrazione, la morte di Eddie è totalmente gratuita. Infatti non aggiunge veramente nulla alla trama, non era utile alla stessa, e l’ho trovata anche piuttosto smaccata.

Non era forse invece ora di sfoltire il gruppo di personaggi principali?

E no, non credo che Max sia veramente morta nella maniera più assoluta…

Robin e Nancy: la coppia che scoppia

Maya Hawke (Robin) e Natalia Dyer (Nancy) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un’idea poco vincente per me è stata quella di mettere Nancy e Robin nella stessa scena.

Nancy, personaggio già insipido e profondamente antipatico, ne emerge ancora più sconfitta davanti alla spettacolare performance di Maya Hawke, un personaggio invece divertente e frizzante, con un’attrice che sta dimostrando le sue capacità eccelse.

Niente di tutto questo ha né il personaggio di Nancy né l’attrice che la interpreta, purtroppo.

Nancy in generale mi ha dato meno fastidio del solito, se non fosse per il richiamo ancora a Barb, personaggio assolutamente sopravvalutato, così il tentativo di creare un triangolo amoroso fra lei, Steve e Jonathan.

Veramente insostenibile.

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The Umbrella Academy 3 – Sapersi rinnovare?

The Umbrella Academy è una serie mistery-fantascientifica di Netflix, giunta quest’anno alla sua terza stagione. Un prodotto piuttosto particolare, non per tutti i palati, ma di cui potreste facilmente innamorarvi.

La cominciai all’uscita della prima stagione, ma la abbandonai dopo il primo episodio, per poi recuperarla su consiglio di amici. E divorandomi le prime due stagioni.

Se non sapete niente di The Umbrella Academy e non siete sicuri che possa fare per voi, continuate a leggere. Se invece volete solo sentir parlare della terza stagione, cliccando qui potete passare direttamente alla parte spoiler.

The Umbrella Academy: Guida alla visione

Di cosa parla The Umbrella Academy?

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Il 1° ottobre 1989 43 donne in tutto il mondo partoriscono contemporaneamente, senza però essere mai state incinte. Un misterioso miliardario, Sir Reginald, adotta sette dei neonati per addestrarli ad usare i loro poteri speciali nella Umbrella Academy.

Se vi sembra la trama degli X-Man, ricredetevi: la serie prende da subito tutta un’altra direzione. Il gruppo infatti si divide piuttosto velocemente, rincontrandosi in occasione della morte del loro patrigno. E fin dalla prima puntata si comincia a parlare di Fine del Mondo…

Ha senso fare più stagioni?

La serie si dipana su più stagioni, che hanno ognuna una trama a sé stante, pur perfettamente collegata con il ciclo di episodi precedenti. In ogni stagione vi è una minaccia differente e spesso i personaggi partono divisi, per poi rincontrarsi alla fine.

Vi è comunque una trama di fondo che collega tutti gli episodi, che ancora alla terza stagione non è stato del tutto svelata. Quindi prevale molto il tono mistery e ovviamente fantascientifico, ma quel fantascientifico alla Guida intergalattica per autostoppisti e quindi alla Dirk Gently. Insomma, una fantascienza molto surreale e con diversi momenti comici.

The Umbrella Academy può fare per me?

Elliot Page e Adam Godley in una scena di The Umbrella Academy, serie tv Netflix

Per apprezzare The Umbrella Academy deve sicuramente piacervi il genere della fantascienza e del mistery, anche piuttosto intricato e surreale, che però non si prende mai sul serio.

Se avete in mente gli esempi sopra fatti, ovvero Guida intergalattica per autostoppisti e la serie Dirk Gently, avete sicuramente capito di cosa state parlando. E se vi piace questo tipo di prodotti, molto probabilmente farà per voi.

Nel dubbio, vi lascio il trailer della prima stagione.

Di cosa parla la terza stagione di The Umbrella Academy

Nella terza stagione il gruppo si trova subito a scontarsi con la Sparrow Academy, il gruppo supereroistico che sembra aver preso il loro posto. La scoperta della verità su questa nuova dimensione porterà anche allo svelamento di una nuova minaccia.

Vale la pena di vedere The Umbrella Academy 3?

Aidan Gallagher, David Castañeda,Tom Hopper e Robert Sheehan in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

In generale, sì. Fra le stagioni è per me la più debole: pur mantenendo il suo tono e le sue dinamiche, vi è una grande problematica di dispersione della trama, che fino alla fine non sembra avere una direzione chiara. Oltre a questo, vi è un peggioramento terribile di alcuni personaggi, così come le dinamiche di coppie vecchie e nuove che ho trovato a tratti nauseanti.

Tuttavia, a parte questo, non è una stagione che mi sento del tutto di sconsigliare: nonostante tutti i difetti, sono contenta di averla vista e aver scoperto il prosieguo della trama, che comunque nel complesso è anche interessante. E andiamo avanti con la quarta stagione.

Non avere una direzione

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Come anticipato, per me il grande problema della stagione è stata proprio la sua dispersività: ho avuto la sensazione per la maggior parte del tempo che i personaggi vagassero in scena, senza avere una direzione precisa, incappando incidentalmente in delle storyline.

E vi sono state una marea di scena e dinamiche che per me sono state una grandissima perdita di tempo, per poi correre sul finale, lasciando un sacco di dubbi irrisolti. Oltre a questo, mi è personalmente mancata la presenza della Commissione come villain o comunque minaccia, che desse un po’ più di tridimensionalità alla vicenda.

La Sparrow Academy

La Sparrow Academy è stata una delle parti che mi ha più convinto della serie: mi sono piaciuti i personaggi che, a parte Sloane, sono tutti terribilmente sgradevoli. In particolare mi è piaciuto come è stato caratterizzato Ben, il fratello sempre rimpianto, che in questa veste è invece un personaggio estremamente negativo.

Tuttavia mi è al contempo dispiaciuto che la loro storia non sia stata più di tanto approfondita, lasciando un po’ di buchi ed eliminando sistematicamente i suoi componenti. Evidentemente la scena sembrava troppo affollata, tanto che per certi versi questi personaggi, tranne Ben e Sloane, mi sono sembrati un po’ usa-e-getta.

