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The Boys 3 – Niente di nuovo

The Boys 3 è la terza stagione di una delle serie di punta di Prime Video. Un prodotto che è partito come fondamentalmente rivoluzionario per il genere, perdendosi già dalla seconda stagione in una scrittura poco indovinata.

Tuttavia al contempo per molti è una semplice serie di intrattenimento spicciolo che riesce a sorprendere e ad emozionare, nonostante tutto. E per certi versi va bene così.

Se sapete nulla di The Boys e non sapete se può fare per voi, continuate a leggere. Altrimenti, passate direttamente alla parte spoiler cliccando qui.

Di cosa parla The Boys

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

In una realtà parallela simile alla nostra, i supereroi sono prodotti di una multinazionale che li sfrutta e li controlla come armi e come prodotti di marketing.

Hughie, un ragazzo normalissimo che non ha mai avuto niente a che fare con i super, viene coinvolto in una inaspettata tragedia. Questo lo porterà a far parte del gruppo dei Boys, che cerca di opporsi ai super e al loro strapotere.

Una tendenza mai sbocciata

Al tempo The Boys sembrava una tendenza nuova per il genere supereroistico. In realtà è stato un fenomeno che è nato e morto con questo prodotto, ritrovando una nuova vita solamente in pochi prodotti di successo come Invincible.

Il problema è probabilmente che questo tipo di narrazione non può essere replicato più di tanto, se non proponendo la stessa medesima storia con qualche piccola differenza.

The Boys può fare per me?

Antony Starr in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

The Boys è una serie famosa per essere molto violenta e splatter, ed effettivamente è così. Tuttavia non vi dovete immaginare una violenza orrorifica, ma, al contrario, molto cartoonesca, alla The Suicide Squad (2021).

Se riuscite a sopportare questo aspetto, in generale almeno per la prima stagione è stata una serie che ha portato un po’ di freschezza al genere, pur poi perdendosi in se stessa.

Ma se, appunto, vi aspettate un intrattenimento spicciolo e molto spesso caciarone, potrebbe anche piacervi. Insomma, provate e, se vi stufa già alla seconda, mollate: non vi perderete molto.

Di cosa parla The Boys 3?

Il gruppo dei Boys si trova a combattere con un nuovo nemico: Soldier Boy, un vecchio supereroe che è tornato fra loro. Lo stesso però potrebbe essere il modo di uccidere finalmente Homelander…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere The Boys 3?

Karen Fukuhara, Karl Urban, Tomer Kapon e Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Dipende: se vi è piaciuta la seconda stagione, soprattutto se vi è piaciuta molto, decisamente sì. La strada presa è sempre quella: un prodotto con poche pretese, che cerca di scioccare ingenuamente lo spettatore con tanti fuochi d’artificio, ma con nessun contenuto rilevante. E piegandosi del tutto alla necessità, appunto, di farci rimanere a bocca aperta.

Se, al contrario, la seconda stagione vi è piaciuta poco e vi siete già stancati di questa serie, non vi dico di non guardarla, ma di avere semplicemente la consapevolezza che non troverete niente di diverso come dinamiche e scrittura.

Il gusto dell’eccesso

Jack Quaid, Karl Urban, Laz Alonso in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un aspetto che mi ha sinceramente infastidito, soprattutto nelle prime puntate, è stato questa continua insistenza nel voler stupire lo spettatore con violenza gratuita ed altre scene sconvolgenti.

Tuttavia certe scene, soprattutto se reiterate gratuitamente troppe volte in un solo episodio, non mi danno la sensazione di qualcosa di sconvolgente, ma di maldestri tentativi di voler sembrare molto alternativi e senza freni.

Per fortuna dopo la metà della stagione si torna su binari più controllati, riuscendo a farmi sentire effettivamente intrattenuta e stupita da quello che stavo vedendo sullo schermo.

Soldier Boy: un nuovo amore

Per me Solider Boy è stata la parte migliore della stagione. Anzitutto per l’ottima recitazione di Jensen Ackles, che mi ha fatto totalmente innamorare del suo personaggio. Divertente, convincente, poliedrico: un’ottima nuova introduzione che hanno deciso stupidamente di buttare via.

Probabilmente la scelta peggiore di tutta la serie, che ha gettato alle ortiche un personaggio nuovo e da scoprire, che avrebbe potuto davvero portare linfa nuova e nuove trame a The Boys. Invece si è deciso di liberarsene con scelte pigre ed raffazzonate.

Come sempre, niente di nuovo

Anthony Starr, Erin Moriarty in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Una brutta tendenza che ha preso The Boys fin dalla seconda stagione è la sua incapacità di rinnovarsi, continuando a girare in tondo su se stessa, riducendo i villain alle minacce della settimana, senza che portassero effettivamente ad una progressione della trama.

Di fatto, alla fine della stagione ci hanno buttato in faccia tante cose nuove e sconvolgenti, che però non sono state per nulla costruite, ma sono state appunto buttate lì, come sempre, per stupire lo spettatore. E nient’altro.

Perché Ryan ha questo cambio di idee su Homelander? Perché gli altri personaggi sembrano dimenticarsi che l’obbiettivo della stagione era proprio quello di uccidere Homelander? Perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa della Neuman, personaggio sostanzialmente inutile per l’intera stagione?

Ma parliamo della Newman.

L’inaspettata inutilità della Neuman

Claudia Doumit in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

La Neuman doveva essere la grande minaccia della stagione, anche perché ne rappresentava la rivelazione e il cliff-hanger finale dello scorso ciclo di episodi. Invece, tranne per pochi momenti all’inizio e alla fine, è un personaggio fondamentalmente inutile.

Il suo segreto viene rivelato quasi immediatamente, e, lentamente, sparisce di scena. Non sembra più importante, finché non la riportano prepotentemente in scena per la grande sorpresa finale della stagione. E, a questo punto, non ho nessuna aspettativa per il suo personaggio, visto che potrebbero di nuovo dimenticarsene dopo poche puntate.

Il secondario riempitivo

Karen Fukuhara in una scena di The Boys, serie tv Prime Video

Un altro grande problema della stagione è quello di tenere in caldo una serie di personaggi secondari che non aggiungono niente alla trama, ma che servono solo per raggiungere un certo minutaggio.

Cominciamo ovviamente da Kimiko e Frenchie, che hanno tutta una loro trama a parte che gira in tondo per tornare al punto di partenza. Poi Abisso, che sembrava importante all’inizio della stagione, totalmente inutile. Per non parlare di A-Train, con una trama inutilissima e un’ottima conclusione servita su un piatto d’argento, ma del tutto sprecata.

Insomma, una serie che si conferma per nulla coraggiosa e del tutto incapace di rinnovarsi.

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Stranger Things 4 – La grande abboffata

Stranger Things 4 è la quarta stagione di una delle serie più amate di Netflix.

Un nuovo ciclo di episodi tornato dopo tre anni di assenza, e con una veste del tutto nuova: episodi dalla durata monumentale (minimo un’ora l’uno) e una distribuzione spezzata, con gli ultimi due episodi rilasciati a distanza di un mese.

Con questa stagione i Duffer Brother hanno voluto fare un grande passo avanti, anche se non riuscendoci fino in fondo.

Anzi, fallendo in alcuni aspetti fondamentali.

Di cosa parla Stranger Things 4?

In Stranger Things 4 ritroviamo per la prima volta i personaggi divisi, dopo il trasferimento della famiglia di Will, con a seguito anche Eleven, in California. Ma una nuova minaccia sembra farsi largo ad Hawkins, quando alcuni adolescenti sono ritrovati con il corpo devastato da una forza misteriosa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Stranger Things 4?

In generale, assolutamente sì.

Nonostante non sia per nulla la mia stagione preferita (in un’ipotetica classifica occuperebbe un dignitoso terzo posto), tuttavia questi nuovi episodi hanno suscitato un enorme successo proprio per il fattore novità.

In particolare, la apprezzerete di certo se vi piace lo splatter, quello neanche troppo spinto, ma tipico di certa cinematografia horror Anni Ottanta.

Tuttavia se siete molto impressionabili e questo genere vi è davvero allergico, considerate che in questi episodi si è spinto molto di più sul versante horror, tanto da non renderlo più tanto un prodotto per ragazzi.

Io vi ho avvertito.

Top Stranger Things 4

Body horror e un villain accattivante

L’aspetto indubbiamente migliore di questa stagione è l’utilizzo quasi smaccato del body horror.

È ridicolmente facile in questo tipo di produzioni rendere scene di questo tipo banali e stupide (il riferimento alla più recente produzione di horror mainstream è voluta).

In questo caso invece le morti terrificanti dei personaggi sono veramente spaventose e finalmente Stranger Things abbraccia in tutto per tutto il genere horror.

Allo stesso modo il villain di questa stagione è indubbiamente il migliore finora. All’inizio sembrava un po’ un more of the same delle scorse stagioni, anche per l’utilizzo di topoi molto tipici dell’horror per ragazzi.

Tuttavia l’incredibile rivelazione finale mi ha davvero sorpreso, anche perché risulta totalmente coerente nel complesso della storia raccontata. Così, sia per le morti violente, sia per il design del villain, la CGI utilizzata è davvero ottima e credibile.