Due relazioni a confronto

Le due relazioni più forti della stagione sono quelle di Diego e Lila e di Luther e Sloane. Come ho trovato insopportabile la prima, ho adorato la seconda: Diego e Lila li ho davvero trovati estenuanti, non sono per niente stata coinvolta dalle loro dinamiche, e in certe scene le ho trovate anche eccessivamente melense.

Al contrato il nuovo amore fra Luther e Sloane a sorpresa mi è piaciuto moltissimo, nella sua semplicità e ingenuità. Un amore fra l’altro messo continuamente alla prova dalle continue sparizioni dell’uno e dell’altro. Spero sinceramente che questa storia sia portata avanti, e che non scelgano invece di riesumare la coppia di Luther e Allison.

Il vero problema: Allison

Emmy Raver-Lampman in una scena della terza stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Allison è stata la parte peggiore dell’intera stagione. Non so esattamente cosa avessero in mente con questo personaggio, ma io l’ho trovato insostenibile, sia nei momenti in cui dovremmo empatizzare con lei, sia quanto entra totalmente nella sua spirale negativa.

Alla millesima volta in cui si lamentava di aver perso la figlia e il marito, sempre come se tutti i problemi al mondo fossero solo i suoi, non ne potevo davvero più. Così la sua spirale negativa l’ho trovata eccessiva, e, soprattutto, non perdonabile, nonostante Victor le continui a correrle dietro e tutti i personaggi siano sempre pronti a perdonarla.

Nell’ordine Allison ha ucciso una persona cara a suo fratello, ha cercato di forzare Luther ad avere una relazione con lei, ha mentito a tutta la sua famiglia e si è alleata alle spalle della stessa, mettendo tutti in pericolo per il proprio tornaconto. Direi che è oltre il perdonabile. Ma, purtroppo, sono sicura che verrà reintegrata facilmente.

La questione di Elliot Page

L’attore di Victor, Elliot Page, ha recentemente fatto coming-out, dicendo di sentirsi un uomo e cambiando anche il suo nome. Nella prime due stagioni interpretava un personaggio femminile, mentre in questa stagione anche il suo personaggio cambia genere e nome, diventando appunto Victor.

Per quanto per certi versi l’ho trovata un po’ tirata, penso che sia stato più che giusto questo cambiamento, e in certi passaggi l’ho trovato anche toccante il modo in cui è stato messo in scena.

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Stranger Things 3 – Finalmente l’horror

Stranger Things 3 ovvero la terza stagione di una delle serie di maggior successo di Netflix, fu la prima che ebbe il sapore di evento.

Il nuovo ciclo di episodi uscì dopo che i fan erano rimasti a bocca asciutta per ben due anni. E questa volta i Duffer Brothers vollero puntare sul fattore novità, dopo una seconda stagione che, pur ottima, sembrava un more of the same della prima.

In questa stagione invece ci si concentra molto di più sull’entrata dei protagonisti nell’età adolescenziale, proprio nell’estate prima del loro approdo al liceo, con tutte le conseguenze del caso (e non sempre piacevoli).

Ma la novità più importante, ulteriormente confermata dalla stagione successiva, è finalmente la scelta di puntare davvero sul genere horror.

Di cosa parla Stranger Things 3?

Nella terza stagione i protagonisti, ormai adolescenti, si districano nelle loro relazioni sentimentali appena sbocciate, con tutto il dramma che solo l’adolescenza può regalare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Stranger Things 3?

Sadie Sink, Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard, Noah Schnapp e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Assolutamente sì.

La terza stagione di Stranger Things è fra le mie preferite, seconda solo alla prima. Sicuramente, se vi è piaciuta la serie fino a qui, non potete perdervi questa terza stagione, che porta grande freschezza al prodotto, smarcandosi dall’atmosfera di Halloween come le prime due.

Inoltre, come anticipato, ci si avvicina definitivamente al genere orrorifico, ispirandosi meravigliosamente alle atmosfere de La Cosa (1982), il principale riferimento dell’intera stagione.

E già questo è tutto un programma.

Top Stranger Things 3

Robin: una scelta vincente

Maya Hawke in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Robin è stata la scelta migliore che Stranger Things potesse mai fare. Per chi non lo sapesse, questa splendida attrice è figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, e questo ci dice già molte cose.

Un personaggio davvero stupendo, che in una sola stagione è entrata nel cuore dei fan dal primo minuto, confermando la capacità dei Duffer Brothers di saper introdurre e creare sapientemente nuovi personaggi, soprattutto femminili.

Robin viene da subito inclusa nella coppia esplosiva di Dustin e Steve, dimostrandosi immediatamente capace e di fatto fondamentale per sciogliere il mistero. Così è adorabile il suo rapporto con Steve: ci hanno illuso per un’intera stagione, introducendo invece a sorpresa il primo personaggio queer (dichiarato) della serie.

Un mistero ben costruito

Il Mind Flayer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Dopo un tentativo di cambiare rotta nella seconda stagione, in questo ciclo di episodi si è deciso di tornare alle dinamiche della prima stagione, in cui i personaggi scoprono autonomamente un pezzo del mistero, per poi incontrarsi per il combattimento finale.

Ho decisamente preferito che il mistero fosse presente fin dalla prima puntata, così che le trame secondarie, soprattutto quelle teen, non siano così pressanti, ma anzi portino dei momenti importanti della trama. Proprio come nella prima stagione, appunto.

Inoltre, finalmente il personaggio di Billy, che avevo poco apprezzato alla sua introduzione, ha un senso di esistere. E in generale la trama horror l’ho trovata veramente ottima, terrificante al punto giusto, senza mai scadere nello splatter troppo spinto.

La follia dell’adolescenza

Caleb McLaughlin, Finn Wolfhard e Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Max dumped me like five times

Per quanto la parte teen sia quella che mi interessa di meno in assoluto, devo riconoscere che, a differenza di come era stata trattata la trama di Nancy nella prima stagione, in questo caso si procede con uno sferzante e quasi folle realismo.

Infatti, è assolutamente credibile che i protagonisti, comunque ancora molto giovani (dovrebbero avere ancora quattordici anni) non riescano a districarsi agevolmente in queste relazioni nuove di zecca.

Anche se, come spiegherò nella parte flop, su alcune cose hanno esagerato, tutto sommato è ben scritta.

La parte più triste è l’altro lato della medaglia, Will.

Indipendentemente da quello che viene rivelato nella quarta stagione, il suo personaggio si sente totalmente tradito dal nuovo atteggiamento dei suoi amici, che sono saltati sul carro dell’adolescenza prima di quanto lui si aspettasse e prima che fosse pronto a sua volta.

L’evoluzione di Eleven

Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me questa non è la stagione migliore per il personaggio di Eleven. Tuttavia, secondo lo stesso ragionamento di quanto detto sopra, il suo comportamento è assolutamente credibile e realistico.

Lei infatti è sicuramente il personaggio più spaesato dalla sua relazione con Mike, e anche quella che ha il piglio più ribelle fin dalla prima stagione.

Purtroppo, come spiegherò dopo, il suo personaggio è davvero inquinato dalla presenza di Max, ma è quantomeno bello vederla evolversi in strade che non riguardino solamente i suoi poteri.

Oltre a questo, il rapporto con Hopper, per quanto faccia un passo indietro, è davvero esilarante, soprattutto per la scena in cui minaccia Mike. E per questo vi lascio qua sotto i bloopers, gustosissimi soprattutto per la scena appunto in cui Hopper cerca di parlare con Mike e El.

Personaggi secondari esplosivi

Oleh Yutgof e Priah Ferguson in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Come nella scorsa stagione, anche in questa sono stati introdotti (o reintrodotti) dei bellissimi personaggi secondari.

Anzitutto Erica, che era già presente nella scorsa stagione ma che in questo ciclo di episodi è diventata qui molto più protagonista. Io, personalmente, la trovo davvero esilarante. E mi piace molto anche il discorso che lei cerca di essere la cool girl che vuole prendere in giro di nerd, pur essendolo lei stessa.

E alla fine accettando questa parte di sé.

Ma la grande sorpresa di questa stagione è stato sicuramente Alexei, che segue purtroppo la stessa via di Bob nella scorsa stagione: un personaggio chiave, che adori fin dal primo minuto, che raggiunge il suo climax, e viene brutalmente eliminato appena ha concluso la sua funzione.

Flop Stranger Things 3

Max: la difficoltà di portare avanti un personaggio

Sadie Sink e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per me Max rappresenta il problema principale della stagione: non sapersi dare dei limiti.

Il suo personaggio diventa inutilmente aggressivo e fondamentalmente stupido, facendosi portavoce in maniera del tutto insensata di ideali anche giusti, inquinati dal suo isterismo e dalla sua irrazionalità.

Oltre a questo, il fatto che Max stia sbagliando è evidente da quanto la regia indugi su Mike, che non sa come comportarsi davanti alla sua amica che sbotta cose assurde su come lui non sia a capo delle decisioni di Eleven.

Oltretutto Mike è un personaggio evidentemente positivo, che evidentemente si preoccupa di Eleven e della sua incolumità. E, dopo averla persa già una volta, è del tutto comprensibile. Insomma,

Max è una grande occasione persa di un personaggio introdotto molto bene, ma del tutto appiattito in questa stagione.

Il punto più basso di Nancy

Natalia Dyer in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Non è un mistero che per me Nancy sia la parte più debole di tutto Stranger Things, e in questa stagione raggiunge il suo punto più basso.

In questi episodi è infatti associata ad una dinamica se possibile ancora più ridicola e assurda di quelle di Max, in cui è fortemente bullizzata dalla redazione nel giornale.

Ma, appunto, per la dinamica poco credibile, non sono riuscita né a credere a quello che vedevo né ad esserne coinvolta.

I suoi atteggiamenti li trovo sempre al limite dell’estenuante, perché sembra sempre che faccia le cose non per un obbiettivo, ma per dimostrare qualcosa. Sicuramente è un personaggio in cui tante giovani donne possono identificarsi, soprattutto rendendola (a mio parare in maniera ridicola) la donna forte e protagonista dell’azione.

Non è il mio caso.

Devo piangere?

David Harbour e Winona Ryder in una scena di Stranger Things 3 (2019) serie tv Netflix dei Duffer Brothers

Per quanto la trama di Hopper e Joyce mi sia piaciuta molto, ho davvero mal sopportato, anche se a posteriori, l’apparentemente morte di Hopper, che è stata smentita immediatamente dalla scena post credit dell’ultima puntata.

Mi è sembrata la classica scelta che porta alla lacrima facile dello spettatore, togliendo di mezzo uno dei personaggi più amati della serie, con una costruzione anche abbastanza raffazzonata.

Il mio problema con La storia infinita

Questo non è di per sé un flop, ma una mia confessione.

La scena di Suzie e Dustin che, totalmente a sorpresa, cantano la canzone di La storia infinita (1984), ha fatto impazzire moltissimi.

Purtroppo, non è il mio caso: quel film non è per nulla un cult della mia infanzia. Ed è stato micidiale non trovarsi nel target per una scena che evidentemente voleva emozionare.

La stessa sensazione che si potrebbe provare quando, guardando Spiderman No Way Home (2021), vedere arrivare gli Spiderman di Garfield e Mcguire senza conoscerli per nulla.

Come in tutte le stagioni di Stranger Things, anche questa è piena di riferimenti a fenomeni culturali e sociali del periodo.

Ma in questo caso vale la pena di spenderci due parole.

Il primo riferimento importante riguarda i centri commerciali: l’apertura del nuovo shopping centre a Hawkins diventa la maggiore attrattiva per i protagonisti, ancora di più della Sala Giochi nella scorsa stagione.

Ed è assolutamente realistico: per centri così piccoli come Hawkins, avere a portata di mano un luogo in cui, a poca distanza, si potesse godere di tutti i benefici di vivere in una grande città, era una bellissima ed emozionante novità.

Ma ancora più interessante è inserire la New Coke, un caso studio di marketing fallimentare.

Nell’aprile del 1985 la Coca Cola provò a rilanciarsi cambiando la formula della sua bevanda iconica, scatenando delle asprissime polemiche (le stesse che vediamo nella serie, appunto).

Un esperimento brevissimo: l’11 luglio 1985 (pochi giorni dopo la conclusione della terza stagione) venne ripristinata la formula originale, denominata Coca Cola Classic.

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Stranger Things 2 – Niente cambia, tutto cambia

Stranger Things 2 è la seconda stagione di una delle serie tv di punta di Netflix, cresciuta di pubblico e popolarità nel corso degli anni.

La seconda stagione arrivò a solo un anno di distanza dal primo ciclo di episodi (a differenza delle successive), cercando di proporre qualcosa di nuovo per un seguito che non era stato originariamente veramente pensato.