Anche la retcon riguardo al fatto che Vecna fosse in realtà stato sempre il villain di tutte le stagioni tutto sommato non mi è dispiaciuta: era questa obbligatorio tirare le fila a questo punto, in vista del finale dell’intera serie che arriverà con la prossima stagione.

Un’ottima costruzione della trama

Priah Ferguson (Erica), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Nonostante qualche forzatura, di cui parlerò nella parte flop, nel complesso la trama principale è ottimamente costruita: le prime morti di personaggi secondarissimi, il coinvolgimento di personaggi principali, l’investigazione, le rivelazioni passo passo e, infine, lo scontro finale.

Un racconto lungo e molto ampio, ma assolutamente necessario.

La scelta di dividere la grande mole di personaggi è stata a tratti fastidiosa (la storia di Mike, Will e Jonathan era la meno interessante), ma assolutamente fondamentale per riuscire a gestire al meglio la storia e a dare il giusto spazio a tutti.

In particolare, anche per l’utilizzo di un trope molto comune per il genere: ragazzini contro un nemico enorme e a cui nessuno crede, con gli adulti che cercano di ostacolarli.

Semplice, ma sempre vincente.

La storia di Eleven

Bobbie Millie Brown (Eleven) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

I am different. I do not belong

Sono diversa. Non appartengo a questo posto.

La storia di Eleven prende veramente senso solamente alla fine: all’inizio tutta la questione del bullismo sembra veramente forzata (ed è sicuramente molto tipizzata), ma è un punto di partenza per raccontare il suo dramma interiore.

Il primo ciclo di episodi sono infatti preparatori per lo scontro finale: Eleven deve recuperare la sua identità, i suoi ricordi e poteri perduti, e così accettare sé stessa, con le sue luci e le sue ombre.

E spero, anche alla luce del finale, che questa stagione sia un punto di partenza per la maturazione del personaggio, che all’inizio della stagione (e comprensibilmente) appare spaesata e molto immatura.

In questo senso la chiusura del rapporto con papa è stato un buon punto di arrivo: non eccessivamente drammatico, nonostante lo scivolone un po’ imbarazzante della frase sei tu il vero mostro.

Una chiusura onesta e credibile, per cui Eleven si libera finalmente del peso di quello che, di fatto, è stato il suo aguzzino.

La rivalsa di Hopper

David Harbour (Jim Hopper) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

In questa stagione hanno voluto dare un ruolo molto più centrale ad Hopper, uno dei personaggi più amati della serie.

Dopo averci fatto piangere la sua morte, qui ritroviamo il nostro sceriffo prigioniero in Russia. E troviamo anche un personaggio pieno di risorse e astuzie, capace di salvarsi praticamente da solo, nonostante tutti gli ostacoli.

Fra l’altro per fortuna si è scelto di offrire una rappresentazione equilibrata dei due blocchi, senza sbilanciarsi né sulla crudeltà russa né su quella statunitense.

E facendo parlare i russi in russo, cosa per nulla scontata.

Vivere nel proprio tempo

Bobbie Millie Brown (Eleven), Finn Wolfhard (Mike) e Noah Schnapp (Will) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un grave difetto della terza stagione di Stranger Things era il fatto che per molti tratti si metteva in bocca ai personaggi discorsi e parole assolutamente fuori dal tempo (e non è solo un problema di Stranger Things, ovviamente).

In questo caso invece (e per fortuna) hanno deciso di tornare sui loro passi e far parlare i personaggi in maniera realistica e credibile.

Oltre a questo, si è continuato sulla buona strada di rappresentare personaggi di tutti i tipi, e soprattutto un gruppo di personaggi femminili piuttosto sfaccettati.

Ottima anche l’introduzione dei nuovi personaggi: Enzo, interpretato dall’ottimo Tom Wlaschiha, che abbiamo già visto in L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), e ovviamente di Eddie, che si è pure visto meno di quanto avrei voluto.

Ed ovviamente è morto.

Flop Stranger Things 4

Forzature e pesantezza

Joe Keery (Steve), Gaten Matarazzo (Dustin), Maya Hawke (Robin), Natalia Dyer (Nancy), Caleb McLaughlin (Lucas) e Sadie Sink (Max) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

La scelta di portare un minutaggio così importante non è stata del tutto vincente, in quanto la pesantezza, alla lunga, si è sentita.

Personalmente avrei la storia di Jason e del gruppo dei bulli, fondamentalmente inutile, e avrei fatto prendere altre strade al gruppo di Will. Così magari avrei anche semplificato la storia di Eleven, e in generale avrei distribuito la storia su più puntate.

Così ci sono anche non poche forzature: al di là dell’idea veramente idiota di mandare Eleven in una città sconosciuta lontano dai suoi amici (la stessa bambina, ricordiamolo, traumatizzata che non sa vivere nel mondo), tutta la sua storia ha delle forzature importanti.

In particolare, veramente poco credibile che venga arrestata e mandata in galera senza che un tutore venga interpellato, per un crimine neanche così grave.

Perché il finale non mi ha convinto

Jamie Campbell Bower nei panni di Vecna in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Molto banalmente, ho testato le mie reazioni al finale della stagione rispetto a quelle per la fine del primo ciclo di episodi.

E non sono riuscita a trovare effettivo trasporto ed interesse. L’unica eccezione è stato il riconciliamento fra Eleven e Hopper, che stavo aspettando con grande interesse.

Per il resto, non ho apprezzato il finale né nei suoi contenuti né per come è stato strutturato. Ho trovato abbastanza stancante questa durata infinita, quando, nella maniera più evidente, l’ultima puntata poteva essere divisa in due parti, dando un po’ di respiro allo spettatore.

Il momento in cui effettivamente Eleven sconfigge Vecna l’ho trovato improvviso e per nulla ben costruito, basato esclusivamente su una situazione al cardiopalma in cui lo spettatore teme per la morte di Max.

Ma per me ci vuole ben altro, e sicuramente ci voleva di più di Mike che incoraggia Eleven, la cui relazione non mi ha mai veramente coinvolto.

Oltre a questo, la tecnica di mostrare un’apparente calma per poi mettere un colpo di scena finale l’ho trovato più che scioccante, molto anti climatico. Sarebbe stato molto più intelligente costruire un climax drammatico che raccontava il fallimento, per una volta davvero, di Eleven.

Le morti gratuite

Joseph Quinn nei panni di Eddie in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Una scelta che mi ha fatto veramente arrabbiare di questa stagione è stata la morte di Eddie.

I Duffer Brothers hanno preso questa brutta abitudine di introdurre personaggi secondari amatissimi e ucciderli alla fine della stagione. Ovviamente Eddie è un personaggio adorato dai fan (me compresa) e ovviamente non poteva stare in vita per più di una stagione.

Tuttavia, come nelle scorse stagioni Bob e Alexei erano stati evidentemente eliminati perché, da un certo punto in poi, troppo ingombranti per la narrazione, la morte di Eddie è totalmente gratuita. Infatti non aggiunge veramente nulla alla trama, non era utile alla stessa, e l’ho trovata anche piuttosto smaccata.

Non era forse invece ora di sfoltire il gruppo di personaggi principali?

E no, non credo che Max sia veramente morta nella maniera più assoluta…

Robin e Nancy: la coppia che scoppia

Maya Hawke (Robin) e Natalia Dyer (Nancy) in una scena di Stranger Things 4 uscita su Netflix il 27 Maggio 2022

Un’idea poco vincente per me è stata quella di mettere Nancy e Robin nella stessa scena.

Nancy, personaggio già insipido e profondamente antipatico, ne emerge ancora più sconfitta davanti alla spettacolare performance di Maya Hawke, un personaggio invece divertente e frizzante, con un’attrice che sta dimostrando le sue capacità eccelse.

Niente di tutto questo ha né il personaggio di Nancy né l’attrice che la interpreta, purtroppo.

Nancy in generale mi ha dato meno fastidio del solito, se non fosse per il richiamo ancora a Barb, personaggio assolutamente sopravvalutato, così il tentativo di creare un triangolo amoroso fra lei, Steve e Jonathan.

Veramente insostenibile.

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The Umbrella Academy 3 – Sapersi rinnovare?

The Umbrella Academy è una serie mistery-fantascientifica di Netflix, giunta quest’anno alla sua terza stagione. Un prodotto piuttosto particolare, non per tutti i palati, ma di cui potreste facilmente innamorarvi.

La cominciai all’uscita della prima stagione, ma la abbandonai dopo il primo episodio, per poi recuperarla su consiglio di amici. E divorandomi le prime due stagioni.

Se non sapete niente di The Umbrella Academy e non siete sicuri che possa fare per voi, continuate a leggere. Se invece volete solo sentir parlare della terza stagione, cliccando qui potete passare direttamente alla parte spoiler.

The Umbrella Academy: Guida alla visione

Di cosa parla The Umbrella Academy?

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Il 1° ottobre 1989 43 donne in tutto il mondo partoriscono contemporaneamente, senza però essere mai state incinte. Un misterioso miliardario, Sir Reginald, adotta sette dei neonati per addestrarli ad usare i loro poteri speciali nella Umbrella Academy.

Se vi sembra la trama degli X-Man, ricredetevi: la serie prende da subito tutta un’altra direzione. Il gruppo infatti si divide piuttosto velocemente, rincontrandosi in occasione della morte del loro patrigno. E fin dalla prima puntata si comincia a parlare di Fine del Mondo…

Ha senso fare più stagioni?