Non avevo un ricordo del tutto positivo della seconda stagione. Per fortuna ad una seconda visione mi sono dovuta ricredere, apprezzandola quasi quanto la prima.

Tuttavia, questa stagione ha un problema fondamentale: compie un tentativo incredibilmente fallimentare di ampliare la narrazione, dimenticandosi ingenuamente dei suoi punti di forza.

Di cosa parla Stranger Things 2

Stranger Things 2 si concentra su diverse storyline, la cui principale riguarda Will: ad un anno di distanza dal suo terribile viaggio nel Sottosopra, il ragazzino è tormentato da una nuova minaccia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Stranger Things 2?

Noah Schnapp, Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

In generale, sì.

Se avete apprezzato la prima stagione e se soprattutto vi siete appassionati ai protagonisti, non potete perdervi il secondo ciclo di episodi.

Per quanto in parte sia un po’ la stagione minore di quelle finora uscite, continua a non sbagliare un colpo e ad essere un ottimo prodotto di intrattenimento, colmo di citazioni alla cultura pop e alla produzione cinematografica degli Anni Ottanta.

Se non avete mai visto Stranger Things, che cosa ci fate qui? Ho scritto un articolo apposta per voi.

Top Stranger Things 2

Will: l’inaspettato

Noah Schnapp in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Non è stato per nulla facile scegliere il mio personaggio preferito per questa stagione.

La mia scelta è infine ricaduta su Will.

Rimasto praticamente fuori scena per la maggior parte nel primo ciclo di episodi, nella seconda stagione diventa quasi più protagonista di Eleven. Ho davvero apprezzato la costruzione della sua storia, temendo davvero per la vita di Will, personaggio apparentemente inerme davanti al Mind Flayer che lo domina.

Inoltre, davvero inaspettata la recitazione di Noah Schnapp, che a soli dodici anni è riuscito a portare una performance veramente convincente e al contempo straziante, utilizzando ottimamente tutte le sue capacità per la recitazione corporea.

Peccato che alla fine della stagione il suo personaggio venga di nuovo messo da parte, tendendo un po’ a dimenticarselo nelle stagioni successive.

Max: the new girl

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Max è la grande introduzione della stagione.

I Duffer Brothers avevano l’arduo compito di portare in scena un nuovo personaggio femminile in un cast ancora principalmente maschile, con il rischio di appiattirla come la ragazza del desiderio dei protagonisti.

Ammetto che Max non è mai stato un personaggio con cui mi sono affezionata, sia perché è una ragazza chiusa e con cui è difficile empatizzare sulle prime, sia perché l’ho poco apprezzata nella terza stagione.

Sadie Sink in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Tuttavia, Mad Max è un personaggio interessante, che non vuole essere una Eleven parte 2, ma al contrario una ragazzina con un passato tormentato e all’interno di una relazione violenta con il fratello adottivo.

E che è infine capace di mettere i giusti paletti nella loro relazione, dopo una stagione passata ad essere terrorizzata da Bill.

Oltre a questo, ancora vincente la sua relazione con i protagonisti, abbastanza simile per dinamiche a quelle di Eleven: cerca di essere il più possibile realistica e credibile, sia per la sua riluttanza ad entrare nel gruppo, sia per la sua incredulità rispetto al Sottosopra.

Dustin, Steve & Dart

Joe Keery e Gaten Matarazzo in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Una bella scoperta della stagione è stato Steve, personaggio comunque non del tutto appiattito neanche nella scorsa stagione, ma che finalmente diventa un personaggio interessante.

E chi poteva portarlo lontano dall’inutilità della quota teen della serie se non Dustin, che non a caso è, insieme ad Hopper, il mio personaggio preferito di Stranger Things. Letteralmente Dusty, quando Steve si sta recando da Nancy per riconciliarsi, lo prende per mano e lo coinvolge nell’avventura.

E, inaspettatamente, Steve si rivela buon amico e fratello maggiore per Dustin, cercando di aiutarlo a farlo sentire più sicuro di sé stesso e per riuscire a conquistare Max.

Nonostante gli dia dei consigli veramente stupidi, è adorabile lo sbocciare del loro rapporto, che ha il suo climax nelle scene finali del ballo della scuola.

Al contempo, per quanto secondario, ho trovato davvero piacevole l’arco narrativo di Dustin e Dart, il demodog che Dustin alleva come un suo piccolo animaletto, e che riesce a tenerlo a bada fino all’ultimo, in una scena davvero adorabile.

Bob: eroe o carne da macello?

Sean Austin e Winon Ryder in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Da questa stagione in poi i Duffer Brother hanno cominciato a prendere la fastidiosa abitudine di introdurre personaggi a cui il pubblico si affeziona immediatamente, per poi farli morire nel peggior modo possibile.

Bob è infatti una parte bellissima e terribile di questa stagione: un’occasione per Joyce di trovare una felicità e una vita semplice altrove, un personaggio fondamentale nella risoluzione del mistero, ma evidentemente anche un personaggio sacrificabile quando smette di essere utile.

E non è stato certo un caso la scelta di un attore così amato dal grande pubblico: Sean Astin è l’indimenticabile Sam della trilogia de Il signore degli anelli, personaggio entrato nel cuore di molti.

Hopper e Eleven: un rapporto in divenire

David Harbour e Millie Bobbie Brown in una scena di Stranger Things 2 la seconda stagione di Stranger Things per Netflix

Il rapporto fra Hopper e Eleven è probabilmente la parte più toccante della stagione: per quanto non mi abbia convinto del tutto il modo in cui inizia, in quanto non adeguatamente spiegato, la loro relazione è potente quanto straziante.

Di fatto troviamo un padre che cura una ragazza sconosciuta come se fosse sua figlia e al contempo la stessa che si crede invincibile ed è, per questo, incontrollabile. E questo porta anche ad un antagonismo e ad una mancanza di fiducia tipica dei rapporti del periodo dell’adolescenza, che si evolverà ulteriormente nella prossima stagione.

Tuttavia, infine i due riescono felicemente a riconciliarsi, ammettendo in maniera molto matura le rispettive colpe, gettando le basi per un nuovo e importante rapporto.

Flop Stranger Things 2

Uno spin-off mancato

La settima puntata di questa stagione è universalmente considerata la peggiore ed è un evidente tentativo di mettere le basi per uno spin-off della serie. Le motivazioni dietro a questo fallimento sono diverse, e riguardano sia la puntata in sé sia il percorso che è stato fatto per arrivarci.

Per la puntata di per sé, i Duffer Brother (o chi se ne è occupato) sembrano essersi dimenticati il punto di forza di Stranger Things: i suoi personaggi.

Qui veniamo introdotti ad un gruppo di personaggi uno più stereotipato dell’altro, con dinamiche che nulla c’entrano con la serie e sembrano, appunto, di un altro prodotto.

Oltre a questo, il personaggio di Eleven ha una storyline non inutile, ma certamente troppo distaccata dalla trama generale, tanto che il suo intervento alla fine ha un forte sapore di deus ex machina: non esattamente indice di una buona scrittura.

Vicende accessorie

Sempre su questa idea, anche la trama di Nancy e Jonathan sembra piuttosto accessoria e distaccata dal resto della trama. Non inutile, anche perché ha una conseguenza importante nel finale.

Non fastidiosa come mi ricordavo, tuttavia la parte meno interessante dell’intera stagione, anche perché la quota teen rimane per me quella meno vincente.

Oltre a questo, nella scorsa stagione era già troppo tardi per dimenticarsi di Barb, personaggio che per motivi misteriosi continua ad essere riportato in qualche modo in scena.

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Stranger Things – Il trionfo del binge watching

Stranger Things è una delle serie di punta di Netflix: uscita nel lontano 2016, è diventata immediatamente (e inaspettatamente) un prodotto di culto, mantenendo la sua popolarità nel tempo.

Alla sua uscita ero molto scettica verso questo prodotto, ma infine mi convinsi a vederlo.

E guardai tutte le puntate nel giro di una giornata.

Per chi non avesse mai visto Stranger Things, qui sotto trovate una pratica guida per approcciarsi alla visione. Se invece siete già veterani di questo prodotto, passare direttamente alla parte spoiler.

Di cosa parla Stranger Things?

Bobbie Millie Brown, Gaten Matarazzo, Finn Wolfhard e Caleb McLaughlin in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Stranger Things è una serie tv che si rifà in maniera quasi maniacale ai film d’avventura per ragazzi degli Anni Ottanta. La trama ruota intorno a Eleven, ragazzina di appena undici anni che ha vissuto tutta la sua vita in un laboratorio, sviluppando poteri straordinari.

Si unirà al gruppo di ragazzini protagonisti per sconfiggere, di volta in volta, con una trama abbastanza ciclica, i vari mostri provenienti dal cosiddetto Sottosopra, realtà orrorifica e oscura parallela al nostro mondo.

Perché Stranger Things è una serie di culto?

Joe Keery, Natalia Dyer e Shannon Purser in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Le motivazioni riguardo all’enorme popolarità di Stranger Things sono in realtà sono abbastanza evidenti.

Prima di tutto, la serie si inserì in un periodo in cui la nostalgia per gli Anni Ottanta era fortissima, e cavalcò (e intensificò) questa tendenza, con un prodotto scritto da persone che dimostrano un amore sincero per quel periodo e la cultura pop e cinematografica annessa.

In secondo luogo, è un prodotto intergenerazionale: un cast corale di personaggi di diverse età, sia maschi che femmine, tutti a modo loro con importanza e presenza per le vicende narrate. Quindi, come il miglior prodotto di culto, è una serie che tutti possono guardare e trovare qualcosa che gli piace e che lo rappresenta.

In ultimo, Stranger Things utilizza sapientemente dei topoi molto tipici della cinematografia Anni Ottanta, appunto. Schemi narrativi che, se sfruttati con consapevolezza, funzionano sempre molto bene. E questa serie ci riesce benissimo.

Stranger Things fa per me?

Noah Schnapp in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Senza dubbio per apprezzare Stranger Things deve piacervi il già citato tipo di avventura mistery per ragazzi Anni Ottanta alla Stand by me (1986).

La serie, pur toccando tangenzialmente anche il genere teen drama, è principalmente questo: una storia di fantascienza che coinvolge dei ragazzini contro un potere molto più grande di loro.

Un tipo di schema visto già in prodotti anche recenti come Ready Player One (2018), ma scritta molto meglio.

Se vi ho convinto, ci vediamo dall’altra parte!

Di cosa parla la prima stagione di Stranger Things?

Nella prima stagione scompare uno dei ragazzini protagonisti, Will e i suoi amici si mettono ad investigare la sua scomparsa. Faranno così la conoscenza di una misteriosa ragazzina con poteri di telecinesi. Eleven…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Top

Un realismo devastante

Bobbie Millie Brown, Gaten Matarazzo, Finn Wolfhard e Caleb McLaughlin in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Non ricordavo sinceramente quanto fosse devastante il taglio della serie per alcune sequenze: assolutamente credibile e realistico, nonostante si rifaccia a degli schemi narrativi piuttosto tipici.

In particolare, i ragazzini non accettano per nulla Eleven da subito, anzi Lucas ne parla molto male e inizialmente la tengono con loro più per paura di farsi scoprire e per farsi aiutare a trovare Will.

Così le dinamiche fra i ragazzini sono dolorosamente realistiche: un feroce antagonismo, derivato anche da una tipica gelosia fra migliori amici per la nuova entrata nel gruppo, dinamica in cui tutti possono riconoscersi.

Millie Bobbie Brown in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Così anche una grande ingenuità e sincerità nella loro amicizia per come la raccontano ad Eleven, fondata su una fiducia reciproca e la capacità di guardarsi le spalle a vicenda.

Oltre a questo, il linguaggio utilizzato è fortemente realistico: si utilizzano liberamente termini che ad oggi sono considerati (anche giustamente) ben più volgari e pesanti. Fra queste, queer (in senso spregiativo), fag (frocio), pussy (fighetta) e sissy (frocetto), fra le altre.

Personaggi vincenti

David Harbour in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Morning are for coffee and contemplation

Le mattine sono fatte per caffè e contemplazione

La bellezza di Stranger Things sta proprio nei personaggi: per quanto ce ne siano alcuni più protagonisti di altri, tutti hanno il loro interesse e la loro profondità.

Eleven: un’eroina diversa

Millie Bobbie Brown in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Un grande punto di forza di Stranger Things è sicuramente la protagonista, Eleven.