La serie si dipana su più stagioni, che hanno ognuna una trama a sé stante, pur perfettamente collegata con il ciclo di episodi precedenti. In ogni stagione vi è una minaccia differente e spesso i personaggi partono divisi, per poi rincontrarsi alla fine.

Vi è comunque una trama di fondo che collega tutti gli episodi, che ancora alla terza stagione non è stato del tutto svelata. Quindi prevale molto il tono mistery e ovviamente fantascientifico, ma quel fantascientifico alla Guida intergalattica per autostoppisti e quindi alla Dirk Gently. Insomma, una fantascienza molto surreale e con diversi momenti comici.

The Umbrella Academy può fare per me?

Elliot Page e Adam Godley in una scena di The Umbrella Academy, serie tv Netflix

Per apprezzare The Umbrella Academy deve sicuramente piacervi il genere della fantascienza e del mistery, anche piuttosto intricato e surreale, che però non si prende mai sul serio.

Se avete in mente gli esempi sopra fatti, ovvero Guida intergalattica per autostoppisti e la serie Dirk Gently, avete sicuramente capito di cosa state parlando. E se vi piace questo tipo di prodotti, molto probabilmente farà per voi.

Nel dubbio, vi lascio il trailer della prima stagione.

Di cosa parla la terza stagione di The Umbrella Academy

Nella terza stagione il gruppo si trova subito a scontarsi con la Sparrow Academy, il gruppo supereroistico che sembra aver preso il loro posto. La scoperta della verità su questa nuova dimensione porterà anche allo svelamento di una nuova minaccia.

Vale la pena di vedere The Umbrella Academy 3?

Aidan Gallagher, David Castañeda,Tom Hopper e Robert Sheehan in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

In generale, sì. Fra le stagioni è per me la più debole: pur mantenendo il suo tono e le sue dinamiche, vi è una grande problematica di dispersione della trama, che fino alla fine non sembra avere una direzione chiara. Oltre a questo, vi è un peggioramento terribile di alcuni personaggi, così come le dinamiche di coppie vecchie e nuove che ho trovato a tratti nauseanti.

Tuttavia, a parte questo, non è una stagione che mi sento del tutto di sconsigliare: nonostante tutti i difetti, sono contenta di averla vista e aver scoperto il prosieguo della trama, che comunque nel complesso è anche interessante. E andiamo avanti con la quarta stagione.

Non avere una direzione

Aidan Gallagher, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, David Castañeda, Elliot Page e Tom Hopper in una scena della seconda stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Come anticipato, per me il grande problema della stagione è stata proprio la sua dispersività: ho avuto la sensazione per la maggior parte del tempo che i personaggi vagassero in scena, senza avere una direzione precisa, incappando incidentalmente in delle storyline.

E vi sono state una marea di scena e dinamiche che per me sono state una grandissima perdita di tempo, per poi correre sul finale, lasciando un sacco di dubbi irrisolti. Oltre a questo, mi è personalmente mancata la presenza della Commissione come villain o comunque minaccia, che desse un po’ più di tridimensionalità alla vicenda.

La Sparrow Academy

La Sparrow Academy è stata una delle parti che mi ha più convinto della serie: mi sono piaciuti i personaggi che, a parte Sloane, sono tutti terribilmente sgradevoli. In particolare mi è piaciuto come è stato caratterizzato Ben, il fratello sempre rimpianto, che in questa veste è invece un personaggio estremamente negativo.

Tuttavia mi è al contempo dispiaciuto che la loro storia non sia stata più di tanto approfondita, lasciando un po’ di buchi ed eliminando sistematicamente i suoi componenti. Evidentemente la scena sembrava troppo affollata, tanto che per certi versi questi personaggi, tranne Ben e Sloane, mi sono sembrati un po’ usa-e-getta.

Due relazioni a confronto

Le due relazioni più forti della stagione sono quelle di Diego e Lila e di Luther e Sloane. Come ho trovato insopportabile la prima, ho adorato la seconda: Diego e Lila li ho davvero trovati estenuanti, non sono per niente stata coinvolta dalle loro dinamiche, e in certe scene le ho trovate anche eccessivamente melense.

Al contrato il nuovo amore fra Luther e Sloane a sorpresa mi è piaciuto moltissimo, nella sua semplicità e ingenuità. Un amore fra l’altro messo continuamente alla prova dalle continue sparizioni dell’uno e dell’altro. Spero sinceramente che questa storia sia portata avanti, e che non scelgano invece di riesumare la coppia di Luther e Allison.

Il vero problema: Allison

Emmy Raver-Lampman in una scena della terza stagione di The Umbrella Academy, serie tv netflix

Allison è stata la parte peggiore dell’intera stagione. Non so esattamente cosa avessero in mente con questo personaggio, ma io l’ho trovato insostenibile, sia nei momenti in cui dovremmo empatizzare con lei, sia quanto entra totalmente nella sua spirale negativa.

Alla millesima volta in cui si lamentava di aver perso la figlia e il marito, sempre come se tutti i problemi al mondo fossero solo i suoi, non ne potevo davvero più. Così la sua spirale negativa l’ho trovata eccessiva, e, soprattutto, non perdonabile, nonostante Victor le continui a correrle dietro e tutti i personaggi siano sempre pronti a perdonarla.

Nell’ordine Allison ha ucciso una persona cara a suo fratello, ha cercato di forzare Luther ad avere una relazione con lei, ha mentito a tutta la sua famiglia e si è alleata alle spalle della stessa, mettendo tutti in pericolo per il proprio tornaconto. Direi che è oltre il perdonabile. Ma, purtroppo, sono sicura che verrà reintegrata facilmente.

La questione di Elliot Page

L’attore di Victor, Elliot Page, ha recentemente fatto coming-out, dicendo di sentirsi un uomo e cambiando anche il suo nome. Nella prime due stagioni interpretava un personaggio femminile, mentre in questa stagione anche il suo personaggio cambia genere e nome, diventando appunto Victor.

Per quanto per certi versi l’ho trovata un po’ tirata, penso che sia stato più che giusto questo cambiamento, e in certi passaggi l’ho trovato anche toccante il modo in cui è stato messo in scena.

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Obi-Wan Kenobi – Un inutile girotondo

Obi-Wan Kenobi è l’ultima serie dell’universo di Star Wars, conclusasi questa settimana. Il terzo prodotto che la piattaforma propone agli appassionati della saga, dopo prodotti discutibili, ma nondimeno di grande successo, come The Mandalorian e The Book of Boba Fett.

Questa serie per me è un clamoroso fallimento, sotto tantissimi aspetti: registico, di scrittura, di coerenza, di distruzione del canon. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Tuttavia la serie ha avuto un enorme successo, e si vocifera già una seconda stagione…

Di cosa parla Obi-Wan Kenobi?

La serie si ambienta fra Episodio III ed Episodio IV (se non sapete di cosa sto parlando, ecco una guida per voi), ovvero nel periodo di apparente ritiro di Obi-Wan. Dieci anni dopo lo scontro con Anakin, lo jedi viene riportato sul campo per il rapimento della giovane Leila Organa, portandolo a scontrarsi con il suo mortale nemico…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Guida alla visione

Perché non vedere Obi-Wan Kenobi

Moses Ingram e Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Le motivazioni per perdersi totalmente questa visione sono tanti e vari. Senza andare nello specifico, la serie di fatto non aggiunge niente a Star Wars. Anche se potrebbe sembrare il contrario, Obi-Wan Kenobi costruisce una storia arraffazzonata, senza né capo né coda, che non va ad arricchire il canone, ma, al contrario, a rovinarlo.

Troviamo diverse e terrificanti retcon, che vanno veramente a snaturare il senso della Trilogia Originale stessa. Oltre a questo, la trama è di un ripetitivo insostenibile e si basa solamente su fan service gratuito, e pure mal fatto. E non fatemi cominciare sui personaggi.

Perché vedere Obi-Wan Kenobi

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Per me Obi-Wan Kenobi è una serie che può piacere a due condizioni: essere irrimediabilmente innamorati della trilogia prequel e godere quando si rimpasta il canone, tutto pur di avere del fan service.

Purtroppo questa è ormai la norma. Tuttavia, se tutto sommato serie come The Mandalorian e soprattutto The Book of Boba Fett vi sono piaciute e siete riusciti a passare sopra a tutto, allora potrebbe pure a piacervi. E magari, arrivando con aspettative bassissime, potreste pure godervela.

Ewan McGregor: crederci

Ewan McGregor in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Io voglio molto bene a Ewan McGregor ed è un attore che apprezzo molto. Purtroppo negli ultimi anni è entrato in una spirale molto negativa, inanellando un flop dietro l’altro: da Il ritorno al bosco dei 100 Acri (2018) non ne ha imboccata una.

Tuttavia, seguendo comunque da vicino la sua carriera, non ho mai visto un prodotto in cui McGregor non si sia quantomeno impegnato. E questo è anche il caso di Obi-Wan, personaggio per cui ha dimostrato un sincero entusiasmo.

Non a caso nella serie è il personaggio fra tutti più credibile. Tuttavia, in un gruppo di personaggio uno più improbabile e peggio interpretato dell’altro, non era tanto difficile. Nondimeno ammiro la passione che indubbiamente l’attore ci ha messo.