Anzitutto per la strepitosa performance di Millie Bobbie Brown, che a soli undici anni è riuscita a regalarci un personaggio interessante ed enigmatico.

La forza del suo personaggio sta proprio nel fatto di essere molto grigio: un passato doloroso e tormentato, dei poteri terribili che la rendono di fatto un’arma da guerra. Ma al contempo un personaggio insicuro, incapace di rapportarsi con il mondo esterno e soprattutto, davvero fallibile.

Un bell’esempio di una protagonista e un personaggio femminile tridimensionale in cui il pubblico di giovanissimi può immedesimarsi.

Non la solita Mary Sue, insomma.

I quattro bambini

Noah Schnapp, Gaten Matarazzo, Finn Wolfhard e Caleb McLaughlin in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Il quartetto di protagonisti è fantastico: ragazzini davvero adorabili, appunto con atteggiamenti assolutamente credibili e in cui ci si può facilmente immedesimare, anche come spettatori adulti.

Soprattutto perché non vengono per nulla appiattiti in ruoli standard, come spesso avviene in prodotti del genere.

Come anticipato, è ben raccontata la sincerità della loro relazione, in particolare in uno scambio fra Mike e Dustin, in cui il primo sostiene come consideri tutti quelli del loro gruppo come migliori amici, nonostante i dubbi dell’amico. Una sequenza che mi ha davvero stretto il cuore.

La coppia di adulti

Il personaggio che preferisco di questa stagione è sicuramente Hopper.

Viene inizialmente presentato come un personaggio menefreghista e spaccone, ma più va avanti più rivela la sua vera natura di uomo tormentato, ma che si mette totalmente in gioco per aiutare Joyce a ritrovare suo figlio e fare giustizia.

Ottima anche l’interpretazione di Winona Ryder, icona degli Anni Novanta, che torna con un personaggio che le è stato cucito addosso. Nonostante tutti i suoi difetti, si dimostra una madre affettuosa e instancabile, con Will e poi anche con Eleven.

La quota teen

Natalia Dyer in una scena della prima stagione di Stranger Things, serie tv Netflix scritta e diretta dai Duffer Brothers

Devo fare un mea culpa: non mi è mai piaciuto il personaggio di Nancy, né la sua linea narrativa in generale.

In questa stagione è evidentemente la quota teen che non poteva mancare per attirare quella fetta di pubblico, e per me è anche la parte più debole (e ne parlerò nella parte flop).

Tuttavia, ad una seconda visione, ho apprezzato il tentativo di smarcarla dallo stereotipo della brava ragazza che vuole ribellarsi.

In realtà la parte teen drama vincente è quella di Steve: viene rappresentato fin da subito come un bad boy mancato, che si atteggia anche in un certo modo anche perché circondato da pessime influenze.

Tuttavia, piano piano si allontana dal suo stereotipo, e sboccia come personaggio nelle successive stagioni.

Poi c’è Barb.

Flop

Il problema di Barb

La stagione ha un unico, ma abbastanza pesante, problema: la parte teen e in particolare il personaggio di Barb.

Come detto, la serie cerca di smarcarsi da certi stereotipi che pure mette in scena, in maniera anche interessante. L’unica eccezione è appunto Barbara e il suo rapporto con Nancy.

Barbara è un personaggio veramente antipatico, petulante e moralista senza motivo, che incarna uno stereotipo piuttosto noioso che va a condannare ingiustamente la vita sessuale di quella che dovrebbe essere la sua amica, bollando Steve e i suoi amici preventivamente.

E il tutto in un personaggio apparentemente positivo, della cui morte dovremmo dispiacerci.

In realtà Barb è una delle vittime sacrificali tipiche di questo genere, che muore nella seconda puntata senza che a nessuno sia tanto dispiaciuto (persino Nancy se ne preoccupa abbastanza poco).

Purtroppo, il suo personaggio ha avuto un inspiegabile successo su internet, facendoci portare il suo ricordo fino all’ultima stagione.

In generale la parte teen è quella meno interessante e su cui la trama si sofferma anche troppo, tornandoci di tanto in tanto anche nelle stagioni successive, purtroppo.

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Severance – Contro me stesso

Severance è una serie tv Apple Tv+, piattaforma streaming che sembra ormai incapace di produrre prodotti di scarso valore: da Fondazione a Ted Lasso, era da tanto che non si vedevano prodotti di così altro livello, uno dietro l’altro.

Severance, in Italia nota come Scissione, è infatti una serie di altissimo valore, che sono riuscita a divorarmi in pochissimo tempo, tanto era la tensione ed il coinvolgimento che mi ha offerto.

Di cosa parla Severance?

Mark è impiegato per due anni in un’azienda molto particolare: per accedere al lavoro ogni dipendente deve sottoporsi all’operazione della severance, che permette di dividere la vita privata da quella lavorativa…

Vi lascio qui la sigla, che è già abbastanza autoesplicativa…

Vale la pena di vedere Severance?

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Assolutamente sì.

Severance è già un piccolo cult, soprattutto oltreoceano: oltre ad un’ottima costruzione del mistero, la serie può godere di un ricco world building e di personaggi interessanti e intriganti, persino i più secondari.

Si tratta di una fantascienza piuttosto particolare, che si avvicina come tematiche e atmosfere a Black Mirror – in particolare allo speciale White Christmas (2015) – e gode di villain tremendamente inquietanti e di una trama assolutamente coinvolgente.

Insomma, assolutamente imperdibile.

Ogni elemento al suo posto

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

L’ottima qualità di Severance risiede soprattutto nella scrittura ben calibrata e che mette tutti gli elementi al loro posto.

Infatti, per la costruzione di un mistero che tenga col fiato sospeso lo spettatore, è importante che la soluzione dello stesso sia potenzialmente accessibile, tendenzialmente nelle mani di un personaggio.

In questo caso questo ruolo è ricoperto da Petey, che purtroppo dura pochissime puntate, e che serve solo come punto di partenza per la risoluzione del mistero – che poi non è neanche veramente risolto.

A differenza di altre occasioni in cui semplicemente i personaggi potevano mettersi ad un tavolo e in dieci minuti tutto si sarebbe risolto, in Severance la fonte della soluzione è poco attendibile e ritrosa anche a raccontare quello che conosce, con delle dinamiche assolutamente credibili – e non è scontato.