Baby Leila: che belli gli Anni Novanta

Vivien Lyra in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Baby Leila è stata il mio incubo. Non c’è niente di peggio di quando un prodotto vuole venderti un personaggio in un certo modo, mentre tu lo vivi completamente all’opposto. Il suo personaggio ha risvegliato le mie paure più recondite, in particolare il bambino di Bugiardo Bugiardo (1997), per me l’emblema dei bambini insopportabili dei film degli Anni Novanta.

Leila dovrebbe essere un prequel al personaggio della Trilogia Originale, e già questo è stato un passo falso: forse non ve lo ricordate, ma la recitazione della compianta Carrie Fisher, soprattutto in Una nuova speranza (1977) era insopportabilmente sopra le righe. Quindi provare a mimarne la recitazione è stata un’idea terribile

Oltre a questo, l’attrice in questo caso è obbiettivamente pessima. Potrebbe pure essere che sia stata diretta male, come d’altronde la maggior parte degli interpreti della serie, ma la sua recitazione è davvero scadente. E non giustificabile per via dell’età: vi ricordo che l’attrice al tempo delle riprese aveva nove anni, Jude Hill ne aveva dieci ai tempi delle riprese di Belfast (2021) e i protagonisti di Stranger Things avevano appena undici anni al tempo delle riprese della prima stagione.

Insomma, se si cercano, gli attori bambini talentuosi si trovano.

Reva, non ti ho capito

Moses Ingram in una scena della serie Obi-wan Kenobi per Disney+

Ammetto i miei limiti: non ho proprio capito il personaggio di Reva. Non ne ho capito la storia, il senso, le motivazioni, nulla. Parte come il villain più stereotipato possibile, con una recitazione agghiacciante e con sequenze da far invidia al Goblin di William Dafoe in Spiderman (2001).

Dopo, ne vengono rivelate le (prevedibilissime) motivazioni e da lì per cinque minuti assume un significato, poi si perde totalmente nell’ultima puntata. Non si capisce come abbia in primo luogo capito che il bambino di cui si parlava alla fine della quinta puntata fosse Luke e, più in generale, non si capisce cosa volesse fare e per quale motivo.

Mi dispiace veramente vedere un’attrice che è stata premiata con una candidatura agli Emmy per la sua interpretazione ne La regina degli scacchi appiattita in questo modo nelle mani di una regista davvero incapace.

Dart Vader: ma perché?

Molti fan si sono strappati le vesti nel sapere che Haiden Kristensen sarebbe tornato nei panni di Vader. E non ne ho capito il motivo, visto che l’attore è un riconosciuto cane ed si è fondamentalmente rovinato la vita con la sua interpretazione nella trilogia prequel.

Per fortuna non si vede praticamente mai in faccia, ma riesce comunque a rovinare nuovamente il personaggio con una recitazione corporea per nulla credibile. L’unico che avrebbe potuto aiutarlo poteva essere la storica voce del personaggio, James Earl Jones, che effettivamente lo doppia nella serie.

Tuttavia anche questo povero attore, ormai novantenne, si è rivelato totalmente incapace di tornare nel ruolo. Di fatto Vader sembra nè più nè meno che il cattivo di un videogioco Anni Novanta di Serie B, con un set preimpostato di frasi.

Una scrittura delirante

Insieme alla regia, la scrittura è se possibile il punto più basso della serie. In origine il progetto era di un film con un numero di eventi limitati. Quindi, dovendo fare una serie e non avendo la minima idea di cosa invertasi, si è scelto di duplicare gli eventi.

Così Leila viene rapita due volte, così abbiamo due scontri. E gli errori di sceneggiatura sono incalcolabili: come ha fatto Reva a sopravvivere all’attacco di Anakin? Con quale credibilità nella prima puntata Leila (ricordiamo, una bambina di dieci anni) parla come un’adulta, come la serie stessa sottolinea? Perché nella terza puntata Obi-Wan non è capace di aspettare un paio di minuti l’arrivo del suo contatto? Qual era il motivo di far rapire Obi-Wan nella quinta puntata per poi farlo scappare un attimo dopo? E si potrebbe andare avanti.

Sulla questione delle retcon, non voglio dilungarmi troppo. Mi basta nominare la più grave: per quello che vediamo in Una nuova speranza, non è credibile che Leila e Obi-Wan avessero il rapporto affettuoso mostrato nella serie.

Dare una serie ad un incapace

Prima di cominciare a dire solo il peggio sulla regia, devo spezzare una piccola lancia: ogni tanto azzecca qualche campo lungo con i personaggi in scena. Per il resto, disastro. Deborah Chow non è proprio capace di mettere i personaggi in scena e di farli muovere.

L’esempio più eclatante è sicuramente la puntata quattro nella sua interezza, nella quale Tala continua a comunicare con Obi-Wan e mette fuori gioco diversi personaggi senza che nessuno si accorga di nulla, nella maniera meno credibile possibile. E così Obi-Wan fugge con Leila nascosta sotto all’impermeabile, in un siparietto comico-grottesco che vorrebbe tenerti sulle spine, ma nella migliore delle ipotesi fa ridere.

Per non parlare della ridicola scena dell’inseguimento di Leila nella prima puntata, dove si vede che l’attrice sta effettivamente camminando e quelli che la inseguono fanno così evidentemente finta di correre da far veramente ridere.

Non so chi abbia avuto l’idea di mettere in mano ad una novellina una serie così importante, ma spero che si penta per il resto della vita.

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Severance – Contro me stesso

Severance è una serie tv Apple Tv+, piattaforma streaming che sembra ormai incapace di produrre prodotti di scarso valore: da Fondazione a Ted Lasso, era da tanto che non si vedevano prodotti di così altro livello, uno dietro l’altro.

Severance, in Italia nota come Scissione, è infatti una serie di altissimo valore, che sono riuscita a divorarmi in pochissimo tempo, tanto era la tensione ed il coinvolgimento che mi ha offerto.

Di cosa parla Severance?

Mark è impiegato per due anni in un’azienda molto particolare: per accedere al lavoro ogni dipendente deve sottoporsi all’operazione della severance, che permette di dividere la vita privata da quella lavorativa…

Vi lascio qui la sigla, che è già abbastanza autoesplicativa…

Vale la pena di vedere Severance?

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Assolutamente sì.

Severance è già un piccolo cult, soprattutto oltreoceano: oltre ad un’ottima costruzione del mistero, la serie può godere di un ricco world building e di personaggi interessanti e intriganti, persino i più secondari.

Si tratta di una fantascienza piuttosto particolare, che si avvicina come tematiche e atmosfere a Black Mirror – in particolare allo speciale White Christmas (2015) – e gode di villain tremendamente inquietanti e di una trama assolutamente coinvolgente.

Insomma, assolutamente imperdibile.

Ogni elemento al suo posto

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

L’ottima qualità di Severance risiede soprattutto nella scrittura ben calibrata e che mette tutti gli elementi al loro posto.

Infatti, per la costruzione di un mistero che tenga col fiato sospeso lo spettatore, è importante che la soluzione dello stesso sia potenzialmente accessibile, tendenzialmente nelle mani di un personaggio.

In questo caso questo ruolo è ricoperto da Petey, che purtroppo dura pochissime puntate, e che serve solo come punto di partenza per la risoluzione del mistero – che poi non è neanche veramente risolto.

A differenza di altre occasioni in cui semplicemente i personaggi potevano mettersi ad un tavolo e in dieci minuti tutto si sarebbe risolto, in Severance la fonte della soluzione è poco attendibile e ritrosa anche a raccontare quello che conosce, con delle dinamiche assolutamente credibili – e non è scontato.

E, per rendere la risoluzione ancora più difficile, il protagonista non è del tutto convinto di voler conoscere la verità.

Al contempo un elemento fondamentale per avere un buon world building ed evitare spiegoni inutili è la presenza di un personaggio esterno alla storia che venga introdotto nel nuovo ambiente raccontato, al pari dello spettatore.

In questo caso ancora di più il personaggio nuovo, Helly, è una scheggia impazzita: di fatto, se lei non avesse cercato di ribellarsi, non avremmo saputo la maggior parte delle torture e dei segreti della Lumon.

L’alienazione e l’infantilizzazione

Zach Cherry, Britt Lower, John Turturro e Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

The work is important and mysterious

La strategia di Lumon, solo apparentemente favorevole per il lavoratore che si può distaccare dallo stress lavorativo, è in realtà un metodo di totale alienazione e di conseguente infantilizzazione del lavoratore.

Chi lavora alla Lumon viene infatti privato della sua personalità, delle sue memorie, e quindi delle sue libertà. Messo in stanze senza finestre, senza quindi possibilità di vedere il mondo esterno, senza avere neanche idea di come sia fatto.

Così essere totalmente alienato dal suo lavoro, senza sapere cosa produce e addirittura cosa significa quello che sta facendo.

Al contempo una totale infantilizzazione: il dipendente viene ricompensato del buon lavoro fatto con dei premietti, delle piccole gratificazioni senza alcun valore, dalle gomme da cancellare a cinque minuti di musica.

Oltre a questo, il lavoro sembra più un videogioco che un lavoro effettivo. Questo aspetto si nota in particolare quando Helly riesce a completare il file e gli viene mostrata una cut scene di Kier che si complimenta con lei.

Ancora peggio la questione della break room: teoricamente significherebbe la stanza della pausa (da break, pausa), ma in realtà è la stanza che ti rompe, fisicamente e soprattutto mentalmente.

Una terribile tortura psicologica, assimilabile a quando alle elementari fanno scrivere mille volte ai bambini sulla lavagna quello che non dovrebbe fare. E così il lavoratore vive nel terrore di doverlo fare ancora, e in qualche modo assimila anche quello che ha dovuto ripetere all’infinito.

E così viene spezzato, appunto.

Le facce giuste

Adam scott in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

La scelta del cast è ottima: le facce giuste, le facce particolari, che si sposano con il carattere grottesco e surreale della serie.

In particolare, Adam Scott, che interpreta Mark, attore che, possiamo dirlo, ha una faccia molto particolare, ma, soprattutto, veramente antipatica. Infatti, la maggior parte delle volte interpreta personaggi negativi e sgradevoli.

In questo caso, come personaggio chiuso in se stesso e remissivo, funziona alla perfezione.

Così perfetti anche Zach Cherry e soprattutto John Turturro, che sono riusciti a mettere in scena dei credibili impiegati, le facce che ti aspetteresti entrando in qualsiasi ufficio americano.

Per i villain è un discorso a parte.

I villain

Patricia Arquette  in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I villain sono costruiti a regola d’arte, con dei volti e degli interpreti azzeccatissimi. In primo luogo, Mrs. Cobel, interpretata dall’ottima Patricia Arquette, con i suoi occhi di ghiaccio e i capelli color ferro, perfettamente acconciati.

Una donna accecata dal culto della persona di Kier, apparentemente calma e calcolatrice, in realtà irosa e violenta.

Insomma, una donna di cui avere paura.

Tramell Tillman in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Good man Dylan, good man

Mr. Milchick a Dylan

Ancora più inquietante Mr Milchick, che cerca di vendere questa apparenza di uomo festoso e cordiale, quasi da animatore del villaggio turistico, in certe scene al limite del grottesco.

Infatti, è sempre lui che porta i premi ai lavoratori, ma anche quello che glieli toglie e li tortura nella break room. Fra l’altro Tramell Tillman, l’attore che lo interpreta, ha una capacità di cambiare espressione nel giro di pochi secondi veramente ammirevole.

La Severance ti ha cambiato

Britt Lower in Severance, serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

I am a person. You are not.

Helen outie alla sua innie

Per la maggior parte dei personaggi che hanno subito la severance, non sembra che ci siano particolari cambiamenti nel loro carattere e modo di fare fra le loro versioni innie e outie. Tutti tranne Helly, che poi conosciamo come Helen.

Il maggior colpo di scena della serie, ma al contempo il più importante mistero e spunto di riflessione.

Chi poteva immaginare che la piccola Helly, indottrinata fin da piccola alle idee di Kier, potesse diventare la prima dei ribelli? Helly è la prima a stupirsi, non riuscendo ad accettare l’idea che la sua outie possa rivoltarsi contro di lei.

E invece la stessa accentua ancora di più l’alienazione e la spersonalizzazione del lavoratore, negandogli in via definitiva la sua identità, anzi distaccandosi dalla sua persona.

E Helly riesce in parte a prendersi la sua vendetta.

Cosa non mi ha convinto di Severance

John Turturro e Christopher Walken nella serie tv di Apple Tv+ nota in Italia come Scissione

Ci sono alcune piccole cose che non mi hanno del tutto convinto della serie Severance.

Anzitutto, per quanto sia stato molto coraggioso includere una coppia non solo omosessuale, ma anche di personaggi anziani (scelta rarissima nelle produzioni mainstream), ho trovato che la loro relazione sia stata eccessivamente drammatizzata.

Infatti, la loro storia mi ha convinto, anche molto, fino a quando Irving non va a bussare disperatamente alla porta di Burt outie, scelta che ho trovato appunto troppo eccessiva.

Al contempo, spero sia meglio spiegata la questione del perché ci sia così poco controllo e di fatto un personale ridottissimo all’interno di Lumon: tutti i protagonisti hanno la possibilità di fare molte cose che, se non ci fossero solo quattro gatti in quella azienda, non avrebbero mai potuto fare.

Ma, a parte questo, una serie magnifica.

Cosa sappiamo finora

La serie lascia aperti molti interrogativi, anche perché, secondo dichiarazione degli stessi showrunner, era stata pensata per diverse stagioni.

Per ora quello che sappiamo è che Helen aveva deciso di sottoporsi alla severance, che la sua outie è assolutamente spietata, e che è riuscita per qualche secondo a parlare al mondo della sua condizione. Mrs. Cobel l’ha minacciata di non farla più tornare dentro a Lumon, e quindi è possibile che, almeno all’inizio, non la vedremo più, almeno come innie.

E magari conosceremo meglio la sua outie.

Per quanto riguarda Mark, è riuscito effettivamente a parlare con la sorella della Lumon, e quindi a questo punto sia il suo outie che la sorella stessa cercheranno di penetrare all’interno dell’azienda, anche se probabilmente con non poche difficoltà, visto lo strapotere dell’azienda.

Al contempo Mark dovrà ritrovare la sua moglie perduta, che fa probabilmente parte di un piano più articolato per testare la severance.

La cosa particolare è che la moglie nella sua versione innie dice di aver vissuto 107 ore, che corrispondono a circa 13 giorni lavorativi. Veramente poco: che la Lumon avesse in qualche modo il suo corpo in questo misterioso testing floor per due anni per poi testarlo su Mark e avere la certezza che la severance funzionasse?

Altre teorie più fantasiose ipotizzano che la Board sia in realtà formata dalle coscienze digitalizzate dei fondatori o dei vari CEO dell’azienda, e che quindi non siano persone reali.

A tutte queste domande, potremo rispondere almeno fra un anno. Infatti, ancora non è stato annunciato l’inizio della produzione, anche se, visti i tempi piuttosto celeri di conferma di un seguito, forse già la prossima primavera potremo goderci la seconda stagione.

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Ozark: iniziare bene e finire malissimo

Sono una grande fan di Ozark. Ho adorato la serie di Jason Bateman fin dalla prima puntata. Poi, è arrivata la quarta stagione.

Ozark ha debuttato nel 2017 su Netflix, ed è sempre stata una serie un po’ di nicchia: abbastanza chiacchierata e con un suo fandom solido, resistendo per quattro stagioni, ma non di grande popolarità come Stranger Things Squid Game, per capirci.

Prima di parlare dell’ultima e, a mio parere, vergognosa stagione, parlerò senza spoiler delle prime tre.

Disclaimer doveroso

Questa recensione è stata scritta in due momenti: una volta conclusa la prima parte dell’ultima stagione (quando avevo ancora qualche speranza) e una volta conclusa la seconda parte.

Di cosa parla Ozark

La serie parla di Marty, interpretato da Jason Bateman (che è anche regista e produttore), che da anni lavora per un cartello della droga messicano. Improvvisamente si trova costretto a traslocare tutta la famiglia da Chicago a Ozark, una tristissima località del Missouri, per continuare a riciclare il denaro del cartello.

Lascio il resto al trailer della prima stagione.

Cosa funziona

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark è una serie fuori dal comune: ricorda moltissimo Breaking Bad come tematiche, ma è per molti aspetti molto più dark, a partire dalla stessa fotografia gelida che domina tutte le scene. Inoltre è iper realistica, ovvero realistica nella maniera più cruda possibile, rappresentando dei personaggi molto credibili e spesso, per questo, anche spaventosi.

Le vicende, per loro stessa natura, sono incredibilmente intriganti, piene di colpi di scena, tensione, voltafaccia. Soprattutto la terza stagione, dove si arriva ad un punto focale della trama, è incalzante e intrattiene splendidamente per tutta la sua durata.

La regia è pazzesca: oltre alla fotografia che ti trasmette continuamente quel senso di freddezza e di terrore in ogni scena, ci sono guizzi registici non indifferenti e una messa in scena davvero convincente.

Personaggi gelidi

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

I personaggi in generale sono gelidi, hanno dei rapporti contradditori, snervanti, distruttivi, e, soprattutto, incredibilmente realistici. Le prove attoriali sono davvero di alto livello: a partire dalla stella nascente Julie Garner, vista recentemente nella serie Inventing Anna, che interpreta Ruth, uno dei personaggi principali e anche meglio scritti della serie.

Poi Jason Bateman, che finalmente si smarca dai suoi ruoli comici. In Ozark interpreta Marty, un personaggio silenzioso e calcolatore, portato in scena con così tanta bravura che a malapena sembra che stia effettivamente recitando.

Così anche Laura Linney, che interpreta Wendy, personaggio per tanto tempo relegato al ruolo di moglie e madre, ma che riesce finalmente a diventare protagonista della sua vita. Per questo ruolo l’attrice riesce a dosare splendidamente la sua espressività, giocando sui suoi sorrisi apparentemente rassicuranti, ma che in realtà nascondono un personaggio maligno e spietato.

Perché Ozark potrebbe non piacervi

Jason Bateman in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Ozark non è una serie per tutti. E i motivi sono abbastanza evidenti: alcune delle vicende sono davvero crude, una sofferenza da vedere. Il ritmo è davvero strano: succedono moltissime cose, ma al contempo sembra che tutta la vicenda proceda molto lentamente.