E, per rendere la risoluzione ancora più difficile, il protagonista non è del tutto convinto di voler conoscere la verità.

Al contempo un elemento fondamentale per avere un buon world building ed evitare spiegoni inutili è la presenza di un personaggio esterno alla storia che venga introdotto nel nuovo ambiente raccontato, al pari dello spettatore.

In questo caso ancora di più il personaggio nuovo, Helly, è una scheggia impazzita: di fatto, se lei non avesse cercato di ribellarsi, non avremmo saputo la maggior parte delle torture e dei segreti della Lumon.

L’alienazione e l’infantilizzazione

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

The work is important and mysterious

La strategia di Lumon, solo apparentemente favorevole per il lavoratore che si può distaccare dallo stress lavorativo, è in realtà un metodo di totale alienazione e di conseguente infantilizzazione del lavoratore.

Chi lavora alla Lumon viene infatti privato della sua personalità, delle sue memorie, e quindi delle sue libertà. Messo in stanze senza finestre, senza quindi possibilità di vedere il mondo esterno, senza avere neanche idea di come sia fatto.

Così essere totalmente alienato dal suo lavoro, senza sapere cosa produce e addirittura cosa significa quello che sta facendo.

Al contempo una totale infantilizzazione: il dipendente viene ricompensato del buon lavoro fatto con dei premietti, delle piccole gratificazioni senza alcun valore, dalle gomme da cancellare a cinque minuti di musica.

Oltre a questo, il lavoro sembra più un videogioco che un lavoro effettivo. Questo aspetto si nota in particolare quando Helly riesce a completare il file e gli viene mostrata una cut scene di Kier che si complimenta con lei.

Ancora peggio la questione della break room: teoricamente significherebbe la stanza della pausa (da break, pausa), ma in realtà è la stanza che ti rompe, fisicamente e soprattutto mentalmente.

Una terribile tortura psicologica, assimilabile a quando alle elementari fanno scrivere mille volte ai bambini sulla lavagna quello che non dovrebbe fare. E così il lavoratore vive nel terrore di doverlo fare ancora, e in qualche modo assimila anche quello che ha dovuto ripetere all’infinito.

E così viene spezzato, appunto.

Le facce giuste

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

La scelta del cast è ottima: le facce giuste, le facce particolari, che si sposano con il carattere grottesco e surreale della serie.

In particolare, Adam Scott, che interpreta Mark, attore che, possiamo dirlo, ha una faccia molto particolare, ma, soprattutto, veramente antipatica. Infatti, la maggior parte delle volte interpreta personaggi negativi e sgradevoli.

In questo caso, come personaggio chiuso in se stesso e remissivo, funziona alla perfezione.

Così perfetti anche Zach Cherry e soprattutto John Turturro, che sono riusciti a mettere in scena dei credibili impiegati, le facce che ti aspetteresti entrando in qualsiasi ufficio americano.

Per i villain è un discorso a parte.

I villain

Patricia Arquette  in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I villain sono costruiti a regola d’arte, con dei volti e degli interpreti azzeccatissimi. In primo luogo, Mrs. Cobel, interpretata dall’ottima Patricia Arquette, con i suoi occhi di ghiaccio e i capelli color ferro, perfettamente acconciati.

Una donna accecata dal culto della persona di Kier, apparentemente calma e calcolatrice, in realtà irosa e violenta.

Insomma, una donna di cui avere paura.

Tramell Tillman in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Good man Dylan, good man

Mr. Milchick a Dylan

Ancora più inquietante Mr Milchick, che cerca di vendere questa apparenza di uomo festoso e cordiale, quasi da animatore del villaggio turistico, in certe scene al limite del grottesco.

Infatti, è sempre lui che porta i premi ai lavoratori, ma anche quello che glieli toglie e li tortura nella break room. Fra l’altro Tramell Tillman, l’attore che lo interpreta, ha una capacità di cambiare espressione nel giro di pochi secondi veramente ammirevole.

La Severance ti ha cambiato

Britt Lower in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I am a person. You are not.

Helen outie alla sua innie

Per la maggior parte dei personaggi che hanno subito la severance, non sembra che ci siano particolari cambiamenti nel loro carattere e modo di fare fra le loro versioni innie e outie. Tutti tranne Helly, che poi conosciamo come Helen.

Il maggior colpo di scena della serie, ma al contempo il più importante mistero e spunto di riflessione.

Chi poteva immaginare che la piccola Helly, indottrinata fin da piccola alle idee di Kier, potesse diventare la prima dei ribelli? Helly è la prima a stupirsi, non riuscendo ad accettare l’idea che la sua outie possa rivoltarsi contro di lei.

E invece la stessa accentua ancora di più l’alienazione e la spersonalizzazione del lavoratore, negandogli in via definitiva la sua identità, anzi distaccandosi dalla sua persona.

E Helly riesce in parte a prendersi la sua vendetta.

Cosa non mi ha convinto di Severance

John Turturro e Christopher Walken nella serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Ci sono alcune piccole cose che non mi hanno del tutto convinto della serie Severance.

Anzitutto, per quanto sia stato molto coraggioso includere una coppia non solo omosessuale, ma anche di personaggi anziani (scelta rarissima nelle produzioni mainstream), ho trovato che la loro relazione sia stata eccessivamente drammatizzata.

Infatti, la loro storia mi ha convinto, anche molto, fino a quando Irving non va a bussare disperatamente alla porta di Burt outie, scelta che ho trovato appunto troppo eccessiva.

Al contempo, spero sia meglio spiegata la questione del perché ci sia così poco controllo e di fatto un personale ridottissimo all’interno di Lumon: tutti i protagonisti hanno la possibilità di fare molte cose che, se non ci fossero solo quattro gatti in quella azienda, non avrebbero mai potuto fare.

Ma, a parte questo, una serie magnifica.

Cosa sappiamo finora

La serie lascia aperti molti interrogativi, anche perché, secondo dichiarazione degli stessi showrunner, era stata pensata per diverse stagioni.

Per ora quello che sappiamo è che Helen aveva deciso di sottoporsi alla severance, che la sua outie è assolutamente spietata, e che è riuscita per qualche secondo a parlare al mondo della sua condizione. Mrs. Cobel l’ha minacciata di non farla più tornare dentro a Lumon, e quindi è possibile che, almeno all’inizio, non la vedremo più, almeno come innie.

E magari conosceremo meglio la sua outie.