Soprattutto all’inizio, è difficile empatizzare coi personaggi: hai bisogno di tempo per conoscerli, perché all’inizio ti appaiono freddi e distanti. Diciamo che se vi piace Breaking Bad Narcos avete già un piede dentro la porta, ma non è comunque detto che faccia per voi.

Io la consiglio molto, nonostante tutto.

Perché la quarta stagione è una vergogna (secondo me)

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

La terza stagione, come ho detto, è veramente intrigante per la trama e i personaggi: Helen è in assoluto il mio villain preferito e Ben l’ho veramente adorato. Mi piaceva lo sfondo del casinò appena aperto, e anche tutta la dinamica fra Frank Jr. e Ruth.

Diciamo che la morte di Helen avrebbe già dovuto essere un campanello d’allarme: il villain che la dovrebbe sostituire, ovvero Javi, è fra i più banali e peggio scritti della storia delle serie tv. La trama politica ho fatto veramente fatica a seguirlaOzark non ha brillato per trame semplici, proprio per il fatto che voleva introdurre concetti verosimili, ma in questo caso è stato veramente difficile appassionarsi.

La trama di Navarro, semplicemente, non ha senso: hanno esasperato in maniera inverosimile il rapporto con Maya, quando era così ben bilanciato nella scorsa stagione. Infatti la serie continua a perdersi in sé stessa da questo punto di vista.

Marty e Wendy sono snervanti, Johan prende il posto di Charlotte come figlio ribelle in maniera poco interessante, tutta la trama di Ruth è esagerata e Marlene è davvero diventata un personaggio fuori controllo. Come se non bastasse, chi ha scritto questa stagione vuole molto poco bene ai suoi personaggi, visto che non fa altro che ammazzarli.

Aspettiamo fiduciosi la seconda (e per fortuna ultima) parte.

Due parole conclusive sull’ultima parte 

Julia Garner in una scena della serie tv di Netflix

Come si può facilmente immaginare, ero veramente poco interessata a questo ultimo ciclo di episodi. In generale, mi sembra si confermino tutti i problemi della prima parte, e aggiungendone pure di nuovi.

Si parte con uno degli episodi per me peggio scritti della serie: un tirata lunghissima sulla vendetta di Ruth, con tantissime ed estenuanti scene oniriche e una conclusione che arriva all’improvviso senza alcuna costruzione. Una puntata fra l’altro che conferma Javi come personaggio inutilmente violento e di pochissimo spessore. Quindi ero pure contenta l’avessero finalmente fatto uscire di scena.

Si continua sempre con la trama politica poco coinvolgente e che porta in scena un nuovo personaggio, Camila, che dovrebbe riprendere vesti di Helen, fallendo miseramente. Infatti viene fatta passare come avida e calcolatrice, ma relegandola ancora alla figura abusata della madre vendicativa. Niente di esaltante, insomma.

Jason Bateman e Laura Linney in una scena della serie tv Ozark (2017-2022) di Netflix

Nota di merito per la bruttezza della trama del padre di Wendy, personaggio al limite del disgustoso e con le motivazioni più stupide possibili, che riesce a portare la figlia al suo punto più basso. Fra l’altro divenendo protagonista di una insulsissima sottotrama che si conclude improvvisamente e senza una degna costruzione.

Infatti alla fine i personaggi della famiglia sembrano ricongiungersi, senza che però i loro rapporti si siano veramente risaldati. E festeggiano questa ritrovata unione con il cadavere di Ruth ancora caldo e una chiusa che probabilmente Bateman considerava geniale, ma che io trovato al limite dell’imbarazzante.

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Moon knight – Un nuovo livello di mediocrità

Moon Knight è l’ultima serie Marvel uscita su Disney+, conclusasi questa settimana. A sorpresa (o forse no) un ulteriore tentativo fallimentare di portare le storie dell’MCU sul piccolo schermo.

Una serie al cui finale sono arrivata indecisa se ridere o essere irritata come dopo la visione di The King’s man (2021), a mio parere una delle peggiori pellicole uscite in tempi recenti.

Di cosa parla Moon Knight?

Moon Knight racconta la storia di Steven, un ingenuo e solitario commesso di un museo egizio che scopre di possedere non solo una seconda personalità, chiamata Marc Spector, ma anche poteri straordinari, datagli da una divinità egizia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Moon Knight?

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Proprio no.

Per me questa serie è una vera perdita di tempo, visto anche il successo non eccellente che sta riscontrando, non è neanche detto che questo personaggio sia incluso nei prodotti per il grande schermo. Quindi potrebbe non essere essenziale guardarla.

Tuttavia, non è detto che non vi piaccia o che ve ne dobbiate privare: per quanto a mio parere sia una serie assolutamente mediocre, se vi sono piaciuti gli altri prodotti televisivi dell’MCU e le dinamiche che hanno portato in scena, potrebbe essere la serie per voi. Magari partendo con aspettative veramente basse e spegnendo il cervello per tutto il tempo.

Tuttavia, non mi sento assolutamente di consigliarla.

Una serie di fallimenti

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Io ho visto tutte le serie tv Marvel uscite finora.

E solitamente va sempre nello stesso modo: inizialmente sono sempre interessata e coinvolta, poi piano piano le serie prende la strada della mediocrità, con un finale stupido e arraffazzonato.

Questo è successo per tutte le serie, con eccezione di Wandavision, che mi ha tenuto incollata allo schermo fino all’ultima (deludente) puntata e Hawkeye, serie che non è mai riuscita particolarmente a prendermi, ma che considero molto innocua.

Nel caso di Moon Knight la mia esperienza con la serie è stata un pendolo fra la noia e la totale indifferenza fin dalla prima puntata, fino a sfociare nel divertimento amaro misto a grande fastidio per la puntata finale.

Quindi, per quanto mi riguarda, un mezzo disastro.

Un problema alla radice

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Il problema comune di tutte queste serie, con forse l’esclusione solo di Wandavision, è che nella maniera più evidente sono serie pensate non per essere serie tv, ma dei film, inutilmente allungati e divisi in puntate.

Il pubblico italiano al momento non è molto abituato a serie supereroistiche ad alto budget: l’unica che è arrivata anche in Italia e che ha avuto una buona diffusione è The Boys. Tuttavia io sono convinta che se Peacemaker, una vera e ottima serie di supereroi, arrivasse in Italia, vedrei molte più teste scuotersi con dispiacere davanti a questi prodotti.

Moon Knight è una serie ancora più dispersiva del solito, con una prima puntata che poteva essere riassunta nei primi quindici minuti di un film di due ore, seguita da puntate che sarebbe bello chiamare filler, ma che in realtà non sono altro che stupide e inconcludenti deviazioni dal percorso principale.

La trama principale è infatti portata avanti in maniera davvero estenuante, rimandando continuamente l’ovvio scontro finale con soluzioni di scarsissimo interesse.

Prendi gli attori, buttali via

Ethan Hawke in una scena della serie Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

E nulla è servito portare in scena attori di primo livello come Oscar Isaac e Ethan Hawke.

Se il primo tutto sommato ha fatto davvero del suo meglio, Hawke appare veramente un villain pallido e spento. E se volete vedere quanto possono essere bravi questi due attori, vi consiglio caldamente di recuperarvi The card counter (2021) per l’uno e The Northman (2022) per l’altro.

Oltre a questo, dominano le sequenze e le scelte di trama veramente infantili e stupide, che la fanno sembrare tutto tranne un prodotto horror e dark (come alcuni critici l’avevano definito), ma al contempo neanche un buon prodotto dell’MCU, produzione che negli anni, coi suoi alti e bassi, ci ha regalato comunque grandi prodotti di intrattenimento.

Marc, Steven e Moon Knight?

Oscar Isaac in una scena della serie tv  miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Una delle cose che ho più odiato della serie è la puntata flashback.

Per quanto mi riguarda, la storia di Marc è davvero terrificante: non solo perché è prevedibile dal minuto uno, ma perché è assurdamente esagerata, in particolare per la violenza improvvisa e macchiettistica della madre.

Oltre a questo, la questione delle personalità è veramente confusa, già solamente per il fatto che, per come è messa in scena, Marc sembra che crei Steven per fargli prendere le botte della genitrice.

Oltre a questo, non ho in generale apprezzato il rapporto fra i due e il conseguente rapporto con Layla. A parte il contrasto fra le personalità, che si risolve molto facilmente nell’ultima puntata, ho trovato assurdo e imbarazzante il fatto che Steven prova attrazione per Layla e le dinamiche che si creano al riguardo.

Uno splendido esempio di come portare il machismo di due uomini che litigano per una donna ad un nuovo livello.

Il villain

Harrow si rivela fin da subito un villain poco convincente: anzitutto per la dinamica classica in cui cerca di raggirare il protagonista confuso dicendogli che il suo padrone, che crede positivo, lo stia invece ingannando, estremamente abusata e che ha sinceramente stancato.

Oltre a questo, Harrow è un personaggio che per me non ha nessun interesse: semplicemente un invasato religioso che deve portare a termine la sua missione, senza un vero e interessante approfondimento in merito.

Ancora più delirante la figura di Khonshu: inizialmente appare effettivamente come una divinità inquietante e minacciosa, poi sembra essere tutto sommato ragionevole, diventa l’eroe della vicenda quando si scontra con Ammit, per poi ridursi di nuova ad essere un villain nell’inutile colpo di scena finale.

Perdere tempo

May Calamawy in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

La serie, proprio per il fatto che vive come un film allungato, perde continuamente tempo. Anzitutto la parte del manicomio, che sembra servire solo a buttare fumo negli occhi agli spettatori: prima ti mette prima il dubbio di cosa sia vero e falso nella maniera più goffa possibile, poi diventa la solita puntata spiegone-flashback, come già in Wandavision.

Come ci dimostrano anche serie non di altissimo livello (Pieces of her, per dirne una), i flashback sono possibili anche se non infilati a forza in un’unica puntata, e con risultati anche più soddisfacenti.

Oltre a questo, l’ultima puntata è una continua perdita di tempo, soprattutto per Layla, che si intestardisce più e più volte, per farle fare quello che doveva fare fin dall’inizio, senza che ci venga mostrato il suo cambiamento di idea. Ovvero diventare una brutta copia di Wonder Woman.

Il limite del ridicolo

Sicuramente la Marvel si è sempre distinta dai suoi concorrenti per la capacità di portare film divertenti e frizzanti, con una comicità non sempre sopraffina, ma raramente di basso livello. Anche per questo l’MCU, che è stata capace (ed è ancora capace) di portare avanti un universo compatto e a lungo termine, non va sottovalutata.

Per questo, l’infantilizzazione o comunque la poca credibilità di molti elementi per me non è assolutamente giustificabile. Avrebbero potuto utilizzare molto meglio l’elemento comico e riuscire al contempo a dare un minimo di credibilità a queste divinità, che dovrebbero essere enormi e terribili, ma che al massimo sono goffe e stereotipate.

Il caso peggiore è ovviamente Taweret, la dea del passaggio all’aldilà con l’aspetto di un ippopotamo. Al di là del character design che non mi ha convinto fino in fondo, questa rappresentazione della scolaretta impreparata l’ho trovata veramente imbarazzante.

Come hanno fatto poi con Ammit, che è un poderoso coccodrillo, potevano rendere questa figura, legata fra l’altro ad un elemento così interessante e misterioso della cultura egizia, quantomeno seria ed imponente, invece che questo personaggio ridicolo.

E infatti per me tutta la parte dell’aldilà manca di qualsiasi credibilità e mi è sembrata solo una grande perdita di tempo.

La CGI altalenante

La CGI della Marvel non è sempre stata eccellente, ma comunque a mio parere, almeno in tempi recenti, mai così discontinua. Infatti, oltre al fatto che le ambientazioni delle tombe sono davvero cheap, la tecnologia utilizzata dà dei risultati veramente altalenanti.

A partire dai casi peggiori di quella sorta di lupi che vediamo nelle prime puntate, a quelli complessivamente migliori (anche a livello di character design) della dea Ammit, in generale mi è sembrato di trovarmi davanti ad un risultato piuttosto pupazzoso e generalmente poco credibile.

In particolare non è mai riuscito a convincermi Moon Knight, soprattutto nei momenti della trasformazione.

Un finale?

Per me il finale è al limite del disastroso.

Al di là della quantità di tempo persa all’inizio, al di là di come tutta la parte ultraterrena si riveli fondamentalmente inutile, al di là dello scontro finale che dura pochissimo, gli ultimi minuti sono un vero e proprio delirio.

Si arriva al momento decisivo della trama, quando finalmente (e con una facilità disarmante) Marc e Layla riescono a imprigionare Ammit e questa usa la classica frase da cattivo Io tornerò! A quel punto Marc è messo davanti alla scelta di mettere fine ad un problema enorme che potrebbe potenzialmente tornare da un momento all’altro, oppure intestardirsi.

E sceglie la seconda. E a quel punto perché non metterci un bel taglio netto di montaggio, far concludere il momento totalmente fuori scena, e riportare lo spettatore nel manicomio, così da confonderlo ancora di più.

Il problema della terza personalità

Oscar Isaac in una scena della serie tv Moon Knight (2022) miniserie Marvel per l'MCU con Oscar Isaac

Partiamo dal fatto che questa serie è stata annunciata come miniserie, quindi almeno nelle intenzioni vi era l’idea di fare una storia autoconclusiva.

Possiamo pensare che abbiamo scelto il trucchetto di lasciare qualche spiraglio aperto, come d’altronde si fa spesso con progetti dubbi fin dal primo capitolo di Star Wars. Tuttavia, ameno sulla carta, la serie si è conclusa.

E invece il finale con la scena post-credit è un cliff-hanger pesantissimo: sostanzialmente ci ritroviamo nella situazione iniziale, in cui il protagonista non ha idea di possedere un’identità segreta e di essere controllato da una divinità.

E il ciclo ricomincia.

La terza personalità poteva essere introdotta nella serie ben prima, dando un elemento in più e potenzialmente veramente interessante. E invece la sua presenza viene solo suggerita in diversi momenti, dal terzo sarcofago nel manicomio al blackout di Marc alla fine della terza puntata.

E, oltretutto, la presenza della terza personalità rende totalmente insensata la dichiarazione di Taweret sul fatto che Marc sia completo: a parte come è possibile che la terza personalità non sia percepita dalla dea, ma poi appunto come fa Marc ad essere completo (your heart is full) se non ha conoscenza di una terza personalità?

Domande di cui non avremo mai una risposta. E lo spero: perché altrimenti significherebbe che questa serie dovrebbe avere un seguito.

Ultimo ma non ultimo: Khonshu in smoking è una di quelle cose che farò fatica a dimenticare.

E non in positivo.

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Pieces of her – Un mistero da manuale

Pieces of her è una serie tv di genere mistery in otto puntate, disponibile su Netflix. Un buon esempio di un prodotto che coniuga ottimamente il genere mistery con l’investigativo e il thriller. Una costruzione da manuale, nonostante qualche inciampo sulla strada.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Pieces of her

Pieces of her parla di Laura, una madre vedova che interviene per difendere la figlia, Andy, in un situazione di pericolo, rivelando capacità di combattimento inaspettate. Per via di questo episodio la figlia comincerà a scoprire il passato oscuro della madre, svelando segreti che non avrebbe mai potuto immaginare.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Perché guardare Pieces of her

Toni Colette in una scena della serie tv netflix con Toni Colette

Come anticipato, Pieces of her è una serie mistery da manuale: la storia è molto interessante e gode di una struttura narrativa generalmente solida. La trama si svela poco a poco, disseminando indizi più o meno palesi fin dalle prime puntate, riuscendo a tenerti ottimamente sulle spine fino alle ultime sequenze.

Infatti, per quanto non riesca fino in fondo a gestire il mistero che tratta (come spiegherò nella parte spoiler), la costruzione è vincente: circa a metà della stagione si conosce la maggior parte della backstory. E da lì è un crescendo per scoprire l’intero mistero.

Toni Collette, mon amour

Toni Colette in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

La madre protagonista della serie è interpretata da Toni Collette, una delle mie attrici preferite fin da Little miss sunshine (2006). Il personaggio sembra essergli stato cucito addosso, sfruttando ancora una volta la particolarissima espressività di questa attrice e rendendola solo apparentemente apatica e calcolatrice.

Non male neanche l’attrice che interpretata la sua versione giovane: Jessica Barden, già vista in The end of the f*cking world, altra serie di Netflix. Non era per niente facile misurarsi con la recitazione monumentale di Toni Collette, ma nonostante tutto questa giovane attrice si è dimostrata all’altezza.

La protagonista inconsapevole

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Un altro elemento vincente, che di fatto regge l’intera serie, è la protagonista, Andy. Il classico personaggio ingenuo ed inconsapevole che accompagna lo spettatore nella visione e nello svelamento del mistero. Questo processo funziona quasi fino alla fine (come spiegherò meglio nella parte spoiler), ma rende più semplice il coinvolgimento, nonostante alcune scelte molto stupide e poco credibili che la coinvolgono.

Ovviamente, come per le migliori serie mistery, la trama poteva essere risolta in dieci minuti di orologio se i protagonisti si fossero seduti ad un tavolo a parlare, ma non di meno è bello seguire il suo personaggio, assolutamente ingenuo e fallibile, in cui possiamo anche facilmente identificarci. Perché, al suo posto, probabilmente ci saremmo comportati allo stesso modo.

Sospendere l’incredulità

Bella Heathcote in una scena della serie tv Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Come in ogni prodotto, soprattutto quelli mistery e investigativi, dobbiamo sospendere la nostra incredulità. Tuttavia, ci sono dei momenti in questa serie che sono veramente troppo poco credibili.

In particolare, ho trovato davvero assurdo che Andy riesca a sabotare gli aiutanti di Nick, prima bucandogli le gomme e poi intrufolandosi nella loro auto, senza che questi si accorgano di alcunché. Il classico caso dei criminali più stupidi della storia della criminalità.

Oltre a questo, è altrettanto poco credibile è il comportamento di Andy da bambina: come si oppone testardamente all’idea di seguire la madre, allo stesso modo si sarebbe dovuta opporre ad un uomo sconosciuto e con un aspetto anche poco rassicurante che cercava di portarla via nel bosco. E invece in quel caso sembra pronta a seguirlo senza battere ciglio.