Per quanto riguarda Mark, è riuscito effettivamente a parlare con la sorella della Lumon, e quindi a questo punto sia il suo outie che la sorella stessa cercheranno di penetrare all’interno dell’azienda, anche se probabilmente con non poche difficoltà, visto lo strapotere dell’azienda.

Al contempo Mark dovrà ritrovare la sua moglie perduta, che fa probabilmente parte di un piano più articolato per testare la severance.

La cosa particolare è che la moglie nella sua versione innie dice di aver vissuto 107 ore, che corrispondono a circa 13 giorni lavorativi. Veramente poco: che la Lumon avesse in qualche modo il suo corpo in questo misterioso testing floor per due anni per poi testarlo su Mark e avere la certezza che la severance funzionasse?

Altre teorie più fantasiose ipotizzano che la Board sia in realtà formata dalle coscienze digitalizzate dei fondatori o dei vari CEO dell’azienda, e che quindi non siano persone reali.

A tutte queste domande, potremo rispondere almeno fra un anno. Infatti, ancora non è stato annunciato l’inizio della produzione, anche se, visti i tempi piuttosto celeri di conferma di un seguito, forse già la prossima primavera potremo goderci la seconda stagione.

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Pieces of her – Un mistero da manuale

Pieces of her è una serie tv di genere mistery in otto puntate, disponibile su Netflix. Un buon esempio di un prodotto che coniuga ottimamente il genere mistery con l’investigativo e il thriller. Una costruzione da manuale, nonostante qualche inciampo sulla strada.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Pieces of her

Pieces of her parla di Laura, una madre vedova che interviene per difendere la figlia, Andy, in un situazione di pericolo, rivelando capacità di combattimento inaspettate. Per via di questo episodio la figlia comincerà a scoprire il passato oscuro della madre, svelando segreti che non avrebbe mai potuto immaginare.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Pieces of her

Toni Colette in una scena della serie tv netflix con Toni Colette

Come anticipato, Pieces of her è una serie mistery da manuale: la storia è molto interessante e gode di una struttura narrativa generalmente solida. La trama si svela poco a poco, disseminando indizi più o meno palesi fin dalle prime puntate, riuscendo a tenerti ottimamente sulle spine fino alle ultime sequenze.

Infatti, per quanto non riesca fino in fondo a gestire il mistero che tratta (come spiegherò nella parte spoiler), la costruzione è vincente: circa a metà della stagione si conosce la maggior parte della backstory. E da lì è un crescendo per scoprire l’intero mistero.

Toni Collette, mon amour

Toni Colette in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

La madre protagonista della serie è interpretata da Toni Collette, una delle mie attrici preferite fin da Little miss sunshine (2006). Il personaggio sembra essergli stato cucito addosso, sfruttando ancora una volta la particolarissima espressività di questa attrice e rendendola solo apparentemente apatica e calcolatrice.

Non male neanche l’attrice che interpretata la sua versione giovane: Jessica Barden, già vista in The end of the f*cking world, altra serie di Netflix. Non era per niente facile misurarsi con la recitazione monumentale di Toni Collette, ma nonostante tutto questa giovane attrice si è dimostrata all’altezza.

La protagonista inconsapevole

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Un altro elemento vincente, che di fatto regge l’intera serie, è la protagonista, Andy. Il classico personaggio ingenuo ed inconsapevole che accompagna lo spettatore nella visione e nello svelamento del mistero. Questo processo funziona quasi fino alla fine (come spiegherò meglio nella parte spoiler), ma rende più semplice il coinvolgimento, nonostante alcune scelte molto stupide e poco credibili che la coinvolgono.

Ovviamente, come per le migliori serie mistery, la trama poteva essere risolta in dieci minuti di orologio se i protagonisti si fossero seduti ad un tavolo a parlare, ma non di meno è bello seguire il suo personaggio, assolutamente ingenuo e fallibile, in cui possiamo anche facilmente identificarci. Perché, al suo posto, probabilmente ci saremmo comportati allo stesso modo.

Sospendere l’incredulità

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Come in ogni prodotto, soprattutto quelli mistery e investigativi, dobbiamo sospendere la nostra incredulità. Tuttavia, ci sono dei momenti in questa serie che sono veramente troppo poco credibili.

In particolare, ho trovato davvero assurdo che Andy riesca a sabotare gli aiutanti di Nick, prima bucandogli le gomme e poi intrufolandosi nella loro auto, senza che questi si accorgano di alcunché. Il classico caso dei criminali più stupidi della storia della criminalità.

Oltre a questo, è altrettanto poco credibile è il comportamento di Andy da bambina: come si oppone testardamente all’idea di seguire la madre, allo stesso modo si sarebbe dovuta opporre ad un uomo sconosciuto e con un aspetto anche poco rassicurante che cercava di portarla via nel bosco. E invece in quel caso sembra pronta a seguirlo senza battere ciglio.

Qualche capitombolo

Jessica Barden e Joe Dempsie in una scena della serie tv  Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Nonostante la scrittura sia appunto generalmente buona, ci sono delle scelte di trama che mi hanno convinto poco. Anzitutto, il comportamento di Nick con Jane: per quanto evidentemente il loro rapporto si fosse gustato dopo l’attentato di Oslo, è tuttavia troppo improvviso il fatto che Nick la picchi con così tanta violenza. Sembra più un meccanismo della trama per farle prendere definitivamente la scelta di scappare.

Così anche ho capito fino ad un certo punto la scelta del finale: la vicenda sembra lasciata abbastanza in sospeso, come se nonostante tutto Jane abbia ancora qualcosa da nascondere, e che debba ancora vivere con il peso della sua scelta e la minaccia del fratello. Così il modo in cui ci viene svelato l’ultimo segreto di Jane è a mio parere poco convincente: la questione era già stata rivelata esplicitamente per bocca di Nick, che dice proprio Io non ho dato quella pistola a Grece Juno, guardando negli occhi Jane in maniera piuttosto eloquente.

Non mi ha convinto neanche il rapporto fra Andy e Jane, che sembra conflittuale fino all’ultima scena, si risolve con una sequenza consolatoria ma che lascia, ancora una volta, la questione in sospeso. Avrei preferito un percorso più convincente e che giungesse ad un finale più credibile e conclusivo, appunto.

Tuttavia rimane comunque una serie che mi sento di promuovere.