Qualche capitombolo

Jessica Barden e Joe Dempsie in una scena della serie tv  Pieces of Her (2022) serie tv netflix con Toni Colette

Nonostante la scrittura sia appunto generalmente buona, ci sono delle scelte di trama che mi hanno convinto poco. Anzitutto, il comportamento di Nick con Jane: per quanto evidentemente il loro rapporto si fosse gustato dopo l’attentato di Oslo, è tuttavia troppo improvviso il fatto che Nick la picchi con così tanta violenza. Sembra più un meccanismo della trama per farle prendere definitivamente la scelta di scappare.

Così anche ho capito fino ad un certo punto la scelta del finale: la vicenda sembra lasciata abbastanza in sospeso, come se nonostante tutto Jane abbia ancora qualcosa da nascondere, e che debba ancora vivere con il peso della sua scelta e la minaccia del fratello. Così il modo in cui ci viene svelato l’ultimo segreto di Jane è a mio parere poco convincente: la questione era già stata rivelata esplicitamente per bocca di Nick, che dice proprio Io non ho dato quella pistola a Grece Juno, guardando negli occhi Jane in maniera piuttosto eloquente.

Non mi ha convinto neanche il rapporto fra Andy e Jane, che sembra conflittuale fino all’ultima scena, si risolve con una sequenza consolatoria ma che lascia, ancora una volta, la questione in sospeso. Avrei preferito un percorso più convincente e che giungesse ad un finale più credibile e conclusivo, appunto.

Tuttavia rimane comunque una serie che mi sento di promuovere.

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Peacemaker: storia di un eroe ridicolo

Peacemaker (2022) è la serie sequel del poco fortunato film The Suicide Squad (2021), sempre nelle mani del brillante James Gunn. Proprio per il flop economico del film, probabilmente non ci si aspettava molto da questo prodotto. Invece il riscontro del pubblico è stato ottimo, portando in poco tempo ad un rinnovo per una seconda (e meritatissima) stagione.

Peacemaker è una serie ben realizzata, con una trama semplice ma funzionale, personaggio indovinati, un umorismo geniale ma mai ingombrante, oltre ad un ottimo comparto tecnico. Di fatto Gunn si conferma un eccellente autore e regista, anche capace di reinventarsi: probabilmente per non dover sottostare ad un rating castrante come era stato per The Suicide Squad, la violenza è molto più castigata e l’umorismo meno pesante. Non di meno è sempre una violenza abbastanza fortina e per nulla patinata come per la maggior parte delle serie di questo genere.

Al momento la serie non è arrivata in Italia e non si sa quando arriverà, ma probabilmente sarà trasmessa su Sky.

Di cosa parla Peacemaker

Chris Smith, anche conosciuto come Peacemaker, in ospedale dopo gli eventi di The Suicide Squad, viene nuovamente coinvolto in una missione governativa. Infatti, per evitare di tornare in galera, Peacemaker dovrà collaborare con la Squadra Speciale X, per il misterioso Project Butterfly.

Non aggiungo altro per evitare di spoilerare troppo e vi lascio al trailer.

Perché Peacemaker funziona

Anzitutto, io credo che James Gunn abbiamo imparato la lezione: per quanto non penso fosse quello il motivo principale dell’insuccesso della pellicola, il rating molto alto e la smisurata violenza di The Suicide Squad sicuramente ha allontanato una parte del pubblico. Io, come ho già spiegato, ho amato il film e vorrei che Gunn fosse libero di mettere tutti gli smembramenti che vuole, ma riconosco anche che, se avesse cominciato ad inanellare un flop dietro l’altro, sarebbe probabilmente stato escluso dalle future grosse produzioni. E per il genere sarebbe stata una perdita enorme. Quindi va bene così.

Il reale e il paradosso si incontrano

Il grande punto di forza di questa serie è il suo realismo: James Gunn porta in scena supereroi credibili ed umani, con problemi reali, che spesso vanno oltre al loro ruolo di eroi. Non sono divinità incorruttibili come i personaggi snyderiani, ma persone comuni che hanno scelto una strada diversa dagli altri, non per forza per via di capacità eccezionali. E il fatto che Gunn prediliga o personaggi senza poteri o personaggi con poteri assurdi rende il tutto, incredibilmente, ancora più credibile.

Gunn porta infatti sulla scena situazioni strane e paradossali, ma che in realtà appaiono estremamente realistiche e spogliate di quella narrazione idealizzante che molto spesso permea le narrazioni supereroistiche. La serie gioca molto con gli stereotipi del genere, ma al contempo cerca appunto di riportarle coi piedi per terra, spesso facendo uso di un umorismo parecchio riuscito e che rende la narrazione estremamente credibile nelle sue dinamiche.

L’insospettabile John Cena

Nella mia vita vorrei avere anche solo la metà della convinzione che ha John Cena in questo ruolo. L’ex-wrestler, divenuto per un certo periodo fenomeno della cultura pop all’inizio degli anni 2000, è riuscito splendidamente reinventarsi come attore, sotto l’ottima guida di Gunn, dopo essersi già fatto notare per Fast and furios 9 (2021). Il suo personaggio è stato in parte riscritto rispetto alla pellicola, cercando di renderlo più tridimensionale.

Peacemaker è infatti un eroe ridicolo, nel senso più positivo del termine: è ridicolo perché rappresenta un personaggio fragile, insicuro, fortemente ingenuo, che cerca di fare la cosa migliore secondo lui e spesso per i motivi più sbagliati possibili. È quindi un personaggio assolutamente fallibile e criticabile. E, per questo, una figura in cui possiamo immedesimarci.

La scena è abbastanza divorata da lui e da Vigilante, la sua spalla comica (e non solo), ma anche il resto del cast dà il meglio di sé, anche se talvolta indugia su una recitazione abbastanza stereotipata.

Una trama semplice ma vincente

La trama di per sé non andrebbe neanche esaltata in tempi normali: è piuttosto semplice, con una costruzione da manuale, anche se portata avanti in maniera molto sapiente. Tuttavia, davanti a praticamente tutte le serie della Marvel fatte di buchi di trama, puntate filler e vicende noiose ed inconcludenti, direi che è un aspetto che va riconosciuto.

In generale è una serie pensata per il rilascio settimanale, con costanti cliff-hanger che vengono un po’ depotenziati da una visione in binge watching.

L’inclusività fatta bene

John Cena, Danielle Brooks, Steve Agee e Chukwudi Iwuji in una scena della serie Peacemaker 2022 HBO Max

Ormai da anni le case di produzione cercano di inseguire il pubblico sulla (giustissima) questione dell’inclusività. Purtroppo molto spesso si tratta di operazioni fatte con grande superficialità, solamente per non essere accusati di alcunché, includendo quelli che non sono altro che dei token, ovvero dei personaggi non bianchi, non uomini e non eterosessuali per fare presenza (ne abbiamo un esempio recente in The King’s Man).

In Peacemaker (come prima anche in The Suicide Squad) la questione è ben diversa. Anzitutto Gunn è solito mettere in scena moltissimo i corpi maschili, sessualizzandoli anche in maniera ridicola, piuttosto che quelli femminili. È il caso del protagonista della serie, che sia qui che nella pellicola è molto spesso spogliato.

Inoltre in una scena in particolare Gunn dà finalmente l’idea di ascoltare le donne, e non portare sulla scena, come spesso appunto succede, una rappresentazione assolutamente irrealistiche delle stesse. Dal momento che la scena in questione è interpretata dalla sua fidanzata, non escludo che sia stata lei stessa a portare avanti questa idea.

Oltre a questo, i personaggi non bianchi sono ben contestualizzati all’interno di una serie che non vuole portare la narrazione di una società idealistica e totalmente inclusiva come spesso accade, ma include anche le fasce più estreme (ma anche estremamente reali) della società americana, dando voce ai problemi reali ed alle situazioni reali in cui appunto le POC (People of color) si trovano a vivere quotidianamente.

Posso guardare Peacemaker senza aver visto The Suicide Squad?

In generale, sì: all’inizio viene fatto un piccolo recap del film. Però è veramente un peccato, perché vi spoilera i momenti salienti della pellicola e, se siete fan di Gunn, dovreste assolutamente recuperarla. Se avete ancora bisogno di essere convinti su Gunn e non ve ne importa nulla degli spoiler, allora guardatela.

La maggior parte dei personaggi erano presenti anche nel film, ma erano molto secondari, quindi in realtà la pellicola non aggiunge molto su di loro. Anche Peacemaker come personaggio si può cominciare a conoscere direttamente da questa serie. Le vicende fanno riferimento ad alcuni elementi della pellicola, ma in generale è una serie che si può guardare anche da sola.

Soft Gunn

Se non vi è piaciuto The Suicide squad, non è detto che questa serie non vi possa piacere. Dipende da quale sia il vostro problema con il film: se vi ha dato fastidio la violenza eccessiva e l’umorismo troppo pesante, in questo caso entrambi gli aspetti sono molto più castigati, soprattutto il primo.

C’è molta violenza e anche molto pesante, ma è molto meno ostentata e visibile in scena. Quindi se il vostro problema era quello e in generale apprezzate il Gunn col freno a mano tirato come in Guardiani della galassia, allora può piacervi anche questa serie.

Se invece non vi piace Gunn, né come tipo di umorismo né come tipo di scrittura e preferite un tipo di cinecomic più classico, più vicino a serie come la recente Hawkeye della Marvel, molto probabilmente non farà per voi.

In generale se la volete vedere e non avete visto The Suicide Squad vi consiglio di recuperarvi la pellicola nell’attesa che esca ufficialmente in Italia.